Cristoforo Colombo (de Lorgues)/Libro IV/Capitolo II

Capitolo II

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CAPITOLO SECONDO

L’Ammiraglio scopre la Terraferma vicino al Capo Coxinas, giunge al Fiume della Possessione, segue la riva, arriva alla Costa dell’Orecchio. — Contrarietà atmosferiche, patimenti degli equipaggi, guasti delle caravelle. — Sinistro al Fiume del Disastro. — L’Isola Quiribi. — Curiosità dei popoli della riviera. — La baia dell’Ammiraglio. — Gl’indigeni assolgono gli Spagnuoli nella laguna di Chiriqui. — Ricerca dello stretto a Chagres. — L’Istmo di Panama. — Il capo Nome di Dio. — Il Porto delle Provvigioni. — — ll Porto ritiro.

§ I.


Dall’isola di Guanaja l’Ammiraglio si diresse al sud in cerca della terraferma; e l’afferrò presso un capo carico d’alberi portanti una specie di pomo a nocciolo spugnoso, che gli indigeni chiamavano Caxinas, nome ch’ei diede al capo stesso. Appena l’ebbe oltrepassato la tempesta cominciò. Scrosci frequenti d’acqua, improvvisi colpi di vento affaticarono di nuovo la squadra. Tuttavia, la vigilia dell’Assunzione, domenica 14 agosto, l’Ammiraglio, sempre inchiodato nel suo letto, fece scendere a terra l’Adelantado, lo stato maggiore e gli equipaggi per assistere al Santo Sacrifizio celebrato dal padre Alessandro. Non si potè procedere alla solita presa di possesso, perchè bisogno risalire le caravelle e ricominciare il combattimento contro gli elementi. Finalmente il 17 agosto, schiaritosi il tempo, prese terra a quindici leghe dal capo sulle rive di un fiume; e vi eresse a segno d’impossessamento una gran croce. In memoria di questa circostanza il fiume fu chiamato della Possessione, Rio de la Posesion.

La squadra navigava a malgrado del vento sempre contrario, tenendosi a vista della terra. Secondo gli ordini dell’Ammiraglio, la piccola caravella di cinquanta tonnellate, la Biscaglina, si avanzava presso la riva più che le fosse possibile, entrava in tutti i golfi, e nelle baje un po’ larghe, per la tema di non vedere il passo o stretto pel quale Colombo pensava di [p. 168 modifica]dover entrare nei mari del Levante. Durante il giorno non si allontanava mai dalla costa, e la notte andava ad ancorarsi presso terra. La costa è pericolosissima, o almeno la copia d’acqua che cadde, e le tempeste la fecero apparir tale quell’anno1 secondo che scrisse il notaro regio Diego de Porras. Attestando, senza proporselo, con quale costante vigilanza Colombo studiasse la configurazione del Nuovo Continente, scrisse nel suo giornale: «L’Ammiraglio si avanzava sempre senza perdere di vista la terra, come uno che partito dal Capo San Vincenzo andasse al Capo Finisterre vedendo sempre la costa2: se avesse navigato in alto mare non avrebbe sostenuto la metà delle fatiche, nè corsa la quarta parte dei pericoli a cui lo esponeva questa navigazione lungo rive sconosciute. — » Ma bisognava rimaner vicino alla terra per iscoprire lo stretto.

ll tempo non cessava di logorar uomini e navi. Torrenti di piogge, un mare agitato, correnti contrarie non davano requie dacchè avevano abbandonati i Giardini della Regina. Talvolta si fermavano per alcune ore su certe coste affine di osservarne gli abitanti e le produzioni: videro popolazioni che parlavano diversi idiomi, ma non intendevano che imperfettamente quello del vecchio indiano, l’interprete Giumbe: gli uni, dipinti in varie parti del corpo, teneansi ad onore di mostrare sulle loro membra figure di leopardi e di cervi; altri indossavano camiciuole di tela dipinta, e corazze di cotone. I maggiorenti recavano il capo adorno di un berretto di cotone bianco, o lo cingevano di una fascia di cotone rosso: alcuni s’erano pensati ornarlo con un gran ciuffo di capelli. Ne’ giorni [p. 169 modifica]di cerimonia, gli uni si impiastravano il volto di nero, gli altri lo tingevano di rosso; questi tiravano linee sulla fronte, quelli coloravano il giro degli occhi. Questi capricci di toeletta e di pretensione avevano colpito di stupore il giovane Fernando Colombo, il quale scriveva trent’anni dopo: «credono di essere perfettamente belli in questi differenti stati, e invece sono spaventevoli come diavoli3

