Elementi di economia pubblica/Parte quarta/Capitolo III
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Cap. III. — della circolazione e concorrenza.
18. Noi abbiamo riuniti questi due oggetti, mentre dovranno brevemente essere trattati, sì perchè spessamente e diffusamente ancora dove accadeva ne sono stati esposti i principj e le massime più necessarie ed occorrenti, come pure per la brevità del tempo e la moltiplicità delle materie che ci angustiano.
Visto che sia la moneta e l’uso ampio universale di essa, cioè di essere misura generale d’ogni valore, si vede subito quanto questa fondamentale costumanza di contrattare, e questa uniforme maniera di baratti abbia aggiunto di facilità, di sicurezza e per conseguenza di stimolo a tutti i commerci, e quanto accrescimento ne abbia avuto la circolazione. Questo vocabolo, preso nella sua massima semplicità, è destinato a rappresentare il passaggio che fa un corpo qualunque da un luogo ad un altro, finchè ritorni al punto di dove era partito. Applicando agli affari economici questa nozione, diremo una derrata o merce essere in circolazione, quando partendo dal primo possessore o produttore passa successivamente in altre mani, finchè ritorni al primo. Ora di tutte le derrate e merci, intorno alle quali tutta la mole de’ commerci si aggira, altre si consumano ed altre servono all’uso continuo dei nostri bisogni e comodi; la sola moneta come tale non si destina nè all’uso nè alla consumazione, ma si dà e si riceve come pegno e misura delle cose tutte che si consumano e si usano. Quelle dunque entreranno o sortiranno ad ogni momento dalla circolazione, distruggendosi presso il consumatore, fermandosi presso l’usatore; questa sola potrà continuare a passare per tutte le mani successivamente e ritornare ai primi posseditori. Dunque la sola circolazione della moneta dovrà essere considerata in questo luogo. Ora siccome in ogni società economica niente si dà se non per ricevere, niente si riceve se non si è dato, ed ogni contrattazione e baratto suppone due azioni equivalenti o credute tali, ciascuna delle quali appartiene rispettivamente a ciascuno de’ contrattanti; dunque la circolazione della moneta sarà una fedele rappresentatrice delle azioni che si fanno dai cittadini. Chiunque avrà attentamente considerato la natura del valore esposta nel primo Capitolo di questa Parte, avrà veduto che uno zecchino può, per esempio, rappresentare successivamente una certa quantità di vino, poi una certa quantità di frumento, indi un determinato numero di pelli. Quanto più rapidamente questo zecchino sarà passato per un maggior numero di mani, tanto maggior numero di cose avrà esso misurato e rappresentato. Dunque di un tanto maggior numero di azioni fatte sarà indizio e misura; e quanto più lentamente sarà passato per un maggior numero di mani, tanto meno di azioni avrà rappresentato. Sarà dunque il numero delle azioni de’ cittadini in proporzione della quantità di moneta circolante, del numero delle mani per le quali ella passa e del tempo più breve nel quale fa questi passaggi. Ma se il tempo sarà più breve, supponendo che la moneta non si racchiuda, ma continui a circolare o almeno a produrre altre azioni, passerà necessariamente in altre mani; dunque quest’ultima considerazione si riduce a quella del passaggio per un maggior o minor numero di rappresentanze. Ora noi abbiamo veduto che il rappresentatore universale d’ogni valore è l’alimento, ossia la consumazione. Ma questa consumazione essendo continua e contemporanea in molti, e a questa riducendosi tutte le spese e tutti i baratti che in tutti i commerci si fanno, ogni moneta arriverà infallibilmente o una volta o l’altra, dopo varj giri, a cambiarsi immediatamente con qualche cosa, di cui l’uso è la consumazione. Ma se si prendano in massa tutte le consumazioni diverse che si fanno da tutte le diverse classi e condizioni di cittadini, si troverà (come accade sempre in tutte le masse grandi, e di graduate e varianti quantità combinate) che compensandosi il più col meno, trattandosi massimamente di soddisfare bisogni d’individui simili, presso a poco costanti; si troverà, dico, a un di presso eguale la giornaliera ed attuale consumazione che in una volta si fa, a tutte le altre combinazioni giornaliere e di altre volte. Ma in una attuale consumazione la moneta dell’uno non può servire