Cristoforo Colombo (de Lorgues)/Libro IV/Capitolo I

Capitolo I

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CAPITOLO PRIMO

Cristoforo Colombo parte da Cadice con quattro navi. — In passare, soccorre la fortezza portoghese d’Arcilla, sulla costa del Marocco, assediata dai Mori. — Giunge dinanzi all’Isola spagnuola, e fa dimandare al governatore Ovando il permesso di sbarcare per riparare una delle sue navi in cattivo stato e procurarsene un’altra. — Rifiuto del governatore. — Colombo predice una violenta tempesta e avvisa Ovando di trattenere nel porto la Flotta che partiva per la Spagna. — Ovando si beffa del suo avvertimento. — La tempesta scoppia e distrugge la flotta. — Intervenzione manifesta della Provvidenza. — L’Ammiraglio e le sue navi sono preservate. — Colombo, trascinato, prima, in vicinanza di Cuba, nell’Arcipelago dei Giardini della Regina, discopre, poscia, l’isola di Guanaia presso il Nuovo Continente.

§ I.

Obbligato a restringere in due volumi la storia di quest’Uomo immenso, noi condensiamo gli avvenimenti principali della sua vita, ommettendo forzatamente ogni particolarità che non risguardi la sua persona: abbiamo deliberatamente sacrificato lo stile al laconismo, mirando primieramente alla maggiore brevità, abbreviando sempre la nostra frase, spesso il nostro pensiero, e spogliando volontariamente ogni apparenza di forma letteraria. Senza dolercene, accettiamo il rimprovero di aridità o di esiguità, purchè almeno giungiamo, non ostante la ristrettezza del nostro quadro1, a riprodurre i fatti principali di questa vasta esistenza. [p. 141 modifica]

Per quanto era da noi, la nostr’ammirazione si è messa in guardia contra il fascino naturale di una tale grandezza: ci siamo costantemente astenuti dal sostituire lo scrittore alla storia, e d’impinguare questa istruttiva biografia di considerazioni filosofiche anche le più opportunamente tratte dal soggetto.

Preghiamo solo il lettore di non attribuire la nostra brevità solamente a difetto di spazio, e di tenere per certo, che, anche le asserzioni secondarie, i fatti accessori, i benchè menomi particolari usciti dalla nostra penna, sono invariabilmente l’espressione della più scrupolosa esattezza storica: non v’è un nome, un numero, una data, che non siano stati verificati scrupolosamente, e di cui non accettiamo la piena malleveria.

La quarta spedizione di Cristoforo Colombo è riuscita manco nota delle altre, quantunque fosse a’suoi occhi «la più nobile e la più vantaggiosa2: molti scrittori l’hanno perfino ignorata3.

Oggi, per ricomporre nella sua realtà il racconto di tal gigantesca impresa, lasciando stare la testimonianza degli storiografi reali di Spagna, ci gioveremo di quattro narrazioni contemporaneo, compilate dai testimoni e dagli attori principali di quel memorabile viaggio, l’ultimo che facesse Cristoforo Colombo: primieramente, la relazione dell’Ammiraglio, diretta in forma di lettera ai Re cattolici; poi la storia che scrisse don Fernando Colombo, aiutandosi ora della sua memoria, ed ora delle annotazioni di suo padre; in terzo luogo il riassunto dei drammatici incidenti di quella spedizione, esposto da Diego Mendez, virtuoso marinaro, in molta estimazione dell’Ammìraglio; e, finalmente le note e il giornale di un nemico di Colombo, il notaro reale, Diego de Porras.

Nessun’altra spedizione marittima a que’ giorni fornì tante [p. 142 modifica]particolarità, nessuna si appoggia su altrettanti documenti, ed offre simili guarentigie di veracità storica.


§ II.


L’Ammiraglio aveva eseguito con tre caravelle i tre primi viaggi: intraprendendo il quarto, dimandò quattro navi fornite di viveri per due anni; perocchè sperava trovato lo stretto, che lo avrebbe addotto dall’Atlantico nel grande Oceano, di compiere il giro del globo, tornando pel mare dell’Asia e la costa d’Africa. Era questo, dopo la creazione del mondo, il primo tentativo di circumnavigazione.

Per una spedizione di tal genere l’Ammiraglio volle scegliere l’equipaggio, i viveri, i mezzi di difesa: diede agli uffici di Siviglia la dimensione delle navi: la più grande non doveva essere che del carico di settanta tonnellate, la più piccola di cinquanta.

L’ordinatore della marina pigliò a nolo quattro caravelle ancorate presso Siviglia: furono disposte pel viaggio, e il 3 aprile 1502 discesero il Guadalquivir dovendo andare al carenaggio della Puebla Vieja4. Volendo vigilare i lavori, e farli eseguir presto, l’Adelantado partì sulle navi, e le condusse poscia a Cadice, per procedervi al fornimento d’ogni cosa necessaria: l’Ammiraglio si occupava contemporaneamente delle munizioni e della composizione de’ suoi equipaggi. Il poco aiuto che gli avevano prestato gli uffici di Siviglia lo avevano obbligato a fare ogni cosa da sè, a tale che si vide costretto di rinunziare ad ogni altra cura, tanto fu oppresso da quella bisogna5. Finalmente, un mercoledì mattina, partì per Cadice, affine di compiervi [p. 143 modifica]l’armamento della flottiglia; conduceva seco il suo secondogenito don Fernando, che allora aveva tredici anni, ed era paggio della regina Isabella.

Passati in ispezione gli equipaggi, Cristoforo Colombo inalberò la bandiera ammiraglia sulla caravella di settanta tonnellate, che fu detta la Capitana; la seconda, in grado, si chiamava il San Giacomo di Palos; la terza era il Galiziano, e la più piccola era nominata la Biscaglina6.

Eccettuati i fratelli Francesco e Diego de Porras, da lui accettati per condiscendenza verso il tesoriere reale di Morales, egli aveva scelto il suo stato maggiore, componendolo sopratutto di ufficiali acconci a tale impresa, la maggior parte formati all’alta scuola delle sue precedenti navigazioni. In questo numero di scelti marinari, non si dovrebbe comprendere il medico fornito dagli uffici di Siviglia, un medicastro, già farmacista a Valenza, chiamato mastro Bernal, uomo perverso le cui cure erano temute dai malati, e che, al dire dell’Ammiraglio, avrebbe meritato cento volte di essere squartato7, se fosse stata resa giustizia alle sue opere.

Lasciando stare gli ufficiali della Sua casa, e quattro interpreti, l’Ammiraglio conduceva seco su queste quattro navi cento cinquanta uomini. Con questo piccolo polso di gente pigliava a fare il giro del globo, e a difendersi contra ogni assalto di popoli sconosciuti, fra’ quali sarebbesi trovato probabilmente costretto di rinnovare i viveri e riparare ogni avaria. La necessità. di visitare tutte le coste, di entrare in tutte le baie o golfi per cercare lo stretto, l’obbligava a non impiegare che piccole navi; ed aveva voluto aumentare la loro forza mercè il carattere de’ marinari che le montavano. Merita di essere, notato il modo con cui scompartì le sue genti. [p. 144 modifica]

Alla Capitana diede comandante il capitano della bandiera dell’Ammiraglio, Diego Tristan, vero tipo di ufficiale di marina, il quale possedeva eminentemente l’istinto della sua professione, e dei doveri della sua arma. Egli aveva sotto i suoi ordini il primo luogotenente o piloto maggiore della squadra, Juan Sanchez, e i piloti Giacomo Martin Cabrera, Pietro d’Umbria, Martin de los Reyes. L’Ammiraglio prese, quali aiutanti di campo, il capitano Guillermo Ginoves, e il luogotenente Francesco Ruiz, fratello del piloto Sanchez Ruiz, che avea preso parte al primo viaggio. Oltre Ambrogio Sanchez, il maestro della Capitana, e il suo degno contro-mastro Antonio Donato, stavano a bordo due ufficiali iscritti come scudieri. L’equipaggio consisteva in quattordici marinai di prim’ordine e venti mozzi, un maestro cannoniere, Matteo, un mastro armaiuolo, Juan Barba, un mastro falegname, di origine francese, un bottajo, Martin Arriera, un maestro impeciatore, Domenico, sopranominato il Biscaglino, e quattro trombetti8. A bordo della Capitana si trovavano, altresì, un indiano d’Hispaniola, che doveva servire d’interprete, e tre spagnuoli, che parlavano arabo. Evvi ragione di credere che il genovese Giovanni Antonio Colombo accompagnava l’Ammiraglio.