Avanzando verso l’est, videro tribù in cui gli uomini, affatto ignudi, si cibavano di pesci crudi e di carne. La loro bruttezza, e la ferocia del loro sguardo appalesavano quella dei loro costumi: il vecchio Giumbé gli additò per antropofagi: scontrarono più all’est una popolazione notevole per la larghezza e la divisione delle orecchie. Uomini e donne esageravano questo genere di bruttezza, traforandosi gli orecchi con un buco tanto largo da farvi passare un uovo: empievano quel vuoto con un osso od un sasso liscio. Questa singolarità fece chiamar il sito la Costa dell’Orecchia.

Ma siffatte osservazioni erano accidentali e brevi, perchè le molestie del mal tempo non avevano mai dato tregua.

Il mare sempre contrario costringeva a continue fatiche, e il cielo pareva aumentar semprepiù i suoi rigori. De’ marinai la maggior parte era malata o cagionevole. L’asprezza de’ venti, la violenza de’ flutti, e non veder mai sole scoraggiavano gli spiriti più fermi. Le pioggie dirotte avevano fatto marcir le vele. Si erano perdute alcune ancore, alcune scialuppe e la maggior parte delle provvigioni. In ogni caravella stavano aperte vie d’acqua; ed era tale la gravità della situazione, che ad ogni sorvenire di tempesta, tutti si tenevano perduti. L’equipaggio della Biscaglina si era preparato alla morte e aveva ricevuto dal padre Alessandro gli ultimi sacramenti. Nelle altre navi i marinai, privi dei soccorsi della Chiesa, vedendosi all’estremità, imploravano il perdono delle loro [p. 170 modifica]colpe, e si confessavano gli uni agli altri. Non ve ne fu neppur uno, grande o piccolo, che non si legasse con qualche voto particolare, o non promettesse di far qualche pellegrinaggio4. Fra’ servi dell’Ammiraglio alcuni si obbligarono ad abbracciare la vita monastica, se sfuggivano a quella morte imminente.

Queste scene di desolazione si ripeterono più volte tramezzo le minacce dell’Oceano.

Lo stesso Cristoforo Colombo confessa quanto era oppressivo quello stato di agonia: «Noi patimmo d’altre tempeste, ma nessuna è stata cotanto spaventevole, nessuna ha durato sì a lungo; dimodochè molti de’ miei, che erano tenuti in conto d’intrepidi, perdettero interamente il coraggio5.» Quanto a lui, ciò che l’opprimeva, era sopratutto vedere che aveva esposto il suo giovanetto figlio a que‘ patimentì, e sapere sulla più cattiva nave il suo fratello l’Adelantado, che repugnante s’era condotto a quel viaggio, ned aveva consentito ad accompagnarlo, che per arrendevolezza a’ suoi desiderii: rimproverava a se stesso la loro sciagura. Un’altra pena lo tribolava: pensava al suo primogenito don Diego, da lui lasciato in Ispagna, e che si troverebbe orfanello, e forse spogliato degli onori e dei diritti che gli spettavano pel suo maggiorasco. Per buona ventura, il giovane Fernando, anzi che opprimerlo col proprio dolore, prendevasi di lui ogni maggior cura e spiegava una fermezza superiore alla sua età. Colombo scriveva: «Nostro Signore gl’infuse coraggio tale ch’era lui che incoraggiava gli altri, e quando si trattava di porre le mani all’opera, operava come avesse navigato ottant’anni; ond’era la mia consolazione6[p. 171 modifica]

Oltre la violenza dell’atmosfera, gli bisognava combattere una forza costante e regolare, la massa d’acqua che affluiva in senso opposto alla sua via, e ch’ei paragonava giustamente ad un fiume marino: era la gran corrente equatoriale da lui sì maravigliosamente scoperta nel suo precedente viaggio; la cui forza di resistenza spiegavasi così efficace, che, in una navigazione di sessanta giorni, si poterono percorrere appena settanta leghe7. A forza di perseveranza, il 14 settembre, giunsero finalmente al promontorio che voltava tutto ad un tratto dall’est. Appena l’ebbero valicato colsero un buon vento, e poterono correre al sud. In nome degli equipaggi l’Ammiraglio ringraziò Dio di quell’improvviso temperamento ai loro mali. In segno di gratitudine quel capo ricevette il nome di Grazie a Dio, che porta tuttodì.

