Vocabolario dell'uso abruzzese (1893)/Pronunzia e Ortografia

Pronunzia e Ortografia

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PRONUNZIA E ORTOGRAFIA



VOCALI.

Le vocali, in bocca lancianese, come in quasi tutto il resto dell’Abruzzo, suonano ben diversamente che nel toscano. Il suono schietto delle toniche ci ripugna. Iniziali, siano pure atone, quando non precedute da consonante finale di altra parola, fanno sentire un’aspirazione, di regola, gutturale (h), a volte palatina (j),1 e più di rado labiale (v). Iniziali o mediane, oltre alle modificazioni determinate dalla vocale finale (di uscita neolatina), hanno delle appoggiature, degli strascichi, nei quali, d’ordinario, l’accento suol posare sulla prepositiva. Finali,2 non accentate, scadono d’ordinario in e muta; e sarà questa la ragione per cui l’e e l’o lunghi del latino, seguiti da consonante semplice, passano, di regola, nel nostro uso, in é ed ó. Ved. nn. 6 e 15.

Siffatte modificazioni saranno qui indicate caso per caso, e si vorrà tenerle presenti nel riscontrare il Vocabolario, dove sarebbe stato inutile ripeterle a ogni parola.

A.

L’ho segnata or con l’accento acuto, come quando è in contatto con n o con m, o è finale di parola tronca; or con l’accento grave, allorchè è preceduta o seguita da qualsiasi altra consonante. Nel primo caso, ha un suono alto, nasale;3 nel secondo, un suono grave, gutturale. P. e. Náte, Dánne, Panáre, Gránele, — Máre, Máštre, — Áme, Lámbe, Fáme. E se un’à, iniziale, è preceduta da un n o m, per ciò solo lascia il suono grave e prende l'acuto: Àbbete, ’N ábbete; Àche, ’N áche, ecc. E ciò nella pronunzia più corretta. Nella parlata volgare ha poi queste altre modificazioni:

Tonica. — 1. Iniziale o mediana, ha due suoni distinti, secondo che nella parola è in posizione o è seguita da consonante semplice. a) Nel primo caso, ha un suono che piega ad e: Êcque, acqua; Pêcche, pacco; Fiênghe, fianco; Fêrre, farro; Piêzze, piazza. b) Nel secondo, ha uno strascico di o: Càope, capo; Piáone, piano; Štambàote, stampato; e, nelle bocche più volgari, è quasi totalmente ecclissata da o: Cópe, Pióne, Štambóte. c) In antipenultima sillaba, ora piega e ora si confonde in ê: Êvete, alto; Fêveze, falso; Sêbbete, sabato. d) Nella parole tronche in a, come gl’infin. della 1a coniug., piega anche ad è (ma non così spiccatamente come nella parlata vastese e nella teramana).

[p. 10 modifica]2. Per influenza di i, postonico, muta in é, è: Sande Štéçe, S. Eustachio; Sande Brèçïe, S. Biagio; Ceréçe, ciliegia; Pèlïe, palio; Maddeméne, stamani; Ped èrïe, per aria; le Chéne, i Cani; tu mègne, tu mangi. Ma in molto casi questi riflesso manca; es. Denare, pl. Denare; e, spesso, nella serie dei part. pass. in ato.

3. Per analogia coi gerundi delle altre coniugazioni: Parlènne, parlando; Candènne, cantando; Magnènne, mangiando.

Atona. — 4. Iniziale, specialm. innanzi ad n, m, cade spesso per aferesi: ’Ndònïe, ’Mbrdòsïe, ’Nguštïe, ’Nguštïá’, ’Scutá’, ’Véne; ma è facilmente ripristinata — Protonica, è conservata molto più che non le altre vocali — Finale, scade in e muta, come le altre vocali, ma, nell’unione delle parole, è ripristinata: sánde, Sánda Marìje; Marìje, Marìja sandìssime; Mána ritte; Arta leggére; Crócia pesánde; Notta scure (Ved. n. 116).

5. È prefissa a molti verbi e participi. In tal caso, se la parola non comincia con re o con s impura, la consonante iniziale (per assimilazione di un d lat., ad, qualche volta conservato: Addelucá’, Addemmullá’,) è raddoppiata. Se è q, questo è rafforzato in cq, o anche indurito in cc: Abbadá’, Allavá’, Aremétte’, Asciòjje’, Ascéjje’, Acquïatá’ e Accujatá’.

Anche ad alcuni sostantivi e avverbi: Abbesógne, Accaggióne, Addó, Accuçì, Ajére. Ved. A, nel Vocabolario, P. 2a.

E.

Tonica. — 6. Ha due suoni: uno stretto, é, ed uno aperto, è.

Il primo è: a) da un ĭ innanzi a cons. sempl.: Nére, Néve, Péle, Sécchie, Cénere, Vévere. b) da un i in posizione: Tégne’, Végne’, Néngue’, Céppe, Ésse, Férme, Pésce, Léngue; e nei suffissi in esche, esse, ette. c) da un ĕ, passata nel tosc. in è: Béne, Créme, Génïe, Jisedérïe, Jéle, Méjje, Spécchie, Vécchie (eccez. Jènere, Mèdeche) e ne’ suff. in enze: Parténże, Peneténże — Inoltre, da un’e breve innanzi a consonante semplice (nel toscano, ): Déce, Péde, Méte’. d) da un’ē: Cére, Vére, Pégge (pèggio), Tutéle (tutèla), Queréle (querèla), Munaštére (monastèro); con la stessa pronunzia nei suffissi in ere, ese, ete. e) dal dittongo ae, (tosc. è): Enéhe, Ebbrée, Galatée, Gréche, Tédïe (eccez. sècule). Con la stessa pronunzia, dove il dittongo toscano è : Caneliére, Canelére, Becchiére, Becchére, Šchiére, Schére, Premiére, Premére. f) alcune volte da e, sia breve o lunga o in posizione, muta in i: Vìrdene. g) spesso, nelle parole terminanti in a, questa si sente, come per propagginazione regressiva innanzi ad e: Felumaene, Siaene, Saere (Ved. nn. 116 e 129).

