Saggezza

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Dopo la sentenza

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SAGGEZZA.

I poveri pazzi si erano finalmente quietati. Era l’ora che precede l’alba e la stanchezza li aveva addormentati a uno a uno, come accadeva tutte le notti, dopo lunghe ore di tormentosa insonnia, di lamenti, e qualche volta di convulsioni.

Nella camera particolare al N. 5, dove non dormivano che due ammalate, la conversazione continuava. Le due donne erano assai tranquille, ma dormivano meno degli altri. [p. 50 modifica]

Da principio, in quella camera non ci stava che la signora Laura Garneri; ma poi, essendosi ella molto affezionata a una povera donna, certa Maria Rolli, il medico aveva accondisceso alle sue preghiere e la Rolli aveva ricevuto l’ordine di rimanere sempre vicina alla signora.

Era stata una festa per tutte e due. Quando restavano là, l’una accanto all’altra, discorrendo sommessamente, pareva che dimenticassero la tristezza della loro reclusione. Di solito, era la Maria che raccontava: sempre la stessa storia, che Laura non si stancava mai d’ascoltare. Così quella notte.

I due letti erano vicini; col gomito appoggiato sui guanciali, la testa appoggiata alla mano, esse si guardavano negli occhi e anche bisbigliando s’intendevano. Di tratto in tratto la loro conversazione cessava e restavano assorte in lunghe meditazioni, continuando a guardarsi. Profondi sospiri sollevavano i loro petti. Erano giovani e belle, e nel [p. 51 modifica]disordine della notte e dell’esaltamento, alla luce fioca del lumino, presentavano un quadro fantastico e bello.

Maria Rolli poteva avere ventiquattr’anni; era pallida e delicata, con dei lunghi capelli castani, gli occhi celesti, soavi, niente affatto stravolti. La signora Laura aveva qualche anno di più e un genere di bellezza affatto diverso: i capelli e gli occhi neri, la pelle olivastra, un tipo esotico. Difatti era nata e cresciuta nel Brasile. Venuta da pochi anni in Europa, soggiaceva a una incurabile nostalgia, che aveva finito col turbare le sue facoltà mentali.

Fredda e indifferente a tutte le premure di suo marito, a qualunque distrazione potesse venirle offerta, non sapeva parlare che del suo paese e de’ suoi; del male che le avevano fatto i parenti di suo marito e dell’odio invincibile che le ispirava tutto ciò ch’era europeo.

Ma da che la Maria aveva cominciato a raccontarle la sua storia, [p. 52 modifica]Laura dimenticava qualche volta il cielo caldo e la vegetazione meravigliosa del suo paese, per abbandonarsi a pensieri nuovi per lei.

— Quando rinvenni — ripigliò la Maria — avevo perduto la memoria, ma mi pareva di avere una spina in mezzo al cuore, una spina che mi pungeva continuamente. La memoria mi ritornò quando vidi il mio Carlo disteso sopra una tavola col viso livido, gli occhi spalancati, immobili, la bocca nera.... Ah! com’erano stati crudeli i miei genitori! Il medico stesso si era lasciato corrompere!... Lei sa, non è vero? Noi, si era voluto morire assieme, col carbone, perchè i miei non volevano che ci si sposasse.... ebbene, non so come, loro se n’erano accorti, avevano chiamato il medico, e a me avevano fatto tante cose, mi avevano dato tante medicine, finchè mi ero risvegliata; a lui nulla! Avevano voluto che lui dormisse per sempre!...

— Questo non è possibile — diceva Laura — sai bene che te lo [p. 53 modifica]dico sempre. Non è possibile, perchè i tuoi genitori dovevano volerti bene.... se fossero stati i parenti di mio marito, oh! allora sì, perchè la mia suocera è capace di tutto.

Maria scrollò il capo.

— Le dico — riprese — che mia madre aveva ordinato al medico di svegliare me sola. Altrimenti, perchè, quando mi sono gettata sul mio povero Carlo, mi avrebbero trattenuta, portata via, legata nel letto?

