Cattive compagnie (Deledda)/Cattive compagnie

Cattive compagnie

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La lepre La medicina
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CATTIVE COMPAGNIE.

A ventisei anni, completamente rovinato finanziariamente, ma ancora bello nonostante gli stravizi della sua prima gioventù, don Elia pensò di ammogliarsi.

Giudicarono la nipote di un vescovo, alla quale lo zio doveva lasciare una grossa eredità. Don Elia andò nella piccola città vescovile e riuscì a far innamorare di sè la ragazza. Si chiamava Pasqua: buona, intelligente ma ignorante, questa Pasqua si innamorò di Elia perchè era un nobile e aveva fatto il viaggio apposta per conoscerla.

Il vecchio vescovo adorava la nipote, ma dichiarò subito che il matrimonio sognato e voluto da lei non gli garbava. Perchè aveva sentito parlare di Elia.

Il giovine però si mostrava così pentito dei suoi trascorsi, così risoluto a cambiar vita, che [p. 154 modifica] il vecchio vescovo si domandò se non faceva opera meritoria concedendo la nipote in moglie ad un peccatore pentito. “Se rifiuto, pensò il buon vecchio, Elia può ricadere nei suoi eccessi: facendo un buon matrimonio, invece, egli si correggerà davvero.„

E cedette. Elia, del resto, era davvero pronto a cambiar vita e a diventare un buon marito. Il vescovo, tuttavia, non fece la dote a Pasqua: assegnò un tanto al mese alla giovine coppia, e disse francamente allo sposo che se non si comportava bene l'assegno verrebbe sospeso. I due sposi accettarono questa condizione, e partirono in viaggio di nozze.

Dovevano andare a Roma e a Napoli e poiché erano in quei paraggi lo zio li incaricò di fare un’offerta alla Madonna di Pompei.

A Roma i due giovani sposi scesero in un modesto albergo vicino alla stazione. E poiché pioveva dirottamente e la sposa soffriva ancora di mal di mare, si chiusero nella loro camera, decisi a non uscire finché il tempo non si rasserenava.

Ma mentre chiacchieravano, in dialetto sardo, un cameriere bussò discretamente all’uscio.

Elia, alquanto seccato, aprì.

— Scusi, — disse il cameriere — c’è qui all’albergo, un vecchio sardignolo, Egli [p. 155 modifica] pretende di aver sentito parlare i signori in dialetto e domanda se può venire a vederli. È un vecchio, malato.

— Che venga pure — disse Elia.

Il vecchio entro subito dopo. Vestiva in borghese, ma invece del cappello aveva in testa la berretta sarda; il suo viso raso, fra i lunghi capelli grigi, la bocca rientrante, gli occhi verdognoli, avevano una espressione ironica e maliziosa.

— Salute, fratelli, — gridò entrando — perdonerete se mi son preso la libertà di disturbarvi. Ma quando ho sentito parlar sardo mi son rallegrato come se avessi veduto mio padre.

— Salute! — rispose Elia. — Anche noi siamo contenti di vedere un compatriota. Sedetevi. E di qual paese siete?

— Di Barunèi. Montanaro! Sono cugino di don Simone Decherchi.

Elia aveva sentito parlare dei Decherchi, anche loro nobili decaduti.

— E che fate, a Roma? — domandò al vecchio.

— Son venuto per curarmi di una otite, ed anche per soddisfare al mio antico desiderio di vedere il Papa!

— E l’avete veduto? — domandò Pasqua con viva curiosità. [p. 156 modifica]

— Non ancora! Ma c’è una persona che s’è incaricata di farmi ottenere un’udienza.

— Quanto mi piacerebbe di vederlo! Sono nipote del vescovo di Olbia, — ella disse con lo stesso accento con cui il vecchio aveva annunziata la sua parentela con don Simone Decherchi.

Intanto Elia ordinava il caffè e liquori.

— Liquori no! Liquori no! — ella disse spaventata. Ma Elia promise di non bere che il caffè.

Il vecchio sedette, e mentre fuori la pioggia scrosciava furiosa, quei tre isolani cominciarono a parlare del loro paese e dei loro parenti, rievocando, in quella volgare cameruccia d’albergo, tutta la nostalgica poesia della loro terra lontana.