Il comando del San Giacomo di Palos fu dato al primogenito dei Porras, raccomandato dal tesoriere generale. A fianco di questo ufficiale non meno incapace che arrogante, l’Ammiraglio moltiplicò i consigli e le influenze, collocando sul suo bordo il segretario in capo della flotta, uno de’ suoi antichi scudieri, Diego Mendez, il qual era ad un tempo uom di mare consumato, soldato intrepido, fervoroso cristiano e servo fedelissimo. Lo [p. 145 modifica]scudiere Diego Mendez guadagnò nel corso di questa spedizione il grado di capitano di vascello, uno stemma e il titolo di cavaliere. Egli era accompagnato da diversi ufficiali affezionati a Colombo: i due fratelli Andrea e Battista Ginoves, Francesco di Farrias, Giovanni Jacome e Pietro Gentil, intendente dell’Ammiraglio. Francesco Bermudez, padrone della caravella e il suo contro-mastro Pero Gomez, erano due perfetti marinai. Il San Giacomo di Palos aveva undici marinari, quattordici mozzi, un mastro impeciatore, un mastro fabbricator di botti di Siviglia, Juan di Noya, un mastro falegname, e qual primo mastro cannoniere un abile armaiuolo di Milano, chiamato Bartolomeo. L’Ammiraglio creò notaro reale della squadra, Diego di Porras , il quale prese posto sulla nave di suo fratello.

Quanto al Galiziano, nave grande, pesante, e difettosa nella sua alberatura, noleggiata a soli ottomilatrecentotrentatre maravedis per ogni mese, mentre il San Giacomo di Palos ne costava diecimila, fu confidato dall‘Ammiraglio al fedele capitano Pietro di Torreros, il primo europeo che pose piede sul Nuovo Continente, ed ebbe l’insigne onore di rappresentarvi Colombo. Il mastro e contro-mastro Juan Quintero e Alonzo Ramon, ambedue di Palos, erano sperti marinai. Questa nave aveva nove marinai e quattordici mozzi: inoltre un ufficiale istrutto, Camacho, prossimo parente del capitano: in tutto trenta uomini9.

Per montare la più piccola caravella, la Biscaglina, la quale doveva penetrare gli stretti, entrar le piccole baie, investigare le rive, e non aveva in tutto che venticinque uomini, compresi gli ufficiali, l’Ammiraglio, affine di compensare la debolezza numerica dell’equipaggio colla qualità, scelse otto marinai di prim’ordine, tutti gagliardi e sperimentati, aggiungendo ad essi dodici mozzi, animati da emulazione, fra’ quali si trovava un paggio, nominato Cheulco. A questa schiera eletta diede, a degno capo, [p. 146 modifica]un uomo di mare di elevato carattere, suo nobile compatriota, Bartolomeo Fieschi «personaggio dotato di grandi perfezioni,» con un luogotenente, il cui attaccamento gli era noto, Giovanni Pasan, anch’esso di Genova, iscritto quale scudiere, e che doveva essere efficacemente secondato dal padrone della caravella Juan Perez, e dal valente contro-maestro Martin di Fontarabia. A questa piccola nave, per essere la più esposta a trovarsi separata dalla squadra, confido il solo sacerdote che avea potuto imbarcare, un zelante francescano, il padre Alessandro10.

Tutti salirono le caravella, ma non si pote subito mettere alla vela, perchè il vento soffiava dal sud, e inchiodava le navi nella rada di Cadice. Durante questa sforzata immobilità, un battello, che il vento contrario all’uscita aveva sospinto vivamente sulla costa d’Europa, informò che i Mori avevano da poco bloccata la fortezza portoghese d’Arcilla, sulla costa del Marocco. Incontanente l’Ammiraglio, cavaliere della Croce, senza preoccuparsi del vento contrario, fe’ levar le ancore a suon di tromba, secondo l’uso dei grandi ammiragli di Castiglia11. «Uscì, non ostante quel medesimo vento12, e giunse rapidamente ad Arcilla.

La vista delle navi spagnuole bastò per mettere in fuga la truppa moresca. Il governatore della piazza aveva, combattendo valorosamente, tocca sulle mura una onorevole ferita: l’Ammiraglio gli mandò suo figlio, suo fratello, e gli ufficiali comandanti per offrirgli i suoi servigi e gratularglisi della sua prode difesa. ll governatore fece bell’accoglienza a questa deputazione, ricolmò di carezze il giovanotto don Fernando, e mando per [p. 147 modifica]ringraziare l’Ammiraglio, i suoi primi ufficiali, tra’ quali se ne trovarono alcuni che avevano l’onore di essere a lui congiunti, pel loro parentado colla sua prima moglie dona Filippa Moñis di Perestrello13.

Colombo seguitò la sua via il giorno stesso. Come se avesse ricevuto la ricompensa della sua sollecitudine, il vento era diventato favorevole. «Nostro Signore mi diede poscia un sì buon tempo che arrivai qui in quattro giorni,» scriveva Colombo dalla Gran Canaria, ove si fermò per rinnovare l’acqua,e prender legne. Nella sua lettera diretta al padre Gorricio della Certosa delle Grotte a Siviglia, gli raccomandava l’affare di cui l’aveva incaricato per Roma: rendeva grazie a Dio nel vedere tutta la sua gente in buona salute, e annunziava che imprendeva il suo viaggio in nome della Santa Trinità, e ne sperava vittoria14. Questa espressione militare indica il suo unico pensiero. Cristoforo Colombo vedeva in fondo a tutte le contrarietà che avevano ritardato l’adempimento dell’opera sua, la lotta dello spirito del mondo contra lo spirito della Chiesa, di cui egli era il cavaliere. La sua vita era un combattimento contra il principe del mondo, e si teneva certo di trionfarne: terminava la sua lettera raccomandandosi alle preghiere del padre Priore e di tutta quella santa comunità15.

La sera del 25 maggio, Colombo partì in nome della Santa Trinità.

Il tempo era magnifico: il vento spinse la piccola squadra con un soffio così costante che senza mutar direzione giunse in sedici giorni al gruppo dei Caraibi; e si avvicinò a Santa Lucia, donde l’Ammiraglio si drizzò alla Martinica.

Quivi gettò le áncore per rinnovar acqua e legne, prendere alcuni viveri freschi, lavar le biancherie e ricrearsi sotto la ridente verdura degli alberi. Vi passò tre giorni. Indi mosse [p. 148 modifica]verso l’isola San Giovanni, oggidi Porto Rico, andando lungo la deliziosa curva formata da quell’arcipelago che si allarga dalla Granata alle grandi Antille, e sembra continuare coi gruppi di Bahama sino alla Florida. Nonostante la conoscenza che già ne avevano gli equipaggi erano nell’ammirazione di quelle armonie della luce, della terra e delle acque. Fragranze balsamiche nuotavano nell’aria, e i venticelli le portavano sulle caravelle. L’amenità di quelle rive, di cui una temperatura moderata aumentava l’incanto, pareva convertire siffatta navigazione in una corsa di piacere.

