Dell'obbedienza del cavallo/Parte IV/Capitolo II
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CAPITOLO SECONDO
Dell’accoppiamento del maschio con la femina, e di tutto ciò che questo riguarda.Certo è che dalla qualità del clima, dell’erba, e dell’acqua, proviene per le ragioni addotte la bontà del Cavallo di razza salvatica, che lo rende capace di prestare all’uomo qualunque servizio; poichè l’ambiente dell’aria priva di umori e di esalazioni nocive, l’erba e l’acqua dell’istessa qualità, e l’assuefazione fino dalla nascita allo stento, che non gli apporta nocumento, non può a meno che producano in esso una complessione sana, forte e robusta, ed uno spirito vivo e coraggioso, e tutt’il complesso della macchina sua di perfetta condizione.
Quella bellezza poi che appaga l’occhio, ed insieme contribuisce a formare una bontà più distinta, e che la rende di maggior perfezione, avendo origine dalla proporzione delle parti che costituiscono la macchina, e dalla perfetta costruzione delle medesime, è sol dote di natura, e però non può ottenersi dall’opera umana.
Ma siccome il sommo Fattore nella creazione ha accordato a tutti i vegetabili, e a tutti gli animali la produzione, perchè sia conservata la specie loro; così alla natura dei medesimi convien che ricorra chi vuol la bellezza nei Cavalli, coll’accoppiamento del maschio con la femina, osservando che sieno ambedue dotati dalla natura di quella costruzione che forma la bellezza della specie, affinchè il prodotto riesca della qualità da lui desiderata, nè vi è altro modo di ottenerne l’intento; ma perchè talvolta i prodotti portano seco le qualità degli antenati, in vece di quelli de’ proprj genitori, non è sperabile di poter ottener sicuramente l’intento desiderato, se il sopraddetto acoppiamento non è stato eseguito per più generazioni continuate senza intervallo; poichè allora solo è sicuro di non restare defraudato; e di qui avviene che una sol volta che sia stata trascurata tal precisione, basti a sconcertare l’opera di più anni, come lo dà a divedere la scarzezza dei Cavalli di questa qualità.
Sconcerto che ha origine da mancanza di cognizione di chi ha la direzione delle razze, e però convien sapere che diverse sono le specie dei Cavalli in genere, a seconda del destino ed incarico loro; e siccome questo richiede azioni diverse, e talvolta anche opposte l’une all’altre, così diversa pure dev’essere la costruzione dell’una specie e dell’altra: onde nell’accoppiamento del maschio con la femina non può confondersi la specie, senza che nasca sconcerto.
Quindi è che i Cavalli corsieri (che sono quelli da tiro e da carrozza) che devono lavorare di petto, è d’uopo che sieno dotati di fattezze materiali, forti, e robuste, perchè possano supplire con buon successo alla loro funzione, e perchè possano insieme dare nell’occhio, ed agire con sfarzo e con grazia (prerogativa che ricercasi in oggi più in questi che nei Cavalli da sella, stante l’uso maggior che si fa delle carrozze anche nelle funzioni di gala, che delle cavalcate; che sono più rare e quasi dismesse) necessario è che la costruzione, e struttura della macchina loro sia grande, elevata, lunga di corporatura, ed a proporzione quadrata, con gambe grosse, e ben nerborute ma asciutte, di giunta corta, e piedi stabili e ben formati, di corno forte e non vetrino, perchè possa reggere il chiodo ed il ferro, dal che depende la bontà del piede, e può dirsi anche del Cavallo, poichè quando il piede è difettoso egli resta inutile; devono essere di più di petto largo perchè è più attivo, e adattato ad eseguire lo sforzo che deve fare nel tirare, e di collo cimato e lungo, che quantunque non possa stante la correlazione di tale struttura, essere della finezza di quello dei Ginetti, ciò nonostante deve a quello nella sua proporzione esser di questi più consimile, che sia possibile, e sopra tutto ben situato, perchè il petto possa esser palombino; la testa deve esser montonina, o almeno proporzionatamente piccola, secca, e con poca ganascia, ed il crino in esso dev’essere sottile, lungo e spesso, e denso nella coda; affinchè tutto contribuisca a formare un composto, che possa supplire alle funzioni sue, e a quello sfarzo che deve dare nell’occhio allo spettatore.
All’opposto i Ginetti (che sono i Cavalli da sella) dovendo esser dotati più d’agilità e prontezza, che di forza, d’uopo è che siano di costruzione, e struttura raccolta, gentile, rotonda, ed alquanto quadrata, e del tutto proporzionata al restante del composto, di collo scarico, in forma che dalla parte del dorso prenda il suo principio dalla sommità del garese, e dalla parte d’avanti la sua impostatura dia luogo al petto che possa venire infuora a guisa di quello del colombo, e da questi due punti si vada levando in alto, sempre assottigliandosi con proporzione, talchè nel suo termine là dove congiungesi con la testa, si riduca a guisa di una punta proporzionatamente sottile quanto comporta l’attaccatura della medesima testa, perch’ella possa incassare per formare una graziosa cimatura; devono avere la testa piccola, asciutta e secca con poca ganascia, e montonina, ed è anche meglio se è serpentina, l’anca a dovere falciata, la gamba nervosa, ma asciutta e proporzionata alla corporatura, affinchè non sia nè troppo sottile, nè troppo grossa; la giunta delle pastore piuttosto corta che lunga, ma con tal proporzione che possa avere un giusto molleggio, che contribuisca a rendere l’azione dei piedi più facile e più graziosa, il crine del collo lungo, sottile e delicato, e quello della coda spesso e folto, e lungo che arrivi fino in terra.
Nel Cavallo da sella per servizio di campagna deve prevalere sopra ogn’altra cosa la saviezza, e la comparsa, onde conviene che sia dell’ultima mansuetudine, e proporzionatamente grande, ed alquanto disteso, perchè il passo possa essere più lungo, ed il galoppo e la scappata più comoda: e la maggior prerogativa di quello di maneggio dev’essere lo spirito, e la destrezza, come nei corridori la velocità, e la gara; con l’accoppiamento di maschio e femina, dotati di queste tre distinte qualità può un direttore avere nella sua razza tutte tre queste specie di Cavalli; la prima può ricavarla da qualunque razza anche di nazione diversa, la seconda da quelle di Spagna, e la terza da quelle di Barberia con formarne il primo piede con maschio e femina di queste due nazioni, come si dirà in appresso.
Non è certamente bastante l’oculare ispezione e la speculativa, per dedurre con sicurezza quale sia quella costruzione delle parti, dalla quale proviene la bellezza, e la bontà del Cavallo; poichè non può cadere sotto l’occhio la costruzione delle snodature, ed articolazioni degli ossi, e la funzione dei tendini e muscoli perchè la coperta della pelle ne toglie all’occhio la veduta, nè può giudicarli la qualità dello spirito senza la prova di fatto che ci assicuri dall’inganno; può allora francamente il direttore far l’accoppiamento del maschio con la femina con sicurezza di riuscita per la parte del maschio, e se il prodotto degenera, non può mettere in dubbio che il difetto provenga per la parte della femina: onde quella in tal caso va allontanata dalla razza, e però il primo stabilimento è difficoltoso; poichè l’inconveniente talvolta nasce dagli antenati senza colpa dei genitori, e questo può provenire tanto per la parte del padre che della madre, e siccome il primo si dà a più Cavalle dalla riuscita degli altri suoi figli, può venirsi in cognizione se ai suoi progenitori deva attribuirsi la colpa, o a quelli della femina; In una piccola razza può farsi la prova anche delle femine, ma non è così quando la razza è numerosa; e però l’attenzione del direttore non può porre riparo a tale sconcerto che col tempo, tanto più che talvolta un prodotto dei medesimi genitori può tirare dagli antenati, ed esser cattivo, ed un altro da essi ed esser buono; quindi è, che il continuare a dar sempre stalloni sicuri ad una razza, corregge col tempo il difetto delle femine, e quello della provenienza dagli antenati; onde al giudizio, e perizia del direttore si aspetta il ridurla nello stato di perfezione e che non possa più fallire; il che segue quando venga ad essere la razza formata da più generazioni di maschi e femine della qualità sopraddetta; e per non correre rischio per la parte dello stallone, conviene che si serva sempre d’aglievi dell’istessa razza, perchè sia sicura la provenienza, e che non si fidi mai di quelli dei quali non ha sicurezza della loro discendenza; poichè una sol volta che s’interrompa il regolamento additato, è bastante di rovinare e mettere in disordine l’opera di più anni; disordine che non può esser rimediato, che con la riforma di tutte le femine provenute da quello stallone che ha cagionato lo sconcerto assieme col medesimo.
