Vocabolario dell'uso abruzzese (1893)/Avvertenza

Avvertenza

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Vocabolario dell'uso abruzzese (1893) Pronunzia e Ortografia

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AVVERTENZA



1. Nella 1a edizione di questo Vocabolario dell’uso abruzzese presi le mosse dalla parlata di Gessopalena, mio comune nativo; in questa, movo dalla parlata di Lanciano; anzi, ne’ preliminari — pronunzia, ortografia, morfologia — e nella 1a Parte — italiana‐dialettale — , i riscontri col toscano sono esclusivamente lancianesi.

Uso il vocabolo ‟Parlata„ come sinonimo di ‟Sottodialetto„. Il ‟Dialetto abruzzese„ — che, in massima parte, è una delle principali varietà del siculo‐napoletano — è quel che vi ha di comune nella moltiplicità dei sottodialetti parlati fra il Tronto e il Trigno.
Ritenendo di contribuire meglio allo scopo didattico e di stimolare lo spirito d’investigazione storica, ‟poichè la lingua è qualche cosa di più che una serie di vocaboli„, nella 1a Parte ho aggruppato questi secondo l’ordine tenuto dallo Zambaldi nel suo Vocabolario etimologico italiano. ‟Dando unite le parole che derivano da uno stesso fonte, in maniera che ciascuna stia a casa sua e vi tenga il suo posto, come ogni persone in un grande albero genealogico, e vi appariscano le famiglie grandi e piccole, le parentele strette e lontane, le origini paesane e straniere„, spero di movere nello studioso la curiosità di ricercare nell’opera dello Zambaldi quelle ragioni degli aggruppamenti, che nel mio breve elenco non era il caso di assegnare.
Le parole con un numero a destra, sono da cercare ne’ gruppi indicati dal numero stesso.

2. Nella 2a Parte, dialettale‐italiana: a) i vocaboli lancianesi sono in minuscolo grasso; b) i vocaboli di altri comuni, con indicazione delle rispettive provenienze, in corsivo; c) tutto ciò che non è lancianese, è in parentesi quadre; d) i vocaboli e i modi senza indicazione di provenienza sono della parlata gessana.1

Che la trascrizione e la spiegazione dei vocaboli non raccolti da me stesso in vari luoghi siano esattissime, nonostante che fatte da persone intelligenti, non potrei garantire. Quanto ai vocaboli e ai modi lancianesi, li ho riscontrati ‟tutti, un per uno„, alla fonte.

[p. 4 modifica]Il più delle volte ho tralasciato di segnare la qualità delle parole. In tali casi, s’intenda che ciò era superfluo, stante il perfetto riscontro del nostro col vocabolo toscano: nome con nome, aggettivo con aggettivo, ecc.; maschile con maschile, ecc.; verbo transitivo con transitivo, ecc. E così per le varianti o pei vocaboli delle parlate diverse dalla lancianese. Inoltre, dove nulla è notato delle qualità di un verbo, s’ha da intendere che il nostro ha le forme di transitivo, intransitivo, pronominale, ecc., del corrispondente toscano.

Le abbreviazioni da me usate sono tanto comuni e chiare da non aver bisogno di spiegazione.

3. È quasi superfluo il dire che, tanto nella 1a quanto nella 2a Parte del Vocabolario, ho registrato solamente le parole e i modi che per spiccate modalità fonetiche, morfologiche o sintattiche differiscono più o meno dalle parole e dai modi toscani, lasciando in dietro, e non è poca, la parte comune, che non ha di speciale altro se non quei mutamenti fonetici dei quali in generale si discorre nel trattatello sulla Pronunzia.

4. Nella nostra, come del resto in ogni altra parlata, sono due strati idiomatici: l’uno di voci e modi adoperati nel discorso familiare anche da persone colte; e l’altro di parole e maniere più comunemente usate dal volgo. In questo secondo strato sono poi dei vocaboli esclusivamente volgari, che un uomo colto o non pronunzia mai o solamente di rado, quasi come parole di gergo, e facendo intendere, con un certo tono enfatico, che le adopera appunto come tali. Tenendo conto di siffatte differenze, nel Vocabolario ho notato in primo luogo la forma più comune; in secondo, senza interposizione di un e, la più volgare, e con un asterisco a sinistra ho segnato le esclusivamente plebee.