Qui l’interprete indiano, il vecchio Giumbé, che aveva avuto la sua parte di patimenti, fu congedato con doni, e parve soddisfatissimo della munificenza dell’Ammiraglio.

Continuando sempre la sua esplorazione delle rive, e la ricerca dello stretto, Colombo seguiva la costa di Mosquitos. Le caravelle avevano mestieri di raddobbo, gli attrezzi bisognavano di riparazione, e gli equipaggi di riposo: andarono alla ricerca di un luogo favorevole. Siccom’era urgente rinnovare l’acqua e far legne, il sahbato 17 settembre si fermarono all’imboccatura di un largo fiume, e risalironlo, per vettovagliarsi, i canotti della Capitano e della Biscaglina: quando ebbero fatto il loro carico, tornarono. alle caravelle. In quella, un violento colpo di mare invase nel fiume, e ne cacciò insù la corrente, ch’era larga e rapida: i due battelli n’andarono sollevati e avviluppati tra le spume vorticose: quello della Biscaglina, ch’era di una [p. 172 modifica]costruzion più leggera, affondò non ostante l’abilità del bravo contro mastro Martin de Fontarabia e dell’aspirante Michele di Lariaga: non ricomparve nessuno di que’ che lo montavano: il canotto della Capitana arrivò col suo carico. Questa perdita fu vivamente sentita da tutti gli equipaggi, e principalmente dall’Ammiraglio. Nella sua afflizione chiamò quel luogo «il Fiume del Disastro.»


§ II.


Questa diminuzione di braccia sulla Biscaglina obbligo a scemare il personale delle altre caravelle, che bastava già appena alle manovre. Tutti erano rifiniti da due mesi di fatiche incessanti. Per buona ventura, la domenica 25 settembre, tra la piccola isola Quiribi e la terraferma fu scoverto un luogo eccellente per ancorarsi, posto in faccia alla borgata chiamata Cariari, la quale presentava una deliziosa prospettiva. Un fiume vi mantenea ricca vegetazione, e vi lussureggiavano le forme più pittoresche della natura equinoziale. La bellezza del cielo, la magnificenza del sito, le balsamiche emanazioni di quella verzura rendettero le forze all’Ammiraglio. Egli contemplava coll’ardente curiosità del naturalista, e coll’ebbrezza del poeta l’intimo carattere di que’ luoghi. Il sito er’acconcio al raddobbo delle caravelle. Appena giunti, cominciarono con turare le vie d’acqua, riparare gli attrezzi, e far asciugare le provvigioni che la temperatura e l’acqua del mare avevano guaste. I marinai preferirono, cotanto erano stanchi, di rimanere sui loro letti anzi che correre alla riva. La dimane l’Ammiraglio non diede il permesso di discendere. Gl’indigeni, radunati colle loro frecce, i loro giavelotti in legno di ferro, e le loro clave o macañas, per opporsi all’invasione degli stranieri, vedendo che non uscivano dalle navi, nè pareva si occupassero di loro, ristettero dai bellicosi apprestamenti. La curiosità la vinse poi sulla diffidenza: si accostarono facendo segni di pace e mostrando agli Spagnuoli coperte di cotone, camiciuole dipinte ed armi. I più ardimentosi gettaronsi a nuoto e vennero a proporre scambi.

Volendo dare un’alta idea della grandezza e della generosità degli ospiti che arrivavano in que’ luoghi, l’Ammiraglio vietò [p. 173 modifica]ogni specie di traffico: regalò agl’indigeni le solite bagatelle, e non volle accettar nulla in ricambio. Le genti di Cariari fecero segno agli Spagnuoli di andare alla riva; ma vedendo inutili i loro inviti e le loro istanze, tennero consiglio fra loro; e sia che la loro alterezza si offendesse del rifiuto di lor doni, sia che credessero di vedere una ingiuriosa diffidenza delle loro intenzioni, risolvettero di non ricevere alla lor volta i presenti di quegli sconosciuti: perciò li ammucchiarono sulla riva e ve li lasciarono. La mattina del mercoledì, avendo l’Ammiraglio conceduta la licenza a’ marinari di scendere a terra, il primo oggetto che cadde loro sotto gli occhi fu quel cumulo degli oggetti donati e respinti8.