Il suono aperto, nella bocca dei meno plebei, è quasi un èa; in quella del volgo, j̈êa,4 che nella parole tronche ha uno strascico di nghe. Esso deriva a) da un e lat. in posiz.: Ècche, Bèlle, Fèrre, Fratèlle, Sumènde, Reggemènde, Sbisïatamènde. b) da un ĕ: Nèbbïe, nébbia, Mèdeche.

In fine di parola, sempre é: É (et, est); Ché, (nec), nè; Té’, tè’, tièni; Oïmmé, Ohimè.

7. Per influenza di i postonico, muta in i: Mése, pl. Mise; Langianése, Langianise (Eccezionalm., anche in alcuni aggettivi femm., per meglio determinare il plur.: Le fémmene bbille; Le mijje méle, ecc.). Ji’ métte, Tu mitte; Ji’ sènde, Tu sinde, ecc.

Atona. — 8. Iniziale, non di rado, cade per aferesi: ’Defizïe, ’Mbriaštre, ’Befanìje, ’Réde, ’Rumite, ’Resìpele, ’Lehunóre.

9. Protonica, muta facilmente in a: Assèmbïe, Alefande, Asseccá’, Assamená’, Piatá, Marcùrïe, Talefine, Trasóre, ’Ssarcìzïe, Carciarate, Cumbitaòrre, Saciardóte, Matarazze, Caraštìje, Cavallarìje, Vennardì; e in u: Sumènde, *Luvá’, *Alluvá’, Rumite, *Tudésche.

10. Postonica, è sempre muta.

11. Nell’iato esce d’ordinario in i: Vijate, Crijá’, Crijature, Lijone, Caïtane.

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I.

Iniziale, tonico o atono, pronunziando la parola isolata, ha sempre un’aspirazione palatina. Qualche volta, labiale: Visedóre, Isidoro.

Tonico. — 12. Derivando da ī, ha in generale un suono schietto specialmente in antipenultima sillaba; ma in penultima, dai più volgari, è pronunziato come éi: Feléice, Vecéine, Vélle. In posizione, in penultima sillaba e i parole tronche, ha suono prolungato e schiacciato: Camj̈lle; Cj̈nghe, cinque; Pj̈ppe, pipa; Accuçj̈e, così; Aprj̈e, aprire; Fenj̈e, finire.

13. Innanzi a consonante semplice, come in tosc., suona é, da ĭ: Véve, Cénere, Féde, Néve; ma, Vìtrïe, vetro; ’N żìmbre, insieme; e salvo a tornare i, ma per influenza di i terminale, nelle 2e pers. indic. dei verbi che hanno i nel tema verbale: Mitte, tu metti; Lihe, tu leghi; nelle 2e pers. dell'imperf. del cong. (le cui desinenze corrispondono a quelle del più che perf. lat. in issem); nelle 2e pers. del perf. dell’indic., e nelle 2e pers. dell’imperf. della 2a, 3a e 4a coniugazione.

Atono. — 14. a) Iniziale, innanzi ad n, cade per aferesi costantemente. b) Protonico, alle volte è conservato; d’ordinario muta in e, e, attiguo a v, più volg., in u: Crevèlle, Cruvèlle; Arrevá’, Arruvá’; Vecine, Vucine; Števale, Štuvale. In alcuni casi, sempre in u: Luscìje; Tutamájje; Secutá’, seguitare; la ’Ngundrïe; Reculìzïe; Ciuvétte. Per influenza di a attigua, può mutare anche in a: Catarre, Racamá’, Salvàteche, Famacce, Giahande. Nei nessi ital. bi, pi, fi, corrispondenti al lat. bl, pl, fl dai più plebei è mutato in r: Brèçïe, Pratte, Prazze, Frate, Framme.

O.

Tonico. — 15. Ha due suoni: chiaro, ó, e aperto, ò. Nell’un caso, e nell’altro, può mutare in u, per influenza di i postonico, come si vedrà nelle Flessioni. Ma, prescindendo da questo, l’u è costante in alcuni casi: Tutte, tutto; Ugne, ogni; Tufe, zolla; Sgùmmere, pesce, Scombro; Rumme, pesce, Rombo; Sùrchie, sorso [Fahugne]. L’ó ha suono abbastanza schietto; senonchè, dai meno volgari, nelle terminazioni in one, ole, ose, suol essere pronunziato quasi come óu; e dai più quasi come àu (suono normale nella parlata gessata e in altre). L’ó deriva: a) da un ŏ, seguito da consonante semplice (nel tosc., , ò): Lóche, Chióme, Móde, Róse, Nóve (nuovo, e 9), Fijóle, sm. e f., Córe, Fóre, Bóne, Fóche, Óme, Róte, Tóne; ma, in antipen. sillaba, Pòpele, Òpere, Lemòsene, Cattòleche; ed anche Cònte (lat. comitem), da ō, seguito da consonante semplice (nel tosc., ò); Óve, Cóte, Cróne (corona), Dóte, Nóme, Decóre. E nei suffissi in one, ore, ose. c) dal dittongo au, (nel tosc., ò): Cóse, Fóce, Fróde, Gióje, Lóde, Óde, Póche, Póse, Tóre, Sóme. d) da o in posizione, innanzi ad n combinato con altra consonante o doppio: Fónde, Frónde, Mónde, Pónde, Annascónne’. e) da u: Gróle, Póce, Vóte, ved. 19. f) terminale (nel tosc. ò): , Mó’, Ció, , , Pró.