ad un altro, perchè, combinandosi amendue a consumare nello stesso tempo, è necessario che abbia ciascuno la moneta che gli dà questo diritto a consumare. Dunque la quantità della moneta circolante sarà proporzionale alla quantità della giornaliera ed attuale consumazione. Quindi, sia detto qui per incidenza, non è fuori di luogo il sospetto che io ho, e che per altro merita più matura considerazione, del potersi sciogliere questo problema; cioè che data una moneta qualunque e dato un valore rispettivo che ha in due nazioni, si possa conoscere la rispettiva forza e ricchezza di quelle nazioni. Perchè se avuto riguardo alla popolazione e consumazione, paragonerò la quantità di cose che con uno zecchino si possono contemporaneamente comprare in una nazione A, col numero di cose parimenti contemporaneamente comprate nella nazione B, la forza, la ricchezza, ossia il numero delle azioni o prodotti della nazione A saranno a quelli della nazione B in ragione reciproca di questa quantità; e sarà più forte la nazione, quanto è minore il numero delle cose che con uno zecchino si hanno, a pari popolazione. Ma lo zecchino si sottodivide in tante monete ultime di rame che unite insieme lo rappresentano, e l’ultima e minima moneta di rame rappresenta il minimo valore di una cosa contrattabile. Quando dunque nelle monete di rame non è stata artificiale la divisione, ella si è fatta secondo il bisogno, cioè si è divisa la misura di universal paragone, finchè la quantità assoluta di danaro corrispondesse ai bisogni contemporanei, ossia all’attuale consumazione, e fin dove la rapidità della circolazione in questa supposizione non potesse supplire. Dunque, in questa supposizione, il valor numerario tanto maggiore di una stessa moneta indicherà altrettanto minor forza, minori azioni e minor circolazione, e così viceversa. Si potrebbero perciò stabilire alcune tavole, nelle quali colla popolazione e col numero delle cose da una moneta variamente in varie nazioni rappresentate, si verrebbe a conoscere la rispettiva forza delle nazioni. Ma basta avere accennata una tale importantissima speculazione per chi ama di meditar profondamente in questo oggetto, il tempo non permettendo di più oltre sviluppare una tale teoria.
Ma per ritornare onde eravamo partiti, quando crescerà la massa circolante crescerà infallibilmente la consumazione attuale. Supponendo l’abbondanza relativa eguale e crescendo l’attual consumazione, crescerà infallibilmente la massa circolante. Troppo lungo sarebbe, a chi molte altre cose deve dire, il fermarsi più oltre su tutte le considerazioni che per altro meriterebbe questa verità. Riflettasi soltanto primieramente, che la circolazione tien luogo effettivo per le cose che non sono d’attuale consumazione. Siavi uno che abbia trenta mila monete, e due che abbiano ciascuno quindici mila capi di merci; le trenta mila monete varranno le trenta mila cose. Ma uno che non fosse possessore che di quindici mila capi di merci, tosto che avesse ricevute in prezzo delle sue quindici mila cose vendute le quindici mila monete, potrebbe con queste ricomprare dall’altro gli altri quindici mila pezzi di roba; ed ecco come quindici mila monete, passando per due mani successivamente, sono stato equivalenti alle trenta mila monete. Dunque la quantità del danaro circolante, moltiplicata per il numero delle azioni che va successivamente rappresentando, sarà eguale al valore totale di tutte le azioni e cose prese insieme, se fossero tutte in una volta poste in contrattazione. Dunque uno Stato che avesse la metà meno di danaro di un altro Stato, ma che invece facesse fare quattro giri al suo danaro intanto che l’altro Stato ne facesse solamente due, sarebbe egualmente ricco e forte come questo secondo; anzi, se questo doppiamente danaroso non facesse fare alla sua moneta che un movimento, mentre l’altro metà meno danaroso ne facesse quattro, sarebbe un tale Stato colla metà meno di danaro al doppio ricco dell’altro; perchè cento mila monete in un solo contratto rappresentano cento mila azioni, ma cinquanta mila in quattro contratti ne rappresentano due cento mila. Non è dunque propriamente la quantità assoluta del danaro che forma la ricchezza e prosperità di uno Stato, ma la rapidità e prontezza del suo movimento. Non sono i segni, ma le azioni che formano la forza e la felicità de’ cittadini.