Non deve egli però correre a fare una tal riforma sulla sola assersione del Cavallerizzo che il prodotto sia maligno, quando si tratta di difetto di spirito, ma deve prima usar tutte le diligenze per assicurarsi del vero, per non sottoporsi di privar la razza forse del suo miglioramento; poichè il più delle volte i Cavalli di gran spirito ed in specie i Cavalli di sangue Spagnuolo, perchè sono tanto superbi di natura, quanto coraggiosi, e però sottoposti ad imbriacarsi, perdere il lume degli occhi, e dare in disperazione, quando stante l’ignoranza del maestro sono strapazzati e gastigati a torto, overo obbligati a fare azione, a cui non abbiano disposizione, che sono giudicati maligni dalla poca perizia dei Cavallerizzi o Coccheri, e che dati poi alle mani d’altri più esperti sono stati ritrovati dell’ultima sincerità, e bravura, come io ne ho la riprova di fatto di più d’uno, che mi è dato alle mani, che ho trovato dell’ultima sincerità e bravura, e presentemente ne ho la prova in un ginetto di Spagna stato rigettato da otto padroni che ha avuto, quantunque io lo ritrovi sincerissimo e di uno spirito, e coraggio sorprendente, ch’è ciò che lo fece credere maligno, e di cattivo cuore, come dicono nelle scuole.
Dipendendo come si è veduto nel primo Capitolo, dalla qualità del clima e del terreno la natura buona o cattiva del prodotto, non è da lusingarsi che in tutti i paesi si possa avere il frutto che si raccoglie in quelli di clima favorevole; ma non è per questo che un esperto e pratico direttore non possa con l’ajuto dell’arte stabilire una razza in paese di clima consimile, che il prodotto suo sia dell’istessa figura, e partecipi del carattere più e meno che il terreno ed il clima si uniformi ad esso, quando abbia l’avvertenza di formare nel suo primo stabilimento la corsiera con Cavalle, e stalloni di razza selvatica la più accreditata, la quale stabilita che sia, potrà conservarsi anche con stalloni di nazione diversa, purchè siano di quella struttura e costruzione, ch’ella richiede, e la Ginetta per il servizio da sella di campagna con la scelta di Cavalle, e stalloni dotati della costruzione, statura, e della qualità di spirito sopra indicati, di qualunque paese siano, benchè di razze domestiche, poichè dal diverso alimento e educazione verrà corretto nel prodotto la gentilezza, e debolezza dei genitori, che proviene dalla vita molle e delicata, con cui sono stati allevati.
E se il clima del paese, nel quale si vuole situarla è dolce e di terreno arido e secco, a similitudine di quello di Spagna e di Barberia, dove sono le razze buone, potrà stabilire anche in esso, oltre le sopraddette due razze corsiera, e ginetta da campagna, le altre due da maneggio e da correre, di sangue Spagnuolo e Barbero con formare il primo piede con giumente, e stalloni nati delle sopraddette due nazioni, ma senza darsi ad intendere però con tutto questo di potere ottenere nei loro prodotti quell’istessa agilità, prontezza, attività, e spirito, di cui sono dotati i veri Cavalli di Spagna e di Barberia, perchè tali prerogative essendo privative del clima e pastura del paese loro, non possono ottenersi nell’istessa perfezione in clima diverso, e però è d’uopo contentarsi che i prodotti ereditino dai genitori loro quella maggior similitudine che comporta il clima, in cui nascono.
Ma siccome ogni genere di prodotto trasportato in paese diverso presto degenera e si riveste della natura della nuova situazione, così per impedire al possibile il cambiamento, e per mantenere le razze più lungo tempo nella loro originaria qualità di sangue, il meglio e più sicuro partito è quello di dar sempre stalloni nazionali, e quando questi manchino, si deve aver l’avvertenza di prevalersi in vece d’essi, dei prodotti dell’istesse razze, per non confondere mai il sangue con stalloni di natura diversa, e devesi aver di più la premura d’allontanare da esse quelle giumente che degenerano sì nella costruzione e struttura della macchina, che nello spirito; dalla riuscita del prodotto, si rileva la degenerazione del secondo, e dall’oculare inspezione quella della prima.
E così in breve tempo si potranno vedere stabilite queste due razze, e si potrà raccogliere il frutto di quella maggior perfezione, che può sperarsi in paese forestiero; perchè concorrendo nei genitori tutte le qualità necessarie, cioè di descendenza che impedisce la degenerazione dei progenitori, di spirito, che verifica il carattere nazionale, e di costruzione, che costituisce la diversa e particolare attività loro, non può esservi nei loro prodotti che la sola diversità di quelle maggiori prerogative che porta seco la differenza del clima.
Ma quando tali razze debbonsi formare con i soli stalloni forestieri, e Cavalle paesane, ancorchè scelte da direttori la maggior perizia più consimili che sia possibile, sì di costruzione che di spirito, alla qualità di quella razza che si vuole imitare, non ci vuole meno di sedici anni, perchè sia evaporato affatto il sangue della prima madre, e cambiata in quella del padre la diversa costruzione della medesima, e venti anni per poter avere il primo frutto in stalla di quattr’anni.
Un anno può contarsi che porti la madre il feto, e questo essendo femina può farsi coprire di quattro anni dallo stallone; ponghiamo che figli di cinque, questo fa il computo di sei anni che richiede la prima generazione, cinque ne vuole la seconda, che sono undici, ed altri cinque la terza che sono sedici: figuriamoci che questo sia il tempo che ci vuole per evaporare affatto il sangue della prima madre, affinchè resti da quello del padre purificato quello del prodotto: si dia ora a questo quattr’anni di educazione prima di rimetterlo in stalla; quindi è, che quando i primi tre prodotti siano femine non vi vuol meno di venti anni per avere il quarto, di sangue purificato in stalla, come si è detto; e molto più se i primi prodotti sono maschi.
Ed in prova di quanto si è detto, certo è che i figli ora matrizzano ed ora si assomigliano al padre, e nello spirito, e nell’abilità, ed ora tirano le qualità promiscue del padre, e della madre, e non di rado quelle degli avi e bisavi come si vede anche tutto giorno nel genere umano: onde non può mettersi in dubbio che tanto la costruzione del corpo che lo spirito degli animali, non sia suscettibile di alterazione, come ad evidenza ne convince il veder nascere tal volta i figli, non solo di diverse fattezze da quelle dei genitori, ma anche di diversa qualità di pelo, e di colore, come segue tutto giorno nei Cani, nei Cavalli, e fino nei volatili, nella generazione dei Muli e nella nascita dei mostri.
Voglio contuttociò accordare che un Barbero dato a una Ginetta di Spagna, e così di tutte le altre razze, produca un Cavallo d’ottima qualità, ma non potrà mai essere che non sia alterata nel figlio la natura dei genitori: onde potrà essere un buon Cavallo da sella, ma non già un vero Ginetto di Spagna, nè tampoco un Barbero, ma un misto dell’uno, e dell’altro, come lo sono i Muli della natura del Cavallo, e dell’Asino; e se un Cavallo da sella si dà ad una corsiera, il prodotto è disadatto sì al servizio della sella, come a quello del tiro, appunto come il figlio d’un Can Leviero, e di una Cagna di Spagna da fermo, non è buono nè a correre, nè alla caccia; questo appunto è la causa del disordine che accade in quelle razze dove si dà gli stalloni senza cognizione di causa a capriccio, e senza metodo alcuno, dal quale ha origine la mancanza della bontà, e bellezza dei Cavalli, di cui doverebbero abbondare le razze tutte dei Sovrani, per le ragioni addotte di sopra.