Onde eccitare gli stranieri misteriosi a scendere, e per attirarsi la loro confidenza, le genti di Cariari deputarono un vecchio che portava una specie di stendardo di pace in cima ad un bastone, e recava, qual presente all’Ammiraglio, due giovanette adorne di tutti i lor acconciamenti, e segretamente provvedute di polvere magica. La più avanzata in eta non aggiungeva agli undici anni: ambedue mostravano tale impudenza, che la maggiore non avrebbero potuto ostentare provette prostitute. Il vecchio le collocò in una scialuppa che veniva dall’aver fatto acqua, e pregò i marinari di condurle alle caravelle. L’Ammiraglio lor diede vesti, bagatelle, da mangiare, e la sera le rimandò. Siccome la spiaggia fu trovata deserta, la scialuppa dovette ricondurle a bordo. L’Ammiraglio prese gli occorrenti provvedimenti per sicurar loro una notte tranquilla. La mattina le restituì a terra; ma alcune ore dopo, quando i canotti tornarono a riva, le due fanciulle accompagnate da molti testimoni restituirono tutto quello che avevano ricevuto in dono.

La dimane, l’Adelantado discese a terra per informarsi del paese. Due principali del vicinato vennero ad incontrarlo prima che uscisse dal canotto, lo presero rispettosamente nelle loro braccia e lo condussero sopra una seggiola d’erba. L’Adelantado fece assai dimande, alle quali furono date benevola risposte: temendo di non poterle ricordare esattamente, don [p. 174 modifica]Bartolomeo comandò al segretario maggiore della flotta, Diego Mendez, di scriverle immediatamente. Quando gl’Indiani videro vergare sulla carta caratteri neri, sospettaron artifizio di magia: paura li prese, fuggirono e credettero di render nullo il maleficio gettandosi al dissopra del capo, dal lato degli Spagnuoli, una polvere, che il vento spingeva verso di loro9. Nella sua orgogliosa suscettività, e nella sua corruzione, questo popolo pareva molto addentrato nell’arte magica10: gli abitanti della costa portavano talismani, praticavano l’imbalsamamento, rizzavano monumenti ai defunti, e ornavano le loro tombe di scolture rappresentanti figure d’animali, ed anche informi ritratti dei morti.

Appena terminata la riattazione delle caravelle, l’Ammiraglio, prima di mettere alla vela, prese per interpreti due indigeni. I loro parenti, afflitti per quella cattività, mandarono quattro di loro a trattare del riscatto, i quai recarono copia di pietre preziose. L’Ammiraglie fece loro doni, ma non rendette gl’interpreti. I quattro deputati raccontarono il niun successo della loro legaziene: l’imbarazzo fu grande per quelle povere genti; non sapevano più che cosa dare al gran capo degli stranieri. Le pietre preziose non erano riuscite: il loro presente delle due fanciulle era stato rifiutato precedentemente: imaginarono di offrire piccoli maiali selvaggi, estremamente feroci, nominati pecaris11: l’Ammiraglio gli accettò, e diede a ricambio altri oggetti, ma non rendette i due interpreti ll mercoledì, 5 ottobre, l’Ammiraglio levò le ancore, [p. 175 modifica]dirigendosi verso il sud senza perdere di vista la riva: andava lungo la costa di Mosquitos, chiamata oggidì Costa Rica, a motivo della ricchezza delle sue miniere d’oro e d’argento. Avanzando, entrò in un golfo tagliato da più isole, che formano negl’intervalli piccoli canali profondi e senza scogli. Gli alberi giganteschi delle rive, intrecciando i rami delle loro alte cime, formavano come gran viali, sotto il cui vôlto passavano agevolmente le antenne della squadra. La freschezza e l’ombra odorosa delle foreste ricreavano gli equipaggi. Questo golfo leggiadro era la baia di Cerabaro, oggidì indicata sulle carte sotto il nome di Baia dell’Ammiraglio.

