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ascoltare. Avea tappato il buchetto dell’uscio, sfasciato il corno acustico. Andando a letto, per cautela, si turava gli orecchi con la bambagia.... Inutilmente! Ormai il segreto era dentro di lui, e pareva fermentasse!

Intanto Torriani, sì, diventava più Pubblico Ministero di prima, iroso, sdegnoso, inesorabile, contro la Giustizia e i suoi agenti; ma incanutiva quasi a vista di occhio, e si trascinava, lento, stanco per le vie, estenuato da un male di cui sembrava non accorgersi, o fingeva di non accorgersi.

Una domenica, Pintaura, incontratolo sul pianerottolo, lo fermò:

— Come si va, caro Torriani?

— È finita! Mi ha già completamente avvelenato il sangue!

— Chi?

— Quella!... Quella!... Per vendicarsi.... Zitto!... Potrebbe far male anche a voi!... Dopo cinque anni, Pintaura! Zitto! Zitto! Zitto!

— Via! È possibile che un uomo equilibrato qual è lei dica certe cose?

— Se sapeste! Se sapeste!

Pintaura non aveva potuto frenare una mossa affermativa del capo. Torriani gli spalancò gli occhi addosso, premette il bottone elettrico dell’uscio; e, quando la donna venne ad aprire, entrò in casa quasi volesse sfuggire un increscioso interrogatorio.

E Giorgio Pintaura: — Se sapeste! Se sapeste! — non ha mai saputo veramente se si fosse trattato di un’esplicabile allucinazione o di una terribile realtà.

Torriani, dopo pochi giorni, era misteriosamente sparito.

Aveva portato via il suo segreto.