— Adesso mi ricordo, — disse il vecchio; — sì, una volta ho sentito parlare di lei. Ma, dico la verità, si raccontavano storielle curiose. Non si offenderà se dico questo?

— Oh no! Ero una buona lana davvero! Ma adesso son diventato bravo. Non è vero, Pasqua? Non ero cattivo neppure allora! Era il mio tutore che mi faceva disperare. Ero semplice, ingenuo: tutti mi derubavano. Commettevo mille sciocchezze per far dispetto al mio tutore. Adesso però son diventato serio.... [p. 157 modifica] Eppoi lo zio vescovo mi ha concesso la nipote a certe condizioni! Se farò ancora qualche sciocchezza lo zio mi riprenderà la sposa.

Egli scherzava, ma Pasqua aggiunse seria:

— Eh, mio zio è un uomo energico. Egli farà di peggio.... se tu non terrai le tue promesse!

— Qual peggior cosa di quella di togliere una bella sposa al proprio sposo? — domandò galantemente il vecchio, mentre beveva l’un dopo l’altro i bicchierini di liquore che Pasqua gli versava; poi aggiunse: — del resto, basta evitare le cattive compagnie. Sono queste che rovinano l'uomo. Tante volte pare sia il diavolo stesso a incarnarsi in un cattivo compagno: egli non ha pace finché non vi ha rovinato. Io mi chiamo Andria Decherchi: son vecchio, sono sdentato, ma posso assicurarvi che non mi sono fatto mai imbrogliare dai cattivi compagni. Via! via! I cattivi compagni io li ho sempre allontanati da me come si allontana il diavolo.

— Intanto s’avvicinava l'ora della colazione. I due giovani sposi vollero mangiare in camera, e invitarono il vecchio. Ma egli disse che aveva già pronta la sua colazione e domandò solò il permesso di far compagnia ai suoi nuovi amici.

— Ma con piacere! [p. 158 modifica]

Allora egli andò nella sua camera e ritornò con una piccola bisaccia sarda, dalla quale trasse del pane duro, formaggio e salsicce.

Egli s’era portato a Roma la sua provvista, come quando nella sua isola viaggiava a cavallo da un paese all’altro.

— Tutte le mattine devo andare alla Clinica, per curarmi l'orecchio, — disse, dopo aver inzuppato il suo pane nell’acqua, — ma il pomeriggio l’ho sempre libero. Qualche volta vado a far colazione fuori, ma sempre che posso mangio il mio pane e il mio companatico. Mi sono portato addietro due bisacce di provviste, io! Mia moglie, poi, oggi mi ha mandato un pacco di salsicce. Povera vecchia, essa crede che a Roma non si trovino salsicce! — Sì, sono qui da una settimana, — proseguì, — ma mi pare di essere mille anni lontano dal mio paese. Questa Roma! Sembra un alveare! E quanti danari ci vogliono! Ma si vedono delle belle cose, però. E i palazzi? Come sono grandi! A mio giudizio, ci son palazzi che valgono centomila scudi. Sì, è un gran diavolo di città, questa, ma bisogna stare attenti per i ladri. Eppoi uno che viene da un piccolo paese, come me, può anche smarrirsi. Per fortuna io ho una buona guida. Ho trovato un amico, un brav’uomo, che è stato una volta [p. 159 modifica] in Sardegna, un ricco negoziante, il quale mi fa da guida. Ve lo farò conoscere. A mio giudizio, è il più brav'uomo del mondo. E deve essere anche molto ricco perchè spende come un diavolo.

— Eh, non sarà uno di quei cattivi compagni di cui diffidate tanto? — domandò Pasqua, un po’ scherzando, un po’ sul serio.

Ma il vecchio protestò; gli pareva un’offesa il dubbio che egli potesse farsi raggirare dal primo venuto.

*

Nel pomeriggio il tempo si rasserenò e Pasqua volle cominciare il suo giro col visitare la chiesa di Santa Maria degli Angeli.