L’Ammiraglio voleva dall’isola di San Giovanni dirigersi sul porto di San Domingo, affine di consegnarvi i dispacci di cui era incaricato, e mutarvi il Galiziano con una delle trentadue navi che sapeva dover tornare in Ispagna sotto gli ordini del suo antico luogotenente Antonio de Torrez, perchè, a malgrado del bel tempo, durante il viaggio si erano riconosciuti i difetti del Galiziano, lentissimo, e i cui alberi non entravano abbastanza nella carena: le altre caravelle avevano dovuto scemar le vele per non lasciarlo indietro.

Il 20 giugno, la squadra, giunta avanti al porto di San Domingo, gettò l’áncora ad una lega in mare. L’Ammiraglio mandò il capitano del Galiziano, Pietro di Terreros, nella sua scialuppa, per esporre egli stesso al governatore la necessità di procurarsi un’altra nave, dimandare, o che gliene cedesse una fra quelle che dovevano partire, o gli permettesse comprarne una che l’Ammiraglio pagherebbe con propri danari. Egli doveva altresì dimandare da parte dell’Ammiraglio di poter ricoverare nel porto colle sue quattro navi, per porsi al coperto da una violenta tempesta che prevedeva dovere in breve scoppiare.

ll governatore, che aveva ricevuto intorno all’Ammiraglio ordini particolari dei Re, e nel dispaccio medesimo che gli era recato trovava copia delle istruzioni date a Colombo intorno il suo itinerario, sapendo che gli era vietato di approdare alla Spagnuola, obbiettò l’ordine formale dei Re. È vero che il bisogno di rimediare a guasti o di ripararvisi contro tempeste non vi era preveduto. Certamente Ovando avrebbe potuto concedere il permesso cercato; ma temeva di far cosa spiacevole [p. 149 modifica]ai Sovrani, e sopratutto di alienarsi gli uffici della marina, se consentiva alla dimanda dell’Ammiraglio. Forse, non era convinto della necessità di surrogare una nave, messa in mare da soli due mesi. Quanto al bisogno di sfuggire alla procella, la serenità del cielo, lo splendore del sole, la calma dei flutti facevalo parere in quel punto una beffa. Non solo non concedette all’Ammiraglio di pigliare un’altra nave, ma gli «vietò di entrar nel porto, anzi di toccar terra».

Il capitano del Galiziano tornò a bordo della Capitana a rendere conto del niun successo della sua dimanda. Potè, passando in mezzo alle navi, contarne trentaquattro, con bandiera di partenza; era la flotta che doveva ricondurre Torrez, alla quale si erano riunite due caravelle comprate dal notaro navigatore Rodrigo di Bastidas.

È più facile figurarsi ch’esprimere l’indegnazione onde fu preso il grand’Uomo vedendosi rigettato «da una terra e dai porti che, per la volontà di Dio, aveva guadagnati alla Spagna a prezzo del suo sangue16,» non potendo nè ripararsi nè ricoverare in un’isola, di cui egli era il Vice-re e il governatore perpetuo; costretto, per conseguenza, ad offerirsi preda alla procella ed a continuare il suo viaggio con una nave inetta a navigare: quel rifiuto così contrario alle leggi dell’umanità ed agli usi del mare, diffuse la costernazione negli equipaggi: lamentarono di essere sotto la condotta di tale, cui un simil rigore pareva rigettare fuor del diritto naturale. I marinari di Siviglia, sopratutto, e dei dintorni, imbevuti delle preoccupazioni che avevano sempre avute contro l’Ammiraglio gli uffici di marina, si reputarono collocati in grave pericolo, e trassero funesti pronostici da cotesto rifiuto.

Ma per profonda che fosse l’indegnazione dell’Ammiraglio contro la crudeltà di quel divieto, la sua umanità, e la sua carità cristiana la vinsero sopra il suo risentimento: spedì di nuovo al governatore per dirgli, che, poichè rifiutavagli un [p. 150 modifica]asilo, non ostante la necessità di ricoverarsi nel punto di un pericolo imminente, rigidezza che non credeva conforme all’intenzione dei Re, almeno trattenesse la flotta vicina a partire, e non la lasciasse uscire avanti di otto giorni17, perchè l’uragano si distenderebbe in lontane spiagge: che, quanto a lui andava subito in cerca di un luogo ove ripararsi.

Quantunque Ovando fosse persuaso che l’Ammiraglio cercava un pretesto per isbarcare, siccome non aveva cognizione del navigare, e la sua prudenza lo recava a non trascurare un avviso utile, prese consiglio dai piloti e dal capitano generale Antonio de Torrez. A dir vero, nessuna apparenza atmosferica pareva giustificare la previsione dell’Ammiraglio; e perciò fu deciso che si partirebbe com’era stato convenuto. Guardando il cielo i piloti si risero del sinistro annunzio del canuto Ammiraglio, il quale fu trattato da spirito dispettoso, falso profeta18, e fors’anco scimunito.

In gran pensiero per lo stato in cui era il Galiziano, Colombo non trovò altro mezzo che di dare alla nave peggiore il miglior capitano: posevi comandante suo fratello don Bartolomeo, uom fecondo di ripieghi, e immediatamente cercò rifugio lungo la costa vicina. Ad alcune leghe di là, trovò una piccola baia a sufficienza chiusa, che chiamò porto nascosto, puerto escondido: vi si assicurò alla meglio apparecchiandosi a sostener l’uragano.


§ III.


Tuttavia il buono stato del mare, lo splendore del cielo, la mitezza dei venti incoraggivano que’ che dovevano partire. Dopo una dimora assai lunga, discosto dalle loro famiglie, erano impazienti di rivedere la patria. Giusta gli ordini della Regina, Ovando aveva conceduto licenza di ritorno a tutti i ribelli e per la maggior parte non cercavano di meglio, perchè la loro [p. 151 modifica]fortuna era fatta. Inoltre, recavano tutti seco tal copia d’oro ch’era capace di mitigare la severità dei loro giudici.

Essi erano stati scompartiti, in numero di oltre cinquecento, su diverse caravelle. Bobadilla, che si consolava della subita dimissione co’ suoi cumuli d’oro, aveva preso posto sulla Capitana. Roldano, deposto al pari di lui, e chiamato a render conto della sua ribellione, aveva del pari ammucchiato su quella nave una copia grandissima d’oro ch’era il frutto di rapine esercitate durante la sua ribellione. Su quella caravella erano stati imbarcati centomila pesos precedenti dai diritti regi. Vi era stato altresì trasportato il più enorme pezzo d’oro nativo di cui mai ricordasse la storia. Questa pepite, che mille persone avevano tocca19, con ammirazione e cupidigia, ammontava secondo una testimonianza autentica, al peso di trentasei libbre di metallo d’oro, d’onde diffalcando, al dire di sperti minatori, tre libbre di pietra, restavano tremilletrecento libbre d’oro netto20. I ribelli avevano, in aggiunta, posta su quella nave centomila once d’oro fuso, e gran copia di grossi grani d’oro natio, per mostrarli in Ispagna. Non fu mai vista tanta copia d’oro raunata.

