Atto terzo

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Atto secondo Descrizione de' balli
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ATTO TERZO.


Antico palazzo dei Re di Cappadocia, già ridotto in cenere, con fuochi semifatui, e spiedi giranti.
Moltitudine di popolo dipinto, che finge di non vedere il palazzo.

SCHIENA PRIMA.

Ciborra inghirlandata di smilace, con giubba ricamata di fiori di campo, e sottanino 1 in forma di brevetto; indi Adramiteno.

Cib. Grazie, o Numi anacreonti,
          Sono al fin d’ogni tormento;
          Torno a voi, amici fonti;
          A voi, chiari ruscelletti,
          A voi, timidi augеlletti,
          Fo ritorno in questo dì.
     Ah! sì furbetti
          Miei passeretti
          Voi festeggiate,
          Io già v’intendo.
               Cirrì, cirrì
               Cirrì, cirrì.
     Voi mi chiamate?                                dall’orchestra.
          Voi mi volete?
          Il piede affretto,
          A voi mi rendo?
          Eccomi qui.
               Cirrì, cirrì.                                dall’orchestra.

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Adr. Ninfa di te più bella
     Unqua l’Asia non ebbe negli Esperidi,
     Nè Roma vide mai nelle effemeridi.
     Ma che vuol dir quella selvaggia crate,
     Che ti cinge la fronte?
Cib. Sono gli allori del Caucaseo fonte,
     Dove ebber culla i nostri primi amori.
Adr. Rimembranza felice!
Cib. Or, giacchè non mi lice
     Nel gran Soglio di Roma esserti accanto,
     Torno infelice (ah che mi scoppia il pianto!)
     Alla capanna. Adramiteno, addio.
Adr. Non coglionar, ben mio.
     Già di Roma i tumulti son depressi,
     Già il Popolo, le squadre, ed il Senato
     Stan preparando l’aureo serto ornato
     Di pietre false comperate al ghetto.
     Esultano gli Ebrei,
     E sol pochi baggei
     Ci son nemici, ma saranno oppressi.
Cib. Tutto già so, ma ancor di te pavento.
Adr. Come? d’un tradimento
     Reo mi credi ancor?
Cib. Anzi son grata
     Al tuo amor, a’ tuoi doni:
     Pur, se rifiuto la tua destra, e il Soglio,
     Sol per tuo ben divento ingrata, e voglio,
     Che il mio error tu perdoni.
     Ti tesse in Roma insidiosa trama
     Elvia matrona, ed ha superba brama
     Di salir sposa tua teco all’Impero:

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     E se tu sprezzi il suo desire altero,
     Anzi una Ninfa teco vegga unita,
     Recisi io temo i giorni di tua vita.
     Allora l’amor mio rea mi condanna
     E divento (ahi che orror!) la tua tiranna.
     Dunque ritorna, o Prence, ai Roman fasti:
     Vanne trionfator, e lieto vivi
     A Roma, all’Asia doma, all’orbe intero;
     Pensa a novello amor, scorda il primiero:
     Lasciami pur, e il mio buon cor ti basti.
Adr. Anima grande in pastorella umile!
     Più mi consigli, più m’accendi il core.
     A detestar comincio il serto, il Trono,
     Che del tuo merto in paragon è vile.
     Olà, gite in disparte... alle guardie, che poi fanno come vogliono.
     Senti, cara Ciborra, io non ho pace,
     Se di te privo io traggo i giorni miei.
     Accettami nel tuo selvaggio albergo;
     Sarò un pastor sotto nome d’Ajace.
     Ecco del regal manto io spoglio il tergo.       in atto di deporre le calze imperiali.
Cib. Sconsigliato, che fai? Ti par gran sorte,
     Finchè giovane io son, tenermi accanto.
     Volan gli anni di gioja,
     E poi ti verrò a noja;
     Più, che a goder, ti resta da penare.
Adr. A tanto non mi lascia amor pensare.
Cib. Meglio è dunque, che a tempo... orsù, coraggio,
     Lasciami di buon cor.
Adr. Cedo alla tua virtù, ma ti sovvenga

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     Dell’infelice amor d’Adramiteno...
     Ciborra, ah ti rammenta,
     Che ti fui caro un dì!
Cib. Deh non parlar così;
     Tu mi vuoi far morir; già vengo meno.       scolorisce.
Adr. Apri le luci belle... dandole un pugno sui denti.
     Già m’opprime il dolor. Inique stelle,
     Uccidetemi almen. Ma che rallento?
     Finirà quest’acciajo il mio tormento.       si uccide.
Cib. Ferma: già assai di pena            risvegliandosi a tempo.
     Sai, che ci costa un infelice amore.
     Parti, ch’io parto, Adramiteno, addio;
     E per tenerti sempre vivo in cuore,
     Il nome prenderò di Dramitena.            Adramiteno ucciso va via.