Non essendo meno utile e necessaria la razza dei Muli, di quella dei Cavalli, non deve trascurare il direttore di formarne una con gli scarti, e riforma anticipata delle giumente della razza corsiera, sicuro che così facendo non riuscirà questa nel suo genere punto inferiore all’altre; e per non essere obbligato a dovere andare in cerca degli stalloni di buona qualità per essa, può tenere nella pastura istessa tre o quattro Somare ben formate, di statura più grande che sia possibile, e di buona cassa per poterli ricavare da queste senza spesa nè incomodo alcuno, e averà anche il vantaggio, ch’essendo li stalloni allevati assieme con le Cavalle, più facilmente e con meno avversione gli uni e le altre al suo tempo si uniranno insieme, anche da per loro in campagna aperta, come è seguito a me di vedere con somma mia maraviglia, perchè non lo credevo possibile.Per quello poi che riguarda il color del manto, ed i segni, vale a dire la stella in fronte, le balzane ai piedi, i remolini, le spade romane, e cose simili, non credo che meritino la pena, che si sono presi gli autori antichi, di fare un trattato, per persuadere la necessità della scelta, e dell’esclusione degli uni e degli altri, affine d’assicurarsi della riuscita dei Cavalli; poichè non avendo il primo, parte alcuna nella costruzione della macchina, dalla quale dipende l’abilità, non credo tampoco che debba aversi nella scelta di esso altra mira, che quella di appagare la propria sodisfazione; poichè di tutti i mantelli alla riserva di quelli che sono slavati, e mancanti di lucentezza ho veduto Cavalli di egual bontà e bravura, però basta solo che quello che viene prescelto sia vivo e lucente, perchè tale attributo, come nell’uomo, indica anche nel Cavallo perfetta salute, complessione sana, forte, e robusta.
Gli attributi poi che si danno ai segni di qualunque genere, cioè di stelle, balzane, e cose simili, fino a pretendere che da essi non solo dependa la bontà, e bravura dei Cavalli, ma anche il loro destino, fortuna, e disgrazia, come dicono, non sono al parer mio che un giusto motivo di riso ai filosofi, e a chiunque abbia buon senso; in fatti qual connessione mai può avere una balsana più a un piede, che a un altro, un remolino (che altro non è che una ritorta, o sia ritrosa di pelo) più in un luogo che in un altro, con la bontà, fortuna, e disgrazia di un Cavallo? come con tant’impegno si sostiene che contribuiscano in esse da tutti gli autori antichi che hanno scritto sopra i Cavalli; ond’è che non vanno curati nè punto, nè poco; ma devono esser solo sfuggiti, quando da essi viene apportato sconcerto nell’appajatura, o cagionano bruttezza all’occhio.
E per quello riguarda ai difetti non essendovi alcuno che non solo si sfugga, ma che anche non gli abborrisca nei suoi Cavalli, non può cadere in dubbio che debbano esser tenuti lontani da una razza più d’ogn’altra cosa; e i soli difetti accidentali, perchè non sono ereditarj, possono esser non curati, ma non è così di quelli di spirito, che devono esser banditi dalle razze a qualunque costo, e senza riguardo alcuno, perchè troppo apportano ad esse pregiudizio e discredito.
Se fosse in balìa dell’uomo di poter dar legge alla natura, averebbero certamente luogo le opinioni diverse che vertono sopra l’età, in cui devono esser messi in opera li stalloni e a frutto le Cavalle, e sopra la quantità del numero delle seconde che deve esse assegnato ai primi; ma essendo egli privo di tal facoltà, inutile è ogni discussione; però è forza di pensar solo a secondare la traccia della medesima natura per assicurarsi di non sbagliare.
Di diciotto mesi tanto i maschi che le femine cominciano ad andare in amore, come lo dimostra il vedersi alle volte, benchè di rado, figliare delle Polledre di tre anni non compiti; e però i maschi giunti a quest’età devono separarsi dal branco delle femine, per impedire che non divengano viziati.
Nelle vacche gentili di cascina che sono di natura più fertile delle Cavalle, e che non portano che nove mesi, di due anni vanno a toro, e di tre non compiti figliano senza più dismettere, ed in quest’istesso tempo che scrivo ne ho vedute nella cascina figliare tre che non hanno compito i due anni con somma felicità; questo però è uno sforzo straordinario della natura che corrisponde a quello che fanno le Cavalle quando figliano di tre anni; ma quando ciò segue sì nell’una specie, che nell’altra, se non è assistita con il governo tanto la madre, che il prodotto, non va esente nè l’una, nè l’altro da un gran patimento, perchè la prima resta piccola e stentata, ed il secondo se non muore immaturo non viene da nulla; ciò che decide con evidenza che in quest’età, tanto l’una che l’altra specie è immatura e sterile.
La maggior parte delle Cavalle coperte di tre anni restano sode, e non poche anche di quest’età figliano a bene, e qualche volta anche ne ho vedute figliare a doppio, ed i loro prodotti riescono d’ottima qualità, non meno del frutto di pianta tenera, quantunque dipoi sia molto migliore tanto nell’una, che nell’altra, venute in maggior età, quello che producono allora, e questo segue senza che nè l’una, nè l’altre risentano detrimento alcuno dalla produzione del frutto, come è una riprova sicura la felicità, con la quale seguitano a crescere sino al perfetto compimento della propria loro naturale costruzione, e stato.
Il restar sode l’une, ed il figliar dell’altre depende dall’esser le prime ancora immature, e dall’essersi nelle seconde formata più presto la complessione, e però quelle sono anche sterili, e queste sono giunte al grado di poter concepire.
Dal sottomettere le Polledre di tre anni allo stallone si ricava tre vantaggi; il primo è il frutto di più che si ritrae da quelle che figliano: il secondo che figliando in sì tenera età si rendono più capaci dipoi a generare redi di maggior grandezza, (prerogativa che accresce il pregio a tutt’i prodotti) perchè non essendo in questa età le fibre dell’utero anche assodate, con facilità si prestano e cedono all’impressione che cagiona loro il concepito feto nel crescere, di maniera che, venendosi a dilatare l’utero, viene anche ad essere maggior la capacità sua per potere concepire dipoi un feto di maggior mole: il terzo avantaggio finalmente, che si ricava, è la sicurezza, che quelle che restano sode concepivano l’anno dopo con maggior facilità, perchè non essendo più novizie sono esenti dal pregiudizio che porta seco novità nelle primajole, ch’è di deludere lo stallone di qualunque età siano, sì per essere troppo calde, sì per essere ritrose.
Non consiglio però d’incamerar queste con quelle di maggior età per non correre il rischio che lo stallone si perda intorno ad esse, che sono più focose, più insinuanti, e più importune, e trascuri le altre; ma bensì di dar loro uno stallone a parte, per mettersi al coperto da ogni sconcerto e disordine, e poter profittare degli avvantaggi sopraddetti. Ma deve anche aver l’avvertenza di non prevalersi di questo primo prodotto per fare un capitale per la razza, ma di servirsene a tutt’altr’uso.
Rilevandosi dunque da tutto questo che non può farsi gran conto sopra il frutto che accidentalmente danno le Polledre di tre anni, benchè d’ottima qualità quando non manchi loro un abbondante alimento, che supplisca al difetto dell’età, per accadere troppo di rado: nè sopra a quello che con maggior frequenza si ottiene da quelle che coperte di tre, lo producono giunte ai quattr’anni, per esser questi dubbio, e scarso; ne viene di conseguenza che la vera età di sottomettere le Cavalle allo stallone per prevalersi del frutto, per conservare, ed ingrandire la razza, è quella di quattr’anni compiti, per avere il prodotto al compire dei cinque; e per l’istesse ragioni anche i maschi in quest’età sono capaci di supplire con profitto all’incarico loro, avvegnachè molto meglio sia di metter questi in opera, compiti che abbiano i sette anni, allorchè hanno terminato di crescere, e di formare la statura loro.
