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taciuto il suo sospetto che potesse essere, più probabilmente, una spia travestita, arrivando fino a dubitare della realtà di quella folta e nerissima barba, che aveva tutta l’apparenza di esser finta. D’Arco aveva detto:
— È un povero diavolo contento di vivere con poco, pur di non fare niente. Lasciamolo in pace.
— Chi lo tocca? — rispose Ronchelli.
E così Torriani potè ancora sfogarsi con le sue requisitorie e divertire i commensali.
Il male era che il povero Pintaura ora, con l’idea di esser da lì a poco svegliato, si voltava e rivoltava nel letto riuscendo stentatamente ad addormentarsi.
Ed ecco Torriani che comincia: prima con parole brevi, quasi sgridasse qualcuno entratogli in camera, e poi, incalza, con domande e risposte fatte da sè, (si capiva benissimo dall’intonazione della voce) fino a certi impeti in cui sembrava che la parola non riuscisse a prodursi intera, e finisse con un rantolo.
Una sera al caffè Raimondi, Pintaura, se n’era lagnato con un amico impiegato nei Telegrafi.
— Se vuoi avere la sodisfazione di sentire quel che il tuo vicino dice, c’è un mezzo facilissimo — aveva risposto il telegrafista. — Farai un buco nell’uscio, un buchettino, anzi, che durante il giorno puoi tenere tappato. Poi ti foggerai un portavoce, un corno acustico, con mezzo foglio di cartoncino bristol, così....
Fece la prova servendosi di un giornale. A Pintaura sembrava che l’amico si burlasse di lui.
— Te lo costruirò io; sarà meglio. Veramente, ti insegno il mezzo di praticare una brutta azione; ma giacchè cotesto signore non ha, da parte sua, la minima delicatezza.... sarà un divertimento; devi però mettermi a parte delle scoperte che farai.