Altre ricchezze, egualmente acquistate in onta alla giustizia ed alla umanità, a prezzo del sangue e della vita di tanti infelici Indiani, giacevano accumulate sopra ciascuna caravella della flotta. [p. 152 modifica]

Ogni cosa essendo pronta, il capitano generale diede il segnale della partenza, e la flotta aprendo le vele, si allontanò maestosamente dalle rive dell’Ozama, governo direttamente al sud-est, per oltrepassare il capo della Spada al di sopra dell’isola Saona, e, dopo passato il promontorio dell’Engaño, guadagnar l’alto mare.

Ogni cosa correva propizia. Spinta da mite soffio giunse all’altezza del Capo Raffaele, ad una distanza di circa otto leghe; là tacquero i venticelli, e improvvisamente si manifestarono segni di grande conturbazione. Il cielo perdette la sua trasparenza, e lo splendore del giorno si oscurò rapidamente. L’Oceano continuava ad esser quieto e cupo: l’aria era grave e soffocante. I piloti esercitati non potevano illudersi; quegli erano precursori della procella.

Quantunque fossero a vista di terra, non avevano modo di cercarvi un rifugio: le vele pendevano flosce lungo gli alberi: l’Atlantico diventato muto e verdastro se ne stava immobile come un feretro di piombo. Non era più possibile nè di tornare in porto, nè di fuggire il pericolo delle coste affrontando l’alto mare. Sicuramente qualche marinaro che aveva sbeffeggiato l’Ammiraglio avrebbe in quel momento voluto, secondo il consiglio della vecchia esperienza di lui, non essere uscito dal porto; ma era troppo tardi.

Alla minaccia seguitò in breve l’effetto.

Un vasto ondeggiare increspò la superficie delle acque: dopo alcune larghe oscillazioni, le onde si gonfiarono annerendo; in breve il fondo del mare sembrò sollevarsi; il soffio della tempesta strideva negli alberi, e squassava fra le enormi spume la flotta. Le verghe percuotevano l’acqua; prora e poppa s’immergevano ad ora ad ora sotto le onde. ll furore di queste faceva urtare l’una contro l’altra le caravelle. Alcune si aprirono e affondarono subito; altre lottarono con impotenti manovre. Densa nebbia addensava la spaventevole oscurità del cielo: non si vedevano l’un l’altro; appena udivansi i comandi inutili del porta-voce, e le grida disperate dell’orrore.

La Capitana, sì mirabilmente onusta d’oro, non ostante la sua [p. 153 modifica]solidità, fu colta dall’uragano, fracassata, aperta ne’ fianchi, fatta in pezzi, e sprofondò. Di tutto quanto ella portava, uomini e tesori, nulla ricomparve. Più di ventisei caravelle, tutte cariche delle spoglie degli sciagurati Indiani, andarono spezzate e sepolte nei vortici; altre, portate ne’ solchi spumanti dell’Oceano, vennero trascinate sotto meridiani sconosciuti e perirono più lungi dopo aver più lungamente sofferte le angosce della disperazione.

Di tutta quella superba flotta non tornarono ad Hispaniola che due o tre navi fracassate, mezzo sommerse, mentre una sola, la più meschina, la più logora, la più piccola di tutte, chiamata l’Ago El Aguja, continuava la sua via verso l’Europa: essa portava la proprietà. dell’Ammiraglio, consistente in quattromila pesos; e fu la prima che giungesse in Castiglia21. Le navi malconce che ritornarono alla Spagnuola per ripararvisi, portavano le genti più povere, più oscure della flotta: non v’era fra loro che un solo idalgo, il notaro navigatore Rodrigo di Bastidas, onesto uomo22, che Bobadilla aveva perseguitato.

In quella terribile giornata perirono tutti, nessuno eccettuato, i traditori, i calunniatori, i nemici giurati di Colombo. «Ivi, dice uno storiografo reale, ivi finiva Francesco Bobadilla, che aveva mandato l’Ammiraglio e i suoi fratelli, incatenati, senza accusarli, nè lasciare loro modo a difendersi; ivi moriva il ribelle Francesco Roldano ed i suoi complici, che si erano sollevati contro i Re, contro l’Ammiraglio, e che avevano tiranneggiato gli Indiani: ivi periva, altresì, il cacico Guarionex (che aveva ostinatamente respinto il Vangelo): i duemila pesos andaron sommersi insieme alla pepite d’oro di grandezza prodigiosa23. Tutto fu perduto: il mare inghiottì insieme con queste inique [p. 154 modifica]ricchezze i loro iniquì possessori, in numero di oltre cinquecento24.

Mentre si compieva quel disastro, l’Ammiraglio, ritirato nel porto nascosto, puerto escondido, lasciava romoreggiare l’uragano e confidava in Dio.

Durante il giorno, le quattro caravelle, difendendosi come potevano meglio dai colpi del vento e del mare, resisterono. Ma la tempesta fu terribile la notte, e rovinò le navi. «In mezzo all’oscurità tre navi furono strappate fuori del porto, ove rimase la sola Capitana25. Ciascuna di esse reputò le altre irremissibilmente perdute: dovettero abbandonarsi alla violenza de’ flutti. Il Galiziano su cui si trovava l’Adelantado, perdette la scialuppa, e per riaverla corse gran pericolo senza riuscita: tutte si sforzarono di guadagnar l’alto mare. Le tre caravelle assai malconce perdettero una parte dei loro utensili e delle loro provvigioni. La nave dell’Ammiraglio, quantunque orribilmente squassata, non soggiacque a verun’avaria: egli stesso ebbe a dire: «Nostro Signore salvò la caravella su cui io era, in guisa, che, quantunque stranamente assalita, non provò il menomo danno26.» Dopo essere state sbattute dalla tempesta per diversi giorni, le quattro caravelle si riunirono nel porto d’Azua la domenica27, come per ringraziare Dio della sua manifesta protezione. Le circostanze di questa riunione insperata pareva avessero colpito di stupore l’Ammiraglio, sebbene cotanto abituato alla bontà di Nostro Signore.

Questo disastro non fu considerato come un semplice sinistro di mare: tutti i contemporanei hannovi intravveduto un castigo della Provvidenza. L’azione della giustizia divina fu qui [p. 155 modifica]talmente chiara, che, senza eccezione, tutti gli storici di quella età ne andarono compresi di rispetto e spavento.

Se il discernimento della tempesta, la quale risparmia il giusto e infuria contro i colpevoli, spazza col suo soffio le loro speranze, si porta via le loro suppliche, versa ne’ vortici dell’oceano le ricchezze cumulate a prezzo della loro anima; se il salva-condotto dato fra gli abissi al piccolo tesoro dell’Ammiraglio, stato collocato con mala intenzione sulla più fragile delle navi, e che lo conduce attraverso l’Atlantico nel porto destinato, ci toccano di maraviglia, questa maraviglia si muterà in istupore pensando alla protezione che durante quel tempo stesso sostenne la persona e la squadra dell’Ammiraglio nel mare delle Antille. Le sue quattro caravelle sono egualmente preservate sulla costa e in alto mare. Il Galiziano, nave pericolante pel solo ondeggiare dopo una tempesta, resiste all’impeto de’ flutti: la Capitana non perde nulla, ne un uomo, nè un’áncora, nè una tavola, non soffre la menoma avaria.

ll carattere veramente soprannaturale di questo avvenimento toccò profondamente la Spagna. La stranezza di queste circostanze, l’immensità della perdita, il corruccio di oltre cinquecento famiglie, diedero ai particolari di questo fatto un’autenticità lugubre e memorabile.