L’ò ha suono sempre molto aperto, e in bocca volgare con spiccata appoggiatura di u: Uòrte, Uòsse, Suòlde, Muòrte, Duòtte, Mmuòlle, Cappuòtte, Cappuòtte. Deriva: a) da o in posizione, purchè non seguito da n combinato con altra consonante, o anche doppio. b) da ŏ in terzultima sillaba; Òmmene, Sòcere, Sòreme (mia sorella), Mòvere, Còcere, Štòmache, Vòmete; ma: Córïe, Fójje, Ógge, Ócchie, Ójje, Rasóle, Spójje, Bulógne.

Per influenza di i postonico, muta in u: Cróce, pl. Cruce, Ji’ cópre, Tu cupre.

Atone. — 16. a) Iniziale, cade qualche volta per aferesi: ’Live, ’Spedale, ’Scure, ’Ccassïóne — Muta alle volte in a: Accide’, Addurá’, Affése, Accóre’, Atturá’, Accassïóne, Accupá’, Arrecchiá’; e in u: Udïá’, Unèste, Urazïóne, Uttande. b) Protonico, muta di regola in u: Putéche, Cumbagne, Dulore, Fuculare, Gunfiá’, Lundane, Muscate, Nutare, Puténże, Rusàrïe, Rutulá’, Sulènne, Sumare, Turmènde, Vulundá’. Ovvero in e: *Pemmadóre, *Chenósce’, *Chenócchie. c) Postonico, d’ordinario, in e. Qualche volta, in u: Pècure. d) Finale, scade sempre in e.

U.

Tonico. — 17. Ha suono schietto: a) quando sta per ū: Cure, Dure, Fiume, Fume, Fune, Luce, Nude, ’Scure, Uve. b) quando è riflesso di o: Nóce, pl. Nuce; [p. 12 modifica]Vóve, pl. Vuve; Bóne, pl. Bune; Fijóle (m.), pl. Fijule; ji’ spóse, tu spuse; ji’ vójje, tu vú; ji’ tòjje, tu tujje; ji’ cópre, tu cupre.

18. In posizione, o in terzultima sillaba, ricevere spesso dai più plebei uno schiacciamento come di uùo, o ûo: Brûotte, Tûotte, Jûodece, Fûlomene, Uùoteme (ultimo).

19. Innanzi a consonante semplice, o in posizione, seguito da n in combinazione con altra consonante, passa alle volte in o: Lópe, Póce, Ógne (unghia), Ógne’ (ungere), Pónde (punto di cucito), Jónge, Gróle, Póngeche, Pónïe, Cugnógne’, Órne, Vónde, Pertóse, Tórde (stordito), Ji’ mógne, ’Na mónde, Móte (molto).

Atono. — 20. Aferesi: ’Ngine, ’Nguènde, ’Mijìcule, ’Mbrèlle, ’Rená’, ’Scére (uscire).

21. Protonico: a) spesso è continuazione dell’u lat.: Adumbrá’, Cunijje, Muštecòtte, Pulverine, Spulverá’, Smurmurá’, Vullì’. b) dai più volg. è mutato in e: Abburretá’, Checùmmere, Checócce, Pecine, Reçegnóle, Remóre, Settìle, Suppezzá’ (inabissare). c) di rado in a: Ardiche, ortica.

22. Postonico. In penultima sillaba di voce sdrucciola, di regola, è continuazione di u lat.: Máscule, Spìngule, Redìcule, Currìcule, Èccule, Èssule, Èllule, Jécuce (per qua), Jécute (per costà), Désuce (costà).

DITTONGHI.

AE. Tonico. — 23. In é (tosc. è): Céche, Céle, Ebbrée, Fécce, Gréche, Siépe, Spére, Prémïe, Tédïe. Ma, Cèsare, Sècule, Ved. n. 6, e). Si noti che nella pronunzia più volgare, in Céche e Céle specialmente, l’e, suona quasi àe.

Atono. — 24. Protonico, e: Presséquïe (prèsepe), Prepòšte, Cecá’, Cepólle. Qualche volta, u: Uhuàle, Cuštîóne (questione), Lutame. Anche a: Patr’aterne; ed i: Jitá (età); o cade per aferesi: ’Réde, ’Redetá, ’Resìje, ’Štate.

OE. Tonico. — 25. É: Péne, Féne (fieno) — Atono, e.

AU. Tonico. — 26. Plàusa plàuse (m. av. A rilento), *Pàuche (poco); Càvele, Pàvele: ó (tosc. ò), Trasóle, Tóre, Cóse e *Càuse, Sóme, Códe, Óre, la Lóre, l’alloro: Pòvere.

Atono. — 27- Aumènde, Autunne, e Avetùnïe, Marucce (dim. di Mauro): Ahóšte, Ahùrïe, Arrachite: Gudé’, ’Ndurá’, Ludá’, Puchétte, Puverétte, Uréfece, Vudenże. Per aferesi: ’Cèlle (uccello), ’Récchie, ’Scutá’.

IATO.

28. Il nostro dialetto, come in generale tutte le lingue romanze, cura di evitare l’iato con l’elisione, l’attrazione, la contrazione e specialmente con l’inserzione di un j. In questo caso, quando un i atono è nell’iato, d’ordinario, invece di scrivere il j, preferisco di segnare l’i con dieresi: Spïóne, Pacïénże, Aresedïá’, Vìzïe, ’Gnázïe, Randìnïe.

CONSONANTI.

Delle consonanti (continue; l, r, m, n, h, s, f, j, z, v; esplosive: c, q, t, p, g, d, b) si dirà quanto è d’uopo per dichiararne la pronunzia, aggruppandole come segue.

