Dopo la sentenza/Dopo la sentenza

Dopo la sentenza

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Dopo la sentenza Saggezza

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A

UMANO.

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DOPO LA SENTENZA.

Appena rimesso dall’immane stanchezza e fatte le poche visite indispensabili alle persone che gli avevano prestato il loro appoggio durante il processo e la prigionia, l’avvocato Mario Limonta si fece condurre alla stazione, perchè non vedeva l’ora di andarsene, di cambiar paese.

Lo accompagnavano alcuni suoi amici e il dottor Giovanni Limonta, suo fratello, che andava con lui fino a Bergamo. [p. 12 modifica]

Sotto la tettoia della stazione pareva, a quell’ora, il finimondo.

Sibili acuti di locomotive appena arrivate o pronte per la partenza; gridi insistenti, rabbiosi; colpi formidabili, schianti: tutto insieme un rumore da orde selvagge, centuplicato dal rimbombo che rintronava gli orecchi ai poveri viaggiatori.

E questi andavano e venivano, nel denso fumo, con quell’aria di sbalordimento, come mandre sbandate, risospinti di qua e di là dai facchini, dai guardiani, dai conduttori.

— Arriviamo appena in tempo — disse il dottore. — Il treno per Bergamo è quello laggiù, a destra. Andiamo.

— Andiamo — ripetè macchinalmente l’avvocato, serrando la mano agli amici.

— Addio! A rivederci!

— A rivederci!...

Dovendo traversare la tettoia diagonalmente, si gettarono in mezzo alla folla e al frastuono.

Tutto a un tratto, Mario Limonta, [p. 13 modifica]che aveva afferrato il braccio di suo fratello, si fermò sussultando.

— Che c’è? ti senti male?

— Guarda quello lì.... fu uno degli ultimi.

Il dottore vide un giovinotto che si allontanava osservandoli di soppiatto: intese e crollò le spalle.

— Che t’importa! Lei non c’è più.

— È vero — balbettò l’avvocato — non c’è più!

Intanto, due donne, che li avevano incontrati faccia a faccia, si voltavano a guardarli curiosamente. Una diceva:

— È quello là, quello alto, dai capelli brizzolati.

— E l’hanno assolto?

— Assolto!

Alcuni curiosi si arrestarono un momento ad ascoltar questo dialogo, seguendo con gli occhi l’uomo alto, brizzolato; qualcuno mormorò parole indignate; altri sorrisero.

— Per Bergamo, avanti! Avanti i secondi! — gridavano i frenatori fermi accanto al treno.

— Partenza! [p. 14 modifica]

— Pronti!

I due fratelli trovarono a fatica un posticino in una carrozza per fumatori.

Come gli accadeva da per tutto in quei due giorni, dacchè la sentenza della Corte lo aveva rimesso in libertà, l’avvocato si accorse subito che i suoi compagni di viaggio lo conoscevano e lo guardavano con interesse, bisbigliando sommessamente.

Non si doleva di quella curiosità; piuttosto gli sembrava un omaggio, sicuro come egli si teneva dell’approvazione dei più, e quasi convinto di avere dato un esempio salutare.

Quest’idea dell’esempio non era veramente nata nel suo cervello. Un collega paradossista e mezzo burlone gli aveva detto un giorno:

— Non ti pare che se tutti i mariti fossero pronti ad agire come te, la mala pianta dell’adulterio sarebbe presto estirpata?

Il disgraziato si aggrappava a questo sofisma che, insieme ad altri, contribuiva a mantenere la sua coscienza [p. 15 modifica]ottenebrata in una calma fittizia, dando al suo pensiero l’ostinata sicurezza che protegge tanti delinquenti.

Il treno correva per la campagna e il vento fresco spazzava via l’aria soffocante che ristagna nelle vetture, rimaste troppo tempo sotto la tettoia: tutti provavano un senso di benessere.

L’avvocato gittò un mozzicone di sigaretta, ancora fumante, e vi pestò su il piede, con un gesto risoluto di uomo convinto.

Suo fratello pronunciò qualche parola, a cui egli rispose sorridendo; e subito un vicino trovò modo d’incastrare una sua osservazione al loro discorso; un altro lo imitò; poi un altro ancora: così la conversazione si allargò, divenne generale, dilagando su i soliti argomenti: politica, teatri, affari pubblici. Nessun’allusione al processo, nè alla sentenza, che in quei giorni offriva argomento a tante controversie: segno evidente che tutti avevano riconosciuto l’uxoricida. [p. 16 modifica]

Appena egli apriva la bocca, tacevano; e tutto ciò che egli diceva era ascoltato con vivo interesse. Pareva, in verità, che lo ammirassero.