La Regina fece al governatore Ovando una doppia colpa del suo doppio rifiuto di secondare l’avvertimento dell’Ammiraglio e di concedergli un rifugio in così pressante necessità28; il Re lamentò l’oro fuso, sopratutto quel pezzo d’oro massiccio, di cui nessun lavoro di miniere offrì mai l’eguale. Per lungo tempo la memoria del terribil evento si conservò viva nell’isola. L’arcicronografo imperiale Oviedo, che vi stanziò, e ne parlò sulla [p. 156 modifica]fede di testimonii di veduta, fu tocco del suo carattere prodigioso. In tre passi della sua storia naturale delle Indie occidentali, torna sulla flotta perduta per aver trascurato il consiglio dell’Ammiraglio29. Il milanese Girolamo Benzoni, che andò all’Hispaniola quarant’anni dopo il compimento del terribile giudizio, e pote interrogarvi ancora testimonii di veduta, non potè trattenersi dall’iscovrire in tuttociò un decreto celeste30. Il castigo dei ribelli, l’annientamento del loro iniquo tesoro, parvegli un esempio salutare dato al mondo, ed un’alta lezione di filosofia storica.


§ IV.


La predizione di Colombo, il suo terribile adempimento, l’immunità concessa al piccolo tesoro del messaggero della Croce sull’Atlantico, e la conservazione delle sue quattro navi nel mare Caraiba, la sua caravella, sola esentuata da ogni danno e guasto durante lo spaventevole tumultuar de’ flutti; fatti attestati da testimonii, da carte ufficiali, da documenti autentici, e dall’unanimità degli storici, non potrebbero oggidì esser posti in dubbio.

Cosa da notare: nessuno ha mai osato attribuire una tale serie di circostanze al caso, patrono compiacente del difficile, al qual piace attribuire l’impreveduto e lo straordinario, ogniqualvolta la nostra ragione non trova una spiegazione che la soddisfaccia.

Indarno si tenterebbe spiegare naturalmente questo formidabile avvenimento. Niuno si provi attribuirlo all’abilità, [p. 157 modifica]all’esperienza dell’Ammiraglio: un tal genere di predizione è al di sopra dei fatti dell’osservazione e della pratica. Interrogate gli uomini speciali, gli ufficiali di mare: meglio d’ogni altro essi vi proveranno l’impossibilità di cosiffatta profezia giusta le nozioni della scienza nautica. Il dotto Arago non credeva alla possibilità di presagire una tempesta, e meno ancora d’indovinarla prima dell’arrivo dei segni che le son precursori. Ecco ciò che dice intorno alla predizione di Colombo, un ufficiale superiore della marina, antico direttore di una scuola navale, autore del Manovratore perfetto e del Dizionario di marina a vela ed a vapore, il barone di Bonnefoux.

«Noi ci crediamo fondati a non ammettere l’infallibilità assoluta di alcun uomo, di alcuno strumento meteorologico, d’alcuna nozione preventiva, di alcun segno precursore, in quanto risguarda predizioni od annunzii sul tempo che farà, non solamente due giorni, ma neppur due ore anticipatamente. Che Colombo, per esempio, in questa occasione, abbia notato che le nubi delle regioni superiori avevano un corso molto pronunziato a paragon di quello delle nubi più vicine alla terra; ch’egli abbia osservato che i venti regolari diminuivano, che ad intervalli i soffii dell’ovest si rinforzavano ed abbia giudicato cosa prudente porsi al sicuro, noi lo comprendiamo facilmente, tanto più che da uom di mare provetto, Colombo aveva contratta abitudine, che è quella di tutti i capi prudenti, di aver sempre il pensiero preoccupato della sua strada, della sua nave, dello stato del cielo e delle probabilità del momento: ma rispetto al dichiarare pubblicamente che una tempesta doveva scoppiare di lì a due giorni, noi crediamo che sia cosa al di sopra delle facoltà umane, e che nè Colombo nè altra persona del mondo non abbia mai potuto predirla con certezza31

Noi pure siam persuasi che una tale predizione sia al di sopra delle facoltà umane: è precisamente per questo che l’annunzio officiale di Colombo al governatore Ovando, il consiglio di non lasciar partire la flotta, dato con insistenza, due giorni prima della tempesta, ci sembrano presentare un carattere prodigioso [p. 158 modifica]in armonia col dramma soprannaturale di questo castigo della Provvidenza.

Le circostanze positive dei fatti non lasciano alcun appiglio al caso. Humboldt e Washington Irving32, scrittori razionalisti, dispregiatori dell’ordine soprannaturale, non hanno ardito far intervenir qui il caso, e arrischiare una interpretazione secondo il loro sistema di questo avvenimento formidabile.

Quale sagacità, infatti, non mostrò la tempesta, lasciando continuare la sua via alla nave più fragile, carica degli averi dell’Ammiraglio, e contentandosi guastare le caravelle di Rodrigo di Bastidas, mentre inghiottiva inesorabilmente, dopo di averla fracassata, il rimanente della flotta, carica d’uomini perversi e di ricchezze omicide! Qual perspicacia nell’uragano, che rispetta. la Capitana su cui sventola la bandiera del messaggero della Croce, non la guasta neppure di un filo, secondo l’espressione di Colombo 33, e la lascia nel porto, mentre strappa dalle loro áncore, trasporta e squassa in alto mare le tre altre navi, le tiene in pericolo, come per notare, con questa differenza di trattamento, la differenza del loro destino e per far meglio conoscere una protezione affatto speciale!

E che pensar della calma la qual si direbbe d’accordo colla procella, affine di ricondurre a Colombo, la domenica, al medesimo luogo, le caravelle disperse e scomparse nello spazio, come per consentir loro di solennizzare quel giorno, conforme alle pie abitudini dell’Ammiraglio? [p. 159 modifica]

Queste sorprendenti preveggenze son esse l’opera del caso? In questa circostanza almeno, il caso e talmente ingegnoso nelle sue combinazioni, trascendente ne’ suoi calcoli, si allontana sì forte dall’accidentale, dall’impreveduto, da divenirne disconoscibile: che se è realmente lui, confessiamo che esso è molto mutato, nè somiglia più a sè medesimo.

I nemici di Colombo stupefatti dell’immunità che preservava i suoi beni e i suoi equipaggi, e vedendo in qual modo in una sola volta, era stato vendicato da’ suoi persecutori, attribuirono al suo magico potere quella terribile giornata34.

Quando ricordando la pietà religiosa di Colombo, ravviciniamo col pensiero le sue gigantesche fatiche, i suoi sacri diritti, le sue intenzioni così pure, all’attentato commesso contro di lui dalla ingratitudine, dalla ribellione, e memoriamo il mandatario di un potere ingannato, che strappa al suo governo, getta in prigione carico di catene, e trascina fuor dell’isola il messaggero della salute, sentiamo il cuore, d’accordo colla ragione, riconoscere in ciò una gran lezione data al mondo. Come la sapienza del Creatore si rivela nelle maraviglie delle sue opere, così l’eterno governo della Provvidenza diventa manifesto per noi in un tale atto. Pongasi mente all’evangelica generosità del consiglio di Colombo. Dopo il rifiuto duramente espresso di Ovando, l’Ammiraglio gli rimandò un messo, non che sperasse ricondurlo a migliori sentimenti verso di sè; ma per istornare da que’ suoi nemici il pericolo a cui esponevano lui medesimo, preservare la loro flotta da una imminente distruzione.

Pare. che, nella sua misericordia, la Provvidenza avesse procacciato ai colpevoli questo avvertimento come un’ultima prova della durezza del loro cuore.