GUTTURALI, PALATINE, E RELATIVE SPIRANTI.

C, Q, GJ, H.

C. — 29. Iniziale, ha suono rotondo, senz’ombra della gorgia fiorentina. Così anche mediano; e nei due casi spesso è il c lat. nel tosc. mutato in g: Cajóle, gabbia; Cajéte, Gaeta; Caïtane, Gaetano; Caštijá’, gastigate; Camèlle, Cánghene, Caròfene, Làcreme, Acre, Macre, Sacre, Secréte, Ache, Lache, Lóche, Spiche, Secá’, Piecà’. ’Ndrecá’, Assucá’, Lattuche, Putéche, Racanèlle. Anche palatino: ’Cèlle, sugello; Cèveze, gelso; Ducènde, dugento; Damecélle.

[p. 13 modifica]30. Il suono rotondo ch toscano (= lat. cl) innanzi a vocale, noi non l’abbiamo; e il nostro ch è prettamente palatale: Chiamá’, Kiamare; Chiare, Kiaro; Chiave, Kiave; Chióve, Chiùde’, Ócchie; ed avendolo avvertito, non sarà mestieri notarlo con grafia speciale.

31. Dai più volgari, ca iniziale è mutato in qua: Quaçe, Quafé, Quamine, Quappèlle (pl. Cappille), Quavalle, (pl. Cavèlle), Quaštèlle (pl. Caštille), Qualecagne (pl. Calechègne).

32. Qualche volta, lascia e, i, per prendere la sonora palatina: Chjèrchie, circolo, cerchio; Chjchjérchie, cicerchia; Sculacchjate, sculacciata.

33. Nei suffissi, in acce, muta qualche volta in azze: Lehazze, Fecatazze, Bunazze, Renazze, Štuppazze.

34. Pel cambiamento nella corrispondente media, ved. in N.

35. Il nesso lat. cs = x, è d’ordinario reso in ss (tosc. s, sci): ’Ssaudì’, Assèmbïe, Assucá’, Còsse, ’Ssame, Ssamá’, Lassá’. Meno spesso in sc palatino: ’Scì’, Luscìje, Scéjje. Il tj, in c palatino: Pacïenże, Scòrce, Scurciá’, Curciá’.

36. Per evitare equivoci, quando la particella ce o la parola terminante in c sarebbe apostrofata innanzi ad a, o, u, per mostrare che il c è palatino e non gutturale. Invece dell’apostrofo, interpongo un .-i-. Es. C -i- á mésse, C -i- ûfa’, ’M bacc -i- a mmé — Per ç, ved. S.

Q. — 37. In generale, ha un suono toscano: Quatre, Quale, Quande, Quèštre, Sequetá’, ’Sequì’, Quìnece — Alle volte, è indurito in c, ch: Ca, Cacche (qualche); Calunghe, Chenunghe, Chedunghe; o anche assorbe la vocale che segue: Curéle, Cuštïóne, Cujéte, Accujatá’, Scusite. — Pel passaggio in palatina tenue, un solo caso: Cèrche, quercia. In media, ved N.

G. — 38. Come ai fiorentini e ai senesi non riesce a pronunziare il c gutturale, da noi innanzi ad a, o, u, iniziale o mediano, il g si attenua in h: Hatte, gatto: le Hètte, i gatti — talora in v: Vócce e Vótte (goccia), Vónne (gonna), Révele, Revulare, Prèvule, Jóve (giogo), Dóve (doga). Anche innanzi ad r, l, ma meno costantemente, si dilegua. Ma, preceduto da n, s, si ripristina: (G)alere, ’N galére; (G)óde, Nen góde; Hamme, Sgammá’; Hušte, Degušte; Huaštá’, Sguaštá’: e, se da vocale accentata o da monosillabo che ha facoltà raddoppiativa, si raddoppia: (G)alle, (G)alline; É ggalle, n’n é ggalline; senonchè, nel più pretto volgare, questa ripristinazione con rinforzo suol mancare. Per questo nel vocabolario, anche innanzi ad a, o, u, ho scritto le iniziali delle parole con G e non coll’H; ma però, nella scrittura, uso h quando sta per un g gutturale; La hamme; Par’ a’ ssa hatte; e, qualche rara volta, ne fo anche senza: *Umbrá’, gonfiare.

39. Iniziale o mediano, innanzi ad e, i, ha sempre pronunzia intensa: Ggènde, Ggesù, Ggire, Leggìteme, Relleggïóne, Luvigge — Anche palatino, iniziale o mediano, passa non di rado in sonora: Jéle, Jènere, Jendile, Jinócchie, Štrìjje, Mujèlle, Pajése, Prupàjene, Sartàjene, Majéštre, Currèjje’. In questo caso, anche come gutturale: Rijale, Arijalá’, Fatijá’.

40. Fognata: Léne, Cunate, Préne (gravida).

J. — 41. Iniziale, sta di regola per j lat., g tosc.: Jettá’, Jóche, Jucá’, Jónghe (giunco), Jóve (giogo), Jùdece, Judìzïe, Jugneture, Jumènde, Jinépre, Jurá’, Jušte. Justìzïe, Juvá’; e rimane saldo anche nel raddoppiamento: Che jjudìzïe! A che jjóche jucame? (come per g, ved. n. 88, questo raddoppiamento non è della pronunzia più volgare). Ma quando il j è mutato in g, questo ha pronunzia intensa: Ggiá, Ggióvene, Ggiugne, Ggiuvanne.