Una signora, molto ben messa, giovine e bella, per quanto si poteva vedere di sotto alla fitta veletta nera, una signora che viaggiava sola e si teneva rincantucciata presso al finestrino, era la sola persona che rifuggisse dal guardarlo.

Tale contegno manifestava una certa ostilità — forse, disprezzo.

L’avvocato si sentì punto e fece alcune prove per vedere se non si era ingannato. Una volta raccattò il ventaglio che le era caduto; un’altra si affrettò ad abbassare un cristallo che ella non riusciva a smuovere. Il risultato fu schiacciante: neppure un grazie, appena un lieve cenno del capo, senza alzare gli occhi.

Ella scese a Treviglio, e nel discendere, dovendogli passar davanti, lo guardò; allora egli ebbe la percezione rapidissima che quella signora aveva orrore di lui, come di un [p. 17 modifica]malfattore. Tremò tutto e dovette chinar la fronte.

— Sarà una donnaccia — pensò poi per reazione, quando non la vide più. — Tutte le donne per bene mi hanno dato ragione!

A Bergamo il dottore era aspettato; l’avvocato pensava di andare subito a San Prospero. Non vedeva l’ora di essere solo, di riposare.

Aveva là a San Prospero una casetta di campagna, con un podere e un piccolo bosco, a mezza costa; contava di passarvi un mese in santa pace, per rimettersi di tanti strapazzi.

Senonchè gli amici venuti incontro al dottore furono ben lieti di non trovarlo solo, e si strinsero intorno all’avvocato per congratularsi della vittoria ottenuta, per fargli festa.

— Che fortuna che tu sii qui! — esclamava l’ingegner Ugoletti, un bel tipo di bergamasco, dalla faccia larga e serena e dalle spalle quadrate. — Hai fatto proprio una bella cosa! Ora ti porto in trionfo.

— Io veramente — cominciò [p. 18 modifica]l’avvocato — devo andare a San Prospero....

— Ma che San Prospero! la casa è là da cinquant’anni e non si move. Hai tempo di vederla. Intanto resta con noi e vieni a casa mia, che le mie donne saran felici di vederti. La mamma non me la perdonerebbe più se ti lasciassi scappare. Figurati che si è tanto interessata al tuo processo, che ha pianto di gioia quando ha saputo che ti assolvevano. E mia moglie?... Bisogna sentire, un vero odio per quella.... Basta, lasciamola stare; ora non c’è più. Andiamo, dunque.

Così, chiacchierando, egli aveva afferrato il braccio dell’amico e lo trascinava in città, superbo di mostrarsi sul Sentierone all’ora della passeggiata, con quell’uomo famoso di cui tutta la stampa si occupava in quei giorni.

A un tratto, si ricordò che in tanta foga aveva dimenticato il dottore, e si voltò a cercarlo, ben contento di vederlo a pochi passi di distanza, [p. 19 modifica]tutto infervorato, con due suoi colleghi, in una disputa professionale.

— Andiamo avanti noi — disse. — Non bisogna interrompere il congresso degli scienziati.

L’avvocato fece ancora qualche debole resistenza. Non era mai stato in casa dell’ingegnere: conosceva sua madre soltanto di vista, sua moglie poco più; gli pareva poco corretto di presentarsi così....

L’altro non lo lasciava continuare.

— Quando ti dico che non ci potresti fare un miglior regalo! E poi, vedrai da te, vedrai la gioia di quelle due donne.

Intanto incontravano sempre nuovi amici, che tutti avevano letto i resoconti del processo e la sentenza finale col trionfo del marito vendicatore.

In casa Ugoletti l’accoglienza fu quale l’aveva preannunciata il capo della famiglia. Quelle buone signore [p. 20 modifica]si sentivano orgogliose e felici di ospitare un tanto uomo, l’eroe della giornata.

D’altra parte, la vita di provincia è così monotona e scarsa di emozioni, che i provinciali afferrano tutti i pretesti per divagarsi in qualche modo.

A Mario Limonta pareva d’essere un’altra volta alle Assise, il giorno della liberazione, allorchè le signore tutte in piedi applaudivano; con la differenza che là, molto si poteva mettere sul conto dei nervi eccitati dalla teatralità del tribunale; mentre qua, perfin l’entusiasmo aveva un fare casalingo e ragionevole.