Ma quegli uomini ingordi, e sopracarichi di ricchezze, erano impazienti di rivedere la patria; sospiravano l’ora di godersi [p. 160 modifica]oziosamente in Castiglia il frutto delle loro rapine. ll passato trovavasi per essi anticipatamente legittimato dal loro oro; e si tenevano sicuri di conseguire i favori, di cui il credito del vescovo Fonseca avrebbe guiderdonato il loro odio contro l’Ammiraglio: ributtarono dispettosamente il consiglio del patriarca dell’Oceano; risposero colle beffe e col dispregio a quell’atto di cristiana magnanimità: dopo di averlo abbeverato di amarezze e calunnie, quando egli lor sovrastava, vedevano con gioia le sue navi respinte dalla terra da lui scoperta: la presenza del giusto avrebbe sturbato le loro illusioni colpevoli. Non volendo nulla da lui, neppure un consiglio, rigettarono il suo avvertimento, come dianzi la sua persona aveano reietta dall’isola, di cui era il Vice-re: dissero al servo di Dio, come l’empio dell’antichità all’Onnipotente: «Ti allontana da me35

Questa ingratitudine pose il colmo alla loro iniquità. L’Altissimo accecò que’ superbi.

L’angelo del Signore trasmise i suoi ordini alla tempesta, e il castigo piombò.

Il pio storico dell’Ammiraglio, don Fernando Colombo, informato di tutte le circostanze di questo provvidenziale sinistro, assicura che la sua esecuzione fu opera del divino volere, perche i ribelli, pieni d’oro e di delitti, giunti in Castiglia, invece del castigo meritato, avrebbero, merce la protezione di don Giovanni Fonseca, ottenuto favori36. Questo atto di suprema giustizia, autenticato da carte ufficiali, da documenti politici, dalle testimonianze di reali storiografi, avveratosi nel secondo anno dell’era della rinascenza, durante gli sforzi della stampa, lo sviluppo letterario della Spagna, la chiaroveggenza del progresso e le investigazioni della [p. 161 modifica]critica, sembra che venga a provare e rendere credibili ai più ostinati increduli i miracoli dell’Antico Testamento; a dimostrare indubbiamente l’intervento, qualche volta palpabile, del Monarca de’ cieli nelle cose della terra, e dar credito ai castighi temporali de’ popoli sotto l’antica legge, riferiti dai Libri Santi, confermati dalle più remote tradizioni dell’Oriente, e di cui la stessa antichità profana conservò memoria.

Ned ai tempi de’ Patriarchi, nè dopo l’uscita dall’Egitto, sotto i Giudici e i Re, non fu mai che nell’eredità di Giacobbe si manifestasse segno più evidente di questo, con cui scoppiò lampante la collera di Dio nelle solitudini dell’Atlantico.

Nondimeno l’uomo in cui favore parve adempiersi questo giudizio divino, Colombo, allora simile al profeta che avverte gli uomini per dar loro il tempo di pentirsi, non ha mai fatto allusione al suo avvertimento dispregiato: ignorò dapprima, nel proseguire la sua via, il prodigio accaduto, in cui egli aveva figurato in guisa sì conforme al suo carattere di messaggero della salute: ma quando, due anni dopo, conobbe ne’ suoi particolari quella catastrofe, la chiamò col suo nome, un miracolo, e fece notare ai Re che da lungo tempo (forse da secoli) Dio nostro Signore non aveva percosso il mondo con un prodigio così sorprendente37.

La catastrofe, che aperse a quel tragico modo la quarta esplorazione dell’Ammiraglio, percosse di stupore i contemporanei a motivo dell’enormità del disastro: ma, in sostanza, quantunque miracoloso, questo avvenimento non ha per noi nulla che avanzi in istraordinarietà certe circostanze dei precedenti viaggi di Colombo.

La predizione di questa tempesta non ci pare più mirabile dell’annunzio della terra fatto a giorno e quasi ad ora fissa la sera dell’11 ottobre 1492, quando ell’era lungi ancora venti [p. 162 modifica]leghe, ned occhio umano poteva scernerne segno per la immensità delle onde: questo fatto non deve sembrare più strano dell’assicurazione data agli equipaggi esasperati dalla fame e macchinanti eccidio agl’Indiani, che in tre giorni giungerebbero al Capo San Vincenzo, ove giunsero infatti: la qual previsione non è più degna di stupore della scoperta dell’isola della Trinità, appresentatasi a Colombo col segno medesimo del nome che le destinava, prima di escire dal porto.

Nel corso della navigazione, di cui siamo sul compendiare la storia, lo straordinario è così vicino al prodigioso, e il prodigioso circonda così costantemente l’araldo della Croce, che bisogna a forza dimesticarvisi.

Le leggi dell’ordine generale non sono punto interrotte a pro di Colombo: egli non può evitare nè pericoli nè patimenti; nondimeno la maniera con cui supera i pericoli più tremendi, la fiducia che mostra dinanzi alle più paurose estremità non può spiegarsi senza la fede al soccorso invisibile, senza l’assistenza di una forza soprannaturale. Noi lo diciamo fin d’ora colla sincerità di un’intima convinzione: chi non crede al soprannaturale non può comprendere Colombo.


§ V.


L’Ammiraglio passò alquanti giorni ad Azua, per far riposare i suoi equipaggi dalle loro fatiche, e per provvedere ad alcune riparazioni alle tre caravelle ch’erano state maltrattate. I marinari si raccontarono reciprocamente i pericoli da loro corsi, e le manovre che avevano eseguito per uscirne: non erano tranquilli sulla sorte della flotta, partita contra l’avviso dell’Ammiraglio. La piccola squadra andò a fermarsi nel porto Jaquimo, e vi aspettò il buon tempo.

Il 14 luglio, sembrando propizio il mare, l’Ammiraglio prese a via del sud. Ma il vento cesse alquanto e le correnti lo portarono alle Caje Morant, piccole isole sabbiose, ove si procurò acqua dolce facendo aprir buchi nella sabbia. La calma continuò, e la forza delle correnti lo trascinò nel gruppo degli innumerabili isolotti che circondano la costa sud-ovest di Cuba, [p. 163 modifica]da lui scoperta nel suo secondo viaggio, e che aveva chiamati I Giardini della Regina. Quivi trovò buon vento e governo al mezzogiorno verso la parte della terraferma, ove aveva deciso che doveva trovarsi lo stretto.

Egli teneva il sud quarto sud-ovest38. La sua navigazione fu contrariata da uno stato assai strano della temperatura. Il cielo era nuvoloso, il sole velato, le stelle non si mostravano: nonostante la forza e la variazione dei venti, sentiva il mare opporre alla sua andata una forza costante, quantunque irregolare nella sua violenza. Frequenti diluvii di pioggia inondavanlo. Spesso baleni fiammeggianti parevano incendiar l’orizzonte: era mestieri tutta la vigilanza ed energia di volontà dell’Ammiraglio per non deviare. Tuttavia qualche volta il raddoppiamento della tempesta ve lo costringeva; allora, in una sola notte, perdeva la poca via percorsa con tanta fatica in varii giorni. Gli stenti, le veglie, l’umidità complicata di freddo improvviso e di pesante calore, abbattevan ogni coraggio.