Nell’atrio dell’albergo i due giovani trovarono il vecchio Andria che li aspettava col suo amico, un bell'uomo alto, vestito, se non con eleganza, con molta ricercatezza. Più che d’un negoziante di formaggi, aveva l’aria d’un commesso di negozio: i capelli neri divisi sulla fronte lucevano di pomata: sul viso paffuto, rosso, due baffi neri dritti mettevano una nota ardita, mentre gli occhi celesti esprimevano una grande mitezza di animo. Sulla sua cravatta brillava una grossa perla, e tre ricchi [p. 160 modifica] anelli scintillavano sulle sue dita grassocce e rosee.

Parve molto felice di conoscere altri sardi, e disse d’aver visitato anche il paese dove era nato Elia; infine si mise a disposizione dei giovani sposi.

Sulle prime Elia diffidava. Il sardo è diffidente per natura: il giovane sposo, inoltre, era stato troppo raggirato e sfruttato durante la sua prima gioventù, per lasciarsi abbindolare nuovamente da un furbo qualunque. Egli avrebbe volentieri fatto a meno della compagnia del negoziante; ma l’uomo degli anelli aveva così belle maniere che anche a Pasqua sembrò un perfetto gentiluomo.

— Cominciamo dunque col visitare tutti assieme la chiesa di Santa Maria degli Angeli.

L’uomo degli anelli doveva essere anche discretamente colto, perchè cominciò a far nomi di autori e a indicare le più belle figure dei quadri.

Il vecchio Andria trotterellava dietro i tre; e di tanto in tanto faceva qualche domanda interessante:

— E quanti metri può esser largo quel quadro?

— Quanto può costare questa statua?

— Tutta la chiesa quanto può costare? [p. 161 modifica]

Usciti di chiesa, si fermarono un momento nella piazza. Il lastrico ancora bagnato scintillava al sole, e lo zampillo della fontana si slanciava in alto, verso il cielo azzurro, con un impeto di gioia. Le nuvole scendevano verso oriente; tutta la via Nazionale brillava sotto il sole al declino, e nell’aria errava un profumo di crisantemi.

I nostri viaggiatori si fermarono ad ammirare la fontana: e gli occhi di Elia si accesero, mentre l’uomo degli anelli spiegava il significato delle Najadi della fontana, e il vecchio Andria diceva:

— A mio giudizio, questa fontana costa ventimila lire. Quelle donne, però, potevano esser vestite almeno con la camicia!

*

L’uomo degli anelli propose di prendere una carrozza e di fare un rapido giro per la città. Prima, però, volle condurre al caffè i suoi nuovi amici, e regalò a Pasqua un pacchettino di caramelle. Tutte queste gentilezze finirono col conquistare l’animo dei giovani sposi.

Mentre attraversavano via Nazionale e il Corso, e si dirigevano al Pincio, il giovane [p. 162 modifica] negoziante riprese a raccontare dei suoi viaggi in Sardegna, interrompendosi per accennare i punti più interessanti della città, o per indicare i personaggi più importanti che si vedevano in carrozza o lungo i marciapiedi del Corso.

Dalla terrazza del Pincio il vecchio Andria misurò con gli occhi la vastità della piazza del Popolo e la lunghezza dei ponti sul Tevere.

Poi volse gli occhi maliziosi sul glorioso paesaggio, misurò l’altezza della cupola di San Pietro, e disse come fra sè:

— A mio giudizio, Roma vale cento milioni.

*

L’uomo degli anelli si rese indispensabile ai due giovani sposi: quasi tutti i giorni andava a prenderli all’albergo e li conduceva in giro, incaricandosi di pagare il cocchiere, e di dare la mancia ai custodi dei monumenti.

Egli aveva sempre il portafogli gonfio di biglietti di banca nuovi fiammanti. Un giorno condusse i suoi amici fuori porta San Giovanni e indicò loro le porte dei suoi magazzini.

Le porte erano chiuse, poiché egli era un negoziante all’ingrosso e trattava solo con sensali o con clienti i quali più o meno gli da[p. 163 modifica] vano appuntamento quando si recavano da lui; ma su una delle porte si leggeva, su una targhetta, il suo nome e cognome.