Queste signore, difatti, ragionavano — alla loro maniera. La vecchia madre dell’ingegnere, una di quelle che lodano sempre il passato, detestando il presente, ed hanno ad ogni istante sulle labbra la frase sacramentale: «Al mio tempo», vedeva nell’avvocato Limonta uno dei pochissimi uomini morali, forti e dignitosi di questa moderna e corrottissima Italia. [p. 21 modifica]

— E sono soddisfatta che le abbiano reso giustizia — essa gli diceva, facendolo sedere al suo fianco. — Sì, davvero; e non soltanto per lei, ma anche per la morale, per la famiglia, per le donne oneste, tanto disprezzate dai moderni filosofi. Al mio tempo, sarebbe stato assurdo che i mariti traditi (se ve n’erano) uccidessero le adultere; perchè, al mio tempo, codeste donne erano abbastanza punite dal disprezzo universale; adesso che le portano in trionfo, adesso che le disprezzate sono le buone mogli, le umili madri di famiglia, oh! adesso bisogna, per forza, bisogna che di tratto in tratto qualcuno ristabilisca l’ordine; che le donne oneste abbiano una rivincita e le colpevoli un freno, se non altro, nella paura di morire!

La moglie dell’ingegnere, la bella ed elegante signora Maria, condannata da oltre vent’anni agli amari sermoni della suocera, ascoltava fremendo le speciose ragioni con le quali, la sua eterna nemica, [p. 22 modifica]giustificava il proprio entusiasmo per l’uxoricida.

— Vorrebbe che suo figlio mi uccidesse — pensava l’infelice nuora con un amaro sorriso — perchè ho un salotto di conversazione, perchè mi vesto come vuole il figurino.... perchè vado ai balli, ai teatri.... perchè ballo ancora.... ah! ballare a trentott’anni, che orrore!

Quanto al Limonta, essa pure lo ammirava, ma per ben altre ragioni. Ella non vedeva in lui che l’uomo appassionato, l’uomo capace di amare fino al delitto. Se suo marito l’avesse amata così, che altra vita sarebbe stata la sua.... e come l’avrebbe amato! Ma suo marito non era un uomo di passione, tutt’altro: era un cuor contento: non l’avrebbe uccisa neppure se l’avesse trovata fra le braccia di un amante. La passione — l’inesauribile fascino! Tutto si doveva perdonare ad un uomo capace di così grande, di così intensa passione.... I giurati avevano dato prova di molta intelligenza, di molto [p. 23 modifica]sentimento assolvendo il delitto d’amore. Molto sarà perdonato a chi ha molto amato!... Non l’aveva detto il divino legislatore?... Ah! nelle grandi città si potevano ancora trovare di quegli uomini così penetranti.... così sensibili... In provincia, no.... inutile sperare.... Inutile, inutile.... In provincia, una donna come lei era condannata a vivere fra una suocera insopportabile e un marito superficiale!...

Così, mentre che intorno a lei si rideva e si parlava ad alta voce, tra le diverse persone che suo marito si era dato premura d’invitare per festeggiare l’amico, la signora si smarriva in una meditazione poetica e desolata, dalla quale emergeva, cinta di luce e di gloria, la figura pensosa e passionale dell’ospite fortunato.

Ma non soltanto le donne deluse della vita: le virtuose, a cui era mancato il premio sognato pei troppo gravi sacrifici, e chiedevano almeno che le colpevoli fossero punite; non [p. 24 modifica]soltanto le appassionate giunte al declivio della giovinezza e disperatamente attaccate alle loro chimere: le giovanissime, le fanciulle stesse festeggiavano l’avvocato uccisore della moglie. Ve n’erano tre a quel pranzo: Giulietta, la figliola dei signori Ugoletti, e due sue amiche d’infanzia; e tutte e tre sorridevano beatamente e avevano serrata la mano macchiata di sangue, senza ripugnanza alcuna. Soltanto una, Giulietta, la più nervosa, aveva provato un piccolo brivido, quasi piacevole, di misterioso terrore. Tutte intorno ai vent’anni, vivaci, curiose, disoccupate, stanche di fare e rifare il sogno dell’avvenire; come non avrebbero provato un interesse ingenuamente romantico per quell’uomo che, ai loro occhi avidi, rappresentava un romanzo vivente, uno di quei romanzi realisti, pieni di rivelazioni interessanti sul più interessante dei misteri — romanzi che le fanciulle di buona famiglia non devono leggere, o fingere di non aver letto! [p. 25 modifica]

Tutto occupato del proprio caso, riferendo ogni cosa a sè, Mario Limonta non poteva penetrare il mistero di quelle anime; non poteva discernere le cause occulte traverso gli effetti esterni, e, tanto più beato, godeva semplicemente gli effetti a lui favorevoli, credendo di averli prodotti lui con la sua sola presenza, e crogiolandosi in quell’atmosfera carezzante, satura di profumi delicati e di femminilità.