L’ardente fede di Colombo superava sola le contrarietà degli influssi esteriori. Occupato del suo disegno, cogli occhi fisi continuamente nel suo scopo, egli non si fermava a numerare gli ostacoli. Il sessantesimosettimo anno cominciava a pesare sopra di lui senza che se ne fosse accorto. La squisitezza de’ suoi sensi non era punto scemata: nonostante i reumi che lo tribolavano, la sua statura, tuttavia ritta, rispondeva maravigliosamente alla maestà della sua fisonomia, raggiante della nobiltà del suo pensiero. Quanto più avanzava in età, e tanto più cresceva in perfezione cristiana. La dolcezza del suo sguardo esprimeva qualche cosa di evangelico. Le fatiche di mare, le tribolazioni, la operosità di spirito, le patite ingiustizie non avevano scavati solchi profondi sovra il suo viso. I suoi capelli, di un bianco lucido, circondavangli la fronte a modo di quella corona di onore di cui parla la Scrittura. Avvolto nell’ampia veste francescana, per dignità di attitudine e di persona, faceva pensare ai patriarchi ed ai profeti di cui ci parla la Bibbia. Lo [p. 164 modifica]si sarebbe detto un re pastore trasportato dall’Idumea o dalla Mesopotamia sulle pianure dell’Atlantico.

L’altezza de’ suoi pensieri, essendo in armonia coi lineamenti del volto, v’imprimeva alcunchè di severo, di mortificato, di cavallerescamente pio; e ne trasparivano santità e grandezza. Colombo infatti non offese mai persona, non proferì mai espressione brutale per affermare, certificare o minacciare, ned usava che un solo modo39 «per san Ferdinando!» Nonostante la sua vivacità, l’Ammiraglio «non mandava mai al diavolo,» nè marinaro, nè strumenti, nè manovre, nè contrarietà di bordo o di atmosfera, come si fa perpetuamente, per abitudine, sul mare.

Penetrato della santità del suo scopo, dell’importanza del dovere, del merito dell’obbedienza, avvertiva delle loro colpe i disobbedienti; minacciava di abbandonare a Dio colui che si ostinava a mal fare, o che per negligenza commetteva qualche mancamento. Essendo sempre Dio l’unico scopo delle sue azioni e de’ suoi pensieri, quando comandava qualche nuova manovra, o ch’esigeva qualche fatica, diceva alle sue genti «siam debitori a Dio40» di far così, e si sforzava di inculcare in que’ volgari intelletti la nozione del dovere, di cui la maggior parte non si dava alcun pensiero. Porgendo fedelmente l’esempio di ciò che raccomandava a’ suoi inferiori di tutt’i gradi, quanto più il tempo era cattivo, tanto più si affratellava coll’equipaggio, incuorando i marinai, sostenendoli collo sguardo o colla voce, incoraggiandoli quanto meglio poteva. Se non riusciva sottrarli alle intemperie di quei paesi sconosciuti, almeno divideva con loro ogni sofferenza. I dolori della gotta non iscemavano la costanza cristiana da cui Colombo era sostenuto.

Per colmo di sciagura, in uscir del porto Jaquimo, ammalò gravemente, e corse pericolo di morte. Il sentimento della sua [p. 165 modifica]malleveria, e dello scopo della sua spedizione sopravvivendo alla deficienza delle sue forze, lo indusse a costruire una piccola cabina sulla parte di dietro, in cui abitare, sicchè dal suo letto dirigeva la via41, e proseguiva a sostener quella lotta gigantescamente sproporzionata contro le forze di un cielo sempre velato e di un mare sconosciuto. Gli equipaggi dimandavano di riparare alla Giamaica od alla Spagnuola: qualunque altro l’avrebbe fatto, non aspettando neppure di esserne richiesto: ma nessuno sapeva meglio di Colombo affrontare gli ostacoli: rianimò le sue genti e aspettò il vento favorevole, che alla fine si levò42.

Allora in poche ore fu vista a mezzodì un’isola attorniata da isolotti: era Guanaja posta innanzi al golfo di Honduras. L’Ammiraglio comandò di riconoscerla. L’Adelantado fece incontanente armar due scialuppe, e scese a terra con un forte drappello: notò gran quantità di pini simili a quelli delle Antille, e alcune tracce d’incivilimento; peroochè si videro crogiuoli destinati a fondere il rame, particelle del quale parvero frammenti d’oro a’ marinai che di nascosto gl’involarono.

In quel mentre si vide arrivare una specie di galera veneziana, larga otto piedi e molto lunga, fabbricata di un solo pezzo. La camera, in forma di gondola, coperta di foglie di palma artisticamente intrecciate e impenetrabili alla pioggia, era piena di mercanzia, pezze di cotone, coperte, camiciuole, accette di rame, spade messicane, vasi di terra e mandorle di cacao. L’Adelantado serrò questa galera fra le due scialuppe, se ne impadronì senza provar la menoma resistenza, e condusse alla Capitana quelli che la montavano43. Erano in essa donne vestite di stoffa di cotone, di cui si coprivano con pudore , e venticinque uomini che portavano una larga cintura intorno alle reni. Non mostrarono alcuno spavento nel vedersi [p. 166 modifica]in potere di quegli stranieri. Colombo gli assicurò con dimostrazioni di bontà, tentò inutilmente di farsi intendere col mezzo de’ suoi interpreti, gl‘interrogò egli stesso per ottenerne qualche notizia, comprese che venivano dall’Yucatan, paese ricco e coltivato; fece acquisto di diversi oggetti del loro commercio, distribuì loro a ricambio bagatelle di cui rimasero ammirati, indi li restituì alla loro nave; ritenendo seco un vecchio nominato Giumbe, che parvegli intelligente e sperto nella navigazione delle coste.