42. Mediamo, ora è il j lat. conservato: Cajéte (Gaeta), Dejune, Dijuná’, Šdijuná’, Majóre, Majurane; ora è il j lat. (lj, llj) dal tosc. rammollito in gli: Fíjje, Májje, Méjje, Ajje, Scéjje’. Ma, in questo caso, se j precede la tonica, è sempre scempio: Fijje, Fijóle; Mójje, Mujéreme; Pajje, Pajare; Méjje, Mijarèlle.

43. a) Rinforza l’i iniziale della parola non appoggiata alla precedente con terminazione di consonante apostrofata. b) Epentetico, precede o segue l’i nell’iato — Quando precede l’i tonico, scrivo = . Quando segue un i protonico o postonico, ji, ovvero ĭ.

H. — 44. Oltre all’aspirazione che dà alle vocali iniziali a, e, o, u sta per g innanzi alle medesime. Ved. G. Nel primo caso, sarebbe inutile notarlo quando si è avvertito una volte per tutte.

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DENTALI, E RELATIVE SPIRANTI.

T, DZ, S.

T. — 45. Iniziale, quasi sempre intatto. Ma, Ceštùnïe, testuggine. — Mediano, spesso di forma latina: Cétre, Cetrine, Latre, Matre, Patre, Patróne, Rétene, Spatélle, Štatére, Vótte; anche per la mancanza di raddoppiamento: Catetrale, Cetá, Citadine, Leggiteme, Mmalatije, Matine, Matutine, Putéche.

46. Dopo n passa in d. Ved. N.

47. Alcune volte muta in c gutturale o palatino: Tílecá’ [Tichelá’], Vòmeche, Vummacá’, Chiurme, ’Rišchie (resta; Ciambane, Ròcele, Scòrce, Rucelá’ — Anche da notare: Dódde, dote; Panze, Pancia; Rizze, graticola; Giuvendùnïe, gioventù; Patane, patata.

D. — 48. Iniziale, innanzi ad r, ha suono forte: Ddrahe, Dramme. a) quando non è raddoppiato, o preceduto, nella stessa parola, da consonante che non sia n, ha suono rimesso: Addurá’; Pèrde’; Dóte; ’Nduvená’. b) anzi, alcune volte, e di regola in parola sdrucciole, dopo n, si dilegua: Çìneche (sindaco), Fóneche, Mánele, Pènele, Quìnece, ’Randìnïe, Ránele, Scanajjá’, Vìnele, Vùnece. Dopo r: Quattòrece. c) ovvero, è assimilato da n: Banne, Mónne, ’Nnìvïe, Vennerìcule, Manná’, Štènne’, Magnanne, Sendènne.

49. Dalle quali “peripezie„, per dirla col D’Ovidio, spesso di sottrae indurendosi, mediano, tra vocali (e iniziale, in Talefine), in t: Cate, Fucétele, Mataléne, ’Ngùtene, Péte, Pétete, Plàcete, Prìcete, Quatre, Quatrate, Rétene, Štùpete, Tépete, Truppesìje (Siffatto indurimento, anche delle iniziali, è ovvio nella parlata di Aquila: Te, di; Titu, dito; Toppu, dopo; Sètia, sedia; Nutu, nudo).

Z.a) Ha un suono aspro, come in Zambe, Zélle, Zòlfe, Pózze, Pòsse, Puzze, Merluzze; b) e un suono dolce, come dopo le liquide l, n, e, molte volte, r, ma breve, che sarà indicato da ż. Questo secondo suono, in principio di parole, è più intenso e protratto, e sarà indicato con żż.

51. Muta alcune volte in c palatino: Cianghe, Ciufelá’, Ciòppe, Pacïénże.

52. Quando sta pel nesso lat. ct ha pronunzia intensa: Azzïóne, Lezzïóne, Affezzïóne.

S. — 52. Il suono dolce, toscano, dell’s tra due vocali, come in Roṡa, Spoṡa, non l’abbiamo. Parimente, il suono è aspro innanzi alle esplosive c, q, p, e alla fricativa sorda f. Invece, innanzi a consonante sonora o liquida, g, b, l, m, n, r, e alla fricativa sonora v, naturalmente, come nel tosc. Roṡa, è sonoro, e fo a meno d’indicarlo con un diacritico.

54. Iniziale o interno, ha in certi casi una doppia maniera di pronunzia: a) gagliarda — come in Sciòjje’, sciogliere; ’Scì’, uscire; Scijone, sifone; Pasce’, pascere: — quando precede t, d, ch; e in questo caso sarà indicata da un š: Štalle, Quešte, Šdendate, Dešdegne, Šchiume e Šcume, Šchiaffe e Šcaffe: — nonchè, in alcuni casi, quando è doppia: Tósce, tosse; Rósce, rosso; Fusce, fossi, fosse. b) rimessa — come nel tosc. “Dieci, camicia, Cento„ — e sarà indicata con un ç: Çì, sì; Çìmïe, scimmia; Çìneche, sindaco; Façióle; Façiáne; Ceniçe; Çiòreve, sorbo, sorba; Neçiùne, nessuno; Caçe, cacio; Vaçe, bacio. — Il ç, dovendosi raddoppiare, sarà scritto, per semplicità di scrittura, sc, e non š: Çì, sì; E scì!, e sì!; Çî, sei, tu sei; Che scî sande!

55. Iniziale, muta alle volte in z: Zambugnare, Zenale, Zenate, Zòlfe, Zuffïá’, Zuffrìjje’, Zulfate, Zuffrì’.

56. Dopo r, muta facilmente in z: Arzure, Fòrze, forse; Órze, orso; Pèrzeche, Spèrze.

57. Dopo l e n, costantemente in ż: Bàlżeme, Cummulżïone, Pólże, Sènże, Senżìbbele, ’Nżìmbre, Penżà’, ’Nżigná’, Defenże.

LABIALI, E CORRISPONDENTI SPIRANTI.

P, BF, V.