Elia, pur convinto di aver a che fare con una persona agiata e distinta, diffidava ancora. Non capiva perchè il negoziante si mostrasse tanto premuroso con loro. Forse Pasqua cominciava a capire qualche cosa, ma si guardava bene dal dirlo. Ecco, le era parso che l’uomo le facesse un tantino la corte! Egli la guardava fisso, quando gli altri non lo osservavano, e coglieva tutte le occasioni per rivolgerle paroline galanti.

Sulle prime ella si spaventò, ricordandosi che era nipote d’un vescovo e sposa da dieci giorni appena.

Le pareva mostruoso che il giovane negoziante le dimostrasse tanta ammirazione: ma si guardò nello specchio, vide che era molto graziosa e pensò:

— Si vede che ai continentali piacciono molto le donne sarde.

D’altronde ella si credeva invulnerabile; e ricordava ciò che diceva spesso o zio vescovo:

— Il merito del cristiano consiste nel resistere alle tentazioni.

Lasciamo dunque che il continentale guardi. I suoi occhi celesti, così miti e dolci, non [p. 164 modifica] incutono un soverchio terrore: se mai, egli è un adoratore timido e rispettoso. Inoltre, i due giovani sposi dovevano partire fra pochi giorni: forse non avrebbero più riveduto il loro amico.

Dal canto suo Elia incontrava gli occhi celesti ogni volta che sollevava i suoi dopo aver ammirato, lungo i marciapiedi, qualche bella figurina di donna. Egli ammirava specialmente le donne brune: con questo, forse, rendeva omaggio a sua moglie.

— Anche a me piacciono molto le brune: — pareva gli dicesse lo sguardo degli occhi celesti — Sono contento che i nostri gusti s’incontrino.

E il vecchio Andria, che quando non andava in Clinica seguiva fedelmente gli sposi, guardava dal canto suo le donne, fossero brune o bionde, e diceva:

— A mio giudizio, queste ragazze potrebbero benissimo stare a casa a lavorare: da noi le donne escono poco: qui invece si vedono sempre in giro come le volpi.

*

Tutte le mattine, svegliandosi, Pasqua diceva:

— Bisogna ricordarsi dell’offerta alla Madonna di Pompei!

Ed Elia contava i denari del suo portafogli. [p. 165 modifica]

A dire il vero, i denari sparivano in modo inquietante: una sera, facendo bene i conti, egli si accorse che gli rimaneva giusto il tanto d’andare per pochi giorni a Napoli e Pompei, come lo zio vescovo desiderava, e poi tornare in Sardegna. Il viaggio, andata e ritorno, era già pagato. I denari per l’offerta erario dentro una busta.

Decisero quindi di partire. Pasqua era dolentissima perchè nonostante tutte le raccomandazioni dello zio e le promesse del negoziante non riusciva a vedere il Papa: ma come fare? I denari se ne andavano: bisognava imitarli per forza!

L’ultimo giorno della loro permanenza in Roma gli sposi, accompagnati dal vecchio e dal negoziante, andarono a Sant’Agnese a visitare le catacombe.

Appena vide di che si trattava, il vecchio non volle andare avanti, gridando che di grotte ne aveva vedute abbastanza.

Il frate che li accompagnava dovette tornare indietro portandosi via la sua torcia. Il negoziante, Pasqua, ed Elia che teneva in mano un cerino, rimasero fermi davanti a una lapide umida di cui il frate aveva cominciato a spiegare i caratteri.

— E se il frate non tornasse? — disse [p. 166 modifica] Pasqua, ridendo. Ma il suo riso aveva una lieve vibrazione di paura.

Elia rispose, con la sua voce sempre alquanto ironica:

— Diventeremmo martiri anche noi! Nostro zio sarebbe contento. — E per far paura a sua moglie, spense il cerino.

E subito ella provò uno smarrimento profondo, un senso di paura, come se davvero il frate con la torcia li avesse abbandonati laggiù. Un uomo la baciava, al buio: e quest’uomo non era suo marito.

