Come l'onda/IX
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NELLA PENSIONE.
IX.
Giorgio Pintaura era seccato di dover mutare pensione, se la noia notturna di quel suo vicino di camera non cessava.
Di carattere mite, buono, incapace di dare il minimo fastidio a nessuno, non avrebbe voluto neppur lagnarsene con la signora Marianna tanto premurosa pei suoi cinque pensionanti, da lei chiamati «figliuoli» nonostante alcuno tra di essi fosse molto più vecchio di lei.
Ma da parecchie settimane in qua quel signor Torriani era diventato assolutamente insopportabile. Che chiacchierasse a distesa, durante la colazione e il desinare, a lui, Giorgio Pintaura, non faceva nè caldo nè freddo. Silenzioso per natura, gli piaceva di star ad ascoltare, specialmente quando chi parlava era di quelli che tengono desta l’attenzione per le cose che dicono e pel modo con cui le dicono. Il signor Torriani era di questi, quantunque avesse la fissazione di discutere tutti i fattacci riportati dai giornali.
Perciò nella pensione veniva chiamato il Pubblico Ministero. Le sue strampalerie divertivano, e anche le osservazioni assennate che talvolta gli scappavano di bocca, per quella specie di stizzosa ironia con cui venivano espresse.
Danzini soleva dire:
— Le chiacchiere del Torriani aiutano la digestione.
Aveva letto in un giornale qualcosa di simile e si compiaceva di ripeterlo.
Gli altri, spesso, discutevano, facevano da avvocati contro il Pubblico Ministero, per provocarlo, per fargliene dire delle più grosse e riderne....
Lui, Pintaura, intanto, mangiava zitto zitto, comodamente, le pietanze, non molto abbondanti, che la signora Marianna mandava dalla cucina; sbucciava l’arancia o la mela, rappresentanti la frutta con costante vicenda di cui nessuno si lagnava, e, all’ultimo, acceso il mezzo toscano riserbato alla colazione, rimasto là alcuni minuti ad ascoltare, coi gomiti su la tavola e la testa tra le mani, salutava e andava via, senza curarsi se il Pubblico Ministero avesse o no terminato la sua discussione.
Ma che poi il Torriani volesse continuare il suo ufficio anche la notte per ore e ore di seguito, dimenticando che dietro l’uscio intermedio tra le due camere c’era un povero diavolo stanco dal lavoro giornaliero di impiegato contabile e desideroso di dormire sei, otto ore filate, no; questo non poteva tollerarlo, assolutamente!
E intanto, tre, quattro volte durante la nottata, gli toccava di sentirsi svegliare dai soliloqui del signor Torriani, che non aveva l’amabilità, l’educazione di farli sottovoce. Era inutile tossire con insistenza in maniera da far comprendere che nella camera accanto qualcuno fosse stato indelicatamente svegliato. Il Pubblico Ministero continuava con pochi intervalli di riposo, con violente riprese. Soltanto quando dagli scuri mal connessi della finestra cominciava ad insinuarsi la fioca luce dell’alba, il Torriani, si chetava. Pintaura, che doveva fare ogni sforzo a fine di non riaddormentarsi e trovarsi in orario all’ufficio, lo sentiva russare, e sapeva che si sarebbe svegliato pochi minuti avanti di andare a sedersi a tavola per la colazione.
Si decise finalmente di lagnarsene con la signora Marianna, mentre sorbiva il caffè prima di uscire di casa.
— Non reggo più! A me il sonno fa più del mangiare. Vado all’ufficio mezzo sbalordito; e i miei colleghi mi canzonano, immaginando chi sa che nottate!
— Sarà una malattia, come quella dei nottambuli; a lui dà a discorrere....
— Si curi, e vada a discorrere altrove! O dovrò andarmene io.... con mio grande dispiacere!
— Non ci mancherebbe altro! È da me da parecchi anni, tra i primi miei pensionanti. Puntualissimo, a ora fissa, si può dire, e niente esigente.
— Ma che mestiere fa? Ne sa nulla lei? Non ha preso informazioni?
— Ah, per me l’importante è che il pensionante paghi senza ritardi, e che sia persona pulita. Intorno alla pulizia non transigo. Pel resto, capisce, bisogna chiudere un occhio, purchè non si facciano sconvenienze in casa mia. Se si dovesse cercare il pel nell’ovo si starebbe freschi!
— Come si rimedia? Lo avverta.
— Ma che cosa dice? Parla a voce alta?
— Altissima; con lo spessore dell’uscio però non si capisce niente!
Pintaura parecchie volte era saltato giù dal letto per ascoltare che diamine diceva Torriani, discutendo, quasi leticasse con qualcuno. Ma aveva afferrato soltanto poche parole, monosillabi la più parte, esclamazioni, da non poterne ricavare nessun senso. Avesse, almeno, potuto appagare la curiosità di sapere che stupidaggini, peggiori forse di quelle buttate fuori a colazione a desinare, si divertisse Torriani a declamare nella nottata!