«Avevano paura che lo svegliassi io! E poi hanno messo fuori che ero diventata pazza.... Pazza? Ah! sì, perchè, mentre io ero legata a letto, lo hanno chiuso in una cassa e lo hanno messo sotto terra; e io, quando ho avuto la forza di camminare e di andare fuori, mi sono fatta mostrare il posto dove l’avevano imprigionato, e tutte le notti, intanto che loro dormivano, andavo laggiù, dietro la chiesa, e cercavo di aprire la terra, per aiutarlo a venire fuori!... [p. 54 modifica]

«Ah! non ero pazza, no. Volevo salvarlo, volevo rivederlo, o andare anch’io sotto terra con lui. Oh! il mio fratello com’è cattivo! Quando, un giorno che non voleva lasciarmi andar fuori, gli dissi che l’avrei detto al signor delegato il male che avevano fatto al mio Carlo, e che li avrei fatti andare tutti in carcere, egli mi rise in faccia; e poi fu lui che mi fece metter qua dentro. E intanto il mio Carlo resta sempre laggiù sotto terra, e mi chiama, mi chiama tutte le notti.... Senta, se non è vero.... Ha inteso? Questa è la sua voce!

«Povero Carlo mio!...»

E la misera creatura nascondeva il viso fra i guanciali e piangeva sommessamente, perchè i guardiani di fuori non la sentissero.

L’altra la osservava intensamente, ma il suo viso esprimeva assai più curiosità che compassione.

E dopo un lungo silenzio, stirando le belle braccia e con un lampo negli occhi e uno strano sorriso sulle [p. 55 modifica]labbra, la creola mormorava, con un accento d’incredulità misto di stupore:

— Io non ho mai amato! Perchè volevi bene al tuo Carlo, tu?... Cosa aveva di straordinario? Cosa ti diceva? Cosa ti dava?...

La Maria alzò la testa dai guanciali, si gettò indietro i capelli con impeto, e disse:

— Quando lei mi fa questi discorsi, vede, mi pare che hanno ragione di dire ch’è pazza, e che ci deve essere il suo giusto motivo se l’hanno chiusa qua dentro. Si può non aver amato mai? Si può domandare perchè volevo bene al mio Carlo?... Cosa aveva di straordinario?... Ma era bello, era buono, mi amava tanto!... Ma è possibile che lei non capisca?... Non lo ha dunque mai amato il marito?...

— Mai. Io non ho amato che mio padre, mia madre, i miei fiori, i miei boschi. Quando mio padre è morto di disperazione, perchè mio marito mi ha strappata via dal paese [p. 56 modifica]per menarmi qua, in questa malinconia, io ho pianto tanto, e la mia suocera ha detto ch’ero pazza, e mio marito ha creduto, perchè lui crede tutto quello che dice sua madre, e mi hanno messa qua dentro.

«Io non ho mai amato un uomo. Quando ero ragazzina, volevano farmi sposare un mio cugino; era bello, e anche lui diceva che mi amava, e io avrei voluto contentarlo, ma non potevo. Mi dicevano che l’amore sarebbe venuto, e io aspettavo, aspettavo sempre, e dicevo: forse verrà domani; ma non veniva. Passarono quattr’anni, e finalmente mio cugino si stancò.

«Si vede che neanche lui non mi amava, perchè tu dici che quando si ama non ci si stanca mai!...»

— Mai, mai! — ripeteva la povera Maria — non ci si stanca mai quando si ama.... Se io restassi un secolo qua dentro, il primo giorno che andrò fuori, i primi passi che farò, sarà per andare a quell’angolo [p. 57 modifica]scuro dietro la chiesa, dove hanno chiuso il mio Carlo. Scaverò la terra, aprirò la cassa, e lui verrà fuori e mi sposerà. I miei allora saranno morti....

— Maria! Maria! — esclamò la bella bruna con un profondo accento di compassione — povera Maria, tu deliri. Il tuo Carlo è morto, e l’hanno sepolto perchè era morto, perchè il carbone lo aveva ucciso: non ti ricordi?

Maria scrollò lievemente il capo e non disse nulla, ma da sè pensava che la povera signora Laura era veramente pazza, e non sarebbe mai più uscita da quella casa. Poi, in capo ad alcuni momenti di riflessione, col fare di un professore scettico che spiega un problema difficile a un ragazzo poco intelligente, certo di non essere compreso, ma tanto per fare un tentativo, riprese:

— Come vuole che il carbone avesse ucciso lui, ch’era robusto e forte, se non aveva ucciso me, che sono così debole e delicata? [p. 58 modifica]

Laura non rispose. Tornò a sprofondarsi nelle sue riflessioni, mormorando di tanto in tanto:

— Curioso quest’amore! Io non ho amato mai. Perchè?...

