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quasi leticasse con qualcuno. Ma aveva afferrato soltanto poche parole, monosillabi la più parte, esclamazioni, da non poterne ricavare nessun senso. Avesse, almeno, potuto appagare la curiosità di sapere che stupidaggini, peggiori forse di quelle buttate fuori a colazione a desinare, si divertisse Torriani a declamare nella nottata!

Neppure questa piccola sodisfazione! E per ciò quella mattina aveva, finalmente, dichiarato alla signora Marianna:

— O dovrò andarmene io!

Che Torriani fosse un uomo un po’ misterioso si capiva anche dall’aspetto. Quel barbone nerissimo che saliva a mangiargli le gote fin sotto gli occhi, quelle folte sopracciglia ch’egli aveva cura di dividere sopra il naso strappando i peli intermedi — e si vedeva — ; gli occhi foschi, le labbra umide e un particolar modo di girar attorno la testa e gli sguardi, sospettosamente, mentre parlava; la sua voce grossa, cupa; i suoi gesti, a scatti, tutto insomma ispirava un’inconsapevole diffidenza in colui che lo vedeva la prima volta.

Dopo, l’impressione si modificava un po’, specie nelle persone che continuavano ad avvicinarlo in intime circostanze come i suoi compagni di pensione. Ma, anche in essi si ridestava, di tanto in tanto la sensazione primitiva, di qualcosa di misterioso nella vita, ora regolarissima, quasi monotona, di quell’uomo.

Vedendolo interessarsi, in modo speciale, dei fattacci riferiti dalle cronache dei giornali, Danzini un giorno aveva espresso la sua convinzione che Torriani fosse stato poliziotto. Ronchelli non aveva