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La prima notte che il corno acustico fu al posto, Pintaura non si svestì per andare a letto; si sdraiò su una poltrona vicino all’uscio a cui era addossato il lavamano, accese un sigaro, spense il lume e stette in attesa ancora incredulo del risultato.
Tutt’a un tratto trasalì. Si udiva, quasi fosse nella camera, la voce di Torriani.
— Ancora? Ancora?... Non è bastato dunque di strofinar la soglia dell’uscio con aglio verde per impedirti di entrare? Hai sofferto.... e sei entrata!... No, no! Là.... non verrò mai! Mi fai orrore.... più di quando eri viva!
Con chi parlava dunque? Pintaura si sentì gelare il sangue. Non era uno spirito forte. Ma quantunque pensasse che Torriani poteva essere in preda a una potente allucinazione, pure sentì afferrarsi dalla paura di dover assistere a qualcosa di anormale. Avrebbe voluto rizzarsi in piedi, strappare dal buco il cono di cartoncino, che funzionava da cornetto acustico e impedire la recezione delle parole di Torriani; ma gli parve di essere inchiodato sulla poltrona da una forza superiore.
Torriani riprendeva:
— Come avvenne?... Ma lo sai, da un pezzo. Devo ripetertelo, perchè io ne soffra?... No, non ne soffro.... Ho fatto quel che dovevo; tornerei a farlo daccapo.... se fosse possibile.... Tu, tu, infame!... dovresti soffrire ricordando!... Si vede che, morta, sei peggiore di viva.... Non avvicinarti!... Non toccarmi!... Mi fai ribrezzo! No! No!
Giorgio Pintaura respirava appena. Il corno acustico rendeva così forte, così chiara la voce di Torriani, che il povero impiegato contabile avrebbe voluto accendere un fiammifero per assicurarsi che quello non fosse realmente entrato in camera di lui