P. — 58. Iniziale o interno, di regola, intatto; qualche volta anche dove il tosc. muta in b o v: Putéche, Lépre (lebbra), Capézze, [Recepì]. Eccez.: Bagge (Paggio, nei canti pop.), Buffanìje, Bìfere, Abbrile, Lèbbre, Resìbbele, Mannibbele.

[p. 15 modifica]59. Per influenza di n, passa costantemente nella media corrispondente. Ved. N.

60. Qualche volta, muta in v: Recuverá’, Vernice (scintilla).

61. Alcune altre, in c (pj = cci): Lacce, sedano; Sacce, so, io so; Sécce, seppia.

B. — 62. Iniziale, muta spesso nella spirante relativa: Vaçe, Varve. Velángele, Vévere, Vócche, Vove, Vracce, Vullì’. E anche interno: Avaštá’, bastare; Fravecá’, fabbricare; Tróvete, torbito. Ma, quando è conservato, ha sempre pronunzia intensa: Bbèlle, Bbóne, Bbrutte, Libbre, Àbbete, Abbuse, Frabbecá’, Glòbbe, Débbete, Tróbbete.

63. Qualche volta, muta in p: Palecóne, balcone; Saprenacce, Piccellate, Prìcete (Brigida), [Pasine, Basilio]: Juppóne, giubbone.

64. In Mammòcce, Mescòtte, passa in m; e, in Fafe, fava; Scarafóne, scarabeo, scarabrone*; Cunfená’, combinare, in f. Ma il primo caso è più frequente per assimilazione: Gamme, Tómmelle, Capetómmelle, Cummatte’, ’Mmuttélle, Ammuccá’, Tamorre.

F. — 65. Sempre immutato. Per influenza di n, passa in b. Ved. N.

V. — 66. Tanto iniziale quanto mediano, d’ordinario intatto: Vase, Vènde, Vertécchie, Vóve, Pavure, Civetanóve e *Ciuvetanóve, Ruvanèlle. Ma però, se, a contatto di vocale, ha sempre suono rimesso, vicino ad u consuona alcune volte con questo, e senti: Ciuuétte, Giuunétte, Carnuuàle, lu Uére.

67. Muta qualche volta in b: Baliçe. Ma siffatto rafforzamento nella relativa media è più comune dopo s e in casi di raddoppiamento: Sbelá’, Sberrutá’, Sbelucciá’, Sbummacá’, Sbizïatamènde: Abballe, giù; Abbambá’, Abbicená’, Abbelenì’.

68. Scade alcune volte nella spirante gutturale: Fahóre, Fahugne, Pahóne, Néhe (“naevus„, neo) — O s’indurisce in g media: Gólepe, volpe.

69. Si dilegua affatto in Luscìje.

70. Muta in m: Menì’, Menute, *Mingenże, *Maddeméne, [Mascecande]; e per assimilazione (dv, nv = mm): Ammezzá’, Ammézze; ’Mmìdïe, ’Mméçe, Ammetá’, Ammelòppe.

71. Nell’iato: Duve, Duvétte, Puvéte, Puvesìje, Luvigge, Davéndre. Ma d’ordinario, tra due vocali, preceduto da u, suol essere assimilato da questo: Giuuanne, Truuà’, Ciuuétte.

72. Prostetico: Vógge, Vónde, Vógne’, Vugne, Vune, Visedóre.

73. Per w ted.: Vàleche, Valdrappe, Vande, Vardïe, Vèrre, Vìnele.

Non pare che questo w sia passato per la trafila di gu. In tal caso, avremmo Uàleche, ecc.

LIQUIDE.

L, R, M, N.

L. — 74. Iniziale o mediano tra vocali, di regola, intatto: Lane, Lònghe, Luçèrte, Alá’, Alégre, Accuccularse, Mujèlle, Mulenare, Pelucche, 'Scutelá’, Lu, La.

75. Qualche rara volta, muta in r: Ruçegnóle, Grándele, Sarache. Men di rado in n: Nitre, litro; Sedine, Féne, Meneture, Anetá’, Pìnele, Cerefugne.

76. Doppio, mediano, anche resta: A èlle, là, colà; Capélle, pl. Capille; Quille, quegli, ’Cèlle, pl. ’Cìlle. Eccez. Tanne, ’Scénne.

77. Iniziale, dissimilato in j: Jójje, Jìnele.

78. Prostetico: Lape, ape; la Lóche, l’oca (gioco); Lòpïe, oppio; Lécene, éndice; Lùteme, ultimo.

79. Inserzione di l mutato in r: Fàrchie, fiaccola di canne.

80. Nei nessi nei quali precede t, c’, s: a) o si conserva, e fa passare queste consonanti da sorde a sonore: Alde, Alżá’; Calge, Salge; Falże; Vòlde; Pulge; Pólże. b) ovvero, ed è più volgare, muta in v, con epentesi di e tra questa spirante e la consonante che segue: Àvete, Avezá’; Cavece; Savece; Faveze, *Vòvete; Póveze; o pure, in alcuni di questi casi, si dilegua affatto: Vóte, volta; Vutá’, voltare; Ùmete, ’Scutá’, Capeštá’, Póce, Úcere, Befóce, Póze — Innanzi a consonanti diverse dalle dette, resta immutato: Zòlfe, Alfonże; ma, nel pretto volgare, è d’ordinario seguita da epentesi di e: Malve, *Maleve; Cólpe, *Cólepe; Balcóne, [p. 16 modifica]*Palecóne; Calcagne, *Qualecagne — Assimilato, in Quacche, Cacche, qualche; Quacchedune, Cacchedune, qualcuno.

81. CL, iniziale, muta in chj (ved. n. 90): Chiare, Chiavá’. Così pure cl o c’l, a formola intera. Ma, tra vocali, è anche jj: Majje, Buttijje, Tenajje, Cunijje.