Dopo il pranzo, la conversazione si allargò per il sopraggiungere di altre visite: signori e signorine, giovanotti e uomini maturi, tra i quali alcuni vecchi colleghi, di quelli un po’ dimenticati, il cui primo riconoscimento è come un salto indietro nella giovinezza.

Verso le nove, arrivò una signora quasi inaspettata, una bella e gentile signora, il cui solo presentarsi cagionò all’avvocato un invincibile sgomento.

Era la signora che aveva viaggiato con lui fino a Treviglio. [p. 26 modifica]

Essa raccontava appunto di aver pranzato a Treviglio, da una sua amica, e di essere arrivata a Bergamo verso le otto: portava all’ingegnere una lettera di un suo cognato, e molti saluti a tutta la famiglia.

Mario Limonta si teneva in disparte, ma non poteva far a meno di guardarla; e ben presto i loro sguardi s’incontrarono. Allora egli provò lo stesso acuto malessere che aveva provato nel treno: una puntura acerba nella parte più sensibile dell’animo, una follia di collera. Non v’era dubbio: quegli occhi lo disprezzavano. Gli parve anzi che la signora s’indugiasse un momento a guardargli le mani, rivolgendosi poi subito da un’altra parte, come inorridita.

Ciò bastò a guastargli la festa. Non si sentiva più libero, padrone di sè: un insormontabile imbarazzo lo inchiodava al suo posto — e non sapeva dove tener le mani; provava il bisogno strano, stupido, tormentosissimo, di nasconderle a’ suoi propri occhi! [p. 27 modifica]

Alcune signore, vedendolo solo, gli si avvicinarono, parlandogli con interesse, con simpatia. Le ragazze, con le loro improntitudini, cercavano di trascinarlo sull’argomento della passione; ma la signora Maria, piena di finezza e di garbo, gli parlava d’arte e di poesia, argomenti nei quali egli si era mostrato, poco prima, di molta competenza.

Ora invece le sue risposte erano oscure, stentate, qua e là banali, da uomo distratto.

Non gli riesciva di fermare la mente su quei soggetti, e lo sforzo che faceva offuscava la sua intelligenza. Fissa nel pensiero gli stava l’immagine di quella signora e la sua ripugnanza offensiva, neppure abbastanza simulata. La vedeva senza guardarla; la sentiva parlare da lontano, distinguendo la sua voce — una voce sottile, squillante, dall’accento straniero — in mezzo al rumore confuso di tante altre voci.

Avrebbe voluto parlarle, interrogarla, convincerla che aveva torto. [p. 28 modifica]Sarebbe stato il meglio questo. Le avrebbe ripetute le parole così gentili e penetranti della signora Maria, e quelle della veneranda signora Amalia, così nobili ed elevate. E voleva farsi presentare: non aveva che a dire una parola alla signora Maria; ma la parola non gli usciva dalla strozza.

Pensò di avvicinarsi alla signora Amalia, che, trovandosi seduta accanto alla foresteria, avrebbe eseguito subito il suo dovere di padrona di casa. Ma non si mosse: sarebbe stato uno sgarbo verso la signora Maria, che lo intratteneva ancora, attribuendo benevolmente le sue distrazioni alle intense malinconie di un’anima grande e infelice.

D’altra parte, un nuovo dubbio lo assaliva: quella sua nemica aveva già forse parlato di lui col disprezzo e la ripugnanza che non sapeva nascondere; e quei discorsi agivano sull’animo impressionato della vecchia; o, forse, la presentazione era già stata proposta e rifiutata, e il [p. 29 modifica]suo avvicinarsi sarebbe stato causa d’imbarazzo e quindi di nuove umiliazioni per lui.

Pure, voleva sapere chi era quella pettegola, che viaggiava sola e si dava delle arie da principessa.

— Facciamo un poco di musica? — domandò una signorina, che già si annoiava.

Le altre approvarono in coro:

— Sì, sì, un poco di musica!

La signora Maria fu obbligata a muoversi, e Mario Limonta, rimasto libero, si accostò al tavolino dei giuocatori di tresette, tra i quali era suo fratello e l’ingegner Ugoletti; questi esclamò:

— Bravo! vieni un poco qui da noi; le signore ti hanno goduto abbastanza.

Tutti risero e le arguzie s’incrociarono. Anche l’avvocato si sforzò a dire la sua, che fu alquanto agra.

Come accade sempre, vi era anche qui un giuocatore serio che non tollerava interruzioni e richiamò i giuocatori al dovere della partita. [p. 30 modifica]

Fra un giro di carte e l’altro, l’avvocato trovò il destro d’interrogare suo fratello sulla signora forestiera.