Scendendo a terra videro venti canotti tirati in secco, i cui proprietari si divertivano lietamente nei boschi: costoro erano ignndi, e portavano al collo piastrelle d’oro: il loro timore si dissipò quando ebbero veduti i due interpreti. Invitato da questi, uno degli isolani cambiò contra tre sonaglietti uno specchio d’oro: questo fu il primo luogo, dopo il Capo Caxinas, ove fu visto oro fino12.

Una ubertosità favolosa allegrava quella terra: i pesci, gli uccelli, il selvaggiume, le radici, i grani, gli alberi da frutti, i fiori vi si miravano a profusione. Non cedendo alla seduzione, l’Ammiraglio volle andare sino al fondo del golfo, e trovò là un terreno disuguale e disseminato d’abitazioni costrutte sui punti culminanti: vide canotti pieni di Indiani cinti la fronte di corone di penne di uccelli, e di artigli di belve, e adorni il collo di foglie d’oro; ma invece di barattarle velonterosi, come facevano gli isolani, attribuivano loro gran pregio e rifiutavano di spogliarsene. L’Ammiraglio gl’interrogò sulla natura del paese e dei luoghi vicini; e venne a sapere che traevano l’oro da una regione posta verso mezzodì.

Essendo le caravelle entrate in una gran baia, oggi chiamata Laguna di Chiriqui, Colombo vi si procacciò notizie che confermarono le già ricevute: si allontanò da quelle rive, e si volse lungi dagli isolotti all’alto mare, per navigare più liberamente. [p. 176 modifica]Tuttavia osservava attentamente la riva: dopo averla costeggiata dodici leghe, vide l’imboccatura di un fiume, e mandò le scialuppe a prenderne cognizione. Approssimandosi alla spiaggia, gli Spagnuoli mirarono una schiera di circa dugento Indiani armati che venivano ad opporsi alla loro discesa, mentre il romore delle conche marine e dei tamburi di legno, risonando nelle foreste, convocava altri difensori. A misura che gli Spagnuoli si accostavano alla riva, gli Indiani furiosi parevano voler venire ad incontrarli; sputavano erbe masticate in segno di dispregio, entravano nell’acqua sino alla cintola per tirare più da vicino lor dardi e giavellotti. Secondo le istruzioni di Colombo, gli Spagnuoli soffrirono pazientemente quest’insulti, non vi rispondendo che con segni di pace. A poco a poco gl’indigeni si calmarono, e finirono per cambiare diciasette specchi d’oro contro sonaglietti, il cui suono gli allegrava forte13. La sera i canotti raggiunsero le caravelle, e tornarono l’indomani per continuare gli scambi; nell’accostarsi videro sotto gli alberi indigeni, che avevano passata quivi la notte per timore di una sorpresa: gli Spagnuoli li chiamarono, ed essi non risposero: dal canto loro gli Spagnuoli stettero immobili nelle scialuppe. Gl’indigeni, pigliando quella calma per codardia, risolvettero liberarsi di siffatti importuni visitatori: batterono il tamburo e scagliarono frecce: onde finir presto l’assalto, gli Spagnuoli tirarono un colpo di balestra, ed un di cannone. ll fragore produsse tale spavento fra gli indigeni, che le armi caddero loro di mano e fuggirono nel profondo de’ boschi. Allora quattro Spagnuoli discesero, e li chiamarono; tornarono e cambiarono tre specchi d’oro, i soli che avessero, non essendo là venuti che per combattere.

Da queste spiagge la squadra si avanzò verso levante, passò dinanzi a Cobrava, e vide cinque grandi borgate poste in riva a fiumi: ivi ebbe notizie sull’oro: seppe che gl’Indiani raccoglievano a Veragua l’oro di cui facevano gli specchi, e che Veragua non era lontana. Gl’interpreti indiani assicurarono che là finiva la terra dell’oro. [p. 177 modifica]

§ III.


Qualunque uomo amico delle grandezze, sapendo che la possessione delle miniere procaccerebbegli il favore della corte e chiuderebbe la bocca a’ propri nemici, sarebbesi dato, anzitutto, pensiero di rinvenire il paese dell’oro, prenderne possesso, e tornare in Ispagna, per ripartirne tosto con forze sufficienti ad occuparlo: ma Colombo, inteso a scoprire lo stretto, non volle tornare indietro per miniere che risguardava già come sue: partì, non ostante i torrenti di pioggia che lo molestavano, onde continuare il suo viaggio.

