Vocabolario degli accademici della Crusca (1623)/A' Lettori
Questo testo è incompleto. |
◄ | Dedica | Tavola de' nomi degli autori | ► |
Nel compilare il presente Vocabolario ( col parere dell'Illustrissimo Cardinal Bembo, de' Deputati alla correzion del Boccaccio dell'anno 1573. e vltimamente del Caualier Lionardo Saluiati) abbiamo stimato necessario di ricorrere all'autorità di quegli scrittori, che videro , quando questo idioma principalmente fiorì, che fù da' tempi di Dante, o uer poco prima, fino ad alcuni anni, dopo la morte del Boccaccio. Il qual tempo, raccolto in vna somma di tutto vn secolo, potremo dir, che sia dall'anno del Signore 1300.al 1400 poco più, o poco meno: perchè, secondo che ottimamente discorre il Saluiati, gli scrittori, dal 1300.indietro, si possono stimare, in molte parti della lor lingua, souerchio antichi, e quei dal 1400.auanti, corroppero non piccola parte della purità del fauellare di quel buon secolo. Laonde potendo noi tener sicuramente la lingua degli autori di quell'età, per la più regolata e migliore, abbiam raccolto le voci di tutti i lor libri, che abbiam potuto auer nelle mani, assicuratici prima, che, se non tutti, almeno la maggior parte di essi, o fossero scrittor Fiorentini, o auessero adoprato, nelle scritture loro, vocaboli e maniere di parlare di questa Patria. Con la diligenza vsata da noi, c'è venuto fatto trouarne molti, ancorchè maggiore sia stato il numero degli Autori, che la grandezza de' loro componimenti. E in questa seconda edizione n'auiamo spogliati assai piu, che nella prima, e per quanto c'è paruto, di buona lega, come si potrà veder nel catalogo, e dagli esempli. Ci è bisognato seruirci di molti volgarizzamenti, e traslataméti d'opere altrui, tratti parte dal Latino, e parte dal Prouenzale, e recati da' nostrali autori, di quel secol buono, in questo linguaggio. Alcuni de' quali, per non esser (per dir così) nostre naturali piante, son da noi tenuti di minor pregio. Alcuni altri, (benchè pochissimi) i quali potrebbe parere altrui, che ritengano, in qualche cosa, vn po' dell'antico, a molte delle lor voci, abbiamo vsato di dire, voce antica. Non s'è già osseruato questo vniuerialmente: perchè abbiam voluto lasciar libero alla discrezione , e considerazion del lettore , vsarle a suo luogo , e tempo , e intanto , per la'ntelligenza dii tali autori, c'è paruto di dichiararle.
Nel raccoglier le voci degli scrittori , da alcuni de' più famosi , e riceuuti comunemente da tutti, per esser l'opere loro alle stampe, che si potrebbon dir della prima classe, i quali sono Dante, Boccaccio, Petrarca, Giouan Villani, e simili, abbiamo tolto indifferentemente tutte le voci, e, per lo più, postaui la loro autorità nell'esemplo. Dagli altri men conosciuti, benchè di non dissimil Finezza, quelle solamente, non trouate ne' sopraddetti, come quelli, che non ebbero opportunità di dire ogni cosa. Degli scrittori, i quali, in molte lor parole, par che sentan del troppo antico, n'abbiamo lasciate alcune, come straniere, e vniche, per auuentura, d'alcun di loro: alcun'altre n'abbiam raccolte, non gia, come vguali di bontà a quelle de' migliori, ma, come riconosciute da noi dal riscontro di più scritture , per vsare in que' tempi. Queste, oltre alla dichiarazion di quegli autori, come dicemmo, potranno seruire per dar notizia delle maniere de' tempi loro, e vsate a proposito, e con riguardo, nõ mancheranno eziandio, per nostro auuiso, di gentilezza.
Da alcuni altri scrittori, che forestieri più tosto ci sembrano, che nostrali, abbiamo cauate sol quelle voci, giudicate da noi belle , significanti, e dell'vso nostro, non curando dell'altre, le quali, anzi straniere, che Fiorentine, potrebbon dar più confusion, che bellezza a questa fauella.