Cantilena Pastorale con due soli flauti alla sordina, e sessanta contrabbassi per parte.

               Dramitena, Dramitena
                    Torna Ninfa come fu;
                    La Capanna è in valle amena
                    Ma la Reggia è troppo in su.
                    Dramitena, Dramitena
                    Lascia il Trono, e torna giù.
               Già la Reggia è troppo piena
                    D’infingardi, e d’impostor;
                    D’una Ninfa non è degna,
                    Che sincero ha in petto il cor;
                    Nė anco è degna degli armenti,
                    Che innocenti sono ancor.

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               Il salir dà troppa pena
                    A chi brama sanità;
                    E son serve di catena
                    Ninfe alzate a dignità.
                    Dramitena, Dramitena
                    Torna al fonte in libertà.            via.


SCHIENA II.

Asinio, e Curatore.

Cur. Che vuol dir quell’insolita allegrezza,
     Asinio mio, che ti dipinge il volto?
Asin. Oggi appunto son sciolto
     Dall’età pupillare, e di grandezza
     Già mi crescono in capo i sentimenti;
     E anche l’amor mi sento in mezzo ai denti:
     Onde a nozze sublimi
     Già comincio a pensare.
Cur. Così presto cominci a vaneggiare?
Asin. Come? Tu ancora non sai, che l’Emisfero
     Manca di sapienti,
     E sta per bestialir il mondo intero!
Cur. Che ci vuoi dunque fare?
Asin. Colle mie nozze ci vuo’ riineiliare
     Nasceran gli eruditi immantinenti,
     Che delle scienze fien ristoratori.
Cur. Oh che cattivi odori!
               Qual esce da un marciume
                    Lasciato dal diluvio,
                    Un fetido vesuvio,
                    Che infetta la città:

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               Così, se il succidume
                    D’Asinio si desta,
                    Indetta la foresta,
                    Se si propagherà.            s’incamminano.

SCHIENA III.

Tavole pretoriane con rustico del maneggio de’ Somarelli.

Adramiteno, e Somarinda.

Som. So, che la Ninfa, o Prence, infida, ingrata
     T’ha rivoltato il drio 2.
     Dal tuo dolor mi sento penetrata,
     E ti compiango anch’io.
Adr. Questa fu fedeltà da virtuose.
Som. Signor, permetti, che io ose?
Adr. Che vuoi tu dirmi ancora?
Som. Tu sai, che è vasto il negozio d’amore;
     Cambj, e ricambi sono da prudente,
     E si guadagna col cambiar sovente.
     Il mio consiglio è retto.
Adr. Così favella ancor, quando non mente,
     Donna Ghidiglia, che rappezza al Ghetto.
Som. Non son poi così industre,
     Ma son tinto più illustre.
Adr. Scusa, mi chiaman or le cure altrove.
Som. Aspetta, se ti piace;
     Ascolta ancor un bel pensier rotondo!...
     T’offro una nuova sposa per Augusta,
     Forte di schiena, giovane, e robusta.

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Adr. E questa dove giace?.
Som. Somarinda, che è qui, se son capace.
Adr. Chè spirito rotondo.....
     Chi non sa navigar va presto al fondo.       fa strada.

SCHIENA IV.

Somarinda sola.

Som. Giacchè la speme di salir al Trono
     Anche per me è delusa,
     Vuo’ far dispetto al mondo,
     Sposando Asinio figlio d’Aretusa.
     Ha un nobil dorso, che un tesor gli rende:
     Capisce poco, è ver, ma molto intende:
     Ha un par d’orecchie sensitive al suono,
     E per far la viola è bello è buono.
               Donna pruda, qual serpente,
                    Deve sciegliere un marito,
                    Che sia gonzo, e scimunito,
                    E di poca abilità.
               Il marito, ch’è prudente,
                    Colla moglie non s’avvezza;
                    Se le fa qualche carezza,
                    Glie la fa per carità.                      trotta.

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SCHIENA V.

Curatore solo col collare alla cintola, e la bisbusa 3, conducendo i nascituri per mano.

Cur. V’è matrimonio da contrarsi intanto,
     Se testè non fu rotto,
     Tra Somarinda, e Asinio,
     Ambi viventi al secolo corrotto,
     Sotto gli auspicj d’Attila, e Tarquinio:
     Quindi l’asinaria andrà all’incanto.
     Tutti sono invitati,                      verso l’udienza.
     Sia amico, o parente,
     A fare l’obblatore, o l’opponente.            si licenzia, e poi si rivolta dicendo.
     Dimenticavo ancor i connotati.
     Già Somarinda capirà sei brente;
     Asinio al peso grosso è sei mill’oncie;
     E questa serve per le tre dinuncie.
     Annunzio queste nozze con mio affanno.
     Poveri pargoletti...                      guardando i nascituri.
     Figli sperati dal Romano Impero,
     Che restano imperfetti,
     E più non nasceranno;
     Povere cure mie gettate a zero!.....
               Son sciolti gli Imenei            parlando con i nascituri.
                    Del vostro padre Anchise;
                    La figlia di Cambise
                    Ritorna fra i pastor.
               Cari pupilli miei,
                    Functus io son d’officio;

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                    Reggetevi a capriccio,
                    Se nascerete ancor.

partiscono 4 tutti e tre.