Il dottore sapeva che era un’inglese, maritata ad un ricco industriale di Treviglio, trapiantato a Bergamo; ma il nome l’aveva scordato.

La signora Alice Ciampi-Brugel — disse il padrone di casa, che aveva sentito. — Oh! una carissima donna; un po’ originale, forse, per i nostri costumi; ma intelligente, disinvolta, attiva. Suo marito ha in lei un vero tesoro: vale tre impiegati dei migliori.

Gli altri signori affermavano. La conoscevano da dieci anni, dacchè era moglie del Ciampi, che l’aveva incontrata a Liverpool, ne’ suoi viaggi.

Nei primi tempi, a Treviglio, la società, retrograda, l’aveva un po’ perseguitata, per le sue idee e per le sue maniere di donna libera, superiore; ma tutti poi avevano dovuto riconoscere che era una vera [p. 31 modifica]gentildonna e valeva meglio di certe santarelle. A Bergamo le famiglie liberali se la disputavano, tanto più che lei faceva poche visite e lavorava tutto il santo giorno.

— È riescita, basti dire, a farsi amare da mia madre, essendo amica di mia moglie! — esclamò l’ingegnere, facendo ridere i compagni una seconda volta.

Mario Limonta aveva sentito abbastanza. Quelle lodi così spontanee ed unanimi erano colpi di martello che gli ricacciavano nella carne viva il chiodo per cui spasimava. Voleva andarsene; non aveva più alcuna ragione per rimanere. L’ostilità di quella donna aveva rotto l’incanto. Dacchè essa aveva un’opinione contraria a lui, tutti gli altri avrebbero, a poco a poco, subita quell’opinione. Giacchè quella non era donna da star zitta, e neppure da non valersi dell’ascendente che esercitava.

Che fatalità! Proprio nel momento che gli pareva di trionfare!

E il cuore gli diceva che sarebbe [p. 32 modifica]sempre così; che sempre, da per tutto, egli incontrerebbe una persona ostile, sprezzante, la quale imporrebbe il suo disprezzo e la sua ostilità anche ai più benevoli.

Oh! il mondo gli pareva ben crudele!

Si alzò. Voleva andarsene.

Fatti alcuni passi, una signora lo arrestò, pregandolo di non far rumore, che il maestro Monti preludiava un accompagnamento. Cantava la signorina Ugoletti; non la vedeva là, accanto al piano?

Egli la vide difatti. Ora cominciava, tutti tacevano. Si adagiò in una poltroncina bassa, che trovò sotto mano, e si rassegnò a quella imposizione. Come tutte le anime che vivono in disaccordo con sè stesse, egli paventava le sorprese della musica.

Per fortuna, questa volta non c’era di che temere. La ragazza aveva una di quelle voci leggiere, che non passano la pelle, e la musica pareva scritta per lei.

L’avvocato si accorse tardi che [p. 33 modifica]appunto davanti a lui stava la signora Maria con la signora Ciampi-Brugel. La prima gli voltava le spalle, ma la seconda, seduta un po’ di sbieco, doveva averlo visto.

Masticò una bestemmia.

Le due signore stavano attente alla musica, scambiandosi appena qualche osservazione.

Cosa dicevano? Parlavano di lui, forse? Egli si rodeva di non sentire e prestava l’orecchio per afferrare almeno qualche parola. Che supplizio quel sospetto, quel terrore del giudizio altrui!

Voleva eclissarsi, prima che la signora Maria lo vedesse. Intanto, cercava d’isolarsi ne’ suoi pensieri; invocava l’immagine della sua casetta nel silenzio dei campi, in mezzo al verde. Là troverebbe pace, soltanto là; lontano dagli uomini egoisti, dalle donne capricciose e proterve.

La piccola casa gli appariva, bianca e nitida, in una visione di sole. Come era bella e ben collocata, così vicina alla città e così isolata nel medesimo [p. 34 modifica]tempo; e che vasto orizzonte si scopriva dalle sue finestre!