Ne' libri volgarizzati, per la poca intelligenza, in que' tempi, del latino idioma, sono molti e diuersi errori, non tanto per essersi lasciato il volgarizzatore tirare a molte voci, e locuzioni di quella lingua, quanto per essersi discostato nõ poche volte dal sentimento più vero del latino scrittore: però non è da far capitale di lor sentenzia, ma solo dell'opera della lingua , quando hanno puramente parlato in questa fauella. Quando egli hanno fallato , nel prendere il vero sentimento dell'autor latino, abbiamo nondimeno raccolti, e dichiarati i loro vocaboli, secondo ch'e' vagliono nel nostr'vso , e non secondo, che aurebbero a intendersi per dichiarazioni dell'autore volgarizzato , non parendoci , che i manifesti errori degli altri abbiano da alterare le regole e l'vso di questa lingua. Per cotal rispetto molte volte, dopo la vera dichiarazione d'alcuna di queste voci, abbiamo soggiunto, per auuertirlo. [Qui vale, o qui significa ec.]
De' libri stampati correttamente sono citati gli esempli insieme e co' lor libri, capitoli, numeri, e carte, o altre simiglianti notizie, conforme a che si dirà di ciascuno in particolare nella tauola dell'abbreuiature. Degli scritti a penna, o uero stampati scorrettamente, è citato l'autore, o il nome del libro, con qualche contrassegno tal'ora del nome del padron d'esso, perchè non si poteua dar lor molto buona regola, ne meno da' lettori poteuano essere adoperati, ritrouandosi in potere solamente de' lor padroni. De' quali nondimeno si proccurerà ( dio concedente ) di mandarne tuttauia qualcheduno in luce .
Deesi parimente auuertire, che oltre alle voci ritrouate da noi negli autori del buon secolo n'abbiamo nell'vso moltissime altre, delle quali forse non venne in taglio a quegli scrittori di seruirsi, però nella prima edizione del Vocabolario ci parue bene darne notizia, per non impouerirne la nostra lingua, e ne registrammo alcune, in confermazion delle quali vsammo talora l'esemplo d'alcuni autori moderni, tenuti da noi per migliori. Ora per soddisfare al disiderio ( che per quanto noi abbiamo inteso, può dirsi quasi comune ) abbiamo accresciuto assai il numero di dette voci dell'vso, e, a questo fine spogliati molti più autor moderni come si potrà veder nel catalogo: ne abbiamo fuggito il citargli anche, doue la parola d'autore antico sia stata scarsa d'esempli, o quando l'esemplo moderno abbia più assai viuamente espresso la forza di tal parola o sia vsata in quello in vario significato.
Intorno all'autorità, e qualità di ciascun libro, o autore, stimiamo cosa assai più lodeuole rimettercene a quanto in parte n'hanno detto altri prima di noi, che volerci fare arbitri di causa così importante: perciò, per ora, ci riferiamo a quello, che ne scrissero Monsig. Bembo nelle sue Prose, i Deputati sopra la correzion del Boccaccio dell'anno 1573.nel proemio dell'Annotazioni sopra il Decamerone, e il Caualier Lionardo Saluiati negli Auuertimenti della lingua Volume primo, lib 2. cap 12. E nella tavola de’ titoli de’ libri del miglior secolo, al principio del volume secondo, da’ quali potrà il lettore cavar la regola, e lo ’ntendimento delle qualità di questi nostri allegati autori. E benchè noi n’abbiamo spogliati alcuni, non posti dal Cavalier Salviati nel suo catalogo, si potrà nondimeno, all’avvenante di quegli, andar giudicando parimente di questi, tra i quali ci ha niuna, o pochissima differenza.
Le voci estratte da gli Autori del secol buono, sopra delle quali è fondata principalmente quest’opera, son confermate con uno, o più esempli di detti Autori, e, dove s’è potuto, s’è tolto sempre esemplo di poeta, e di prosatore.
Nel citare gli Autori non s’è osservato ogni volta di metter nel primo luogo il più nobile, o ’l più autorevole, ma spesse fiate il più acconcio alla dichiarazion della voce.
Non s’è dato giudicio quali sien le voci del verso, e quali sien della prosa, se non di rado: stimando potersi ciò lasciare alla discrezione altrui, e all’uso, arbitro di simil cose.
I nomi propri delle Provincie, Città, Fiumi, ec. coma ancora de’ loro derivativi, parendo da principio, che non insegnassero più lingua, che tanto, si sono, per brevità, tralasciati.