82. Il nesso, GL o G’L, iniziale o interno, si riduce a l: Lire, ghiro; ovvero si dissimila in j o j: Jacce, Jacciá’, Janne, Jótte, Jòmmere, Ajummará’, Ajuttì’, Sejózze, Squajá’, Štrijje. Eccez. Ógne, ugna.

83. I nessi BL, PL, FL, iniziali o interni, passano in bi, pi, fi e, nello strato idiomatico più volgare, in br, pr, fr: Biánghe, *Branghe; Biàçe, *Brèçïe; Biéte, *Bréte; Biaštemá’, Jaštemá’, *Vraštemá’; Nèbbïe, *Nèbbre; Sùbbïe, *Subbre; Fìbbïe — P’L si mantiene in Scòppele (pane di sansa). Del resto, Piane, *Prane; Dóppïe, *Dóppre; ’Mbjì, *Mbrì’; ’Mbiaštre; Próte. Non comunem., Scucchiá’Fiacche, *Fracche; Fiate, *Frate; Arefiatá’, Arefratá’; Zuffiá’, *Zuffrá’.

R. — 84. Molto tenace, e più che non nel toscano: Àrbere, Ceraçe, Mercurdì, Rare, Are, Cellare, Cendenare, Pajare, Vasare.

85. Muta qualche volta in l: Lénele, Murtale, Rasóle, Suprïóle, Belarde, Gelòrme.

86. Attratto dalla consonante iniziale: Craštá’, Fréve, Próvele, Perdesénnele, Tróvete; altre volte se ne allontana: Bercóne, Ferlenghélle.

87. Epentesi: Jinèštre, Scrizze, Mescardèlle, Vèspre, vespa, Vangelištre, Mándrece, Calamitre.

88. Etlissi: Arate, Arréte, Pròpïe.

89. Finale: cade sempre. in “Per„ si assimila a ogni consonante iniziale che segue, ed è perciò raddoppiata, meno l di lu, la, (se l non è apostrofato) e n di ’nu, ’na. Del pari, cade avanti a ogni vocale iniziale; senonchè, muta in d in Ped acque, Ped ècche, Ped èrïe, Ped une.

90. Raddoppia costantemente nella terminale dell’infinito che entra a costituire il futuro e il condizionale: Candarrá, Candarré.

91. Modificante. Alcune volte fa passare le tenui c, t, in medie, e la spirante s in sonora: Urghèštre; Ardiche, Spirde, Fehurde!; Órze (orso), Fòrze (avv.), Vèrze, Urzògne, Vòrze, Perzóne, Arzure, Scarze.

M. — 92. Qualche volta muta in n: Pandumine, Tijane, Gna [na], [Nusche], Curìnele, grumolo.

93. Iniziale, raddoppia in alcuni casi: Mmalatìje, Mmalamènde, Mmaletèmbe (e in altri composti; mentre, Male), Mmicce, Mmòlle, Mmòšte.

94. Mediano, non ha i raddoppiamenti del napoletano, e a volte si conserva, più del toscano, conforme al tipo originario: Amóre, ’Nnamurate, Fume, Jame, Facéme, Séme (siamo), Camine (focolare), Caméle, Gámmere — Inserito, in Popámbre, Strambelóne; e, pare, dissimilato in Cambre, Cambumille, Grámbule, ’Nżimbre.

95. Modificante: Tèmbe, Lambe, Cambá’, ’Mbara’, Rómbe’.

96. Assimilante: Cummatte’, ’Mmuttélle, Gamme. Ved. n˘. 64.

N. — 97. D’ordinario, intatto: Nude, Cùnele, Pianòzze, Spinele, Spinelá’, Spingule, Pónne’, Cumbónne’, Prupónne’, Don, e, innanzi a vocale, Donn.

98. Muta qualche volta in m: Crume, Piéme, Puzzulame, Salemitre, — in l: Alme, Gránele (grandine), Pámbele, Sanduline, Vìmele; — e anche in r: Paraggìreche.

99. Inserita in Fangòtte.

100. Fognata: *Cusìjje, *Cusijá’, Pésele, Mése, Sijózze, Vîce, viènci.

101. Assimilante, ma con molte eccezioni: Frónne, Mónne, Munná’, Granne, Pènne, Vénne’ — Assimilata: ’M mane, ’M mèżże, Do’ Mmarche, Nghe mmé; Do’ Rraffajéle, Do’ Lluvijje.

102. Modificante: — ’Ngùtene, ’Nguruná’, 'Ngòmede, Végne’: — Cundènde, ’Ndenzïone, Sendemènde: — ’Nguline (inquilino), ’Ngujatá’ (inquietare), ’N guandetá’: — ’Nżalate, ’Nżigná’, Cunżijje, Penżére: — Panże, Cumenżá’.

103. Modificante e modificata: ’Mbèrne (inferno), ’M bacce, ’Mbónne, ’Mbusse, Cumbètte, Cumbedénże: — Cummènde, convento; Cummite; ’Mbescajá’, invischiare; Ammendá’, inventare; Do’ Mmalendine: — Dom Basquale, Dom Bacìfeche.

104. Come finale, cade. “In„, ’n, prep., regge salvo in casi di assimilazione dianzi accentati.

[Casi di dissimilazione di n abbiamo nelle antiche scritture: Serrando, saranno; Pondo, ponno, possono; Sondo, sono; Vando, vanno. "Stat. mun. di V.„]


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ACCIDENTI GENERALI.