Nelle parentesi, l'asterisco che precede la parola latina o italiana, indica forme supposte. Quello che segue, forme antiquate.
Le forme e i vocaboli toscani di uso familiare o volgare ho contrassegnati con virgolette.

5. Per coloro che desiderassero di studiare la fonetica della parlata lancianese in confronto con alcune altre di questa Provincia, ho messo insieme i necessari elementi da me raccolti con la guida delle serie compilate dal D’Ovidio allorchè, nel 1878, aveva in animo di dare un lavoro sui dialetti del Sannio, dell’Abruzzo e dell’Ascolano, risparmiando così agli studiosi la fatica di pescare tutto nel Vocabolario.2 A me non rimarrà [p. 5 modifica]che a dare delle informazioni intorno alla pronunzia lancianese, e delle dichiarazioni sulla ortografia relativa, accompagnate da riscontri, credo, non inutili a chi incomincia lo studio del patrio idioma.

Nel Vocabolario, oltre a notare dei riscontri con le forme originarie, ho ceduto qualche volta alla forza irresistibile di manifestare i miei sospetti intorno ad alcune etimologie. Chiuse in parentesi e rincantucciate senza pretensione in fine di paragrafo, spero che quelle indicazioni non abbiano a far male a nessuno. In ogni caso, a una franca confessione della colpa non si negheranno, spero, le circostanze attenuanti.

6. Se niente altro rimanesse ad attestare l’antica differenza di tipo etnico, basterebbe la lingua per dedurne che i toscani sono i discendenti di quegli etruschi le cui civili istituzioni e le arti si svolsero in forme anche oggidì ammirate; e noi, stirpe sabellica, proveniamo da quel ceppo osco le cui propaggini ebbero in ogni tempo reputazione di forti. In bocca toscana, la parola è tornita, finita in ogni parte, e vibra come onda musicale; in bocca abruzzese, è semplicemente qualcosa che serve a comunicare il pensiero pur che sia. Nella nostra parola, niente di artistico; tutt'altro! Ogni comune ha modulazioni proprie, per cui ci è facile riconoscerci; ma tutte più o meno ingrate, e alcune così poco umane, che a noi stessi non par vero. V’ha di più, che oltre a potare con frequenti aferesi ed apocopi le parole, e di strizzarle con sincopi ed etlissi, poichè non ci cale che della tonica (a sua volta, per circostanze che saranno determinate, soggetta a non rari mutamenti) delle protoniche e postoniche facciamo mano bassa. Aggiungi, che il suono netto delle vocali non essendo di nostro genio, iniziali, quando restano, le aspiriamo; mediane, curiamo sempre di evitare l’iato;3 finali, non accentate, ne riduciamo il suono a un che d’indistinto: una specie di e muta. Da ultimo, nella lancianese, come nelle altre parlate abruzzesi, è notevole il costante passaggio delle consonanti tenui in medie per influenza di n. Il che conferma che se questa regione è tuttora di genti vel fortissimarum Italiae (Plin., III, 11), la nostra lingua non ha muscoli robusti ed agili come le nostre braccia, e che la nostra parola, sempre “opicante„, è lontana dalla venustà toscana.

Per le popolazioni che vivono tra il Gran Sasso, la Maiella, e il Velino, ciò che è piccino dovè parere spregevole. Così a confronto della dovizia toscana, ristretto è il numero dei nostri diminutivi; e tra questi, il più comune è quello che già [p. 6 modifica]inchiuse un’idea di spregio: ‟uccio„. — Inoltre, parecchi nomi, che nel toscano sono di genere femminile, noi li facciamo maschili.

Tuttavia, questi sciatti parlari sono, in certo modo, i nostri migliori titoli nobiliari. Più che non i ruderi di bronzo, di pietra o di terra cotta, essi fanno testimonianza del tempo remoto nel quale i diversi idiomi italici si andavano conformando al latino. In quella fusione, che fu prima forma (romanza) della lingua nazionale, la nostra individualità etnica non aveva a perdere molto di se stessa;4 in guisa che anche oggi, per mezzo del nostro dialetto, ci è dato distinguere alcuni lineamenti caratteristici della nostra razza: nel linguaggio, più tenace delle stesse tradizioni e delle attitudini fisiche e morali, rinvenire i tratti fisiognomici di quei nostri progenitori, pei quali la storia, intenta a dir di Roma, non ha che poche e monche parole.