SCHIENA ULTIMA.


Luogo comune magnifico nel Tempio del matrimonio, con ara accesa dietro la statua d’Amore, e su di essa il gran Culiseo d’Oloferne. Concorsi di Vergini vestali, Borsaiuoli, Venti sotterranei, ed Epitalamj sontuosamente affollati per le nozze d’Asinio, e Somarinda.


Le Nozze D’Asinio, e Somarinda

con intervento di tutta la Turba.


Si apre in fondo della Schiena la grande scuderia del Re Mida, da cui escono Asinio, e Somarinda, ambi ammantati di una pelle armentaria naturale, ricamata a trapezzo 5, ascesi sopra un carro di strame d’Armenia, tiralo da quindici Somarelli d’Italia, che incedono 6 calcitrando alla rinfusa, e tutti ornati di Scierpe 7, nastri, e piumassi 8 cerulei, e dopo tre comparse alla veduta del Popolo, si ferma il carro, da cui Asinio e Somarinda discendono coll’ajuto della famosa scala a mano d’Iscariote, sostenuta da quattro Fuorusciti d’Elicona; e frattanto si suona dall’Orchestra una marcia competente.


Som. On caro Ostilio, oh marito adottivo,
     Se passo ad altre nozze, ho il mio motivo,
     Ch’è la ragion di stato, il mio decoro.

piano in confidenza.

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Ost. Al nemico che fugge, ponti d’oro.
Asin. L’assemblea è compita, e a Somarinda,
     Che è forte, e spella, e che va ben di ghinda 9,
     Offro la man, se Adramiten l’approva.
Adr. Fa pur ciò, che ti giova.
Som. Al giudizio starò di Dramitena.
Dram. Bel veder due giumenti a una catena!
Asin. Voglio ancora il parer del Curatore.
Cur. Lodo l’Asello, quando va in furore.
Som. E che ne dice Ostilio?
Ost. L’Asino non ha d’uopo di consiglio.
Asin. Jetaco ancor sentiamo, che dirà.
Jet. Il mondo s’empierà di nobiltà.
Asin.
  e       Udiamo alfin dại nascituri il resto.
Som.
Curat.
  per    Senza di voi si perderebbe il testo.
i nascituri.

Corno

                              Dell’Arcadia fra la gente
                                   Mai vi fu coppia più bella,
                                   Che i copisti di Cappella
                                   Quasi vince in dignità.
                              Del Parnaso ’l stuol sapiente
                                   Per sporcare i quadernarj
                                   Un soggetto non ha pari,
                                   Nè il miglior ritroverà.


Fine del Dragma.

Note

  1. [p. 75 modifica]Sottanino; diminutivo di sottana.
  2. [p. 75 modifica]Il drio; voce veneziana e bresciana, equivale in italiano il dietro.
  3. [p. 75 modifica]Bisbusa; voce usatissima nel basso volgo in tutto il Bresciano e Bergamasco, ed equivale ad una fascia che nelle solennità maggiori soglionsi in que’ paesi distinguersi i Priori e gli Abbà nelle feste baccanali.
  4. [p. 75 modifica]Partiscono; barbarismo usato in facezia a luogo di partono.
  5. [p. 75 modifica]A trapezzo; voce geometrica per significare una figura quadrilatera, che ha solamente due lati opposti tra loro paralelli.
  6. [p. 75 modifica]Incedono; dal latino incedere, ed usasi per significare chi cammina con maestà. Così Virgilio nel lib. 1. v. 46 dell’Eneide parlando di Giunone:
    Ast ego, quæ divum incedo Regina, Jovisque
    Et soror, et conjux.
    Ed al verso 405 parlando di Venere:
    Et vera incessu patuit Dea.
  7. [p. 75 modifica]Scierpe; voce usata dai piemontesi, equivalente alla parola ciarpe italiana.
  8. [p. 75 modifica]Piumassi; voce piemontese, in italiano pennacchi.
  9. [p. 75 modifica]Andar di ghinda; frase piemontese, e dicesi degli ubbriachi: vale in italiano barcollare come ebbro ad ogni passo, ciondolare, tracollare, tentennare, andar a onde, traballare, vacillare.