Non è per questo, che io pretenda d’impugnare che il prodotto di genitori di complessione interamente compita sia di qualità migliore di quella di genitori d’età tenera, e complessione non del tutto perfezionata; poichè ognuno sa, che ciò è di natura di tutti i viventi, e di tutti i vegetabili, dei quali le azioni, ed i prodotti sono sempre di maggior, o minor perfezione, che maggiore o minore è l’età loro; ma quello che io non posso approvare è il supposto, su cui si appoggia tal sentimento; cioè che il metterli a frutto prima dell’età matura apporti pregiudizio tanto alla formazione della macchina dei genitori, quanto a quella dei prodotti; sentimento che non può sostenersi con ragioni teoriche, nè pratiche: Non può sostenersi con ragioni teoriche, perchè la scienza della generazione è anche appresso i filosofi incerta e dubbia, nonostante le indefesse loro, e mai abbandonate ricerche per rintracciarla: non con ragioni pratiche, perchè l’esperienza tutto giorno convince dell’opposto, come si è visto di sopra, onde chi ha adottato questo sentimento, può prevalersene nella scelta dei Polledri, sicuro che per questo capo non s’ingannerà, ma deve del tutto abbandonarlo nel regolamento della razza, come pregiudiciale all’interesse proprio, e alla fecondità della femine, perchè quanto più sono rassodate le fibre dell’utero, tanto più difficile e difficoltoso è che si possano prestare al bisogno delle funzioni, e uffizio loro, come si tocca con mano, se si fa riflessione che i parti di quelle che cominciano a figliare in età avanzata sono sempre stentati, e di gran lunga inferiori alla qualità dei genitori; all’opposto di quegli delle Cavalle che cominciano a figliare d’età tenera, che sono sempre vegeti e freschi, e del tutto consimili ai genitori loro; ciò che segue anche nella generazione di tutti gli altri animali, benchè regolata dalla natura istessa senz’opera umana.
Dipendendo il restar delli stalloni, e delle Cavalle inabilitati alla generazione, più presto o più tardi, dalla qualità specifica della diversa complessione loro più forte o più debole, d’uopo è che a seconda di questa sia regolato il tempo del loro allontanamento dalla razza; io ho veduto tanto maschi che femine supplire con felicità a tale incarico in età di venti, ventuno, e ventidue anni, e rendersi altri incapaci di farlo di quattordici, quindici e sedici anni, e qualche volta anche in età meno avvanzata di questa; dal che ne deduco che in una razza selvatica di buona pastura, e provista di tutti i comodi necessarj, dai quali in gran parte depende la formazione, e la conservazione della buona complessione dei suoi prodotti, possa determinarsi la riforma delle Cavalle al compire dei diciotto anni, dopo fatta l'allevatura, e che però sia sottoposta la femina al maschio per l’ultima volta al pigliare di diciassette anni, affinchè di diciotto libera dal feto interno possa tirare avanti con maggior facilità l’ultimo suo prodotto.
Il maschio poi ch’è di natura e di complessione più forte, potrà allontanarsi dalla razza un anno dopo della femina, terminata la monta; ma tutto questo però senz’obbligo di precisione, dovendo sempre il direttore uniformarsi, com’ho detto, e pigliar regola dalla qualità specifica della complessione degli uni, e delle altre, e dalla qualità della pastura, e comodi ad essa additti.
E perchè dalla razza della sopraddetta qualità opportuno è di formarne anche una di Muli, con la riforma anticipata delle Cavalle corsiere (perchè da quelle delle Ginette riuscirebbero i prodotti troppo piccoli) possono farsi coprire tali Cavalle per l’ultima volta dal solito stallone nel pigliare dei quindici anni, e di sedici e diciassette farle cuoprire dall’Asino, per avere due redi muli, che non saranno di meno valore dei Cavalli.
Venti Cavalle per stallone dato in campagna in piena libertà, come si dirà in appresso, è il numero in genere che può fissarsi per regola, poichè quel preciso che richiede ciascheduno in particolare, deve esser relativo alla specifica qualità sua, poichè può darsi più numero a chi è dotato di complessione più forte e robusta, e meno a chi è di complessione più gentile e gracile.
E’ inutile il figurarsi, come fa taluno, di poter dar regola alla natura in genere di generazione, ed è presunzione il darsi ad intendere di poter prevenire l’immaginati difetti di essa.
Ne interroghi i filosofi per sincerarsene, chi non approva quel sentimento che io ho adottato solo dall’esperienza, e resterà convinto dalle ragioni loro, che falso ed affatto fuor di ragione è il darsi ad intendere, che quell’azione che il supremo Autore della natura ha instituita per la conservazione della creatura, possa esser distruttiva della medesima per via di eccesso, come vien supposto; vorrei da esso sapere qual sia quest’eccesso sì pregiudiciale? ed in che consiste, e come possa esser messo in esecuzione, da stallone che non ha altra facoltà, che di secondare quella legge inalterabile, a cui è stato sottoposto dal momento della sua creazione, senza potersi allontanare: e cosa mai può farsi per obbligare uno stallone a coprire una Cavalla di suo contraggenio, ed anche per obbligarlo a coprirne una d’intera sua soddisfazione, allor ch’è sfogato e che la natura non gli somministra più l’attività, e lo stimolo necessario? Se dunque il medesimo Cavallo non può eccedere i limiti statili assegnati dalla natura, com’è possibile, che cada in quell’eccesso, da cui ridicolosamente si pretende di sottrarlo con la limitazione del numero delle Cavalle da assegnarseli? Forza è dunque d’accordare che il maggiore o minor numero delle Cavalle che si dia a uno stallone non riguarda che l’interesse del padrone per il minor frutto che ne ritrae, se egli non è capace di supplire a tutte, e non già mai il pregiudizio, o il vantaggio dello stallone; poichè se li se ne dà meno della sua attività, si perde inutilmente il frutto maggiore che può dare, e se li si ne dà di più, si perde il frutto di quelle alle quali per non aver potuto supplire restano vuote.
Quello che pregiudica agli stalloni è il governo che gli è dato, secondo il costume, per riscardarli e mettergli in forze, e perchè meglio possano supplire al loro incarico, come falsamente credono, e non il numero delle Cavalle, come si vedrà in appresso.
Una riprova, del mio asserto, che non ammette replica, è il non avere avuto io mai alcuno stallone dei ventiquattro che ho fatto dare ogn’anno alla razza di S. M. I. prima ben governati, e dati a mano e in libertà, e dipoi senza governo sciolti in campagna aperta, che abbia riportato pregiudizio alcuno nell’esercizio della sua funzione nel corso di ventisei anni, incamerati con dieci, dodici, quindici, diciotto venticinque, e trenta Cavalle per ciascheduno, e taluno lasciato in branco tutto l’anno senza mai levarlo.
Ed altra riprova anche più forte è l’avere incontrato nei supraddetti ventiquattro stalloni un Bajo chiamato Girasole figlio d’un Ginetto di Spagna nato nell’istessa razza, passeggiatore, assegnato alla Cavallerizza di Siena, che dato alla razza in età di sei anni a una Camerata di dodici Cavalle in campagna aperta, lasciatovi la mattina alla punta del giorno, e ripreso, e rimesso in stalla due ore avanti mezzo giorno, per governarlo secondo il costume antico, e rimesso in campagna circa due ore dopo mezzo giorno, fino al tramontar del sole, ebbe l’abilità, e la forza di durar tre mesi interi a montare sedici volte il giorno, dieci la mattina e sei la sera a vista della guardia che ne pigliava riscontro nella sua cartella, volta per volta, per renderne conto con sicurezza: onde arrivò a montare in tre mesi, senza stancarsi, mille quattrocento quaranta volte, e con tutto questo non ne restò fecondata che una sola; cosa che io non averei mai creduto, se non fosse seguito sotto i miei occhi; e rimandato alla Cavallerizza di Siena campò in essa più anni in perfetta salute senza dar segno alcuno d’essere stato alla razza, non che d’averne riportato nocumento; e quello ch’è più mirabile, si è ch’egli era d’una complessione più tosto gentile che robusta, e di spirito piuttosto moderato che ardente, e focoso. Da tali esperienze parmi che venga giustificato ad evidenza la sopraddetta mia opinione senza bisogno d’altre prove.
Per l’istesse ragioni addotte, inutile e dannoso è il costume di dare un governo maggior del solito ai Cavalli che devono servir di stalloni poichè ciò repugna alla natura, come l’esperienza insegna in tutti gli animali selvatici:
Egli è inutile, perchè i Cavalli così ben governati, e custoditi tutto l’anno, ed in specie i tre mesi avanti il tempo della monta, come si suol fare, con cibi scelti, particolari, e stimolanti, divengono solo in apparenza forti, e robusti, ma in sostanza ed in pratica fiacchi, deboli, e poltroni, ed incapaci di gareggiare, con la più vile, rozza, accostumata allo strapazzo, e alla vita dura, senza restare al di sotto, se pure in tal prova non perdono la salute, o non vi periscono; perchè tale è l’effetto che produce la vita molle, anche negli uomini; e però i villani sono più forti e robusti dei Cittadini: onde ridotti in tale stato atti, sono più a dar piacere alli spettatori della loro funzione, perchè eseguita con più spirito e prontezza, senza tenerli a tedio, che a rendere il dovuto frutto al padrone, ch’è condannato nella spesa inutilmente, poichè maggior parte delle Cavalle che li vengono sotto restano deluse e vuote, nonostante l’avvertenza che si ha di dargliene poche, senza mettere in conto il poco valore del prodotto, che non può a meno di ereditare le qualità sopraddette del genitore; e tutto ciò avviene, perchè il gran governo può accrescere lo stimolo, ma non già l’attività, e virtù al seme, se pure non glie la scema, e indebolisce, come fa della complessione, e come io suppongo.
