Vite dei filosofi/Libro Primo/Vita di Solone

Libro Primo - Vita di Solone

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Diogene Laerzio - Vite dei filosofi (III secolo)
Traduzione dal greco di Luigi Lechi (1842)
Libro Primo - Vita di Solone
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CAPO II.


solone.


I. Solone di Esecestide salaminio fu il primo a introdurre fra gli Ateniesi il Discarico, che era il riscatto della persona e dei beni. Imperciocchè e si pigliava ad usura impegnando la persona, e molti costretti da povertà servivano a prezzo. Sendogli per un credito paterno dovuti sette talenti, li rilasciò il primo, inducendo gli altri a fare lo stesso. Questa legge fu chiamata Discarico (σεισάχθεια) e n’è manifesto il perchè. Dopo fece altre leggi cui sarebbe lungo il riferire, e le collocò sovra tavole di legno.

II. Ma ciò ch’ei fece di più importante si fu che disputandosi fra gli Ateniesi ed i Megaresi il possesso di Salamina, patria di lui, e spesso ne’ combattimenti sendovi strage di Ateniesi, per cui il popolo decretò la pena di morte a chi avesse consigliato ancora di guerreggiare per Salamina, egli fintosi pazzo, e incoronatosi, entrò precipitosamente in piazza. Colà fe’ leggere agli Ateniesi, per mezzo del banditore, un’efficace elegia intorno a Salamina che al tutto li commosse, e di nuovo li recò ad azzuffarsi co’ Megaresi, avendone, per cagion di Solone, vittoria. Ciò che dell’elegia toccò di piu gli Ateniesi, era questo: [p. 26 modifica]

     Ah folegandrio almeno o sicinite
     Foss’io, mutata patria, e non d’Atene!
     Già tale un grido fra le genti sorge:
     Ecco un Attico, un uom che si fuggia
     Da Salamina


e dopo:

     A Salamina andiam! la sospirata
     isola si combatta, e omai sì tolga
     Da noi tanta vergogna


Di poi li persuase ad impadronirsi della Chersoneso in Tracia: ed affinchè non sembrasse che per sola violenza, ma anche per diritto si fossero impossessati di Salamina, fatti scavare alcuni sepolcri, mostrò essere i cadaveri rivolti all’oriente, ch’era il costume di seppellire degli Ateniesi; e che anzi gli stessi sepolcri guardavano il levante, e vi erano intagliati i nomi delle tribù, com’è proprio degli Ateniesi. V’ha chi dice ancora aver egli nel catalogo d’Omero, dopo

     Aiace conducea da Salamina
     Dodici navi


inserito

             — e presso le ateniesi
     Falangi pose il campo.

III. D’allora in poi così egli ebbe affezionato il popolo, che questo di buon grado lui avrebbe voluto anche a tiranno. Ma egli nol sostenne, che anzi avendo ciò sospettato di Pisistrato, suo congiunto, siccome narra [p. 27 modifica]Sosicrate, ne lo impedì. Imperocchè venuto in certa adunanza colla corazza e collo scudo, in quella i disegni di Pisistrato disvelò, e ciò non solo, ma sè essere pronto al riparo, così dicendo: Cittadini ateniesi, io sono e più saggio di alcuni, e più animoso di altri: più saggio di quanti non avvisano le frodi di Pisistrato, più animoso di chi, sapendole, per paura si tace. Ma il senato ch’era tutto per Pisistrato il chiamò pazzo. Il perchè così disse:

     Dimostrerà tra breve a’ cittadini
     La mia pazzia, dimostreralla il vero
     Quando fia giunto in mezzo.


L’elegia sopra la tirannide di Pisistrato, ch’egli avea predetta, era questa:

     Neve apportan le nubi e impetuosa
     Grugnitola; dal fulgido baleno
     Nasce il tuono; rovinan le cittadi
     Sotto ai polenti; e nel servaggio, stolta
     Cade la plebe d’un che solo impera.

IV. E per non obbedire a costui che già imperava, depose le armi innanzi al palazzo dello stratego, e detto: O patria, io ti ho soccorso colle parole e coi fatti, navigò per l’Egitto ed a Cipro, e venne da Creso. Quando interrogato da lui: Chi a te pare felice? Tello ateniese, rispose, e Cleobi e Bitone, col resto che tutti sanno. — Raccontano alcuni che ornatosi, Creso, di ogni maniera, e collocatosi sul trono lo interrogasse: s’egli mai spettacolo più bello veduto avesse? e ch’e’ gli [p. 28 modifica]dicesse: I galli, i fagiani ed i pavoni, ornati di grazia naturale, e le mille volte più belli. Partitosi di là venne in Cilicia e fabbricò una città, che dal suo nome appellò Soli, e vi pose ad abitare alcuni pochi Ateniesi, i quali col tempo, imbarbarita la lingua, furono detti solecizare; e questi qui sono Solesi, Solii que’ presso a Cipro.

