Vite dei filosofi/Libro Primo/Vita di Talete

Libro Primo - Vita di Talete

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Diogene Laerzio - Vite dei filosofi (III secolo)
Traduzione dal greco di Luigi Lechi (1842)
Libro Primo - Vita di Talete
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LIBRO PRIMO




CAPO PRIMO.


Talete.


I. Talete, siccome affermano Erodoto, Duri e Democrito ebbe a padre Esamio, a madre Cleobulina, schiatta dei Telidi, che tra Fenicii, al dire di Platone, è nobilissima discendenza di Cadmo e di Agenore. Fu il primo che si chiamasse sapiente, sendo arconte d’Atene Damasio, sotto del quale anche i sette furono nomati sapienti, come narra Demetrio falereo nel Catalogo degli arconti. Fu ascritto tra i cittadini di Mileto, quando vi giunse con Nileo, fuggito di Fenicia; ma tengono i più che fosse nativo milesio e di stirpe illustre.

II. Posta da un canto la politica si applicò alla contemplazione della natura. È opinione di alcuni che nulla ei lasciasse di scritto, poichè l’Astrologia nautica, che gli si attribuisce, dicono essere di Foco samio [p. 14 modifica]Callimaco il fa ritrovatore dell’Orsa minore dicendo ne’ suoi giambi:

     È fama che del carro i picciol astri
     Notasse, che a’ nocchier fenici è scorta.)

È opinione di altri che due soli trattati e’ scrivesse, sopra i solstizii e gli equinozii, stimando tutto il resto esser facile a comprendersi. Credono alcuni ch’ei fosse il primo ad occuparsi di astrologia e predicesse gli eclissi del sole ed i solstizii, siccome afferma Eudemo nella sua storia dell’Astrologia; ond’è che ne lo ammirarono e Xenofane ed Erodoto; e ne fecero testimonianza Eraclito e Democrito.

III. V’ha chi dice, primo aver egli chiamate immortali le anime; e fra questi è il poeta Cherilo; primo aver egli ritrovato il corso del sole da solstizio a solstizio; e la grandezza del sole dimostrata settecento venti volte maggiore della lunare, come altri dice; primo aver dato il nome di trentesimo all’ultimo del mese; primo, secondo alcuni, aver discorso sulla natura. Aristotele ed Ippia dicono ch’egli concedesse un’anima anche alle cose inanimate conghietturando dalla pietra magnetica e dall’ambra. Apprese geometria dagli Egizii, al riferire di Panfila; primo descrisse in un cerchio il triangolo rettangolo, e fece il sagrificio di un bue. Altri ciò raccontano di Pitagora, e di questi è Apollodoro l’aritmetico. Egli accrebbe d’assai le scoperte, che Callimaco, ne’ suoi giambi, attribuisce al frigio Euforbo, cioè i triangoli scaleni e tutto che spetta alla teorica delle linee. Sembra che nella politica fosse ottimo consigliatore, [p. 15 modifica]poichè a Creso che mandò cercando l’alleanza dei Milesii, egli si oppose; ciò che, sendo Ciro vincitore, salvò la città. Clito però, come narra Eraclide, dice ch’ei vivesse solitario e ritirato.

IV. Tengono alcuni che fosse ammogliato, e avesse un Chibisso per figlio; altri ch’e’ restasse celibe e che il figlio della sorella adottasse; e che interrogato perchè non generasse figliuoli, rispondesse: per amore de’ figliuoli. E raccontasi che eccitato dalla madre ad ammogliarsi, dicesse: per Giove non è ancor tempo; poi, già declinando a vecchiezza e più fortemente stretto: non è più tempo, rispondesse.

V. Narra Geronimo da Rodi nel secondo delle sue Varie Memorie, che volendo dimostrare quanto sia facile l’arricchire, avendo antiveduto che vi sarebbe stata abbondanza di olive, prendesse a pigione i fattoi, e un’infinita quantità di danari raccogliesse.

VI. Principio di tutte cose egli affermò essere l’acqua, e il mondo animato e pieno di spiriti. Dicono ch’ei trovasse le stagioni dell’anno, e in trecento sessantacinque giorni il dividesse. Non ebbe istitutori; se non che ito in Egitto conversò con que’ sacerdoti. Narra Geronimo aver egli misurato le piramidi, osservandone esattamente l’ombra, quando era di pari grandezza. Minie afferma ch’ei visse anche con Trasibulo tiranno dei Mìlesii.