Elia riaccese il cerino: il frate ritornò, e con voce cadenzata ricominciò a spiegare il significato della lapide. Ma Pasqua non capiva più nulla. Le pareva di aver commesso un peccato enorme perchè non avea gridato nel sentirsi baciare da uno che non era suo marito. Ma nello stesso tempo provava un senso di vanità e pensava:

— Gli ho destato una ben forte passione, se egli non ha avuto paura di compromettersi!

Quando uscirono nel cortiletto ove rinasceva l’erba d’autunno, trovarono il vecchio Andria, che ancora tutto scombussolato e inquieto, borbottava:

— Che cosa dicono? Che in quelle grotte lì ci fossero dei santi? Diavoli, dico io, ci [p. 167 modifica] dovevano essere: è un luogo di diavoli, a mio giudizio.

Pasqua, un po’ pallida in viso, pensò:

— - Il vecchio ha ragione.

Per finir bene la gita, andarono tutti assieme al Ponte Nomentano. Arrivati sull’altura, il negoziante fece portare da una vicina osteria il vino ambrato dei Castelli romani. Ma Pasqua non volle bere. Seduta sull’erba, ella guardava il tramonto e sentiva un’acuta nostalgia. Il paesaggio dolce e tranquillo le ricordava la sua terra lontana, il suo mondo solitario, dove le donne vivono e muoiono senza essere tentate dal diavolo, come succede nelle grandi città.

E mentre ella contemplava il paesaggio roseo che si copriva di vapori violacei, e il sole che sembrava un grande rubino sull’anello d’oro dell’orizzonte, i tre uomini, seduti sotto il riparo di canne, in cima all’altura, bevevano allegramente e parlavano di cose che col tramonto non avevano relazione. Il negoziante proponeva di andare al Circo, ed Elia accettava con entusiasmo. Pasqua, interpellata, rifiutò. Lo zio vescovo diceva sempre che i teatri ed i circhi sono “luoghi infernali„ pieni di tentazioni. E di tentazioni ella non voleva più combatterne.

Al ritorno dalla passeggiata, il vecchio [p. 168 modifica] Andria colse un momento in cui Elia e il negoziante non potevano sentirlo, per farle una confidenza:

— Fra giorni spero di vedere il Papa!

— Ma come? — ella domandò con invidia.

— Tutto si muove con questo.... — egli disse, facendo atto di contar denari. — Eh, io sono furbo: l’ho capito subito! Peccato che anche voi non l’abbiate capito!

— Ma come? — ella ripetè.

— Ecco, bisogna fare un’offerta! Io la farò; ma almeno, quando tornerò al mio paese, potrò dire a tutti: voi state zitti davanti a me! Io ho veduto il Papa e voi no. A mio giudizio, questo sarà il maggior vanto ch’io possa darmi.

*

Elia e il negoziante andarono al Circo; ma i primi due numeri furono così noiosi che l’amico disse:

— Ti ho offerto un bel divertimento! Andiamocene. Se vuoi, — aggiunse — ti conduco in un luogo più divertente. Hai mai veduto una casa da giuoco? Andiamoci, solo per vedere.

Elia accettò. Un tempo era stato un giocatore disperato. Dunque andarono. Era una casa [p. 169 modifica] di lusso, frequentata da uomini ben vestiti, eleganti, da artisti, da studenti; l’amico negoziante indicò ad Elia un signore alto e grosso, pallido ma impassibile, e un giovane biondo dai lunghi baffi: e gli disse che quei due erano un principe ed un ministro. Un uomo piccolo, coi capelli lunghi e con la barba a punta, che pareva un artista, s’avvicinò e salutò il negoziante.

— Non giochi? — gli domandò.

— Stasera no! Siamo venuti solo per vedere, con quest’amico forestiere.

— E che ha paura di giocare? Si può perdere, ma si può anche vincere, — disse lo sconosciuto con accento beffardo.

Elia ebbe vergogna dei suoi buoni propositi. L’antica passione lo vinse.