Intanto, nel silenzio dell’alba, un malato, che aveva la sua camera dall’altra parte della corte, fu preso da un fiero accesso e cominciò a lamentarsi con dei gemiti prolungati, che parevano venire di sotto terra, interrotti di tratto in tratto da urli acuti e strazianti.

Subito al primo grido, Maria balzò giù dal letto, e con le braccia stese verso la finestra, il petto gonfio, gli occhi sbarrati, il viso inondato di lagrime, rimase in ascolto trattenendo il fiato.

— Ah! il mio povero Carlo, come mi chiama! La terra gli pesa sul capo, la cassa lo ha tutto indolenzito, i chiodi gli entrano nella carne! Carlo! O Carlo mio! Io fuggirò da questa prigione, io verrò, io verrò a liberarti....

Tacque, e lentamente ritornò nel [p. 59 modifica]suo letto, colpita da un nuovo fantasma, assorta in una meditazione così interessante, che le attutiva ogni altra sensazione. Le sue labbra mormoravano parole senza senso; contava sulle dita. Meditava sul suo eterno progetto di fuga.

La signora Garneri si era assopita; i lamenti del malato, dirimpetto, cessavano. Un poco dopo entrò la infermiera e spalancò la finestra; sorgeva il sole.

La Maria, fingendo di dormire, con le mani sotto le lenzuola, continuava a far dei calcoli sulle dita.

Dal balcone di un bel villino, la signora Garneri guardava il mare. Da più di un mese suo marito l’aveva ritirata dal manicomio in seguito alla tragica morte della sua compagna di camera.

Ad un osservatore superficiale, Laura poteva sembrare guarita. La sua parola era calma, le sue maniere [p. 60 modifica]gentili. Anche i lineamenti del suo bel viso avevano perduto quella tensione penosa. Lo sguardo, non più torvo, s’illuminava di quando in quando nello splendore di una lagrima. Non parlava più di voler morire. Non parlava più, con quello ardore febbrile, delle bellezze sfolgoranti del suo paese, dei boschi profumati, dei fiori meravigliosi. Non gridava più contro l’ingiustizia di chi l’aveva rapita alla patria del sole, come si esprimeva lei poeticamente, per gettarla in mezzo alla nebbia.

Nelle prime settimane, suo marito credette davvero ad un meraviglioso miglioramento. Forse quel paesaggio incantevole, le immagini ridenti da cui era circondata, avevano fatto il miracolo.

Molte volte, fingendosi tutto intento sopra i suoi libri di scienza, o tutto occupato a studiare lo spettro della luce attraverso le sue lenti, egli osservava sua moglie ne’ suoi più fuggevoli atteggiamenti. [p. 61 modifica]

Quest’attenta osservazione distrusse presto le sue illusioni. Laura non si lasciava distrarre, nè blandire dalle bellezze della scena che la circondava. Anzi, la sua indifferenza per tutti gli oggetti esteriori diveniva ogni giorno più manifesta.

Le contemplazioni, nelle quali si perdeva per ore ed ore, erano tutte interiori. Lo splendore che illuminava di tratto in tratto il suo sguardo era il riflesso di una fiamma interna....

Un po’ accorato, egli ritornava ai suoi libri, e non andava molto che la scienza gli accordava la solita ineffabile consolazione: l’oblio più completo di tutti i dolori umani.

In fondo, il suo carattere si componeva di questi tre elementi: un amore appassionato, irresistibile per le ricerche scientifiche, una mezza indifferenza sincera e serena per tutti gli altri beni della terra, e un’indulgenza illimitata, sebbene senza tenerezza, per tutti gli esseri umani.

Aveva amato Laura alla sua [p. 62 modifica]maniera, come un bel raggio di sole; poi l’aveva studiata come un fenomeno; a malincuore l’aveva messa alla casa di salute; ora era disposto a tenerla con sè fino all’ultimo.

Poteva studiare lo stesso. Inclinato a considerare tutti gli uomini come monomaniaci più o meno spinti, il caso di sua moglie non gli pareva, in realtà, altro che una variante più accentuata. E poi, era tanto bella! Fosse ella pure indifferente o alienata, rimaneva sempre bella, e l’uomo della scienza si sentiva dolcemente riscaldato da quel raggio di bellezza.