Nè all'assimilazione toscana (alla quale, e non già alla moderna Roma, dobbiamo l’esser oggi una nazione ‟italiana„) abbiamo resistito meno. Onde avviene:

a) Che se pure abbiamo forme sintattiche ricalcitranti e parole senza fine che ci è d’uopo imparare a pronunziare ortofonicamente, ne abbiamo altresì non in scarso numero che, in ricognizione dell’egemonia, dobbiamo imparare a pronunziare in modo diverso dal tipo fonetico originario (Es. Òpie, Capone, Caméle, Pruvéde’, Paròcchie, Muche, Alume, Sabbete, Caròfene, Ache, Séche, Spiche, Lache, Lóche, Macre, Secréte, Ánese, Façióle, Ceraçe, Jóche, Juva’, Jùdece, Judìzïe, Ssaudì’, Ssercetà’, Sequì’, Patre, Matre, Córïe, Máscule, Déce, Péde, Méte’, Virde, Sicche, Lònghe, Çìmïe, Muçe, Nuce, Rùvere, ecc.). dal che si vede che alcune modalità etniche, originariamente comuni alle favelle osca, umbra e latina — derivanti da una madre lingua, che fu quella degl’Itali di stirpe ariana — hanno avuto presso di noi più tenace vita, per modo che nel parlare siamo non di rado più latini di coloro che furono latini una volta.5

[p. 7 modifica]b) Che la maggior parte delle voci germaniche assimilate dal toscano sono tanto estranee al nostro uso quanto non sarebbe se già per quella via non fossero passate nella lingua nazionale (Es. Albergo, Astio, Agghindare, Baldo, Bazza, Bazzotto, Bica, Blocco, Brando, Camuffare, Ciocca, Cioncare, Crusca, Danzare, Drudo, Fìgnolo, Gaio, Ghermire, Ghignare, Gora, Greppia, Grinta, Grullo, Gualcire, Guari, Gufo, Guinzaglio, Guisa, Rocca (arnese), Rosta, Schermo, Scranna, Scotto, Sdrucciolare, Slitta, Spola, Sprillare, Stia, Stormo, Strale, Strozza, Tasca, Trecca, Tregua, Tuffare, Uosa, Usbergo, Zolla). Senonchè, quelle voci straniere, qualunque siane la provenienza, che abbiamo accolte, conserviamo meglio nella loro forma originale (Es. Banghe, Varì’, Vèrre, Valecá’, Vande (sf.), Vandére, Vìnele, Vardá’, Šchine, Trapele, ZéngherePapusce, Racamá’, Barracá’, CiuvétteMacare, Caméle, Ceróte, Máchene, Vucale, Pratteche, Lépre (malatt.), Sèllere, Perdesénnele, ecc.). Inoltre, se il toscano ha assimilato molte voci latine e greche — del resto in buona parte formanti lo strato idiomatico colto — alla nostra volta, e senza alcun sussidio di elaborazione letteraria, abbiamo tuttora sulla lingua non poche voci di buon conio latino (Es. Abberuttá’, Adduce’, Alá’, Appumétte’, Arbelá’, Cajóle, Caracine, Cesá’, Chióchie, Cunele, Curdésche, Fetá', Ferzóre, Frìscule, Maddeméne, Massére, Manòppïe, Masse, Mucóre, Paštená’, Róle, Sallécchie, Sartàjene, Sucá’, Trappite, Umá’, Zòcchele (sf.), ecc., ecc.).

Oltre a questo, due fenomeni che soli basterebbero a dare fisonomia spiccata al subdialetto lancianese, nonchè, dal più al meno, a tutti quelli del Chietino, del Teramano e di una parte dell’Aquilano, sia che parlati nei piccoli villaggi, sia che in città antiche quanto Roma (Vasto [Histonium], Ortona [Ortona], Lanciano [Anxanum], Teramo [Interamnia], Atri [Hadria], Penne [Pinna], Sulmona [Sulmo], ecc.) sono: 1. L'assimilazione vocalica, nella gradazione delle sue forme, ‟non come fatto sporadico, ma come legge continuamente e costantemente attiva„ (De Lollis, in Archiv. Glottol., XII); 2. La conservazione di alcuni nessi latini, generalmente alterati negli altri idiomi della Penisola: Fl, Pl, Bl, intatti nel Teramano, in parte dell’Aquilano, e in qualche comune del Chietino; e di regola induriti in Fr, Pr, Br, nel Chietino.