Delle parole dell’uso, o delle quali non s’è trovato esempli d’autori del buon secolo, alcune se ne sono dichiarate nel fine del discorso di qualche voce d’autore di detto secolo, con la quale ell’abbiano qualche convenienza e similitudine, per agevolarne la ’ntelligenza: si conosceranno per tali dall’essere senza esemplo, o con esemplo d’Autor moderno, come alla voce maneggiare farà posto rimaneggiare, e a maneggiare maneggio. Queste medesime, per comodità del lettore, saranno cavate fuori all’ordine loro dell’alfabeto, perchè quindi il proprio luogo s’apprenda della loro dichiarazione, come alla voce maneggio è detto, vedi maneggiare. Alcune altre, nelle quali non s’è conosciuta similitudine, o dependenza, con altra voce del buon secolo, le abbiamo dichiarate, conforme all’altre, con la propria dichiarazione, e con esempli d’autor moderni, per risparmiar fatica al lettore, come alla voce conflitto, contentezza.
De’ Proverbi di questa lingua s’è proccurato di raccoglierne buona parte, e principalmente i significanti, e di qualche grazia, così nelle cose gravi, come burlesche. Lo stesso abbiam fatto delle maniere del favellare, e detti proverbiali, li quali appo di noi son di molte guise. E perchè intorno a queste non si poteva sempre far quel discorso, che per pieno intendimento di loro derivazioni e origini, sarebbe stato bisogno, abbiamo citato il Flos Italicæ linguæ Angeli Monosinij, dove il lettore, volendo, potrà ricorrere.
Non è stata nostra intenzione di fare scelta di vocaboli disperse, ma di raccorre, e di dichiarare universalmente, le voci e maniere di questa lingua: però non abbiamo sfuggito di metterci le parole, o modi bassi e plebei, giudicandogli noi necessarj alla perfezione di essa, per comodità di chiunque volesse usargli nelle scritture, che gli comportano. Di queste tali maniere abbiam proccurato d’elegger quelle di miglior lega, proprie, e significanti, e, per distinguerle, abbiamo detto molte volte, voce bassa: modo basso, ec. come nella voce accoccare, e nella voce putta.
Le parole pure latine, usate tal volta, benchè di rado, da’ nostri Autori, si troverranno contrassegnate, con dire, voce latina: come alla voce cloaca.
Per manifestare il più che potessimo la forza delle parole, abbiam proccurato, per quanto è stato possibile, d’addurre la difinizion della cosa, che si dichiara, prendendo però il nome di difinizione larghissimamente, e come comprendente, sotto di se, la descrizione, e dichiarazione. Però non sono tal’ora tanto filosofiche, e proprie, quanto si converrebbe a perfettamente trattarne, e per professione: e di queste alcune dagli esempli stessi degli Autori, ci sono state somministrate.
Troverrannosi alcune voci non dichiarate, ma però avranno sempre la difinizione, o dichiarazion propria nel primo esemplo, come alla voce curiosità, liberalità, ec. E, quando il primo esemplo è di Dante, la dichiarazione si troverrà nell’esemplo appresso, che sarà de’ comentatori: come alla voce baleno, leppo, ec.
Quando una parola ha molti significati differenti notabilmente, gli abbiamo distinti con differente dichiarazione. Quando la varietà è poca, ma ricerca pur qualche distinzione, per brevità, e maggior chiarezza, e per non si poter comprendere sotto regola generale, gli abbiamo dichiarati con la parola, cioè, posta a piè dell’esemplo, dove è la voce, come nella voce cura. Del medesimo, cioè, ci siamo serviti eziandio sotto quegli esempli, ne’ quali, per aver la voce significazion poco usata, ha bisogno di maggiore appalesamento, come nella voce carro, dottrinare, ec. Tal’ora, quando i significati tra di loro poco divariano, sono immediatamente l’un dopo l’altro, nella prima dichiarazione: lasciando all’avviso del lettore l’applicargli a’ loro esempli, come nella voce gente, gentile, gherone, ec.
Dove l’autor dell’esemplo talvolta s’è allontanato dal proprio significato della parola (il che nelle traduzioni è più, che in altro accaduto) abbiamo dichiarata la voce nella sua propria, e vera significanza, ma, per dichiarazion di quell’autore, si è appresso soggiunto [qui vale] o altro contrassegno, come alla voce abrostine, abuso, accettatore,ec.
Quando non abbiam trovato esemplo d’alcuna voce, se non in senso metaforico, abbiamo usate parole, che prima la dimostrano nel suo proprio, e vi s’è appresso soggiunto [qui è metafora] come alla voce accecamento, abbaiatore, laniare, ec.
A qualche vocabolo di molti e molti significati, tal volta non gli se n’è assegnato alcun generale, o per non essersi trovato sì universal, che tutti gli abbracci, come suo genere, o per non potersi discernere qual sia veramente il più generale, e più proprio, come alla voce levato, Avere.