Ed è dannoso perchè essendo lo stomaco sottoposto a divenire il fomite, e la sede di tutti i mali che si formano nell’interno ad ogni minimo incentivo che ne abbia, non può mettersi in dubbio, che lo sconcerto e disordine, che non può a meno di cagionare in esso un governo così forte, e fuori del suo naturale, ne indebolisca la complessione, ed insieme porti seco infiniti pregiudizi alla salute sua; posto questo, come mai è possibile che ciò che indebolisce la complessione, possa aver facoltà nell’istesso atto sì pregiudiciale di corroborare la virtù generativa, quando dalla robustezza della medesima depende la maggior sua attività? sconcerto, e pregiudizio che non ha bisogno di prova; poichè questo segue anche in ciascheduno di noi, ogni volta che si eccede nella qualità, o quantità del cibo fuor dell’ordinario; e in fatti chi può revocare in dubbio, che la vita molle cagioni debolezza, e fiacchezza, e che all’opposto la vita dura, e sobria induca robustezza, e forza?
Il governo uniforme, e regolare di tutto l’anno che conviene alla qualità del temperamento e statura, unito ad una adequata fatica senza strapazzo, è quello che deve esser preferito a qualunque altro perch’è quello che forma e conserva la complessione forte, sana, e robusta, anche nel tempo che lo stallone sta fuori d’azione, e che però lo costituisce in grado di poter supplire poi con frutto, e secondo l’aspettativa alla sua incumbenza nel tempo dovuto, ed all’opposto ogn’eccesso sia di governo, sia di fatica, è pregiudiciale e contrario a ciò che richiede tale incarico.
E quando terminata la sua funzione, non vi sia nel resto dell’anno dove impiegarlo, meglio è lasciarlo in campagna nel branco dei Polledri nella sua connaturale, e semplice pastura; poichè essendo ella di quella sostanza solo, ch’è necessaria a conservarlo sano ed in quello stato florido che conviene al suo temperamento, è del tutto incapace d’apportargli quei pregiudizi che provengono dall’ozio, e dalla vita molle.
Ma siccome se si lasciasse l’inverno in campagna, non sarebbe in grado, stante la magrezza, di poter supplire nella primavera al suo dovere, così è necessario di ritirarlo in stalla, subito che la stagione irrigidisce, al governo di fieno e semola, perch’è più consimile a quello che somministra la campagna in questo tempo, e di meno sostanza di quello della paglia, e biada, per evitar così se non del tutto, almeno quel maggior sconcerto che cagionerebbe nello stomaco la maggior diversità del cibo.
E ciò apporta anche il vantaggio, che egli non si risenta poi tanto della nuova mutazione, quando deve tornare al verde nel mese d’Aprile, allorché deve darlisi l’erba per ripurgarlo, e perchè abbia tempo di superare l’incomodo, ed il disordine che non può a meno di cagionare allo stomaco qualunque sorte di mutazione di cibo, prima ch’entri in azione, affinchè possa supplire alla sua funzione, senza disturbo di cosa alcuna.
Anche quello stallone, che terminata la monta torna al suo servizio, deve nel mese d’Aprile esser messo all’erba, come quello ch’è stato ritirato in stalla nell’inverno, a solo fine di metterlo al coperto dalle burrasche, e dall’intemperie dell’aria pregiudiciale, per riavvezzare lo stomaco suo al verde, affinchè sia uniforme il cibo del maschio, e della femina com’è necessario nel tempo della funzione per promuovere la generazione con profitto.
Chi desidera di sapere la ragione, conviene che ne faccia ricerca ai Filosofi, poichè non essendo il mio assunto, che di seguitare le tracce della natura, io non posse dir altro se non se, che ho adottato questo sentimento dall’esperienza, ed ecco in che forma.
Non potendo capire donde piglia origine il poco frutto che si ricavava dalli stalloni dati alle Cavalle di razza salvatica d’Italia, ancorchè governati senza risparmio, nè di premura, nè di spesa, per rendergli di maggior attività; desideroso di rintracciare la vera causa di tal disordine, non mancai di ricercarla attentamente in tutti quelli autori, che hanno scritto di razze, che mi fu possibile di ritrovare, ma restai deluso allorchè gli trovai mancanti di quelle prove concludenti che dovevano accertarmi del vero. Mi rivoltai allora ad esaminare la pratica ma senza profitto alcuno.
Onde fui costretto a credere, che dal dare a mano li stalloni ne venisse cagionato lo sconcerto sopraddetto; me ne persuadeva lo strapazzo che doveva farsi degli uomini e delle Cavalle (che annojate strapazzavano il mestiere) per far prova una, a una, di quali erano quelle ch’erano in amore, figurandomi che un tale dibattimento dovesse piuttosto distorre, che farle venire in amore, ed il presentarle allo stallone senza che nè l’uno, nè le altre si conoscessero, rendesse la funzione senza frutto, convinto di ciò dal vedere che bene spesso lo stallone ricusava taluna costantemente, e tal volta era necessario la vista d’altra di suo genio, che lo mettesse in moto; e finì di convincermi l’opinione universale, che meglio fosse di dar lo stallone in libertà, che a mano, dal che ne dedussi, che il solo metter questo al coperto dal rischio, che correva d’esser percosso da quelle Cavalle che lo ricusavano dato sciolto, era il motivo della pratica di darlo a mano.
Onde fatta riflessione, che maggior era il danno della perdita del frutto, che di qualche stallone, che si potesse fare, tanto più, che questa era dubbia, e l’altro certo, m’appigliai al partito di fare dei serrati, capaci di somministrare nel tempo della monta il necessario alimento a quelle camerate che dovevano essere assegnate a ciascheduno stallone, per assicurarmi che non venissero confuse le specie delle razze descritte di sopra; e per evitale il pregiudizio al possibile, che potesse arrivare allo stallone quando vuol sottomettere per forza alcuna di quelle Cavalle che non sono anche venute in amore, e che non hanno anche preso seco genio, dal che unicamente avviene il rischio, che corre di esser battuto, prima di darli la via lo facevo sfogare con fargliene montare alcuna.
Onde ben governato la notte li facevo dar la via nel suo ferrato alla punta del giorno dal garzone, che lo governava; questi lasciato che l’aveva, non lo perdeva mai di vista, e segnava in una cartella, dove erano i nomi di tutte le Cavalle assegnate al tal stallone, l’ordine con cui erano montate le Cavalle, con fare un nodo a diversi spaghi, che erano infilati sotto il nome di ciascheduna Cavalla, talchè se il nodo era nel primo spago, denotava che quella Cavalla, sotto la quale era lo spago, era stata montata la prima, ed il nodo del secondo spago, ch’era stata montata la seconda, e così di tutti gli altri.
A un tiro di morteletto al quale era dato fuoco due ore avanti mezzogiorno ciascun garzone ripigliava il suo stallone per ricondurlo alla scuderia, dove giunto era ben visitato dal manescalco, e medicato in caso di bisogno, se aveva toccato dei calci; e consegnata la cartella al Computista, perchè potesse segnare al libro l’ordine, con cui erano state montate le Cavalle, il garzone non pensava che a governare e a custodire il suo stallone, per poterlo ricondurre con l’istesso metodo della mattina al suo serraglio due ore dopo il mezzo giorno, fino al tramontare del sole, che allora, lo riconduceva alla stalla, dove custodito e medicato, se ne aveva di bisogno, restava tutta la notte in riposo.