V. Ora, appreso che già Pisistrato si era fatto tiranno, queste cose scrisse agli Ateniesi:

     Se per vostra cagion sola cotanti
     Mali soffrite, non dovete parte
     Imputarne agli Dei. Voi lo innalzaste,
     Dandogli possa; e vil servaggio or voi
     Per ciò n’avete. Della volpe segue
     Ciascun di voi le tracce; uniti poi
     Siete ìeggier di mente; chi alla lingua
     E alle scorte parole di costui,
     Nè badate all’oprar che ne consegue.

Così Solone.

VI. Ed a lui fuggitivo questa lettera scrisse Pisistrato.

pisistrato a solone.

„Nè io solo dei Greci m’impossessai della tirannide, nè come di cosa che non m’appartenesse, sendo della schiatta di Codro; poichè riprendo ciò che gli Ateniesi, concesso con giuramento e a Codro e alla sua stirpe, avevano ritolto. Del resto io non commetto peccato alcuno o contro gli Dei, o contro gli [p. 29 modifica]uomini; e persino lascio governare alle leggi che tu hai dato agli Ateniesi, le quali meglio al certo ci reggono che in democrazia. Io non permetto che ad alcuno si faccia ingiuria; e, come tiranno, nulla ottengo di più di una maggior dignità e dell’onore; e di quelle ricompense che erano fissate a chi prima aveva regnato. Ogni Ateniese paga la decima de’ suoi fondi, non a me, ma per la spesa che si fa ne’ pubblici sagrificii, od in altro di comune, o nelle guerre che ci soprarrivano. Nè io voglio lagnarmi di te, perchè hai fatto palese il mio pensiero; chè amore alla città piuttosto che odio verso di me hai inoltrato; e tu ignoravi ancora come mi sarei condotto nel comando; altrimenti, saputolo, avresti forse comportato il mio innalzamento, nè saresti fuggito. Ritorna dunque a casa, credilo a me anche senza ch’io il giuri, nulla di sgradevole sarà per patire Solone da Pisistrato. E sappi che nessuno de’ miei nemici n’ebbe a sofferire di sorta. Che se stimerai a proposito di essere uno dei miei amici, sarai tra’ primi, chè in te non iscorgo nè frode, nè perfidia; se di abitare altrove che in Atene, il farai ad arbitrio, e per cagion nostra non ne sarà priva la patria“.

VII. Così Pisistrato — Solone disse termine dell’umana vita i settant’anni — Bellissime si stimano anche queste sue leggi: Chi non alimenta i genitori, sia infameSia tale chi fonde la paterna sostanzaL’ozioso sia soggetto a render conto di sè a quanti vorranno accusarlo — Lisia però nell’orazione contro [p. 30 modifica]Nicia dice, aver Dracone scritta questa legge, Solone posta in uso — Interdisse la bigoncia a’ bagascioni.

VIII. Moderò anco i premii degli atleti nei giuochi, stabilendo pe’ vincitori olimpici cinquecento dramme; cento per gli istmici, e in proporzione per gli altri; sendo stoltezza a costoro preparar premii, e non soltanto a quelli che morivano in guerra, i figli dei quali si doveano educare e mantenere dal pubblico. Quindi per emulazione riuscivano forti e valorosi nelle battaglie; come Polizelo, come Cinegiro, come Callimaco, come tutti coloro che pugnarono a Maratona; ed anche Armodio e Aristogilone e Milziade ed altri senza numero. Ma gli atleti, mentre si esercitano, costano assai; sono di danno quando vincono, e s’incoronano piuttosto contro la patria, che contro gli antagonisti. Divenuti poi vecchi, secondo Euripide:

     Abbandonati logori mantelli
     Consumano la trama

Ciò preveggendo, Solone vi pose modo.