VII. Intorno al Tripode è noto che rinvenuto da pescatori, fu dal popolo di Mileto mandato in giro ai sapienti. Poichè raccontasi che alcuni giovani ionii, comperata da pescatori milesii una retata, e trattone [p. 16 modifica]fuori un tripode, v’ebbe contesa, finchè i Miiesii spedirono a Delfo, e il Dio rispose così:

     Chiedi a Febo del tripode, o milesia
     Prole? Il tripode a quello
     Che primo è a tutti in sapienza , addico.


E però si diede a Talete; da questo ad altro, e da altro ad altro, fino a Solone, il quale disse primo in sapienza essere il Dio, e lo mandò a Delfo. Ma Callimaco ne’ suoi giambi racconta la cosa in altro modo, e come la prese da Leandro milesio. Che un certo Baticle arcade lasciò una guastada ingiugnendo che fosse data al primo dei sapienti; che data a Talete, e ita in giro, tornò di nuovo a Talete, il quale la mandò ad Apollo Didimeo, così dicendo secondo Callimaco:

     Me, cui Talete di virtude in premio
     Ebbe due volte, sacra
     Al reggilor del popolo Nileo.


Che così sta in prosa: Talete di Esamio, milesio, consacra ad Apollo Didimeo il premio della virtù ch’ebbe due volte dai Greci. Quello poi che portò in giro la guastada era figlio di Baticle e chiamavasi Tirione, siccome racconta Eieusi nel libro intorno ad Achille, ed Alessandro mindio nel nono delle Favole. Ma Eudosso gnidio, ed Evante milesio dicono, un amico di Creso aver avuto dal re una tazza d’oro, perchè la desse al più sapiente dei Greci, e che data a Talete pervenisse a Chilone, il quale interrogata la Pitia, chi di lui fosse più sapiente, ne avesse in risposta, che [p. 17 modifica]Misone, del quale diremo. Costui viene posto da Eudosso invece di Cleobulo, e da Platone invece di Periandro. Intorno a lui questo rispose il Pitio:

     Dico un eteo Misone in Chene nato
     Più di te alla prudenza alta ha la mente.


E chi lo interrogò fu Anacarsi. Dedaco platonico e Clearco dicono che la guastada fosse spedita da Creso a Pittaco, e così andasse in giro. Androne nel Tripode, che gli Argivi per premio della virtù al più sapiente dei Greci stabilissero un tripode, e che fosse aggiudicato alto spartano Aristodemo, il quale lo cedesse a Chilone. Anche Alceo fa menzione di Aristodemo così:

     Poichè fama è che un tempo Aristodemo,
     Certo non senta acume, abbia in Isparta
     Ragionato tai detti:
     La ricchezza fa l’uom, ma col mendico
     Nulla stassi di buono e d’onorato.


Alcuni dicono che da Periandro fosse spedita a Trasibulo tiranno dei Milesii una nave carica; e che avendo questa fatto naufragio nel mar Coo, fu poi da certi pescatori rinvenuto il tripode. Fanodico afferma che rinvenuto nel mare ateniese si trasportasse in Atene, e adunato il popolo, si spedisse a Biante. Del perchè, quando di Biante si terrà discorso. Altri narrano che il tripode fabbricato da Vulcano donato fosse dal Dio a Pelope che si maritava; che in seguito pervenuto a Menelao, e insieme con Elena rapito da Alessandro, [p. 18 modifica]fosse dalla Spartana gettato nel mare Coo, dicendo che diverrebbe cagione di risse; che dopo qualche tempo certi Lebediesi presa colà in affitto una rete rinvennero anche il tripode; che però nata contesa co’ pescatori, salirono intanto verso Coo, donde nulla ottenendo portarono la cosa a Mileto, ch’era metropoli; che i Milesii spedirono legati, i quali accolti con dispregio, si venne alle mani con que’ di Coo; che molti cadendone da ambe le parti uscì l’oracolo di doversi dare al più sapiente; e che entrambe le parti convennero in Talete, il quale, dopo che fu ito io giro, l’offerì ad Apollo Didimeo. Il responso fatto a’ Coi è di tal maniera:

     Non pria tra gli Ionii e i Meropi vedrassi
     Costar la guerra, che l’aurato tripode,
     Cui già Vulcano in mar gettò, non renda
     La cittade a colui, che appien conosce
     Ciò ch’è, ciò che sarà, ciò ch’anzi è stato.