19. Le azioni adunque produttive ed utili debbono eccitarsi l’una l’altra, come le ondulazioni di un fluido messo in moto da qualunque causa impellente; e la quantità de’ segni accresciuta in uno Stato non è utile perchè sia accresciuto il volume e la massa di questi segni, ma perchè durante l’accrescimento fanno crescere il numero di questi movimenti, accelerano i già nati, e nuovi ne producono. Lo stesso dicasi appresso a poco della diminuzione: non è dannosa precisamente come diminuzione, ma perchè una tale diminuzione rallenta ed estingue il numero delle azioni che si producono nella società, non trovandosi pronto e facile l’accostumato danaro a rappresentare i valori delle diverse cose che entrano in contrattazione, e delle azioni che si producono. Se in proporzione della diminuzione si procurasse di accelerare il movimento del danaro diminuito, ossia si trovasse un mezzo di aumentare la circolazione, nissun danno ne verrebbe dalla diminuzione alla società. Mi rincresce di dover passare troppo rapidamente sopra una così bella speculazione, che io sono costretto di lasciare alla sagacità e alla meditazione de’ miei uditori.
20. Riflettasi in secondo luogo, che quanto si è da noi diffusamente spiegato intorno alle cause aumentanti la prosperità delle arti e dell’agricotura, ed alle cause che vi si oppongono, dovrà considerarsi come causa acceleratrice o ritardatrice della circolazione, onde non si deve qui ripeter noiosamente.
21. Riflettasi in terzo luogo, che la circolazione del danaro si aumenta e si rende sempre più facile come la circolazione di tutte le altre derrate, massime nelle grandi distanze. A misura che la moneta è più voluminosa, più difficilmente o meno comodamente divisibile o adattabile a tutti i generi di contrattazione, il suo trasporto costa tempo o fatica, ed acquista un valore che entra a diminuzione per così dire della di lei forza rappresentativa. Dove il trasporto fosse nullo, ivi tutto il resto delle cose essendo eguale, la circolazione sarebbe massima. Da questa varietà alcune importanti luminose conseguenze si dedurranno ben presto: doveasi soltanto qui accennare.
22. Ma ciò che la circolazione in generale più d’ogni altra cosa conduce al massimo punto di velocità, è la concorrenza nella massima sua estensione cioè a dire la concorrenza di tutte le cose valutabili con tutte rispettivamente: abbiamo già veduto che sia concorrenza in tutto il decorso di queste lezioni; giova solo qui avvertire dover questa essere generale; ed è appunto questa universale concorrenza che aumenta il moto e l’azione, senza la quale tutto giacerebbe nel silenzio vuoto ed immutabile della morte. Questa è che, rendendo ogni cosa prontamente correspettiva rappresentatrice d’ogni altra, anima l’industria e la speranza di ogni membro della società. Questa concorrenza debb’essere massima tra le azioni scambievolmente operatrici, non tra le azioni che a nissun risultato finiscono, nè di cui rimanga vestigia ed effetto. Di quelle se ne deve, per quanto è possibile, aumentare il numero all’indefinito; ma di queste debb’essere il limite la rigorosa necessità, e in queste debb’essere impiegato il superfluo che non può in quelle esser adoperato: massima importante non meno per la pubblica che per la privata economia, e la quale forse ancora non infelicemente alla morale ed alle belle arti tutte potrebbe essere applicata.