Neppure questa piccola sodisfazione! E per ciò quella mattina aveva, finalmente, dichiarato alla signora Marianna:
— O dovrò andarmene io!
⁂
Che Torriani fosse un uomo un po’ misterioso si capiva anche dall’aspetto. Quel barbone nerissimo che saliva a mangiargli le gote fin sotto gli occhi, quelle folte sopracciglia ch’egli aveva cura di dividere sopra il naso strappando i peli intermedi — e si vedeva — ; gli occhi foschi, le labbra umide e un particolar modo di girar attorno la testa e gli sguardi, sospettosamente, mentre parlava; la sua voce grossa, cupa; i suoi gesti, a scatti, tutto insomma ispirava un’inconsapevole diffidenza in colui che lo vedeva la prima volta.
Dopo, l’impressione si modificava un po’, specie nelle persone che continuavano ad avvicinarlo in intime circostanze come i suoi compagni di pensione. Ma, anche in essi si ridestava, di tanto in tanto la sensazione primitiva, di qualcosa di misterioso nella vita, ora regolarissima, quasi monotona, di quell’uomo.
Vedendolo interessarsi, in modo speciale, dei fattacci riferiti dalle cronache dei giornali, Danzini un giorno aveva espresso la sua convinzione che Torriani fosse stato poliziotto. Ronchelli non aveva taciuto il suo sospetto che potesse essere, più probabilmente, una spia travestita, arrivando fino a dubitare della realtà di quella folta e nerissima barba, che aveva tutta l’apparenza di esser finta. D’Arco aveva detto:
— È un povero diavolo contento di vivere con poco, pur di non fare niente. Lasciamolo in pace.
— Chi lo tocca? — rispose Ronchelli.
E così Torriani potè ancora sfogarsi con le sue requisitorie e divertire i commensali.
Il male era che il povero Pintaura ora, con l’idea di esser da lì a poco svegliato, si voltava e rivoltava nel letto riuscendo stentatamente ad addormentarsi.
Ed ecco Torriani che comincia: prima con parole brevi, quasi sgridasse qualcuno entratogli in camera, e poi, incalza, con domande e risposte fatte da sè, (si capiva benissimo dall’intonazione della voce) fino a certi impeti in cui sembrava che la parola non riuscisse a prodursi intera, e finisse con un rantolo.
Una sera al caffè Raimondi, Pintaura, se n’era lagnato con un amico impiegato nei Telegrafi.
— Se vuoi avere la sodisfazione di sentire quel che il tuo vicino dice, c’è un mezzo facilissimo — aveva risposto il telegrafista. — Farai un buco nell’uscio, un buchettino, anzi, che durante il giorno puoi tenere tappato. Poi ti foggerai un portavoce, un corno acustico, con mezzo foglio di cartoncino bristol, così....
Fece la prova servendosi di un giornale. A Pintaura sembrava che l’amico si burlasse di lui.
— Te lo costruirò io; sarà meglio. Veramente, ti insegno il mezzo di praticare una brutta azione; ma giacchè cotesto signore non ha, da parte sua, la minima delicatezza.... sarà un divertimento; devi però mettermi a parte delle scoperte che farai. La prima notte che il corno acustico fu al posto, Pintaura non si svestì per andare a letto; si sdraiò su una poltrona vicino all’uscio a cui era addossato il lavamano, accese un sigaro, spense il lume e stette in attesa ancora incredulo del risultato.
Tutt’a un tratto trasalì. Si udiva, quasi fosse nella camera, la voce di Torriani.
— Ancora? Ancora?... Non è bastato dunque di strofinar la soglia dell’uscio con aglio verde per impedirti di entrare? Hai sofferto.... e sei entrata!... No, no! Là.... non verrò mai! Mi fai orrore.... più di quando eri viva!
Con chi parlava dunque? Pintaura si sentì gelare il sangue. Non era uno spirito forte. Ma quantunque pensasse che Torriani poteva essere in preda a una potente allucinazione, pure sentì afferrarsi dalla paura di dover assistere a qualcosa di anormale. Avrebbe voluto rizzarsi in piedi, strappare dal buco il cono di cartoncino, che funzionava da cornetto acustico e impedire la recezione delle parole di Torriani; ma gli parve di essere inchiodato sulla poltrona da una forza superiore.
Torriani riprendeva:
— Come avvenne?... Ma lo sai, da un pezzo. Devo ripetertelo, perchè io ne soffra?... No, non ne soffro.... Ho fatto quel che dovevo; tornerei a farlo daccapo.... se fosse possibile.... Tu, tu, infame!... dovresti soffrire ricordando!... Si vede che, morta, sei peggiore di viva.... Non avvicinarti!... Non toccarmi!... Mi fai ribrezzo! No! No!