— Posso anche giocare — disse con disprezzo. — E se anche perdo non mi uccido! — E sedette al tavolo verde. Dapprima vinse, poi, come sempre accade, perdette il denaro vinto e il danaro suo, poi vinse ancora, perdette ancora. Rimase con dieci lire in moneta d’argento e con la busta che conteneva l’offerta per la Madonna di Pompei. Egli si ricordò di Pasqua che lo aspettava, sola, nell’albergo; vide davanti a sé la figura solenne del vescovo di Olbia. Che fare? Guardò con rabbia l’amico negoziante, che lo aveva condotto in quel luogo maledetto; ma [p. 170 modifica] gli parve di non riconoscerlo più. L’amico s’era trasformato in nemico: aveva gli occhi non più dolci e sereni ma verdi per la cupidigia e l’ansia del giocatore.

Elia si sentì perduto. Tutti i suoi cattivi istinti lo ripresero. Dimenticò Pasqua, dimenticò la figura del vescovo d’Olbia. Trasse dalla busta i biglietti che non erano suoi, e li giocò. E li perdette. Rimase con le dieci lire d’argento. Giocò; perdette ancora. Si alzò, livido di collera. Ma l’amico gli disse che poteva ancora giocare sulla parola. Egli giocò sulla parola e vinse: potè rimettere entro la busta, se non gli stessi biglietti che ne aveva levato, altrettanti per la stessa somma; e allora parve svegliarsi da un sogno. Si alzò e se ne andò. Il negoziante rimase nella casa da gioco, ed egli non lo rivide mai più.

*

Pasqua dormiva quando egli rientrò. Era già l’alba. Egli battè all’uscio del vecchio, e gli raccontò ogni cosa come ad un padre.

— Avevate ragione voi, — gli disse. — A volte il diavolo prende l’aspetto di un cattivo compagno. Come farò, adesso? Non m’è rimasto un centesimo, tranne i denari per l’offerta. [p. 171 modifica]

— Puoi telegrafare al vescovo, che ti mandi altri denari.

— Ah, no! Non voglio umiliarmi. Piuttosto riparto subito: il viaggio è pagato. E voi, voi state attento al vostro famoso amico.

Ma il vecchio sorrise, e ripetè che nessuno, neppure il diavolo in persona, poteva “imbrogliarlo„. Intanto Elia riuscì a farsi prestare cento lire da lui. E con queste cento lire egli e Pasqua andarono a Pompei. L’amico non si lasciò più vedere e Pasqua ne fu contenta.

*

E un giorno il vescovo, che era tutto felice per il ritorno dei suoi cari nipoti, ricevette da Pompei una lettera raccomandata, con dentro i biglietti che i suoi cari nipoti avevano offerto alla Madonna. I biglietti erano falsi: imitati alla perfezione, ma falsi.

Il buon vescovo fu colto da un deliquio, tanto la cosa gli parve abbominevole.

Appena rinvenne chiamò Elia e gli domandò qualche spiegazione. Elia impallidì, si confuse, si contraddisse. Fra le altre cose raccontò di aver prestato la somma all’amico negoziante; l’amico negoziante gli doveva aver restituito i biglietti falsi. [p. 172 modifica]

Allora il vescovo chiamò Pasqua e le domandò notizie di questo amico negoziante, del quale i due sposi evitavano di parlare. Ella arrossì, si confuse, disse che l’amico era un riccone disinteressato e generoso. I due sposi finirono col bisticciarsi. E il buon vescovo vide torbido in tutta questa faccenda. Elia finì col confessare il suo errore: Pasqua tacque il suo. Ma lo zio mantenne la sua minaccia, e fu così che egli tolse l’assegno mensile ai due giovani sposi.

*

Il castigo durò per qualche mese. Pasqua l’accettò come una espiazione del suo peccato di vanità, ma Elia non potè rassegnarsi. Scrisse alla questura di Roma, ma gli risposero che il negoziante del quale egli faceva il nome era un’ottima persona e non aveva gli occhi celesti, nè anelli alle dita.

La sola soddisfazione che Elia potè avere, più tardi, fu di sapere che anche il vecchio Andria si era lasciato truffare. Egli aveva versato una discreta somma per ottenere l’udienza dal Papa, ma dopo la partenza degli sposi, l’amico era scomparso. E il vecchio non aveva dato querela per paura che venisse diminuita la sua fama di uomo furbo.