Per questo, nei momenti in cui lo studio non lo assorbiva, egli ritornava alle sue osservazioni e alla speranza di farla guarire. Nell’onestà della sua coscienza, gli pareva che non sarebbe indietreggiato dinanzi a nessun mezzo. Ma il solo mezzo, che forse avrebbe potuto guarire Laura, non era in suo potere. Egli lo ignorava. Fin da giovinetto, egli s’era abituato a confinare la passione nel dominio del romanzo o della malattia. [p. 63 modifica]E lui era sano e forte, e sano e forte voleva rimanere. D’altra parte, sua moglie non aveva mai mostrato molto trasporto. Gli aveva voluto bene, ma non più che a un fratello; e conosceva tutta la sua vita; sapeva che nessun altro amore più vivo aveva mai acceso il suo cuore. Laura, secondo il signor Garneri, era un temperamento mistico, poco portato all’amore terreno. Come poteva egli immaginare il mutamento che s’era fatto in lei e lo stato presente dell’animo suo?

Era difficile penetrare nei pensieri di Laura, per chi non sapeva nulla de’ suoi discorsi con la povera Maria.

Questa disgraziata intanto era morta in una maniera straziante.

Essendo riuscita a fuggire dal manicomio, s’era incamminata direttamente verso il cimitero del suo villaggio, per liberare il suo Carlo, ch’ella credeva sempre vivo nella sua tomba.

Il custode del cimitero, facendo la sua visita mattutina, l’aveva trovata morta, con la fronte spezzata contro [p. 64 modifica]lo spigolo della lapide, ch’era riuscita a smovere.

Laura sapeva la fine tragica della sua compagna, e questa storia d’amore formava il fondo delle sue meditazioni.

Amare! Cosa era veramente questa facoltà straordinaria, di cui lei non aveva alcuna idea? Amare! O perchè lei non aveva mai amato?

Chi l’aveva condannata a quel sonno eterno del cuore, che a poco a poco aveva intorpidito tutte le sue forze?

Perchè non doveva essere concesso anche a lei di provare quegli spasimi e quelle gioie?... Poichè bisognava bene che fossero straordinarie le gioie, la cui perdita faceva provare tali spasimi atroci; bisognava che la felicità dell’amore fosse superiore a qualunque immaginazione, se la sua sola memoria poteva dare tanto coraggio e tanta costanza a una creatura debole e ignorante come la povera Maria. E lei sarebbe morta senza averla mai provata. [p. 65 modifica]

Involontariamente, i suoi sguardi si volgevano verso suo marito, e lo contemplava lungamente, mentre egli non badava a lei.

Certo lo si poteva amare. Perchè non aveva mai provato il più lieve desiderio di stringerselo al cuore? Perchè era rimasta sempre così fredda, così indifferente anche a’ suoi baci?

Era impossibile che trovasse una qualche risposta a queste domande. Ma, se non una risposta, trovava una convinzione: neanche lui aveva amato lei. Quei rapidi momenti di espansione, seguiti da lunghe calme, non potevano aver nulla di comune con l’amore che inebbria e uccide.

E perchè l’aveva sposata, se non l’amava?... E cosa le preferiva veramente?... Dei libri orrilmente noiosi, degli ordigni strani, di cui lei non aveva mai compreso il vero significato.

Mentre nel mondo c’era questa felicità e questo spasimo, questa fonte misteriosa di commozioni così profonde, quell’uomo ancora giovine e [p. 66 modifica]bello, che era suo marito, se ne stava là curvo su’ suoi libracci, come se non ne avesse saputo nulla, vicino a lei, che tutti dicevano bella, e non s’era mai dato pensiero di vincere la sua freddezza. E non basta. Quando la noia incosciente, la tristezza d’una vita senza scopo l’aveva spinta a cercare la morte, egli l’aveva chiusa in un manicomio.

Oh! non era pazza lei, no. Ne era sicura, adesso più che mai. Non era pazza. Il suo cervello poteva analizzare, scrutare, riflettere come le persone più intelligenti.

Ma il soggetto delle sue ricerche era così prepotente, che le dava le vertigini. Le sue meditazioni la immergevano in una prostrazione così dolorosa e le mettevano addosso uno sgomento così fiero, che ora, sul serio, aveva paura d’impazzire.