La magnifica valle, solcata dalle acque del Serio, scintillanti al sole; con quei poggi, quei piani ondulati; e giù, in fondo in fondo, le cime bianche degli Appennini, riviveva nel suo cervello. Quanti anni che non la rivedeva! Cristina non aveva neppur messo piede in quella casa — affittata negli ultimi anni a una famiglia tedesca — odiava la campagna lei, o, se mai, voleva le villeggiature di moda, di lusso, su i laghi, sul mare. Tanto meglio. Così quell’asilo era puro; puro il ricordo della sua prima moglie, che vi aveva passate tante belle vacanze con lui. Povera Gilda! Se non fosse morta così giovane, egli non sarebbe caduto in quella miseria. Mah! egli aveva sempre avuto troppo cuore, troppa sensibilità. Cedeva troppo facilmente alla compassione. Così la Cristina si era impadronita di lui, così; perchè era povera, perchè era sola e la gioventù e la bellezza la [p. 35 modifica]esponevano a tanti pericoli. Egli si era commosso all’idea di quella creatura giovane e debole, così sola nelle battaglie della vita; la pietà lo aveva trascinato, nient’altro che la pietà. Ah, erano ben crudeli, e ancora più fatui e ignoranti, gli uomini che si peritavano di condannarlo, di disprezzarlo, senza ben sapere quanto egli aveva sofferto per l’ingratitudine di quella creatura! Altro che beffarsi dei giudici, criticare il verdetto.... bisognava sapere, conoscere tutti i particolari. Ma i giornalisti! oh! i giornalisti!...

E tuttavia, i giornalisti, anche i più accaniti a perseguitarlo, lo irritavano meno della signora Brugel; perchè, i giornalisti, li capiva. Egli si diceva che essi hanno, prima di tutto, la necessità di attirare l’attenzione del pubblico sul loro giornale, giorno per giorno, continuamente; poi, le idee del partito, i principii, poi gli avversari, i clienti, mille cose che li trascinano. Ma una donna, una donna colta, una moglie [p. 36 modifica]alla quale doveva premere la propria fama, come poteva una donna prender la parte della moglie iniqua contro il marito tradito ne’ suoi affetti legittimi, offeso nel suo onore?

Egli non la poteva intendere una donna così anormale, e tanto più lo esasperava quell’accanita ostilità. A forza di pensarci su, a forza di rodersi, gli venne in mente che fosse un equivoco, e poichè egli non era uomo da restare nell’equivoco, decise di uscirne al più presto.

Ora, appena finita la romanza — di cui il pubblico aveva chiesto il bis — appena la signora Maria si voltava, avrebbe colto il destro per farsi presentare; poi avrebbe parlato, si sarebbe difeso; così avrebbe scoperto e dissipato l’equivoco. Non era un vile da aver paura, e sapeva parlare, perbacco! — Ma quando il ritornello finì, e scoppiarono gli applausi, e tutti si mossero per complimentare la signorina, egli fece come gli altri. I suoi complimenti furono benissimo accolti; Giulietta [p. 37 modifica]gli sorrise e gli strinse la mano come agli altri, anzi, con maggior effusione, ciò che gli fece provare una gioia strana, quasi morbosa. Avrebbe voluto che la signora inglese fosse lì a vedere. Altre persone si fermarono a discorrere con lui; tra queste, anche la signora Amalia, sempre cordiale, deferente, espansiva. Si lagnava, criticava, come il solito: Ah! quella ragazza, quella sua nipote, che educazione! Ora voleva ballare, perchè era arrivato Monti, il maestro. E guai dir di no! si sarebbe pigliata della vecchia noiosa.

Comandava il signor ingegnere, il quale poi lasciava fare il diavolo a quattro.

— Oh, nonna, per quattro salti! — esclamava Giulietta, che aveva sentito. — Non sono ancora le dieci e alle undici smetteremo.

I signori aiutavano la cameriera a levar di mezzo le sedie e i tavolini, per far posto a quelli che volevano ballare.

Vi furono alcuni istanti di [p. 38 modifica]confusione, durante i quali Limonta si trovò sulla soglia di un salottino: stava per entrare, allorchè il suono di una voce lo arrestò. Si era pronunciato il suo nome. Il suo eterno sospetto gli suggerì di ascoltare rimanendo celato dietro ad una piccola palma piantata in un largo vaso.

Erano sei o sette persone che discorrevano con animazione. Dal suo posto, l’avvocato non poteva vederle, ma udiva benissimo. Dopo quella che aveva pronunciato il suo nome, un’altra voce disse:

— Prendetevela come volete, per me è un assassino; e non lo riceverei in casa mia per nulla al mondo.

Quella che parlava così era Alice Brugel, la sua nemica.

Egli restò un istante senza respiro e si attaccò allo stipite sentendosi mancare. La prima palla di cannone che passa fischiando sopra il suo capo, al principio della battaglia, non cagiona certo alla sentinella morta, che l’aspetta, una sensazione più terribile. [p. 39 modifica]

Intorno alla signora Ciampi molti protestarono con vivacità grandissima, parlando tutti in una volta.

L’avvocato Limonta sentì soltanto le parole di Maria che lo difendeva.