Per poter ripigliare con facilità lo stallone, in un angolo di ciaschedun serrato vi era un piccol serratino, dove il garzone mandava tutte le Cavalle collo stallone insieme, ed ivi ristretto lo ripigliava con somma facilità, ciò che non averebbe potuto fare a campo aperto; il Computista la sera pigliava riscontro di quello ch’era seguito il giorno, come aveva fatto di ciò ch’era seguito la mattina, e rendeva la cartella al respettivo garzone, perchè se ne potesse servire la mattina seguente, e questo metodo era tenuto per tutt’il tempo che durava la funzione.
Trovato questo metodo di maggior frutto di tutti gli altri, credei che inutile sarebbe stata ogn’altra ricerca, e però rivoltai tutte le mie premure a por riparo all’altro sconcerto che seguiva nella razza dei muli, consistente pure nella mancanza, ma molto maggiore, del frutto che da questa si ricavava, perchè poche erano le Cavalle, che restavano pregne, e molte quelle che restavano vuote, che io credevo cagionato dalla diversità della natura della specie: onde pensai di rimediare in parte al vuoto con mettere nel branco delle Cavalle destinate a formar questa razza di muli, dopo terminata la funzione degli Asini, un Cavallo, perchè potesse da questo essere minorato in qualche maniera il danno che apportavano quelle che restano vuote; ma perchè questo non si poteva fare, che a stagione avanzata, per evitare l’incomodo ed il disordine che averebbe apportato un Cavallo biadato, per doverlo ritirare alle sue ore in stalla per darli il dovuto governo, mi cadde in pensiero di provare a mettervi un Cavallo, che fosse assuefatto a star sempre in campagna, ed in pastura, non ostante la disapprovazione di tutti i custodi appoggiata alla massima comune, che non potesse supplire a tal funzione, quello che non fosse stato prima ben riscaldato, e messo in forza dal governo.
Ma dopo avervelo tenuto per diciotto giorni, senza che fosse potuto riuscire ad alcuno di vederlo mai rallegrare, nè dar segno di risentimento, non che accostarsi a una Cavalla, poichè non pensava che a mangiare con somma quiete, quasi che non fosse stato ivi messo che per questo (è ben vero, che nessuno si prese la briga, nè ebbe la curiosità d’osservare ciò che faceva la notte) ond’è che fui obligato a darmi per vinto, ed accordare ai custodi l’insussistenza della mia risoluzione col farlo levare dal branco, come inutile.
Ma dal vedere l’anno dopo, che da questo Cavallo ne nacquero sedici redi, ebbi inaspettatamente la consolazione di poterne tirare con certezza la conseguenza, che la mancanza del frutto delli stalloni dipendeva in gran parte dalla diversità del governo loro, che apportava nel seme accidenti e circostanze inopportune, e distruttive di quell’uniformità che richiede la natura in opera sì gelosa, e della maggior conseguenza.
Tale esperienza mi diede il coraggio d’abbandonare il costume antico del governo delli stalloni per uniformarlo onninamente a quello delle Cavalle, ed il profitto che ricavai la prima volta che lo messi in opera, fu una riprova indubitata, che la scoperta era a seconda di natura, e la vera; poichè nessuno stallone mancò al suo dovere, e restai maggiormente assicurato dal vedere, che uno che non arrivava mai col governo antico a fecondare che quattro, o cinque, e quando arrivava a sei Cavalle era tutto quel più che potesse fare, di dodici che li se ne dava ne fecondò senza governo in quell’anno diciannove, di venti che n’ebbe, e l’altra che restò soda fu in dubbio che abortisse; la continuazione poi della felicità di tale riuscita negl’anni susseguenti, finì di darmi il lume necessario per potere stabilire con cognizione di causa il nuovo metodo, e per rimuovere tutti gli abusi introdotti; e allora fu che compresi qual è la ragione che li stalloni più focosi, che all’apparenza pareva che dovessero essere i più fruttiferi, e che erano da taluno riputati per tali, e prescelti dai meno intendenti per i migliori, erano in sostanza più fallaci dei flemmatici, e di quelli di meno spirito. Ed ecco da che piglia origine quanto ho detto fin qui, e quanto sono per dire in appresso.
Tre sono i riguardi che si devono avere nello stabilire il tempo di dare allo stallone le Cavalle. Il primo riguarda la conservazione del lattonzolo che allatta la Cavalla pregna, che richiede, che la Cavalla non perda il latte, che il più tardi che sia possibile, affinchè siano passate le burrasche più pericolose della rigida stagione, e però quando è forza spupparli sia loro meno pericolosa la mutazione del governo nuovo che conviene dar loro.
Portano le Cavalle undici mesi e giorni, chi più, chi meno, ma con poco svario, e sogliono perdere il latte circa quattro mesi prima del parto: onde quelle, che impregnano al primo di maggio figliano verso la metà d’Aprile, e perdano il latte nel principio o poco prima di Gennaro, ma ve n’è taluna sì fertile, che non lo perde mai.
Il secondo, riguarda la conservazione del feto che ha in corpo; questa richiede che il parto segua allorchè l’erba nuova, che comincia a nascere del mese di Febbraro e Marzo abbia perduta la facoltà purgativa che cagiona l’aborto, il che suol essere verso la metà d’Aprile: Ed il terzo la prosperità con la quale cresce il nascituro, che depende dall’essere il primo latte che piglia e la prima erba che mangia di sostanza, e di quella perfetta consistenza che promuove quel vigoroso e prospero aumento, che produce nel lattonzolo il compimento di quella perfezione che si desidera in esso, e ciò segue quando l’erba ha perduto la facoltà purgativa, come si è detto, perchè essendo il cibo di sostanza non può a meno, che il latte della madre sia della medesima qualità, e per conseguenza l’alimento del figlio ancora sia il più opportuno, ed il più adattato al suo bisogno.
Quindi è che il vero tempo di dare lo stallone alle Cavalle, si è dal principio del mese di Maggio fino a tutto Giugno, che così le nascite caderanno dalla metà di Aprile fino alla metà di Giugno.
Che il miglior modo poi, ed il più vantaggioso di dar lo stallone alle Cavalle sia quello di lasciarlo in campagna in piena libertà con esse abbandonato e in braccio unicamente alla discrezione dell’istinto di natura, che non è sottoposta ad inganno alcuno, parmi che sia bastantemente dalle ragioni addotte di sopra provato.
Scelte dunque le Cavalle che convengono alla qualità e specie di ciascheduno stallone, come si è detto di sopra, si pongano in un piccol serrato, assieme con lo stallone destinatoli, per un giorno o due, tanto che possano riconoscersi, pigliar fiato, e far lega insieme. E chi ha timore, che egli possa correr rischio nel primo abbordo che fa con eccesso di trasporto, in specie se è novizio, può usare la cautela di renderlo più mansueto e cauto con fargliene coprire una, prima di lasciarlo in libertà.
Riconosciuta poi che abbia la sua camerata lo lasci andare dove più li piace con essa, sicuro che egli medesimo saprà regolarla in forma, che nessuna delle Cavalle assegnateli ardisca d’allontanarsi da esso per abbandonarlo, e saprà difenderle tutte da qualunque altro stallone, che s’appigli a tentare di rapirgliene alcuna; le farà cambiare pastura, quando averanno terminate di mangiare quelle dove sono; le condurrà a bere, ed in qualunque altro luogo dove occorra alle sue ore determinate, come potrebbe fare il più diligente e fedel custode che ne avesse la consegna; e ciò seguirà in vista a tutte le altre camerate, senza che una si confonda con l’altra, perchè ciascuno stallone pensa a regolar la sua, senza dar fastidio all’altro.
E tutto questo avviene, perchè l’istinto naturale del Cavallo, come di tutti gl’altri animali, è regolato da una forza motrice interna, diffusa in tutte le sue parti che ha un non so che d’analogo ad una tal quale specie d’intelligenza, per cui volontariamente si determina più tosto ad un’azione, che ad un’altra, secondo i bisogni suoi in varie e diverse maniere, e quest’istessa forza interna cagiona nello stallone il desiderio della propagazione e conservazione della sua specie, e però l’amore verso la semina, la gelosia, la simpatia, l’avversione, l’odio, l’ira ec. come l’esperienza dimostra chiaramente in diverse occasioni.