Una sorda ribellione ruggiva nel suo petto; a momenti l’agitavano degli impeti di odio.

Uno di quei giorni, mentre il signor Garneri si consolava di vedere lei [p. 67 modifica]così tranquilla, e ne’ suoi occhi una luce così limpida e intelligente, Laura s’avanzò verso di lui, che era seduto alla sua scrivania, e con le braccia incrociate si fermò a considerarlo attentamente.

Lo scienziato alzò gli occhi, la salutò con un sorriso e le indirizzò qualche parola cortese. Ma quella era appunto l’ora più propizia per certi esperimenti sullo spettro solare, e le condizioni del cielo e dell’aria corrispondevano perfettamente al suo desiderio, tanto che gli sarebbe davvero spiaciuto di lasciar passare quel momento senza approfittarne. L’aspettava inutilmente da più di una settimana. Ora, quella figura opaca, che veniva a piantarsi proprio fra lui e i raggi solari di cui aveva bisogno, era un vero contrattempo.

— Ti prego, Laura — disse — fatti un po’ di costà: bisogna che tutta la luce si rifletta sulle mie lenti.

Laura si scostò lentamente; ma, prima d’allontanarsi, si fermò ancora un momento vicino a lui e, con un [p. 68 modifica]accento in cui fremeva la collera, disse:

— Quando un uomo non sa amare altro che la scienza, deve sposare soltanto la scienza.

Queste parole fecero molta impressione sull’animo del signor Garneri. La sua coscienza, sempre tranquilla, fu turbata da una specie di rimorso. Cercò, con tutti i mezzi possibili, di guadagnarsi la confidenza di sua moglie, rimproverandosi di non averci pensato prima. La interrogò abilmente, adoperò tutte le astuzie per insinuarsi nell’intimità de’ suoi pensieri.

Ma Laura, con l’ostinazione invincibile che caratterizza le persone la cui intelligenza ha sofferto violenti scosse, seppe eludere tutte le sue domande. Così, a poco a poco, egli cominciò a pensare che forse aveva dato troppa importanza a quelle parole, e tornò a lasciarsi trascinare dalla sua insormontabile inclinazione. Tuttavia, aveva cura di tenerle un po’ più di compagnia, poichè, [p. 69 modifica]naturalmente, Laura non andava in società.

Un dopopranzo, verso sera, mentre essi stavano appunto sul balcone a pigliare il fresco, un giovine signore, sceso in quel momento da un canotto, guardò in alto e li salutò.

Laura si lasciò sfuggire un gesto di ammirazione, che la bellezza del giovine signore giustificava pienamente. È difficile immaginare una più bella persona. Alto, col petto arcuato, le spalle da atleta, e svelto tuttavia; sul suo collo robusto, color d’avorio, ma rotondo e levigato come un collo di donna, si ergeva una testa da sognatore o da poeta; la barba nera contornava il suo viso d’un ovale un po’ allungato, e i baffi egualmente neri ombreggiavano due labbra fini, che, sorridendo affabilmente, scoprivano i denti candidi. Il naso aquilino e la fronte alta e poderosa — la si vide tutta quando il giovine si levò il cappello per salutare — davano un carattere di maestà e di forza, in armonia con la persona, a quella [p. 70 modifica]fisionomia così dolce e supremamente nobile. I suoi occhi neri e grandi avevano uno sguardo lento e profondo, rivelatore di un’anima appassionata e forte.

— Chi sarà mai? — domandò a sè stesso il signor Garneri.

Laura non disse nulla; ma i suoi occhi seguivano il bel forestiero.

— Viene da noi! — esclamò, vedendolo entrare dentro il portone della palazzina.

Mezz’ora dopo Maurizio Bargelli pareva della famiglia. Era figlio di un vecchio amico del signor Garneri, e trovandosi a Genova e avendo saputo ch’egli era in villa, aveva desiderato vederlo per salutarlo e consegnargli una lettera del padre suo. Veniva da Milano, sua patria.

Il signor Garneri fece molte feste al figlio dell’amico e lo pregò di fermarsi alcuni giorni al villino. Il giovine accettò. Fin dal primo momento, Laura si mostrò gaia e spiritosa, quale nessuno mai l’aveva veduta. Lo scienziato sulle prime non [p. 71 modifica]vi badò, ma poi cominciò ad osservarla e il suo stupore andò crescendo di giorno in giorno.

