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172 | cattive compagnie |
Allora il vescovo chiamò Pasqua e le domandò notizie di questo amico negoziante, del quale i due sposi evitavano di parlare. Ella arrossì, si confuse, disse che l’amico era un riccone disinteressato e generoso. I due sposi finirono col bisticciarsi. E il buon vescovo vide torbido in tutta questa faccenda. Elia finì col confessare il suo errore: Pasqua tacque il suo. Ma lo zio mantenne la sua minaccia, e fu così che egli tolse l’assegno mensile ai due giovani sposi.
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Il castigo durò per qualche mese. Pasqua l’accettò come una espiazione del suo peccato di vanità, ma Elia non potè rassegnarsi. Scrisse alla questura di Roma, ma gli risposero che il negoziante del quale egli faceva il nome era un’ottima persona e non aveva gli occhi celesti, nè anelli alle dita.
La sola soddisfazione che Elia potè avere, più tardi, fu di sapere che anche il vecchio Andria si era lasciato truffare. Egli aveva versato una discreta somma per ottenere l’udienza dal Papa, ma dopo la partenza degli sposi, l’amico era scomparso. E il vecchio non aveva dato querela per paura che venisse diminuita la sua fama di uomo furbo.