IX. Bellissime cose sono queste ancora: Che il curatore non possa abitare colla madre dei pupilliNè esser curatore colui, al quale perviene la sostanza morendo i pupilli — E queste — Non sia permesso allo intagliatore d’anelli serbare l’impronta dell’anello vendutoSi strappino i due occhi a colui che acciecò chi ne aveva unoNon torre ciò che non hai posto, altrimenti pena la vitaL’arconte sorpreso ubbriaco sia punito di morte — Ordinò che i poemi di Omero [p. 31 modifica]fossero alternatamente cantati dai rapsodi, cioè che dove il primo cessava là incominciasse il successivo. Meglio adunque Solone illustrò Omero di Pisistrato, al dire di Dicuchida nel quinto de’ Megarici. Erano in particolare questi i versi:

     Que’ che teneano Atene — ec.

e ciò che segue — Primo Solone chiamò il giorno trentesimo del mese vecchia e nuova luna (παλιά και νέα σελήνη); primo fece un concilio di nove arconti che giudicassero uniti, come afferma Apollodoro nel secondo dei Legislatori — Nata una sedizione, egli non si pose nè con que’ della città, nè con que’ della campagna, e nè pure con que’ della marina.

X. Diceva, essere il discorso immagine delle opereil re fortissimo per possanzale leggi simili ai ragnateli, poichè se alcuno debole e leggiero v’incappa, ne è ritenuto, se più potente, lacerandoli se ne va. — Diceva parimente, doversi sigillare il discorso dal silenzio, il silenzio dall’opportunità — Diceva, i potenti che stanno presso a’ tiranni essere simili ai sassolini, coi quali si calcola, che ognuno di essi or più or meno rappresenta; del pari i tiranni fare ognuno di costoro or grande ed illustre, ora spregevole — Interrogato, perchè non avesse fatta una legge contro il parricida? rispose — Poichè sperava che non si desse — e, come potrebbero gli uomini commettere meno ingiustizie? Se parimente, rispose, se ne graveranno e quelli che le [p. 32 modifica]ricevono, e quelli che non le ricevono — e, Dalla ricchezza nascere la sazietà; dalla sazietà l’insolenza.

XI. Stimò egli a proposito che gli Ateniesi regolassero i giorni secondo la luna. Vietò a Tespi di recitare e d’insegnare tragedie, siccome inutili menzogne; e quando Pisistrato ferì sè stesso, da quelle, disse, nascere tai cose.

XII. I consigli che dava agli uomini, come afferma Apollodoro nel suo libro intorno alle sette dei filosofi, erano questi: Abbi più fede alla probità che al giuramentoNon dire menzognaMedita le cose preclateNon essere sollecito a procacciarti amici; i quali se ti sarai procacciati non dispregieraiComanda, prima imparando a obbedireConsiglia, non le cose che piacciono più, ma quelle che sono miglioriFatti guida la ragioneNon conversare co’ malvagiOnora gli DeiRispetta i genitori.

XIII. Raccontasi di lui, che avendo scritto Mimnermo:

     Senza cure moleste e senza morbi
    Il mortai fato al sessagesim’anno
    Me sorprendesse almen

egli riprendendolo dicesse:

     Ora s’hai fide in me, togli cotesto,
     Nè invidiarmi se meglio io di te parlo!
     Ma ricomponi con baldanza e canta:
     Il mortal fato all’ottantesim’anno
     Me sorprendesse almen

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XIV. Fra i suoi detti poetici v’hanno questi:

     Da ogni uom li guardavedi non asconda
     L’odio ch’ha in petto, e in lieto volto parli;
     E la duplice lingua non risuoni
     Per negra cura

È noto aver egli scritto leggi, aringhe, avvertimenti a sè stesso, elegie, e sopra Salamina, e sul governo degli Ateniesi cinque mila versi, e giambi, ed epodi — Sull’immagine di lui fu posta quest’iscrizione:

     Salamina, che fa’ l’ingiusto oltraggio
     Cessar de’ Medi, questo
     Solone partorì sacro legista.

XV. Fiorì intorno alla quarantesima sesta olimpiade, il terz’anno della quale, al dire di Sosicrate, governò gli Ateniesi, e diede anche le sue leggi. Cessò di vivere di ottant’anni in Cipri, ingiugnendo a’ suoi famigli di trasportare le sue ossa in Salamina, e inceneritele seminarle pe’ campi. E di questo parla Cratino nel Chitone, facendogli dire così:

     L’isola, come è fama, abito, sparso
     Dintorno a tutta la città d’Aiace.


e v’è anche un nostro epigramma nel succitato Pammetro, in cui sovra quanti morirono segnalati per sapere vi sono epigrammi e versi d’ogni misura e ritmo, che è così:

     Sovra lido straniero arse la salma
     Di Solon cipria fiamma. Salamina

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     N’ha l’ossa, e le sue ceneri le spiche.
     Dritto al del dalle tavole fu addotto
     Lo spirto. Agevol cosa — egli v’impose
     Il lievissimo pondo di sue leggi.