E c’era di che. Egli non riconosceva più sua moglie: quella era una donna affatto nuova, di cui egli non aveva veduto che l’ombra. La sua bellezza si animava, i suoi occhi sfavillavano. E a sentirla parlare, a quelle sue risposte così pronte e vivaci, a volte profonde, nessuno avrebbe creduto che quella era una convalescente del manicomio.

E quell’arte di vestirsi, e quella civetteria raffinata, dove le aveva imparate?

Per un poco, il buon scienziato fu felice. Nell’effusione del suo bel cuore, egli si sentiva una voglia matta di abbracciare il suo giovine ospite. Gli sorrideva come a un figlio, gli accarezzava le spalle, gli stringeva le mani in modo da far strabiliare il giovine.

Di che mai poteva essergli riconoscente il marito di Laura? Ne’ suoi soliloqui, egli già non chiamava [p. 72 modifica]più il signor Garneri con altro nome. Riconoscente, a lui? La sua coscienza gli diceva che veramente non c’era di che. Quelle espansioni lo tormentavano.

A momenti avrebbe pagato qualcosa di bello perchè gli avesse fatto una sgarbatezza. Ma poi pensava con spavento che avrebbe dovuto allontanarsi da quella casa.

Senza rendersene conto, Maurizio aveva subìto il contraccolpo dell’effetto che aveva prodotto nel cuore di Laura col solo mostrarsi. Amava quanto era amato.

Un giorno, a colazione, il signor Garneri si sentì colpito da una singolare tristezza. Non poteva mangiare, e le parole non gli potevano uscire dalla gola. Già nella notte non aveva dormito bene. Un sogno gli era rimasto stranamente impresso. Aveva provato a mettersi un po’ a studiare nella mattinata, ma non gli era riuscito. Quel sogno gli ritornava sempre davanti.

— Bella davvero! — esclamò con [p. 73 modifica]stizza — ora sono diventato cretino al punto di credere ai sogni!

Ma non valse a nulla. Una tempesta altrettanto fiera che impreveduta agitava l’animo suo. Gli pareva che tutta la sua vita crollasse improvvisamente nel nulla. Una vita vana e inutilmente spesa. Egli si ribellava ancora a questo pensiero; ma il sogno glielo riaffacciava. Il sogno gli diceva che Laura era stata sacrificata al suo egoismo, che invece di farsi amare da lei, l’aveva fatta impazzire. E ora.... oh, ora la perdeva irreparabilmente! Quando fu a colazione, quella stessa immagine gli tolse l’appetito e lo fece piombare in una invincibile tristezza.

I due giovani, però, non se ne accorsero. Continuavano a ridere e a chiacchierare. Questa indifferenza lo esasperò. La prima volta in vita sua provò un fiero impeto di collera; e per non abbandonarvisi, uscì dalla sala da pranzo. Purtroppo, più che la collera, poteva in lui la disperazione.

La maniera con cui gettò il tovagliolo sulla tavola e spinse la sedia, [p. 74 modifica]indicava abbastanza chiaramente lo stato dell’animo suo.

Maurizio alzò il capo e lo seguì con un lungo sguardo. Aveva capito. Non trovò più parole per rispondere alle scherzose e dolci domande di Laura.

Improvvisamente anch’essa tacque e i suoi occhi si fissarono sul posto lasciato vuoto.

Questo doppio silenzio fu la loro confessione.

Passarono alcuni minuti, prima che osassero interromperlo neanche con uno sguardo.

Il primo sguardo in cui i loro occhi s’incontrarono, disse tutto.

Allora Maurizio si alzò pallidissimo e quasi barcollante; s’accostò a Laura e le prese le mani. Un momento rimasero così, gli occhi fissi l’uno nell’altra; poi Maurizio si chinò e posò le sue labbra sulla fronte di lei. Come se questo contatto gli avesse fatto paura, si ritrasse subito.

In quel momento fu sparato un colpo nella stanza attigua. [p. 75 modifica]

I due giovani vi si precipitarono insieme al domestico accorso dall’anticamera, e tutti videro il signor Garneri — il freddo uomo della scienza — cadavere sul pavimento, traverso l’uscio, col cranio spaccato e il revolver ancora stretto nella mano destra.



FINE.