Giorgio Pintaura respirava appena. Il corno acustico rendeva così forte, così chiara la voce di Torriani, che il povero impiegato contabile avrebbe voluto accendere un fiammifero per assicurarsi che quello non fosse realmente entrato in camera di lui aprendo con violenza l’uscio intermedio. Avrebbe però dovuto spostare anche il lavamano, far un po’ di rumore.... E intanto Pintaura tentava di raccapezzarsi intorno alle poche cose udite. Si trattava di un dramma, di un terribile dramma realmente avvenuto, o l’allucinazione faceva dire a Torriani cose che rispondevano a quelle ingannatrici visioni?
Tendeva l’orecchio. Ora si udiva l’ansimare affannoso di persona che soffriva. Pintaura ricordava che, durante un incubo, anni addietro, si era sentito pesare sul petto il corpo di una persona, che pareva tentasse di soffocarlo: voleva chiamare aiuto, e non poteva; voleva liberarsi dall’oppressione di quel peso e non riusciva a fare il più piccolo movimento.... Doveva accadere qualche cosa di simile a Torriani.... Ma.... notte per notte? Da tante notti? E poi egli parlava senza stento, da persona desta....
— Tu mentisci! — gridò Torriani in quel momento. — Io ti ho seguita, non ti ho perduta un solo istante di vista.... Ah, come andavi lesta, col sorriso, più che sulle labbra, negli occhi, sguisciando tra la folla che ingombrava i marciapiedi.... Avevi fretta, eh? Avevi fretta!... Dalla sarta?... Mentisci!... Da una tua amica.... ora ricordi meglio?... Mentisci! Che mi importava di lui?... Egli aveva incontrato, nella via, una di quelle.... che si comprano per mezz’ora, per un’ora.... Non ti credette altra, sai?... Il disgraziato però rimase preso, ammaliato dalle tue perfide arti.... come me! Come me!... Ti avrebbe dato il suo nome.... come me.... se non vi fosse stato l’ostacolo; io! Tu sola eri responsabile del male fattomi... Male, non disonore.... Ognuno deve render conto delle proprie azioni soltanto; ed io ero e sono rimasto un onorato galantuomo anche dopo!... Ma tu mi hai fatto soffrire pene atroci. Ti amavo!... Oh, come ti amavo! L’amore mi rendeva cieco, addirittura.... Che ti sarebbe costato rimanere buona, onesta?... Non ti contorcere!... Non smaniare!... La verità ti offende.... Che dici? Che dici?
In quei pochi minuti di silenzio che seguirono le incalzanti domande, Pintaura più non capiva se era desto o se sognava. In certi momenti gli era sembrato di assistere alla prova di un attore, che doveva recitare un monologo.... Ma no! Ma no! Non c’era attore che potesse produrre con la sola efficacia della voce — il gesto, la espressione della faccia non si vedevano — la terrificante sensazione delle parole di Torriani.
— Non sei ancora interamente morta? — riprese a vibrare la voce di lui.
Pintaura attese con viva ansietà la risposta.
Invece sentì brontolare:
— Benissimo! È andata via!
E per quella notte non udì più niente.
⁂
Torriani entrò nella sala da pranzo tenendo in mano un giornale.
Pintaura, che era già seduto al suo posto e spiegava il tovagliolo, lo fissò per vedere se gli trovasse qualche traccia in viso dell’agitazione della notte precedente. Torriani era tranquillo, sereno; se non che scoteva con insolita vivacità il giornale, ed emetteva, sedendosi, i caratteristici brevi grugniti coi quali annunziava la sua requisitoria da Pubblico Ministero. Infatti cominciò sùbito:
— Mi fanno ridere! Non riescono a scoprire quel che si può dire hanno sotto gli occhi, e vanno a rimestare cose di anni addietro!... Non hanno dunque altro da fare i vostri giudici, la vostra polizia?... Dico vostri per voi, Ronchelli, che siete impiegato nel ministero di Grazia e Giustizia.... Giustizia! Ce n’è una sola: quella che ognuno si fa con le proprie mani. Qualcuno sbaglia? La Giustizia sbaglia, peggio. Per fortuna, oggi non può tagliar teste, che non si potrebbero già rimettere al posto; ma se casca in un errore, non ha fretta di ripararlo. La grazia, per uno condannato a torto non è riparazione, è grave offesa! Mi fanno ridere!... Non bastano il giudice istruttore, la polizia, i carabinieri, ci si mettono ora anche i giornalisti! Ed ecco qui uno che afferma di aver scoperto una nuova traccia; ed ecco giudici, polizia, carabinieri ad affannarsi a correre dietro di lui! Ma è serio, domando?... Ah! Quel disgraziato che ha ucciso, invece, doveva chiedere il permesso.... ai superiori: — Posso, non posso ammazzare? — Starebbe ancora fresco, se avesse dovuto attendere la risposta: — Abbiamo abolito la pena di morte! — Chi vi ha imposto di abolirla? Ammazzare è.... legge di natura. Ho detto forse una bestialità? Parli, parli pure, signor Danzini; a me piace di discutere. Certe verità fanno paura. Non dovrebbero far paura.... Il signor Pintaura è della mia opinione.... No? Mi era parso.