— È un infelice — essa diceva — un galantuomo però. È stato un momento di delirio, come può accadere al più onesto uomo; anzi, sono gli onesti che si lasciano trascinare.

Poi, a guisa di conclusione trionfante:

— Quella donna, del resto, meritava la sua sorte; l’han detto tutti.

Anche queste parole sollevarono una quantità di commenti. In generale, però, tutti ammettevano che la Cristina Limonta meritava la sua sorte, e che perciò il marito era almeno scusabile.

Alice Brugel li interruppe:

— È strano che parliate così in un paese dove neppure il parricida merita la pena di morte.

— Oh! — gridò una giovane signora. — Nessuna di noi ha pensato [p. 40 modifica]a questo. Voi lo sapete, noi siamo donne di sentimento, non di ragionamento. Per noi, l’uomo che ammazza la moglie perchè l’ama e non può rassegnarsi a buttarla in strada, e meno assassino di certi mariti onesti, che l’abbandonano alla miseria e al disonore, dopo di averla trascurata tutta la vita.

— Anch’io sento così — disse la signora Maria. — D’altra parte, questo povero avvocato ha avuta la disgrazia d’innamorarsi così pazzamente di una donna che non comprendeva il suo amore; ed è una cosa orribile amare così un’anima ingrata, fredda. Oh! Alice, non ridete! Voi siete una gran donna, una donna superiore a tutte noi; ma l’amore, l’amore cieco, l’amore, dirò così, italiano, non sapete cosa sia....

S’interruppe; vi erano delle lagrime nella sua voce.

Oh! se Mario Limonta avesse osato buttarsi a’ suoi piedi per ringraziarla, come l’avrebbe fatto volentieri. Ma non osava; aspettava palpitando la [p. 41 modifica]risposta di quell’altra, prevedendo una parola schiacciante, una sciabolata.

La voce limpida e leggermente ironica di Alice Brugel si fece sentire alla fine, troncando la chiacchierata di un giovane romanziere, che aveva tirato in ballo l’eterno femminino.

— Perdonate, mie care amiche, non volevo offendervi; sapete che vi voglio bene! Mi duole soltanto di vedervi nell’inganno.

— Come, nell’inganno?

— Sì, nell’inganno; perchè se quest’uomo fosse come dite voi altre, non avrebbe potuto sopravvivere al suo delitto: si sarebbe ucciso. Per me è una cosa indiscutibile: i soli omicidi degni di pietà son quelli che non possono sopravvivere; gli altri, chiamateli come volete, non sono che egoisti. Di costui, poi, posso dirvi che è sempre stato un egoista. Ho conosciuto la sua prima moglie; ci siamo incontrate ai bagni di Santa Caterina, abbiamo passato un mese insieme: ho visto poche [p. 42 modifica]donne più infelici: egli aveva già per amante quella che fu la sua seconda moglie!...

A questo punto, un rumore di passi fece voltare la signora Maria, e un grido le sfuggì. Tutti guardarono dalla parte dell’uscio e videro l’avvocato pallido come un morto. Alice Brugel si avanzò verso di lui guardandolo fisso. Ma egli non potè sopportare quel fiero sguardo, e bruscamente le voltò le spalle.

Senza salutar nessuno, senza ben sapere dove metteva i piedi, l’avvocato Limonta uscì dalla sala, e dopo alcuni giri tortuosi nel labirinto delle stanze, illuminate e solitarie, trovato un servo che gli indicò l’anticamera e le scale, si allontanò dalla casa ospitale e funesta.

Oh! perchè, perchè era entrato là? Gli pareva di aver vissuto dieci anni in quelle poche ore. Entrato trionfante, ne usciva schiacciato; e [p. 43 modifica]conservava ancora tanta lucidità di spirito, da misurare l’abisso in cui era caduto. Tutte le sue illusioni lo avevano abbandonato; il suo orgoglio agonizzava.

Non bastava dunque avere vinto un processo? Non bastava avere ottenuto un verdetto assolutorio? Non bastava, non bastava.

Neppure l’applauso del pubblico, l’adesione di tanti uomini seri, di tante donne d’esperienza?...

Neppure. Una sola donna, una sola voce era bastata a fulminarlo. Una sola!

Egli camminava balzelloni per le strade deserte. Aveva degli impeti di furore che lo spingevano a darsi dei pugni nella testa, a battere con violenza il piede contro il suolo.