Trovavasi giunto precisamente al luogo, che a Granata, sotto le volte dell’Alhambra, aveva presagito dovergli aprire il passo al mare del mezzodì. Egli faceva praticare dalla Biscaglina le più attente esplorazioni delle coste sul littorale di Chagres, in faccia a Panama: presentiva quel punto geografico, da tre secoli e mezzo oggetto di tanti studii diligenti e perseveranti per parte degli odierni geologi: si ostinava a voler trovare lo stretto là dove, a malgrado che non esistesse, i bisogni dell’incivilimento lo reclamano, e sollecitano tuttodì; lo cercava ne’ luoghi cui una configurazion particolare sembra aver preparato per la sezione delle due grandi regioni del continente americano: diresti che la natura si è improvvisamente arrestata nella sua opera per ordine dell’Altissimo, il quale riservò senza dubbio all’umanità l’apertura di quel passaggio siccome prodigio del suo genio ed ultimo termine della sua possanza. L’Ammiraglio cercava, dunque, lo stretto, non all’estremità delle contrade australi, ove si trovava, ma là dove doveva essere, e dove sarà: il rivelatore della creazione ne additò il luogo.


§ IV.


Non avendo trovato lo stretto a Chagres, Colombo continuò le sue ricerche; poichè, a rigore, quello stretto poteva trovarsi altrove. Seguì la costa a levante, e il 2 novembre, essendo passato fra due piccole isole, andò a gettare l’áncora in un porto [p. 178 modifica]sicuro e comodo cinto da terre coltivate, animate da graziose abitazioni, alcune delle quali erano dipinte14. Alberi da frutti circondavano quelle case, ombreggiate da magnifiche palme e imbalsamate dagli ananas e dalle vaniglie. Colombo diede a questo porto il nome della sua qualità, e lo chiamò Bel Porto (Puerto Bello). Gl’indiani dei dintorni recarono copia di frutti e di cotone lavorato; ma, ad eccezione di un capo e di sette principali, dalle cui nari pendevano fogliuzze d’oro, nessuno di essi possedeva di siffatto metallo. Il loro lusso consisteva in un impiastro rosso: il capo si era riservato il color nero. Fu mala ventura che grandi e violenti acquazzoni guastassero la giocondità della prospettiva. La pioggia trattenne le navi nel porto sette giorni: finalmente il mercoledì 9 novembre, non ostante lo stato del cielo, rimisero alla vela per continuare l’esplorazione della costa.

Senza saperlo, andavano lungo l’istmo di Panama.

Dietro le montagne, che limitavano la visuale, si distendeva l’Oceano Pacifico: e, come avesse udito il mormorare del gran mare, Colombo si ostinava a trovare un passo che vel conducesse: lottando contro il vento, giunse all’altezza del Capo Nome di Dio, (Nombre de Dios). Ma verso quel punto la burrasca l’assalì per modo, che dovette gettar le ancore nel più vicino rifugio.

Scelse un ricovero su costa ch’era ben coltivata, e forniva copia di frutti, di radici, sopratutto di mais, sicchè la chiamò il Porto delle Provvigioni. Rimase là fino al 23 novembre. Ripartì continuando il riconoscimento delle coste. Su d’una spiaggia chiamata Guaigua osservò da trecento indigeni che apportavano gioieli d’oro e viveri per fare scambi: ma, premuroso di giungere allo stretto, non fuorviò: tuttavia, tre giorni dopo, la forza del vento lo costrinse ad entrare nel primo porto che trovò, una baia stretta, la cui apertura, più stretta ancora, offriva solamente il vantaggio di rompere la forza delle onde. Le caravelle erano sì vicine alla spiaggia che i marinai d’un salto potevano scendere a terra: i dintorni presentavansi piani e [p. 179 modifica]scoperti, per diffetto d’alberi. Le piante acquatiche, le alte erbe formicolavano di alligatori ch’esalavano un forte odore di muschio, sdraiati al sole. Per nove giorni il cattivo tempo ritenne la squadra in quel luogo che l’Ammiraglio chiamò (el Cabinet) la Ritirata.