Note

  1. La Storia di Washington Irving, sì incompleta, sì estranea al carattere di Colombo, componesi di 4 vol. in 8.° Humboldt consacrò 5 vol. in 8° a questa Biografia sotto il titolo di Esame critico della Storia della geografia del Nuovo Continente.
  2. “Bien que él sea el mas noble y provechoso.” — Cristoforo Colombo, Lettera ai Re Cattolici, datata dalla Giammaica il 7 luglio 1503.
  3. Più di dieci scrittori francesi che hanno parlato di Colombo per incidenza, perdendo di vista l’Ammiraglio dopo la sua scoperta della Terra-Ferma e la sua prigionia, ci sembrano ignorare assolutamente ilsuo quarto viaggio.
  4. Cartas del Almirante — Lettera autografa dell’Ammiraglio Cristoforo Colombo, diretta il 4 aprile 1502 al R. P. Don Gaspare Goriccio, alta Certosa di Siviglia.
  5. “Las cosas de mi despacho me han cargado tanto que he dejado el resto.” — Lettera autografa dell’Ammiraglio Cristoforo Colombo, diretta il 4 aprile 1502 al R. P. Don Gaspare Goriccio, alla Certosa di Siviglia.
  6. Vedi lo stato degli equipaggi e vascelli, che conduceva per le sue scoperte l’Ammiraglio Cristoforo Colombo. — Relacion de la gente e nacios que llevó á descubrir el Almirante D. Cristobal Colon. — Cuarto y ultimo viage de Colon.
  7. “Fue preso e accusado, de muchos casos, que por cada uno dellos merecia ser fecho cuartos.” — Lettera autografa dell’Ammiraglio a suo figlio primogenito Don Diego, datata da Siviglia il 29 dicembre 1804.
  8. Nel suo ruolo degli equipaggi Diego De Porras ne ha inseriti soli due Giovanni De Cuellar, e Gonzales de Salazar; ma per lo meno ve n’erano quattro, secondo l’uso dell’Ammiraglio. D’altronde lo stato segretamente disposto dal notaio della spedizione, non era un documento ufficiale: ma un‘indicazione fatta a memoria, per suo proprio conto, con vista ostile all’Ammiraglio. Diego de Porras non aveva qualità per possedere un simile documento. Anche riconoscendone l’importanza, noi dobbiamo appuntarvi alcuni errori, e molte ommissioni, che passarono inavvertîte ai biografi di Colombo.
  9. Nel ruolo d’equipaggio del Galiziano, il regio notaro Diego de Porras, non ne conta che 28. Ma egli ha dimenticato i due piloti ed il lombardo Sebastiano.
  10. Strana cosa! ll padre Alessandro fu inscritto sul Ruolo d’equipaggio, non già col titolo di Elemosiniere, ma in qualità di Scudiere. Ecco la sua iscrizione: Fray Alejandre, en lugar de Escudero. — Relacion de la gente é navios que llevó á descubrir el Almirante D. Cristobal Colon.
  11. In adempimento dell’ordinanza dell’Ammiraglialo di Castiglia del 1430, resa da don Fadrique.
  12. “Y con él salí al socorre y fué al puerto.” — Lettera di Cristoforo Colombo, scritta dalla Grande Canaria, al R. P. Gaspard, il 2/a aprile 1502.
  13. Fernando Colombo, Vita dell’Ammiraglio, cap. lxxxviii.
  14. “Agora sera mi viage en nombre de la Santa Trinidad, y espero della la vittoria.” — Cartas del Almirante al R. P. Fray Gaspar.
  15. “Al padre Prior y á todos esos devotos religiosos me encomiendo.” — Cartas del Almirante al R. P. Fray Gaspar.
  16. Parole di Cristoforo Colombo. — ...La tierra y los puertos que yo per la voluntad de Dies, gané á España sudando sangre. ” — Lettera ai Re Cattolici, datata dalla Giammaica il 7 luglio 1503.
  17. Fernando Colombo, Vita dell’Ammiraglio, cap. lxxxiii.
  18. Herrera, Storia generale dei viaggi e delle conquiste dei Castigliani nelle Indie Occidentali, Decade, 1, l. V, cap. ii.
  19. “Globum cum mille amplius homines viderunt atque attrectaverunt.” — Petri Martyris Anglerii, Oceaneœ: Decadis primœ, liber decimus, fol. 24, § d.
  20. Oviedo e Valdez, Storia naturale e generale delle Indie occidentali, lib. III, cap. vii. Ci pare che la cifra d’Oviedo abbia ad essere esatta, perchè questo cronista ufficiale era stato controllore della fusione delle monete d‘oro nelle Indie. Egli s’attenne a riferire esattamente il peso e il valore di questo pepite fenomenale. Egli ricorda che se nella sua memoria scritta a Toledo nel 1525 egli aveva segnata la cifra di tremila duecento, ciò avvenne perché non aveva sott’occhio le sue note, il suo libro giornale; ma che ora, scrivendo la sua storia, trovasi sul luogo, ed ha la propria testimonianza di chi ha veduto questo grano, pesante un po’ più di 5600, compresavi la pietra.
  21. Herrera, Storia generale dei viaggi e conquiste dei Castigliani nelle Indie occidentali, Decade, i, lib. V, cap. ii.
  22. “Bastidas hombre bueno y piedoso con indios.” — Rafael Maria Baralt, Resumen de la historia de Venuezela, t. I, cap. vii, p. 132.
  23. Herrera, Storia generale dei viaggi e delle conquiste de’ Castigliani nelle Indie occidentali, Decade 1, lib. V, cap. ii.
  24. Oviedo e Valdez, Storia naturale e generale delle Indie. lib. III, cap. ix.
  25. “La notte con grandissima oscurità si partirono tre navigli della sua compagnia, ciascun per lo suo cammino.” — Fernando Colombo, Vita dell’Ammiraglio, cap. lxxxviii.
  26. “En el que yo iba, abalumado á maravilla, Nuestro Señor le salvó que no hubo daňo de una paja.” — Lettera ai Re Cattolici datata dalla Giammaica, 7 luglio 1503.
  27. Fernando Colombo, Vita dell’Ammiraglio, cap. lxxxviii.
  28. “I Re provarono grande afflizione per la flotta, e lo manifestarono apertamente... Fecero conoscere a Nicola de Ovando che era loro spiaciuto il rifiuto fatto all’Ammiraglio di ritirarsi nel porto nella stringente necessità in cui versava; e di non aver voluto seguire il suo consiglio, ritenendo la flotta alcuni giorni di più”. — Herrera, Storia generale dei viaggi e conquiste nelle Indie occidentali. Decade 1, lib. V, cap. xii.
  29. “...Che si perdettero per non aver creduto all’Ammiraglio, nè preso consiglio da lui.” — Oviedo e Valdez, Storia naturale e generale delle Indie, traduzione di Giovanni Poleur. — Oviedo ritorna a questo fatto nei capitoli vii, ix e x del III lib. della sua Storia.
  30. Benzoni. — “Qui è da notare quanto la giustizia di Dio permette per castigare la malignità degli uomini e considerare che tutti i nostri tesori e le nostre ricchezze nelle quali tanta fidanza abbiamo, tutte sono sogni e ombre false, ecc.” — La Historia del Nuovo Mondo, lib. I, fogl. xxiv. Venezia, 1572.
  31. Bonnefoux, Vita di Cristoforo Colombo, p. 563, 564.
  32. Humholdt, in una nota, con semplice tocco portò qualche denigramento alla opinione di Las Casas e di Fernando Colombo. Da parte sua, Washington Irving pretende che se i colpevoli furono puniti, a l’innocente cacico Guarionex. toccò l’egual sorte, venendo così confusi gli innocenti coi colpevoli. Or prima di tutto noi faremo osservare, che sotto il punto di vista cattolico, questa objezione è senza valore; poi, che in fatto, Guarionex ostinatamente sordo alla parola evangelica, replicatamente perdonato da Colombo e dall’Adelantado, ingrato verso di loro, istigatore d’assassini, e complice dei sediziosi, non potrebbe nemmeno ad occhio umano comparire innocente.
  33. “No hubo daño de una paja.” — Lettera ai Re Cattolici scritta dalla Giammaica, il 7 luglio 1503.
  34. “Por cuyo motivo podian culparle los que le aborrecian de que havia tramado aquella borrasca por arte magica, para vengarse de Bobadilla y de los demas enemigos suyos que iban en sù compaňia.” — Hernando Colon, Historia del Almirante don Cristóbal Colon, capit. lxxxviii.
  35. “Recede a nobis, scientìam viarum tuarum nolumus.” — Job,cap. xxi, v. 14.
  36. “a Yo tengo por cierto que esto fué providencia divina, porque si arribaran estos á Castilla, jamas serian castigados segun merecian sus delitos, antes bien porque eran favorecidos del obispo, huvieran recibidos muchos favores y gracias.” — Hernando Colon, Historia del Almirante don Cristobal Colon, capit. lxxxviii.
  37. “Grande tiempo ha que Dios Nuestro Señor no mostró milagro tan público.” — Carta del Almirante don Cristobal Colon pediendo al Rey Catolico, nombre á su hijo D. Diego para sucederle, etc. — Suplem. primer. á la coleccion diplom., n° cvi.
  38. Fue la via del Sur cuarta al surneste. — Giornale del notajo reale Diego de Porras.
  39. “Io giuro che mai non lo sentii giurare altro giuramento, che per San Fernando.” — Fernando Colombo, Vita dell’Ammiraglio, cap. iv.
  40. Herrera, Storia generale delle conquiste e viaggi dei Castigliani nelle Indie occidentali, Decade 1, libr. VI, cap. xv.
  41. “Yo habia adolescido y llegado fartas veces á la muerte. De una camarilla, que yo mandé l’acer sobre cubierta, mandaba la via.” — Cuarto y ultimo viage de Colon.
  42. Il P. Charlevoix, Storia di san Domingo, t. 1, lib. IV, p. 237.
  43. Fernando Colombo, Vita dell’Ammiraglio, cap. lxxxix.