Vocali. — 105. Il vocalismo della parlata lancianese, come appare dal cenno che precede, è tutt’altro che puro; tuttavia, un paragone con quello dei subdialetti parlati da un capo all’altro del Circondario farebbe constatare: a) che nel lancianese mancano quegl’incrementi vocali, che, come nel latino, caratterizzano lo stadio arcaico delle parlate dei nostri piccoli comuni (es. Mane, pl. Méne [Mj̈ene]; Sére [Sàïre]; Leggére [Leggj̈ére]; Bèlle, pl. Bille, m. e f. [Bj̈elle]; Pòrche, pl. Purche e Purce [Pùorche]; Sóle [Sàule]; Déte [Dàïte - Dóïte]; Fórne [Fùorne]). b) che, nel Circondario istesso, il paragone di alcuni riflessi dà il modo di seguirne l’evoluzione, e di riconoscere che la forma più antica è da cercare tra i monti, come la più moderna in Lanciano e ancora più in Ortona, centri una volta della nostra attività industriale, commerciale ed artistica (es. Pal. Plagne’, piangere; G. Pragne’; L. Piagne’, *Pragne’; Ort. Piagne’ — Pal. Furre, forno; G. Fùorne; L., Ort. Fórne, ecc.).

Fra le cacofonie del lancianese è uno strascico di nghe, appiccato a molte parole accentate, e specialmente monosillabiche.

Consonanti. — 106. Vi sono parole nelle quali costantemente la consonante iniziale è raddoppiata, e sono: a) tutte quelle che cominciano con b o con g’; ed avvertendolo qui, ho creduto superfluo notarlo volta per volta nel Vocabolario. b) Inoltre, Cchiù, più; Ddì’, Dio; Rré; Rróbbe, Mmalatìje, e tutte le parole che cominciano con male-a; Mmèrde; Mmicce; Mmòlle. In Malve e Móšte, l’m si pronunzia raddoppiata; ma però, in composizione, è scempia: Muštecotte; Malvaróse. Da ultimo, Nné, comunem., ma non costantemente, raddoppiata l’iniziale.

107. Per via dell’accento, o della consonante finale che è assimilata, ved. n. 89, hanno facoltà raddoppiativa (meno che sull’iniziale dell’art. determ. lu, la, non apostrofato, e dell’indeterm. ’nu, ’na) i seguenti monosillabi: E (et, est), Nné (nec), Se (si), Cchiù (plus), Che, Nghe (cum), Pe’ (per), A (ad), meno dei modi: Ajj’ a fa’, Àjj’ a métte’, e quando è prefissa ai verbi, che hanno già il prefisso re).

Con qualche eccezione, Che (quid): Che ne fa’?, Che n’á fatte?, Che je çî ditte?

In nessun caso hanno poi facoltà raddoppiativa, come nel toscano: O, Da, Ma, Ove, Dove, Come: “O nnel latino, O ttedesco; Da cquello, Ma vvedi!; Come cquello, Come ffece; Ove ssi mette?; Dove ssei?„.

108. Aferesi — Oltre a quelle instabili, quanto frequenti, delle atone iniziali, ce n’è delle permanenti: Štóre, astore; ’Rutine, arrotino; ’Štucce, astuccio — ’Ssunèšte, disonensto; ’Spare, dispari — In tutte le parole comincianti con in’Sagne, lasagna; ’Cìfere, Lucifero — ’Récchie, orecchio; ’Live, olivo-a — ’Nu, ’Na, art. indet. e agg. num., Uno-a; ’Cèlle uccello.

109. Apocope — Costante negl’infiniti, e molto comune nei vocativi. Inoltre, nei pron. poss.: Mé’, mio; Té’, tuo; Sé’ suo.

110. Sincope — Rumà’, ruminare; Bartummé, Bartolomeo; Pute, potuto; Vute, voluto; *Sute, p. pass. di Solere.

111. Metatesi — Magná’; Mógne’; Fétteche; Ulérïe, Aurelio; Pergiudecá’; Štrapòrte, Štrafurmá’; Prùbbeche; Preffidïóse; Sprécchie, specchio.

112. Protesi — Nangóne, Ancona; Lape, ape; Lòpïe; Lùteme, ultimo; Lacce, (“apium„) sedano; Vune, uno; Vógne’, ungere; Ji’, io; Jèreve, erba; Grulle, urlo.

113. Paragoge — *Détere, diti; *Lehùmere, legumi; *Móschele, mosca; Velángele, bilancia; Gnorçj̈e, gnorsi; *Spasseggéjje, passeggia; *Se ’mbucatéjje, s’infoca; *Se ’ndrubbetéjje, s’intorbida.

114. Etlissi — di d: Mánele, Pènele, Çìneche, Fóneche; di g: Cunate, Léne; di b: Tamórre; di n: Cusijje, Cusijá’; di l: Póce, Póze.

115. Epentesi — di j: ’Ndréjje; Vijate, beato; Vìzije, Chi jé?; di h: Tehatre; Tehòleche, Mahumétte; di v: Cundìneve, Gesuvite, Fundevàrïe, Puvéte, Puvesìje; di e: Calecagne; Zòlefe; Cólepe; Tòvere, tolto; Çiòreve; Còseme; di a: Cangaréne.

Note

  1. Nei comuni intorno a Chieti (Ari, Casalincontrada...) il caso è ordinario
  2. Questa tendenza, tra noi comune, dà ragione di alcuni suoni strani in vari nostri subdialetti. Trattasi di contrazioni di dittonghi appunto sulla prepositiva. P. e., sera, sàïre (G., V.) sare (At., A.), ecc. E, per analogia, quando la vocale è in posizione.
  3. In altre parlate, specialm. nella casolana, negli stessi casi, si attenua fino ad é.
  4. In alcune parlate, più che contatto, vi è combaciamento o fusione dell’è nell’a (s. Eus., Civitella Messer Raiomondo, Caram., ecc.)