Quello a’ Milesii:

     Chiedi a Febo de! tripode, o Milesia
     Prole? ecc.


Come innanzi è detto. E così di ciò. Ermippo, nelle Vite, riferisce di lui ciò che alcuni raccontano di Socrate. Soleva dire cioè, così narra, che di tre cose sapeva grado alla fortuna: la prima — Perchè e’ fosse nato uomo e non bestia; poi — Perchè uomo e non donna; la terza — Perchè greco e non barbaro.

VIII. Raccontasi che condotto fuor di casa da una [p. 19 modifica]vecchia, perchè osservasse le stelle, cadde in una fossa, e che dolendosene, la vecchia dicesse: Come mai, o Talete, se tu non puoi vedere le cose che hai tra’ piedi pensi conoscere quelle che sono in cielo? Anche Timone il vide occuparsi di astronomia, e lo loda ne’ Silli, dicendo:

     Astronomo fra i sette sapienti
     Qual fu Talete sapiente.


Le cose che da lui furono scritte, al dire di Lobone argivo, aggiungono a dugento versi. Così era scritto sotto l’immagine di lui:

     L’Ionia Alitelo crebbe, ed a Sofia
     Diè il più vetusto astronomo, Talete.

IX. Fra i detti poetici di lui sono questi:

     Non è di senno indizio il parlar molto
     Con prudenza alcun che ricerca; eleggi
     Alcun che di preclaro; e molte lingue
     Farai tacere d’uomini loquaci.


Vanno intorno come sue queste sentenze: Dio l’antichissimo degli esseri, perchè non generatoBellissimo il mondo, perchè opera di DioGrandissimo lo spazio, perchè tutto comprendeVelocissima la mente, perchè discorre ogni cosaFortissima la necessità, perchè tutto vinceSapientissimo il tempo, perchè tutto discopre — Diceva in nulla differire dalla vita la morte. Perchè non muori tu dunque, chiese un tale? Ed egli: perchè non v’è differenza — Interrogato [p. 20 modifica]se prima fosse stata la notte o il giorno: La notte, rispose, un dì prima — Alcuno gli chiese: se ignoto agli Dei fosse l’uomo quando commette peccato? Nè quando lo pensa, rispose — Un adultero lo interrogò, se potea giurare di non aver commesso adulterio; Non è lo spergiuro, disse, peggiore dell’adulterio? — Interrogato, che cosa fosse difficile? disse: Conoscere sè stesso — Che facile? Consigliare gli altri — Che soavissima? Conseguire — Che Dio? Quello che non ha nè principio, nè fine — Che cosa fosse difficile a vedersi? Un tiranno vecchio, disse — Come uom potesse la sventura comportar di leggieri? Se vegga il nemico in peggior condizione di sè — Come meglio e giustissimamente vivere? Se ciò che riprendiamo negli altri, per noi non si faccia — Chi fosse felice? Colui che ha sano il corpo, la fortuna seconda; ben istrutto lo spirito — Diceva, doversi ricordare degli amici presenti e lontaniNon azzimarsi, ma esser bello regolare i costumiNon arricchire, diceva, malvagiamente, nè le suggestioni ti muovano contro quelli cui commettesti la tua fedeQue’ soccorsi, disse, che avrai recato a’ genitori aspettali anche tu stesso dai figli — Diceva crescere il Nilo, quando le etesie che gli sono contrarie ne respingono le correnti.

X. Scrive Apollodoro nelle Croniche che Talete era nato il prim’anno della trentesima quinta olimpiade, morto d’anni settantotto, o, come dice Sosicrate, di novanta, perchè era morto nella cinquantesima ottava olimpiade. Visse a tempi di Creso, cui promise di far passare l’Ali senza ponte, deviandone il corso. [p. 21 modifica]

XI. Vi furono, come racconta Demetrio magnesio negli Omonimi, altri cinque Taleti. Il primo, retore calanziano, pessimo imitatore; il secondo, da Sicione, dipintore valoroso; il terzo, antico assai, contemporaneo di Esiodo, di Omero e di Licurgo; il quarto, del quale fa menzione Duri nel suo Trattato della Pittura; il quinto più moderno, senza nome, del quale fa menzione Dionisio nei Critici.

XII. Morì Talete il sapiente dal caldo, dalla sete e dal languore, mentre già vecchio contemplava un ginnico certame. Quest’iscrizione fu posta sul suo monumento:

     Il monumento breve e l’alta fama
     Ecco del prudentissimo Talete.


