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intervalli di riposo, con violente riprese. Soltanto quando dagli scuri mal connessi della finestra cominciava ad insinuarsi la fioca luce dell’alba, il Torriani, si chetava. Pintaura, che doveva fare ogni sforzo a fine di non riaddormentarsi e trovarsi in orario all’ufficio, lo sentiva russare, e sapeva che si sarebbe svegliato pochi minuti avanti di andare a sedersi a tavola per la colazione.

Si decise finalmente di lagnarsene con la signora Marianna, mentre sorbiva il caffè prima di uscire di casa.

— Non reggo più! A me il sonno fa più del mangiare. Vado all’ufficio mezzo sbalordito; e i miei colleghi mi canzonano, immaginando chi sa che nottate!

— Sarà una malattia, come quella dei nottambuli; a lui dà a discorrere....

— Si curi, e vada a discorrere altrove! O dovrò andarmene io.... con mio grande dispiacere!

— Non ci mancherebbe altro! È da me da parecchi anni, tra i primi miei pensionanti. Puntualissimo, a ora fissa, si può dire, e niente esigente.

— Ma che mestiere fa? Ne sa nulla lei? Non ha preso informazioni?

— Ah, per me l’importante è che il pensionante paghi senza ritardi, e che sia persona pulita. Intorno alla pulizia non transigo. Pel resto, capisce, bisogna chiudere un occhio, purchè non si facciano sconvenienze in casa mia. Se si dovesse cercare il pel nell’ovo si starebbe freschi!

— Come si rimedia? Lo avverta.

— Ma che cosa dice? Parla a voce alta?

— Altissima; con lo spessore dell’uscio però non si capisce niente!

Pintaura parecchie volte era saltato giù dal letto per ascoltare che diamine diceva Torriani, discutendo,