Bene spesso, per dichiarare un vocabolo, habbiamo usati sinonimi, scegliendo i più simiglianti, o di più vicino significato: ma non intendiamo per ciò, che tutti vaglian sempre lo stesso, ne ch’e’ si debbano pigliare per lo medesimo, o usar nello stesso modo, ne con la medesima costruzione d’aggiunti, di verbi, di nomi, o preposizioni.
I Proverbi, locuzioni, e maniere di favellare, si troverranno, per lo più, sotto i verbi, da’ quali traggon l’origine, come molte ne sono al verbo menare, imbiancare, ec. ma tal volta, per esserci venuto meglio in acconcio, saranno sotto alcuni nomi, come sotto a orcio, gatta, cuore, ec. E alcuna volta accadrà ritrovarsi in amendue i luoghi.
Gli avverbi composti di più parole son dichiarati, il più delle volte, nel discorso della parola più principale, come A modo sotto la voce modo: A martello sotto la voce martello: e all’ordine dell’Abbiccì sarà tratto fuori A modo vedi modo, A martello, vedi martello, ec. Ne saranno ancora dichiarati alcuni da per loro, come A distesa, A storia. Alcuni altri si ritroverranno in tutti e due i luoghi.
Le voci, o guise di parlare non significanti, se non con l’accompagnatura del verbo, son dichiarate insieme con essa, come nella voce A braccia, A campo s’è dichiarato. Portare a braccia, mettersi a campo, ec. I participi son collocati sotto i lor verbi, e alle volte son tratti fuori, come parola da per se, quando è paruto, che eglino, più del nome partìcipin, che del verbo. Simigliantemente Esser palese, Esser lontano, Esser presente e simili, son messi come locuzioni, sotto gli addiettivi di quelle.
Alcune voci, che in significato son le medesime, ma solamente diversificate per sincopa, o per semplice scambiamento d’una lettera sola: come opera, opra, e ovra: sopra e sovra: desiderio e disiderio: coltura, e cultura: si troveranno dichiarate alla più comune: come a opera, sopra, disiderio, ec. benchè, per lo più, sieno cavate fuori, secondo l’ordine dell’Abbiccì.
Ad alcune voci totalmente simili, ma differenti nella pronunzia, e nel significato, s’è detto, pronunziata con E largo, con O stretto, con S sottile, con Z aspro, ec. per mostrare, che, profferite diversamente, variano il significato: come nella voce Rocca e altri.
Il masculino, e femminino differente solo nella desinenza dell’A, o dell’O, si è collocato, per lo più, sotto la medesima voce, tratto fuori il masculino: come Discepolo, discepola, ec.
Tutti i verbi son tirati fuora con l’infinito all’attiva, con la terminazione in Re. L’attivo, e ’l passivo si sono messi mescolatamente: ma passando a neutro assoluto, o a neutro passivo, si è sempre fatto segno di cotal distinzione, come nella voce abbassare, crescere, ec. e in questo caso si sono usati i termini de’ gramatici latini, per agevolezza del leggitore.
Addiettivo, e sustantivo s’è detto, quando c’è paruto necessario, o per agevolezza, o per distinzione, o anche per fuggir l’equivoco, come alla voce cupo.
Tutti gl’Infiniti de’ nostri verbi, con l’articolo avanti, prendon forza di sustantivi, nondimeno non gli abbiamo tratti fuori, come voci distinte, ma lasciatigli star co’ loro verbi: eccetto quelli però, de’ quali abbiamo avuto esemplo, o che sono posti nel numero del più: come alla voce andare, abbracciare, baciare, dire, ec.
Perchè i termini, e stromenti delle professioni e dell’arti, non sono del comune uso, e solamente noti a’ lor professori, non ci siamo obbligati a cavargli tutti. Quegli, che ci è occorso raccorre, saranno dichiarati quanto pertiene alla voce; e il nome di strumento s’è detto solo al fattivo, come ago, fuso, e simili.
De’ nomi, e de’ verbi s’è le più volte dichiarato nel primo luogo il senso più proprio, e dipoi il traslato, o men proprio, per metafora, o per similitudine, ec. Come alla voce cavalcare. Ma quando è metaforico il concetto intero, e non la parola, abbiamo dichiarata la voce nel proprio significato: come alla voce laccio.
Le regole date una volta intorno a voci, o a locuzioni, servono per sempre nelle cose medesime, o simiglianti: come alla voce abbondo, a brano a brano, abbracciare sust. ec.