Quindi è che innamorato, diviene sì geloso delle Cavalle di sua camerata, che dà in furor tale, quando s’accorge che qualcheduna vuole allontanarsi da esse, che li corre immediatamente dietro con gl’orecchi serrati, e bocca aperta minacciandola di volerla mordere, sino a tanto che non è tornata a riunirsi con l’altre sue compagne e va ad abbordare qualunque altro Cavallo, che voglia accostarsi ad esse, e con morsi, e con zampate arrizzandosi diritto sopra i piedi di dietro, e voltandosi dipoi con replicate coppie di calci, l’obbliga a ritirasi; e se a caso nella sua camerata vi trova Cavalla di suo contragenio nell’istessa forma la scaccia, e l’obbliga ad andarsene altrove, ed uscire dalla sua camerata. E le femine pure tanto fanno che li scappano di contrattempo, quando hanno seco antipatia ed avversione, per andare a trovar quello stallone a cui la simpatia, ed il genio le porta, come mi è accaduto di vedere non di rado senza poterlo impedire.
Il vedere un branco d’una razza sì di maschi che di femine, quando è in pastura, diviso in partite sparse in qua e in là, formate sempre dell’istesse Cavalle se è di femine, e delli stessi Cavalli se è di maschi, e mai unito in un sol corpo se non quando il paese è ristretto in maniera di non si potere stendere (che allora si danno tra loro) è anche una riprova della simpatia e antipatia che tra loro hanno, e se accade di doversene pigliare qualcheduno, sia maschio o femina, nel momento istesso che li vien ridata la via, corre immediatamente senza voltarsi nè in qua nè in là a riunirsi alla sua camerata, e taluna se può riuscirli abbandona anche lo stallone per tornare dalle compagne, e sol quando è in amore pospone le seconde al primo.
È una riprova della gelosia il vedere che vi sono anche di quelle che innamorate non soffrano che lo stallone si accosti all’altre, e delli stalloni, che innamorati d’una Cavalla, non vogliono saper nulla d’alcun’altra, talchè è forza separar da lui tanto le prime, che la seconda fino a tanto che non abbia coperto tutte le altre, e sol dopo, tolto via così l’inconveniente, rimettergliele nella camerata.
E finalmente oltre molti altri casi che potrei addurre in prova di quale sia la forza dell’antipatìa, e simpatia, che si dà nei Cavalli tanto maschi che femine, i due che qui sotto adduco mi pare che siano i più particolari, ed i più concludenti, per convincere chi non fosse restato persuaso dalle ragioni fin qui addotte.
Il primo è, che avendomi uno delli stalloni migliori ricusato di coprire una Cavalla di statura piccola, credei da primo che fosse caso, e non ne feci conto alcuno, ma siccome avevo bisogno di dargliene delle altre dell’istessa statura, per mancanza di stallone più adattato ad esse, glie ne feci condurre altre dell’istessa statura della prima, e tutte me le ricusò costantemente, nel tempo istesso che non mostrava difficoltà alcuna di coprire qualunque altra che fosse di statura grande; conobbi subito la difficoltà a cui andavo incontro, ma il bisogno m’obbligò a non lasciar cosa intentata, che lo potesse indurre ad adattarvisi, e però presi il compenso di tenerlo otto giorni in stalla in riposo, affinchè la privazione, ed il maggior governo che li facevo dare espressamente gli accrescesse lo stimolo in forma da poter superare la forza dell’antipatia, ma tutto questo fu in vano; perchè presentatali la prima volta che fu rimesso in opera una Cavalla piccola benchè si avesse l’avvertenza che non fosse nessuna di quelle, che aveva ricusato ciò nonostante non fece segno alcuno, nè pur di risentirsi. Onde convinto allora che non era superabile la sua avversione, fattagliene condurre altra di statura più grande, non dette tempo, che li si accostasse perchè a pena vedutala da lontano si messe in ardenza tale che i garzoni durarono fatica a tenerlo, ed immediatamente che arrivata fu a lui, dette riprova che la privazione ed il governo avevano corrisposto all’espettativa, ma che ciò non ostante non erano stati bastanti di superare la forza dell’antipatia; e perchè non potevo persuadermi che la maggiore o minore statura fosse capace di cagionare sì forte impressione, volli tentare anche dipoi nuove prove, ma sempre invano, e senza profitto.
Non è meno particolare del primo il secondo caso, che io sono per raccontare; altro stallone mostrò tale avversione con una Polledra novizia, vale a dire dell’età più ricercata e gradita, che non vi fu arte che potesse indurlo a fargliela coprire ancorchè non fosse lasciata intentata nè lusinga, nè inganno, che potesse adescarvelo, fino a farvelo trovar sopra senza accorgersene con gl’occhi bendati, perchè non potesse vederla, messo che fu in ardenza a bella posta da altra Cavalla di suo genio, fattali condurre d’avanti, prima che fosse bendato, e indi ribendato messali sotto l’altra con destrezza in luogo della favorita, nell’atto istesso che faceva il salto per montarla; ma appena trovatosi sopra, dall’odore s’accorse dell’inganno, e nel momento ne abbandonò l’azione, disarmò e scese; onde fu forza di levarne il pensiere e darla ad altro stallone, che immediatamente la coprì senza repugnanza, nè difficoltà alcuna.
Non sempre il ricusar che fanno li stalloni di coprire le Cavalle avviene da avversione, o da antipatia, come ne’ casi sopra addotti, perchè tal volta accade solo per mancanza d’inclinazione ne i primi, e d’attrattiva nelle seconde, che sono quel fomite che gli mette in stato di poter dare esecuzione all’azione necessaria, ed è di questo una riprova il vedere che lo fanno dipoi senza la minima renitenza, incitati e messi in moto che siano da Cavalla di genio fatta loro condurre d’avanti nel tempo istesso del rifiuto, com’è necessario di fare il più delle volte, quando si dà lo stallone a mano; e per l’istessa ragione anche li stalloni di campagna ne rigettano alcune da principio, delle quali poi s’innamorano, perchè ne hanno in vista altre di maggiore attrattiva con le quali sfogarsi, e però non devono mai essere messe in camerata Cavalle che siano pregne, stante il pericolo, che lo stallone s’innamori d’esse, e le faccia abortire.
E perchè vi sono stalloni che la gelosia li cava talmente di se che non distinguono quello che fanno, e però strapazzano, e danno sì ai carosi che ai lattonzoli che sono sotto la madre, così quando accade di doversi prevalere di stallone nuovo, di cui non si sappia la sua indole, torna molto in acconcio di provarlo, prima di azzardare di mettere nella sua camerata Cavalle redate, col mandarcele a una per volta dopo qualche giorno quando è sfogato, e reso più mansueto, affinchè i garzoni che glie le conducono possano assicurarsi del carattere suo, ed insieme impedire che non segua male; alle Cavalle figliate di fresco deve darsi cinque o sei giorni di tempo almeno, perchè possano esser ripurgate, prima di metterle nella camerata degli stalloni; essendo uno dei soliti sbagli quello di far figliare le Cavalle un anno sì, e un anno nò, perchè l’allievo venga più grande, e più robusto per la ragione addotta che l’uomo non può dar regola alla natura, ma deve secondare le sue tracce; ed in prova io posso assicurare che li stalloni più grandi e più robusti gli ho avuti da quelle Cavalle, che hanno figliato ogn’anno, e che hanno cominciato a figliare di tenera età, ed i più piccoli da quelle che figliano di rado.
Da quanto si è detto fin qui vien tolto via ogni dubbio, che il vero metodo, ed il più proficuo di dar lo stallone alle Cavalle sia quello di lasciarlo in piena libertà di secondare l’istinto naturale suo, senza che l’arte vi abbia parte alcuna; poichè in questa forma vien posto rimedio a tutti li sconcerti, e chiunque voglia potrà essere sincerato con l’esperienza nella razza di Toscana di S. M. I. nel mese di Maggio, e di Giugno, dove vedrà quindici, o venti stalloni sciolti in campagna aperta con le lor camerate star con tal saviezza, che non si distinguono dalle Cavalle; e vedrà di più che se taluno s’impegna ad andare ad abbordar l’altro, appena si annusano, che ciascheduno ritorna immediatamente al suo posto in guardia della sua camerata, poichè la gelosia e timore che nella loro assenza li sia portata via qualche Cavalla, gli obbliga ad anteporre la custodia loro, allo sfogo dell’ira concepita contro del competitore.