Avvi pure sopra di lui, nel primo libro degli Epigrammi, o Pammetro, questo nostro epigramma:

     Dallo stadio rapisci, o Giove Eleo,
     Talete il saggio , che il veduto torna
     Ginnico agone a contemplar. Sia lode
     A te che presso tel locasti; il vecchio
     Più mirar non potea gli astri da terra.

XIII. È suo il motto: conosci te stesso, che Autistene nelle Successioni dice essere di Femonoe ed averselo appropriato Chitone.

XIV. Intorno ai sette sapienti — poichè stimo opportuno farne qui menzione in generale — girano siffatti discorsi. Damone cireneo che scrisse dei filosofi, tutti gli accusa e più i sette. Tutti Anassimene li [p. 22 modifica]chiama dediti alla poesia. Dicearco afferma che non erano nè sapienti, nè filosofi, ma uomini assennati e legislatori. Archetimo siracusano scrisse il loro congresso presso Cipselo, al quale dice ch’egli pure si era abbattuto; Euforo, quello presso a Creso, da Talete in fuori. Altri dice ch’ei convennero e nel Panionio e in Corinto e in Delfo. V’ha discrepanza anche sulle loro sentenze, e l’una si tiene per quella dell’altro, come questa:

     Il savio lacedemone Misone
     Queste cose dicea: Nulla di troppo;
     Tutto è bello a suo tempo

e circa al numero è pur disparere. Poichè Leandrio invece di Cleobulo e di Misone annovera Leofante di Gorsiade, lebediese od efesio, ed Epimenide cretese; Platone in Protagora, Misone invece di Periandro; ed Euforo in vece di Misone Anacarsi. Alcuni vi ascrivono anche Pitagora. Dicearco ce ne dà quattro, che tutti assentono, Talete, Biante, Pittaco, Solone; poi ne nomina altri sei, da’ quali ne sceglie tre: Aristodemo, Pamfile , Chilone lacedemone, Cleobulo, Anacarsi, Periandro. Alcuni vi aggiungono Acusilao di Caba, o Scabra, argivo. Ermippo nel suo libro intorno i Sapienti ne annovera diciassette, dai quali altri in altra maniera scelse i sette; e sono: Solone, Talete, Pittaco, Biante, Chilone, Misone, Cleobulo, Periandro, Anacarsi, Acusilao, Epimenide, Leofante, Ferecide, Aristodemo, Pitagora, Laso di Carmantide o di Sisimbrino, o, secondo Aristosseno, di Cabrino, ermioneo, Anassagora. Ippolito invece nel Catalogo dei Filosofi nomina: [p. 23 modifica]Orfeo, Lino, Solone, Periandro, Anacarsi, Cleobulo, Misone, Talete, Biante, Pittaco, Epicarmo, Pitagora. Di Talete vanno attorno anche queste lettere:

talete a ferecide.

XV. „Sento che tu, primo fra gli Ionii, sei per pubblicare discorsi sulle cose divine dei Greci. E forse con più sano pensiero hai deposto nelle mani di tutti lo scritto, di quello che a chicchessia confidare la cosa senza alcun vantaggio. Il perchè se t’è a grado, voglio essere a parte di ciò che tu scrivi, e quando ti piaccia, verrò da te in Siro. Stolti veramente saremmo e io e l’ateniese Solone, se, dopo di aver navigato in Creta per istruzione e dopo di aver navigato in Egitto, per conversare con tutti quei sacerdoti ed astronomi, appo te poi non navigassimo; chè anche Solone verrà se il concedi — Tu affezionato al paese, di rado ti rechi nella Ionia, nè hai desiderio di persone straniere; e come ci fai sperare, li applichi del solo scrivere. Ma noi che nulla scriviamo, percorriamo la Grecia e l’Asia.“

talete a solone.

XVI. „Volendo tu ritirarli da Atene, parmi che non potresti prendere più convenevole abitazione che in Mileto presso nostri coloni; chè nessuna molestia vi avrai a sopportare. Che se ti dorrà che anche i Milesii siano soggetti alla tirannide — perchè tu odii ogni [p. 24 modifica]governo di re — ti sarà grato d’altra parte vivere con noi in compagnia di amici. Anche Biante ti scrisse di recarti in Priene. Ove ti piacesse meglio di colà abitare la città de’ Prienesi, e noi ci verremo ad abitare con te.“

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