Pintaura in quel momento pensava:
— Costui ha un gran delitto su la coscienza!
Di mano in mano che mangiava e parlava, che tralasciava di mangiare per parlare, che s’interrompeva di parlare per riprendere a mangiare, la voce, le mosse e gli sguardi di Torriani rivelavano una concitazione sproporzionata con l’interesse che poteva ispirargli una semplice notizia di cronaca.
Pintaura attese con grandissima impazienza che annottasse, dopo ch’ebbe letto nel giornale che cominciava a farsi un po’ di luce intorno all’assassinio di una giovane donna avvenuto cinque anni addietro. Rimesso l’apparecchio al posto, sedutosi su la poltrona e spento il lume, questa volta egli attese un bel pezzo. Sentiva scricchiolare il letto su cui pareva che Torriani non potesse star fermo, udiva le scale semitonate dei suoi sbadigli; ma erano le undici e quello taceva. Improvvisamente, scoppiò nella camera un formidabile:
— No!... Perchè dovrei accusarmi?... Per espiare?... Per far piacere a te piuttosto!... Ma io vorrei provare un’altra volta la voluttà del brivido che ti prese, quando la lama del mio coltello penetrò nel centro del tuo cuore, spaccandolo come una mela.... E non sei ancora interamente morta?... Dopo cinque anni? Ah! Le donne malefiche hanno la pelle dura!... Perchè.... Non sei tu ancora interamente morta?... Perchè mi ami? Tanto mi ami.... da non poter morire? Dovrei esser pazzo a prestarti fede. E mi hai amato.... anche nell’altro? Negli altri, forse? In tutti, oh! tanto!... Odiami! Voglio essere odiato! Terribilmente odiato.... Non puoi? E sia l’amore il tuo inferno! Sia! Sia!
Torriani ringhiava. La sua voce si sentiva ora da un punto, ora da un altro, come di chi passeggiasse concitatamente per la camera. Poi parve assalito da un folle colpo di risa:
— Ah! Ah!... Non è ancora interamente morta! Ah! Ah! Perchè mi ama, tanto!... Ah! Ah! Tanto!
Pintaura non poteva più dubitare. Egli era venuto in possesso del segreto di un delitto rimasto impunito. Che doveva fare? Star zitto? Denunziarlo? E che prova avrebbe potuto dare, se mai? Si sentiva ossessionato dal sospetto che gli si leggesse in viso quella specie di rimorso da cui era torturato incessantemente, e che tutti lo guardassero, mormorando: Egli sa! Egli sa!
Dopo quella nottata, non si era più rimesso ad ascoltare. Avea tappato il buchetto dell’uscio, sfasciato il corno acustico. Andando a letto, per cautela, si turava gli orecchi con la bambagia.... Inutilmente! Ormai il segreto era dentro di lui, e pareva fermentasse!
Intanto Torriani, sì, diventava più Pubblico Ministero di prima, iroso, sdegnoso, inesorabile, contro la Giustizia e i suoi agenti; ma incanutiva quasi a vista di occhio, e si trascinava, lento, stanco per le vie, estenuato da un male di cui sembrava non accorgersi, o fingeva di non accorgersi.
Una domenica, Pintaura, incontratolo sul pianerottolo, lo fermò:
— Come si va, caro Torriani?
— È finita! Mi ha già completamente avvelenato il sangue!
— Chi?
— Quella!... Quella!... Per vendicarsi.... Zitto!... Potrebbe far male anche a voi!... Dopo cinque anni, Pintaura! Zitto! Zitto! Zitto!
— Via! È possibile che un uomo equilibrato qual è lei dica certe cose?
— Se sapeste! Se sapeste!
Pintaura non aveva potuto frenare una mossa affermativa del capo. Torriani gli spalancò gli occhi addosso, premette il bottone elettrico dell’uscio; e, quando la donna venne ad aprire, entrò in casa quasi volesse sfuggire un increscioso interrogatorio.
E Giorgio Pintaura: — Se sapeste! Se sapeste! — non ha mai saputo veramente se si fosse trattato di un’esplicabile allucinazione o di una terribile realtà.
Torriani, dopo pochi giorni, era misteriosamente sparito.
Aveva portato via il suo segreto.