La lingua Greca si è messa alla voce, quando ell’opera, o per esser conforme alla nostra, o almeno per accrescer le dichiarazioni.
Le voci e locuzioni latine sono a tutte le parole, e modi di dire, fuorchè dove pareva, che non si potessero circoscriverere acconciamente, non s’avendo avute le voci proprie.
Dove son mancate le voci latine di scrittor della prima classe, abbiamo adoperate quelle d’autori più bassi, e queste saranno, per la maggior parte, accennate, o contrassegnate.
Quando alle voci dichiarate per uno, o per più sinonimi, manca la voce latina corrispondente, si troverrà a uno di tali sinonimi, dove ancora si dee cercare della dichiarazione della voce. Ne’ puri termini, non ci siamo guardati d’usar parole de’ professor di quella scienza, o vero arte, ancorchè non pure latine. E nelle parole attenenti a religione, ci siam serviti delle latine degli Autor sacri. Come alla voce contrizione, e così circa a nomi dell’erbe, piante, ec. ci siamo confermati co’ più autorevoli semplicisti: come alla voce cuscota, ec.
Proverbi, o detti proverbiali latini o Greci, che corrispondono a’ nostri, o che gli dichiarano, si sono per lo più, messi.
Quando abbiamo conosciuto, che alcuna voce latina, o greca abbia dato origine a qualche nostro vocabolo, ce ne siamo serviti, ancorchè d’autori più bassi: e per veder l’Autore, o ’l discorso fattovi sopra, si è citato detto Autore, o il sopraddetto Flos Italicæ linguæ: dichiarando però, che dell’origini, che son comunissime, non s’è fatto menzione alcuna.
Nelle voci latine, e Greche abbiamo inteso principalmente all’agevolezza, per la ’telligenza della nostra lingua, e non all’esquisitezza di quelle.
Quanto a regole, precetti, o minuzie gramaticali, non essendo questo luogo da doverne trattare, ex professo, ce ne rimettiamo a quello, che n’ha scritto il Cavalier Lionardo Salviati, il quale, talvolta abbiamo citato ne’ suoi Avvertimenti della lingua: come nella voce accento. E il medesimo dicesi delle particelle, segni de’ casi, e di simiglianti.
Nell’ortografia abbiam seguitato quasi del tutto quella del soppraddetto Salviati, parendoci di presente non ci avere, chi n’abbia più fondatamente discorso.
Per neutri, o di significazion neutrale, intendiam que’ verbi, che dopo di se non hanno il quarto caso, come paziente. E, quando s’è detto neutro passivo, s’intenda che cotal verbo, nel descritto significato, necessariamente si costruisce nel numero del meno, con le particelle mi, ti, si, E con quest’altre ci, vi, si, nel numero del più: come per esemplo. Il verbo adirare, nel suo più comune significato, non può usarsi se non con una di tali particelle allato, o poco lontana: dicendosi adirarsi io m’adiro tu t’adiri, tu ti vuoi adirare, quegli s’adirerà, noi non doviamo adirarci, voi v’adirate, quegli adirerannosi, o s’adireranno, e così negli altri luoghi di detto verbo, e de’ suoi simiglianti: come avvedersi, accorgersi, vergognarsi, peritarsi, ec.
Tra le facultadi, che ha conceduto l’uso a questo linguaggio, ci è quella del poter formar dalle voci il superlativo, il diminutivo, l’accrescitivo, il peggiorativo, vezzeggiativo, avvilitivo, verbale, il paticipio, e altri: della proprietà e conformità delle quali parti, con l’altre due lingue, vedi più distesamente nel Flos Ital. Linguæ. Lib. 2. come per esemplo, da salvatico ne può venire salvatichissimo, salvatichino, e salvatichetto, e salvaticuccio, o salvaticuzzo, salvaticone, salvaticotto, salvaticaccio, e salvaticonaccio. E da Tristo, oltre a’ soppraddetti, ne viene Tristrello, Tristanzuolo, e da Ribaldo, Ribaldello. E dal verbo Testare si forma Testatore, e da sollazzare sollazzatore, e da fare faccente, facitore, fazione, fattura, facimento, faccenda e molte altre simili a queste: le quali voci derivate ne’ detti modi, non si troverranno così tutte per avventura nel nostro Vocabolario. Ma non per questo dee aver credenza il lettore, che noi n’abbiamo diffalta. Ma e ben da avvertir sopra queste, che non comporta l’uso di questa lingua, ch’elle si formin tutte ad un modo, e secondo una medesima proporzione. Imperciocchè non igualmente da ogni nome si forma superlativo, diminutivo, e gli altri: ne da ogni verbo il verbale, o ’l participio ad una stessa maniera. Per esemplo: da duro si forma Durissimo, duretto, durotto, e duraccio, ma non già duruccio, durino, durello, e durone, se non se forse per ischerzo. Ne da venire si formerà venitore, ne da mangiare mangiazione, o mangevole, ma dirassi, in quel cambio, mangiamento, mangereccio e simili, come l’uso ne può insegnare. E serva ciò per avvertimento, che tali derivativi posson formarsi, ma non già tutti, secondo una medesima analogia. E in questi, per li non pratichi dell’uso, il non s’arrischiar, senza esemplo di buona scrittura, è forse il migliore.