Si fermava improvvisamente; l’orgoglio faceva un ultimo sforzo. Quella donna aveva mentito, era un’infame, una calunniatrice. Non era niente affatto vero che avesse conosciuto la sua prima moglie. E poi Gilda non era donna da lagnarsi. Mai, mai. [p. 44 modifica]Menzogne. Voleva fare un processo a quella pettegola; e che processo! Voleva schiacciarla, quella vipera.

Era un uomo, lui; non si lasciava imporre dalle femmine: un uomo che sapeva il suo diritto e aveva sempre difeso il proprio onore.

— Le donne che parlano, le donne che pensano.... Tarli! Arpie! Le donne sono al mondo per amare gli uomini, per obbedire e tacere! Non hanno voce in capitolo.

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Egli esalava così la sua collera, smarrito nella campagna, sotto alla luce bianca di una gran luna che sembrava guardarlo ironicamente.

Aveva camminato più di due ore sbagliando strada, errando a casaccio, allorchè arrivò, mezzo morto di fatica, alla casetta bianca, sull’altura deliziosa, all’asilo di pace non profanato dall’adultera.

I contadini non l’aspettavano più, a quell’ora; ma egli aveva la chiave.

Aprì. Sulla nota mensola stavano i fiammiferi e il candeliere. [p. 45 modifica]

Che bella cosa rientrare in casa sua, sentirsi padrone, sapersi rispettato! Ah! qui nessuno verrebbe a tormentarlo, a insultarlo!

Era in casa sua. Guai se qualcuno osasse mancargli di rispetto: guai!

I suoi contadini certo lo rispettavano: non ve n’era uno che non gli desse ragione. Per loro, niente sofismi: una donna infedele, che disonorava il marito, la si metteva a posto con un colpo di fucile, o con una coltellata; e in mancanza d’armi, si poteva strozzarla come un cane. Viva la faccia della gente semplice, che ha un’idea rozza, ma sicura, del bene e del male!

Intanto, col lume in mano, egli girava le stanze, fatte ripulire e mobiliare a nuovo da suo fratello, durante il processo, di cui prevedeva la fine fortunata.

E chi non la prevedeva? Chi?

Al piano terreno: la cucina, la sala da pranzo, uno studiolo e la sala del bigliardo. Benissimo! gli amici verrebbero a giocare e a fargli [p. 46 modifica]compagnia. Al piano superiore: una magnifica camera da letto per lui, due più piccole per gli ospiti, se voleva invitare qualcuno, o trattenere suo fratello; infine un salottino....

Ma perchè tremava da capo? Perchè si fermava sbigottito su quella soglia?... Quel pianoforte a coda, quella scrivania, quelle sedie.... Egli riconosceva quei mobili.

Quella era la poltroncina sulla quale la povera Gilda soleva passare le giornate meno penose della sua lunga malattia.

Ebbene?... Non osava entrare per questo?...

Entrò. Posò il candeliere sul pianoforte, si guardò intorno.

Un piccolo quadro appeso alla parete, sopra il caminetto, attirò i suoi sguardi.

Il ritratto di Gilda.... Un ritratto a pastello, fatto fare dal bravo Fleissner nei primi mesi del matrimonio.

Ancorchè protetti dal cristallo, i delicati colori del pastello si erano sbiaditi.... il viso della cara donna [p. 47 modifica]appariva illanguidito dai patimenti, logorato dall’età. Così i vividi occhi della giovine sposa avevano ora la penetrante malinconia, la dolcezza ineffabile degli occhi bruciati dalle lagrime; il gaio sorriso di un tempo sembrava straziante sulle labbra scolorite; e tutta la dolce immagine aveva un’espressione di durezza nel disfacimento.

Il corpo mezzo piegato in avanti, le braccia penzoloni, lo sguardo intento, Mario fissava il ritratto, e il suo petto si gonfiava, e il suo respiro diventava anelante.

Tutto il passato riviveva dentro di lui, dai primi anni felici al giorno funesto in cui la Cristina era entrata nella casa; dal giorno della morte di Gilda al giorno in cui, diventato feroce nello scatenamento dei sensi, egli aveva ucciso Cristina; dal trionfo delle Assise alla tremenda sconfitta di quella sera.

E l’uragano saliva, saliva.

Finalmente, i singhiozzi eruppero dal suo petto con la violenza di uno [p. 48 modifica]schianto, come un rombo sotterraneo; e un torrente di lagrime, ardenti come un torrente di lava, inondò il suo viso.

— Oh, Gilda! Oh, Gilda! — gemeva la voce rotta, irriconoscibile. — Oh, Gilda.... pietà!

Ma la terribile parola pronunciata da Alice Brugel turbinava nel suo pensiero, forzava il suggello delle labbra, tuonava sopra il suo capo, empiva la casa:

Assassino! Assassino!