Gl’indigeni, miti e fidenti, giunsero recando viveri e ornamenti d’oro, intavolando contrattazioni di cambi sotto la sorveglianza dell’Ammiraglio. Per malaventura, protetti dalla disposizione dei luoghi, alcuni marinai, deludendo la vigilanza degli ufficiali, fuggirono la notte, andarono nelle capanne, ove erano dianzi stati accolti ospitalmente, e vi si bruttarono di violenze che ne irritarono gli abitatori: vennero questi ad assalire le caravelle. L’Ammiraglio fece di tutto per evitare lo spargimento del sangue: invano tentò acquetarli: divennero tanto più arditi, quanto maggiore era la dolcezza che lor si mostrava: Colombo volle intimorirli con una scarica di cannone a polvere: ma abituati ai fragori più spaventevoli del tuono, risposero a quella scarica con insulti, battendo la terra e gli alberi colle loro clave: allora, a suo gran malincuore, l’Ammiraglio fece pigliar di mira dal primo mastro cannoniere Matteo, con un cannone di grosso calibro, il luogo ove i selvaggi stavano riuniti: quando ebbero veduto l’effetto di quel colpo, fuggirono tremanti dietro le montagne.





Note

  1. “Nunca de la costa desta tierra se apartó dia, e todas las noches venia á surgir junto con tierra: la costa es bien temerosa, ó lo fizo parescer ser aquel año muy tempestuoso, de muchas aguas é tormenta del cielo.” — Diego de Porras, Relacion del viage é de la tierra agora nuovamente descubierta per el almirante D. Cristobal Colon.
  2. “Iba contino viendo la tierra, como quien parte de cabo de San Vincente hasta el cabo de Finisterre, viendo contino la costa.” — Diego de Porras, Relacion del viage é de la tierra agorra nuevamente descubierta por el almirante D. Cristobal Colon
  3. Fernando Colombo, la vita di Cristoforo Colombo, e la scoperta da lui fatta nelle Indie occidentali, volgarmente detta il Nuovo Mondo. Traduzione in francese dal provenzale Cotolendy, t. II, cap. xxviii., presso Claudio Barbin, 1681.
  4. Cristoforo Colombo. — “Y todos contritos y muchos con promesa de religion, y no ninguno sin otros votos y romerias. Muchas veces habian llegado á se confessar les unos à les otros.” — Lettera ai Re Cattolici, datata dalla Giammaica il 7 luglio 1503.
  5. “Otras tormentas se han visto, mas no durar tanto ni con tanto espanto. Muchos esmorecieron, harto y hartas veces que teniamos por esforzados.” — Cristoforo Colombo, ivi.
  6. “Nuestro Señor le dió tal esfuerzo que él avivaba á los olros, y en las obras hacia él, como si hubiera navegado ochenta años, y él me consolaba. — Cristoforo Colombo, Lettera ai Re Cattolici datata dalla Giammaica il 7 luglio 1503.
  7. Cristoforo Colombo. — “Combati con ellos sesenta dias, y en fin no le pude ganar mas de setenta leguas.” — Pietro Martire constata con un errore la violenza di questo corrente. — “Tantam scribit vim fuisse oppositi torrentis Oceani, quod diebus quadraginta lequas vix potuerit septuaginta percurrere.” — Petri Martyris Anglerii, Oceaneœ decadis tertiœ, liber quartus, fogl. xlix, § d.
  8. Fernando Colombo, Vita dell’Ammiraglio, cap. xci.
  9. Fernando Colombo, Vita dell’Ammiraglio, cap. xli.
  10. “En cariay, y en esas tierras de su comarca son grandes fechiceros y muy medrosos.” — Cuarto y alltimo viage de Colon.
  11. Begare que asi se llama adonde estaba.” Nell’idioma del paese si appellavano begare o pecare; donde noi abbiam fatto pecari. Secondo l’illustre Cuvier questo genere di porco differisce dai nostrali, “per un orifizio glanduloso aperto sul dosso, per le sannie corte e diritte che non sortono dalla bocca e pel difetto di coda e di un dito interno nel piede di dietro.” Cuvier, Annotazioni al quarto viaggio di Cristoforo Colombo, tradotto dalli signori Verneuil e de la Roquette, membri dell’Accademia reale spagnuola di Storia.
  12. Diego de Porras, Relacion del viage é de la tierra agora nuevamente descubierta por el Almirante D. Cristobal Colon.
  13. Fernando Colombo, Vita dell’Ammiraglio, cap. xcii.
  14. Fernando Colombo, Vita dell’Ammiraglio, cap. xcii.