De’verbi irregolari dopo ch’e’ son tratti fuori nel loro Infinito, non si sono detti immediatamente tutti i variamenti de’ tempi loro. Come al verbo uscire non s’è detto, ch’e’ faccia nell’Indicativo esco, esci, esce, usciamo, ec. Ma s’è proccurato, per quanto è stato possibile, che vi sieno tanti esempli, che tutti quanti gli manifestino.
Proprietà della nostra lingua è di sfuggire il concorso di consonanti, e perciò, quando alle voci quando alle voci comincianti da S, con un’altra consonante allato, preceda una parola terminata in lettera non vocale, a cotal voce, cominciante da S, sarà aggiunta avanti la lettera I: come in ispirito, con isperanza, per ischerno: delle quai voci si dovrà cercare alla lettera S, ritrovandovisi per accidente quell’I.
Quando una voce non ha seco dichiarazione ne altro segno, va attaccata, e pertiene alla voce di sopra: come in accademico, accarnire.
Se in qualche esemplo si troverrà (benchè pochissime volte) voce non tirata fuori, ne dichiarata, n’è stato cagione il non averla noi avuta in stima; s’è fatto ragione, che serva per semplice intelligenza di quell’esemplo. Potrà anche forse esser talvolta accaduto, che nella dichiarazion delle voci, abbiamo usato qualche vocabolo, per difetto di memoria, non tratto fuori all’ordine dell’Alfabeto.
Delle lettere, o vero elementi di questa lingua, non s’è fatto discorso particolare, se non per quanto si può così rozzamente darne un poco di regola nel pronunziargli all’usanza nostra, stimando noi, che dove eglino sono gli stessi, che que’ de’ latini sarebbe stata cosa superflua. E perchè i suoni della nostra pronunzia sono di maggior numero, che i caratteri, pareva che fosse più lungo trattato a ciò necessario, che non comporta l’ordine del nostro libro. Potrà fra tanto ciascuno vederne quello, che di ciò hanno scritto il Cavalier Lionardo Salviati nel 3. libro del primo volume degli Avvertimenti della lingua, e nel proemio avanti al Decameron del Boccaccio. Giorgio Bartoli nel trattato degli elementi Toscani, e alcuni altri che hanno fatto professione d’esaminar diligentemente questa materia.
Molte cose son dichiarate più minutamente peravventura, che a molti non parrebbe si richiedesse, ma cio s’è fatto a maggior notizia e intelligenza de’ forestieri.
Dietro al libro sarà l’Indice di tutte le voci e locuzioni latine, adoperate in questo volume. E un’altr’Indice delle voci, e locuzion greche. E un simile de’ proverbi latini, e Greci. La maniera di servirsi di quest’indici è dichiarata avanti di essi.
Per esser trascorsi per molte cagioni alcuni errori sì della stampa, come del copiatore del libro, come è costume (e massimamente in sì gran viluppo di cose) s’è fatto nota di parte de’ più notabili, con le loro correzioni in un foglio, al fine del libro, i quali preghiamo il lettore, che da prima voglia emendare, acciò non abbia occasion di riprenderci: e col suo giudicio ancora corregga gli altri, da noi forse non avvertiti.
Questo è quello, graziosi lettori, che c’è sovvenuto, per vostro avvertimento, e per nostra scusa, intorno a questa nostra fatica, la quale speriamo, che non vi sarà, discara, se non per altro, almeno, per averla noi espressamente durata, per giovare a chi n’ha bisogno, e per compiacere a chi n’ha vaghezza, senza punto di pretensione di stringere alcuono a riceverla, più di quello, che gli detterà il suo giudicio.