XVI. È fama ch’e’ dicesse questa sentenza: niente di troppo — E di lui narra Dioscoride ne’ Commentari', che piangendo egli un figlio morto, di cui non abbiamo memoria, a chi dicevagli: Ma a nulla ti giova; rispondesse: Piango per ciò stesso che non mi giova.

XVII. Vanno attorno anche queste sue lettere.

solone a periandro


„Tu mi scrivi che molti congiurano contro di te. Se tu volessi torli di mezzo tutti, non ti verrebbe fatto. T’insidierebbe forse chi meno hai in sospetto, o temendo per sè, o disprezzandoti per non esservi cosa di cui tu non tema, o immaginandosi di gratificare alla città col deporti, anche se a lui non sarai in sospetto. Meglio è adunque che tu ti astenga dalla tirannide, affinchè si allontani il sospetto. Che se a ogni modo vuoi essere tiranno, pensa al come tu abbia forze straniere maggiori di quelle che sono nella città; e nessuno più sarà temibile a te, nè tu farai che sia tolto di mezzo alcuno“.

solone a epimenide.


XVIII. „Nè al certo le mie leggi saranno per giovare [p. 35 modifica]gran fatto agli Ateniesi, nè il tuo purificare la città giovò ad essi; perocchè e gli Dei e i legislatori non possono per sè stessi giovare gli stati. Bensì coloro che sempre conducono la moltitudine come più loro è a grado. Ond’è che e i Numi e le leggi, se la conducono al bene, sono profittevoli; a nulla giovano, se malamente la conducono. Nè a me sono utili, nè a tutti le leggi ch’io feci. E cotesti arbitri nocquero al comune non facendosi ostacolo a Pisistrato che mirava ad usurpare la tirannide. Nè io che il predicava era creduto. Più si credeva a costui, piaggiatore degli Ateniesi, che a me veritiero. Finalmente deposte le armi dinanzi al palazzo dello stratego, dissi, ch’io era più prudente di chi non s’accorgeva che Pisistrato aspirava alla tirannide, e più forte di chi non osava resistere, e dessi la credettero una pazzia di Solone. Partendo protestai: Oh patria! questo Solone però è pronto a soccorrerli col consiglio e coll’opera, e a costoro invece sembro impazzire. Ond’io mi parto da voi, io, solo nemico di Pisistrato; e costoro se vogliono siano anco i suoi difensori — Oh amico! tu conosci l’uomo che con tanta scaltrezza si è messo ad occupare la tirannide. Cominciò a farsi amico il popolo; poscia feritosi da sè stesso si presentò agli Eliasti, e gridando sclamò: ciò aver patito per opera de’ suoi nemici, ed essere conveniente che una guardia di quattrocento giovani gli stesse da presso. Non mi si ascoltò: ebbe gli uomini da presso e armati di lancia! E dopo abbattè lo stato popolare. Tornò quindi inutile ch’io m’affrettassi [p. 36 modifica]d’affrancare i poveri dalla schiavitù mercenaria, se ora tutti insieme servono al solo Pisistrato“.

solone a pisistrato.


XIX. „Credo che per cagion tua io non avrò a patire alcun male, poichè prima della tirannide io era amico tuo, e ora non ti sono più avverso di alcuni altri Ateniesi ai quali non garba la tirannide. Se ad essi torni più utile l’essere governati da uno, se debbano reggersi a popolo, creda ognuno a sua posta. Confesso che fra tutti i tiranni tu sei il migliore. Ma non parmi ben fatto ch’io ritorni in Atene, onde non siavi chi mi accusi, che stabilita tra gli Ateniesi l’eguaglianza politica, e, presente, considerata come indegna di me cotesta signoria tirannesca, ora, tornando, io approvi ciò che tu fai“.

solone a creso.


XX. „Aggradisco la tua benevolenza verso di me; e, per Minerva, se sopra ogni cosa io non amassi vivere in democrazia, torrei più tosto di starmi appo te in un regno, che in Atene, violentemente tiranneggiata da Pisistrato. Ma a noi è più dolce il vivere ove tutto è giustizia ed eguaglianza. Però io ne verrò a te, affrettandomi di essere tuo ospite“.

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