Per minorare al possibile l’avversione che si dà tra l’Asino, e la Giumenta stante la diversa specie dell’uno e dell’altra, mi cadde in pensiero di fare allevare quegli Asini che dovevano servire per stalloni con le Cavalle, affinchè vedendosi di continuo, pigliassero insieme familiarità e domestichezza, e dopo la funzione li facevo rimettere in branco con le medesime Cavalle, nel tempo d’estate, e di autunno, stante il supposto che non fossero capaci da loro di ricoprirle, ritirandoli in stalla solo l’inverno al governo di fieno e semola, come gli altri stalloni, perchè possano essere in grado al tempo della monta di fare la loro funzione.
Ma siccome nel tempo d’estate, e autunno tenevo tra le medesime giumente anche diversi stalloni cavallini, per non perder il frutto di quelle Cavalle ch’erano restate vuote nella primavera, che dipoi dismessi di fare per l’inconveniente che ne seguiva, stante la confusione delle specie, perchè non potendo tener separate le Cavalle corsiere dalle inette, non poteva neppure essere impedito, che li stalloni delle prime montassero le seconde, e quelli delle seconde le prime, sconcerto che portava seco più danno che utile:
Così da questo venni in cognizione che l’Asino non ha coraggio di contrastare con il Cavallo; poichè appena vede che questo si viene incontro, egli si ritira e cede, ma non lascia di andarli dietro adagio adagio furtivamente quando si accorge ch’egli seguita una Cavalla ch’è in caldo, di maniera che egli si trova in grado, terminata che il primo ha la sua funzione, di montarla anche lui senza rifiuto della femina, nè ostacolo del maschio, perchè sfogato.
Dal che venni anche in cognizione che l’Asino era capace di poter coprir da se, quando era in campagna, le Cavalle senza quell’ajuto che è necessario darli quando si fa montare a mano, e restai assicurato che ciò seguiva anche con frutto, allor che viddi nascere due Mulette che ho di presente in stalla dalle Cavalle corsiere più grandi, e da questo potei stabilire con sicurezza il metodo qui sotto descritto, che non dubito che sia il migliore che possa tenersi, perch’è il più uniforme all’istinto di natura.
Devono gli Asini stalloni in tempo della monta tenersi separati gl’uni dagl’altri, e serrati in piccoli stanzini di poc’aria, ed oscuri, affinchè non si svaghino; devono anche questi esser messi al governo d’erba seminata nel mese d’Aprile per le ragioni addotte, e nel mese di Maggio, nel quale devono dar principio alla loro funzione, convien metterli ne’ sopraddetti stanzini al governo della medesima erba, e di quella che chiamasi scardiccione, ch’è pungente a guisa di pruno, a tutti cognita, che fa sopra gl’argini dei fossi, della quale essi sono molto amanti; e se si conosce che qualcheduno de’ medesimi abbia bisogno di maggior governo per mantenersi in forza, stante la natural sua complessione pigra e tarda, e più debole di quella del Cavallo, può aggiungersi a queste anche un’adattata porzione di semola e di biada.
In distanza dei sopraddetti stanzini vi siano due pali forti, e piantati stabilmente in terra, in poca distanza l’uno dall’altro per tenervi legata la Cavalla, e circa la metà d’essi vi sia una traversa da potersi levare e mettere, che impedisca alla Cavalla di potere andare in avanti nel tempo, che l’Asino fa il salto, e dà compimento alla sua operazione; e nella distanza che comporta la lunghezza della Cavalla, là dove sono situati i piedi di dietro della medesima cominci un rialto formato di paglione, e concio, perchè sia più stabile, e legato insieme, sopra del quale l’Asino deve far la sua funzione, perchè resti la Cavalla più bassa, e l’Asino in alto, in quella proporzione che richiede la maggior grandezza della Cavalla, e possa il primo essere a portata di dare esecuzione alla sua operazione senza impedimento alcuno, con facilità, e comodo.
Per toglier di mezzo nella maniera possibile all’uno e all’altra l’avversione connaturale cagionata dalla diversa specie e natura, e perchè con maggiore facilità vengano messi in moto ambedue, posta la Cavalla nella sua situazione se le tenga un Cavallo d’avanti perchè la veduta sua li serva di stimolo per mettersi in agitazione, e nell’istesso tempo si apra l’uscetto dello stanzino di quello stallone che deve andare in opera e se li faccia vedere alla porta una somara, che sta in amore, perchè anche questa provochi l’Asino come fa il Cavallo alla giumenta. Messo così l’Asino in stato di dare esecuzione alla sua operazione si conduca il Cavallo dietro alla femmina come si farebbe se dovesse coprirla, ma senza fermarsi si conduca tanto in avanti, che non possa impedire il passo all’Asino, che nell’istesso tempo deve andare a dirittura ad investire la Cavalla che sta in attenzione di ricevere il Cavallo, ed alla mossa di questo deve pur esser tolta di vista allo stallone la Somara, che così ingannati ambedue si otterrà con più facilità l’intento desiderato.
Essendo d’uopo, che le Cavalle che si fanno montare a mano, siano riconosciute prima dal Cavallo da prova per assicurarsi che siano in caldo, perchè stiano ferme, e ricevino con piacere, e quiete lo stallone destinato; per ciò fare, si mettano in un serrato piccolo tutte le Cavalle a quest’effetto assegnate, ed in esso si lasci in libertà il sopraddetto Cavallo da prova a vista della guardia, perchè possa immediatamente separare dal branco, e dare in consegna a chi ha l’incumbenza di metterle sotto li stalloni, tutte quelle di mano in mano che s’adattano a lasciarsi montare, senza dar tempo al Cavallo di compire l’opera, a cui s’accinge di dare esecuzione; che così facendo si ottiene un doppio intento, senza strapazzo nè delle Cavalle, nè degl’uomini, cioè d’assicurarsi di quelle, che sono in caldo, e che vengano più presto in amore quelle che non vi sono anche venute, stante l’incentivo, e lo stimolo che gli dà la vista del Cavallo sopraddetto.
Dieci o dodici Cavalle per ciascheduno stallone è il numero che può darlisi, e tre volte il giorno possono farsi montare tanto li stalloni, che le Cavalle, due volte la mattina, ed una il giorno, e montate sei volte si devono mettere in un serrato a parte con uno stallone Asino in libertà, notte e giorno, perchè le riconosca, tenendo nel serrato una guardia che dia conto di tutto ciò che segue, e se si vede che lo stallone faccia il suo dovere, essendo poche quelle che si mantengono in caldo, si continui così senza far mutazione alcuna.
Ma quando si veda che l’Asino stia con esse in ozio, necessario è di riconoscere da che cosa ciò divenga, vale a dire se ciò segua per difetto dell’Asino, o per esser divenute le Cavalle feconde; e questo s’ottiene subito che si lasci con esse in libertà anche un Cavallo, e se questo ve ne trova in caldo si levino subito ambidue, e vi si metta un’altr’Asino per tentare che da questo siano le medesime montate; e quando anche questo resti inutile si torni a far rimontare a mano quelle che non sono restate feconde con levarle dal serrato, ed in questo si seguiti a mettere di mano in mano quelle che sono restate coperte sei volte, come si è detto di sopra con tenervi sempre un Asino che faccia il suo dovere.
Ma avanzata la stagione, e cresciuto il numero, in forma che un’Asino solo non possa supplire al bisogno, vi si metta un Cavallo, e un’Asino, e si facciano passare in un serrato più grande per non perdere inutilmente il frutto di quelle Cavalle, che non possono perdere l’avversione all’Asino, e quest’è tutto quel più, dove può arrivare l’arte umana.
Non può mettersi due Asini insieme in tempo di primavera con le Cavalle, quando sono in amore, perchè la gelosia dell’uno, e dell’altro gli fa inimicare in forma che si danno a morte.
Nel tempo poi d’estate, che tanto le Cavalle, che gli Asini escano d’amore, e per conseguenza perdono la gelosia, si possono tener tutti nel branco delle Cavalle loro assegnate, senza rischio alcuno, per le ragioni addotte di sopra, ch’è qui superfluo di replicare; poichè tanto in questo tempo, che nell’autunno, poche sono le Cavalle che vengono in amore, e queste possono esser coperte, stante la vastità della campagna da uno, in tal lontananza che l’altro non può avvedersene, come danno a divedere che ciò segue in fatto quelle che figliano fuor di tempo, e però devonsi tenere le Cavalle sopraddette assegnate alla razza de’ Muli separate da tutte le altre anche l’Estate, e l’autunno, per poter tener con esse sempre gli stalloni.