7. Non ho dato a questo lavoro il titolo di Vocabolario comparato del dialetto lancianese, perchè molta parte di esso sarebbe rimasta, quasi come cosa estranea, fuori dei limiti di sifatta indicazione. Invece, ho mantenuto il titolo di Vocabolario [p. 8 modifica]dell’uso abruzzese, poichè, sebbene la parte principale del medesimo sia formata dal dialetto di Lanciano, sono tante le attinenza tra questo e gli altri nostri sottodialetti,6 e inoltre così frequenti le varianti che ho potuto dare dei medesimi, che il titolo non parmi sia da ritenere improprio. Tali varianti sarebbero state più copiose se l’appello che già feci alla cortesia e al patriottismo dei miei corregionari non fosse rimasto quasi senz’eco. Tuttavia, dopo la pubblicazione del mio primo saggio, lavori molto pregevoli hanno vista la luce;7 sì che ho potuto fare mio pro e del materiale linguistico e degl’insegnamenti in essi contenuti. — E qui nell’attestare il mio grato animo a tutti coloro che mi furono cortesi di aiuto, sodisfo un bisogno del cuore nel far menzione speciale del povero amico Orazio Recchione (Palena), a cui molto debbo. — Aggiungerò che molti vocaboli della parlata di Castelfrentano ho ricavato da un ms. del defunto Luigi Crognali, facendo voti che quello e altri manoscritti di quel valentuomo siano almeno depositati in qualcuna della nostre Biblioteche.

L’esser conscio di aver fatto quanto era in me per presentare un inventario fedele, se non ricco, del nostro patrimonio linguistico, mi è di compenso alle durate fatiche; ma non mi lusingo di esser riuscito a porgere tutti gli elementi di uno studio comparativo, da cui solamente può risultare la piena conoscenza di un dialetto; e per questo invoco l’indulgenza di coloro che intendono quali e quante siano le difficoltà che circondano siffatte ricerche.

La 1a edizione di questo lavoro dedicai alla cara e lacrimata memoria di mio fratello Vincenzo. Ora, ahimè!, dovrei aggiungere: e de’ miei adorati genitori — Certo che quelle sante memorie avranno culto ne’ loro animi, dedico questa, con affetto riconoscente, alla diletta mia consorte Rosmunda e al mio bambino Amedeo.

Lanciano, 18 febbraio 1896.

Note

  1. L’aver segnata la provenienza dei vocaboli non importa, com’è naturale, che i medesimi siano da ritenere come particolari del luogo indicato; ma io dovevo darli nella forma che hanno là dove li ho raccolti.
  2. In siffatto confronto, fra altro, non solamente sarà manifesta la sopravvivenza dei dittonghi, anche più arcaici, del latino; ma l’evoluzione delle loro forme.
  3. Spesso, anche delle consonanti evitiamo l’incontro con epentesi di vocale
    Ved. n. 115.
  4. Mentre i latini non intendevano senza interprete o senza averle studiate, le lingue etrusca, gallica e greca, non solamente intendevano l’osco, ma si dilettavano a sentire le commedie (atellane) recitate in tale lingua, la quale, se non la stessa cosa, come alcuni opinarono, fu certamente molto affine al sermo vulgaris dei latini.
  5. Anche più che nel lancianese, si nota in molti altri nostri subdialetti la grande frequenza di dittonghi. Nel qual fatto è da riconoscere uno stadio delle nostra vita linguistica simile a quello del latino non ancora divenuto il sermo urbanus trasmessoci dalla scrittura. Tuttavia, di speciale interesse è la parata lancianese, non solamente perchè è quella di una città, che ora, come negli antichi tempi, è tra le più popoloso e importanti della Regione, ma anche perchè, al pari dei sottodialetti parlati nei comuni sulla riva sinistra del Sangro, lontana dalle influenze del Molise, della Campagnia, del Lazio, dell’Umbria e delle Marche, è una delle più schiettamente abruzzesi.
  6. Non parlo delle varietà fonetiche. Volendo tener conto stretto di queste, sarebbero da fare tanti vocabolari quanti sono i nostri (806) comuni, o così.
  7. G. Savini, 1881; F. Romani, 1883; G. Pansa, 1885; F. Bindi, 1888; L. Fioravanti, 1888; C. De Lollis, 1890-90 L. Anelli, 1892.