Viaggio in Dalmazia/Del Contado di Sibenico, o Sebenico/2. De' Letterati, che nacquero, o fiorirono nel XVI secolo a Sibenico; e de' Pittori

2. De' Letterati, che nacquero, o fiorirono nel XVI secolo a Sibenico; e de' Pittori

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2. De' Letterati, che nacquero, o fiorirono nel XVI secolo a Sibenico; e de' Pittori
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§. 2. De’ Letterati, che nacquero, o fiorirono nel XVI secolo a Sibenico; e de’ Pittori.

Fra tutti gli Uomini illustri, de’ quali può vantarsi Madre la Dalmazia, merita per ogni titolo il primo luogo Antonio Veranzio, da Sibenico. Di questo grand’Uomo trovansi memorie sparse in varj libri contemporanei, e presso a qualche Scrittor posteriore di cose Ungaresi; ma niuno à scritto di proposito1 la di lui Vita, ch’è ben degna d’aver luogo distinto fra quelle degli Uomini di Stato non meno che fra quelle de’ Letterati. Io non ò i talenti necessarj per tesserla, nè forse il tempo: ma credo di farvi un piacere communicandovi in succinto le notizie, che ne ò potuto raccogliere dalle preziose Carte conservate presso la nobilissima Famiglia de’ Conti Draganich Veranzj.

Nacque Antonio Veranzio, il dì ventinove di Maggio MDIV da Francesco nobile Sebenzano, e da Margherita Statileo, gentildonna Traurina, La prima puerizia passò in Traù presso gli Zii materni: ma ben presto fu reso alla patria, dov’ebbe per precettore Elio Tolimero, del quale fra le Carte Veranziane conservansi varie Poesie latine mss. di qualche pregio. [p. 138 modifica]Dalla Dalmazia, già ben nutrito nelle Lettere Greche, e Latine, fu chiamato a Vesprimio presso il celebre Vescovo e Bano Pietro Berislavo, Traurino, ch’era pur suo Zio dal lato della Madre; ed ebbe colà i primi rudimenti dell’Arte militare. Ucciso dai Turchi barbaramente nel MDXX il guerriero Vescovo, Giovanni Statileo, uomo d’autorità somma nella Corte d’Ungheria, e Vescovo Transilvano, chiamò a se il nostro Antonio, e il di lui fratello Michele, suoi nipoti. Una delle prime occupazioni del bennato Giovane sembra sia stata la compilazione della Vita del morto Berislavo, ch’è quella medesima, cui s’appropriò cent’anni dopo, con impudentissimo plagio, il Tomco Marnavich, senza quasi cangiarvi una parola2. Intorno a questo tempo Antonio fu mandato all’Università di Padova; ma le turbolenze insorte nel Regno d’Ungheria fecero, che fosse richiamato ben presto. Sembra ch’egli possa aver continuato gli studj a Vienna, indi a Cracovia, nelle quali due Università certamente studiò Michele. Ritornatosene in Ungheria presso lo Zio, che asprissimo, e tenace uomo era, e con villane parole i nipoti suoi vilipendeva maisempre, Antonio usò d’un’eroica pazienza, nè si lasciò sedurre dall’esempio del fratello, che la perdette dopo breve tempo. Egli si raccomandò a Stefano Broderico, Vescovo Vaciense (del quale resta un pregevole Commentario ms. della fatal giornata di Mohacz, ove combattè personalmente) e al Monaco Giorgio Utissenio, ch’erano potentissimi alla [p. 139 modifica]Corte del Re Giovanni Sepusio. Fu impiegato dallo sfortunato Monarca sin dal MDXXIIX in commissioni spinose verso i confini del turbulentissimo Regno; e trovavasi presso di lui allora quando fu assediato in Buda da Guglielmo Rogendolff, Generale de’ malcontenti. Ottenne il posto di Segretario Regio, e la Prepositura di Buda Vecchia, de’ quali benefici ringraziò particolarmente con un’Elegia il Broderico. Andò in Transilvania commissionato dal Re, per agirvi gli affari del Vescovado in luogo dello Statileo; ed apparisce dalle sue schede, che non solo vi ricopiasse le Iscrizioni esposte, ma eziandio che ne facesse scavare da’ luoghi, dove apparivano ruderi Romani. Sciolto l’assedio di Buda nel MDXXX fu inviato a Sigismondo Re di Polonia due volte, e due alla Serenissima Repubblica di Venezia. Nell’anno seguente andò a Papa Clemente VII, poi a Paolo III, ed appena ritornato in Ungheria a Sigismondo di nuovo. Sul finire del MDXXXIV passò in Francia spedito dal Signor suo al Re Francesco I, dove fu due volte; indi in Inghilterra ad Arrigo VIII, presso di cui ritrovavasi nel mese di Gennajo MDXXXV. È probabile, che intorno a questo tempo egli stringesse amicizia col grand’Erasmo Rotterodamo, e imparasse a stimare il Melantone: del primo si conserva diligentemente ancora una Lettera, presso il soprallodato Co: Francesco Draganich Veranzio, e in lode del secondo leggesi un Epigramma fra le poesie Latine mss. del nostro Antonio. Nel Testamento, ch’egli fece prima d’andare in Francia leggonsi queste parole: “Mihi, si moriar, pompas sepulchrales, aut Missas fieri nolo ullas. Hospitale pauperum juvetur. Ego contentus ero si in Domino moriar:“ tratto, che prova certamente almeno la di lui carità verso i poveri. Ritornato alla Corte fu [p. 140 modifica]dal suo Re spedito con altri due colleghi Ambasciatore a Ferdinando d’Austria Re di Boemia: ma con poco frutto. Il Re Giovanni morì del MDXL; e il Veranzio, di cui si conservano due lunghe Lettere su di questo avvenimento scritte a Giovanni Statileo allora Ambasciatore in Francia, sembrava indivisibilmente attaccato agl’interessi della Regina vedova Isabella, e del pupillo Giovanni II. Pella ottava volta fu inviato da Isabella al Re Sigismondo, che aveva preso moglie, nel MDXLIII; ed è stampata in Cracovia l’Orazione da esso recitata in quell’occasione, che vivamente dipingendo le luttuose circostanze dell’infelice Regina, fece piangere gli ascoltanti. Dopo breve riposo, nell’anno medesimo fu mandato al Re Ferdinando, da cui fu accolto umanissimamente, e trattato a pranzo. Sembra che da quest’epoca egli abbia incominciato a raffreddarsi verso Isabella, i di cui affari piegavano malissimo. Trovo che del MDXLIV rinunziò a Giorgio Utissenio la Prepositura Transilvana, il che non fece volontieri, come apparisce dai Frammenti d’un Dialogo, ch’ei scrisse molti anni dopo. Ad onta di questo il nostro Antonio restò qualche mese ancora nella Corte d’Isabella, e pella nona volta andò in Polonia a trattar d’affari con Sigismondo; dopo la qual commissione dimandò il suo congedo, e passò a Sibenico, d’onde partì conducendo seco due o tre de’ suoi Nipoti, fra’ quali Fausto. Si può pensare ch’egli abbia fatto qualche dimora in Italia sino al MDXLIX, intorno al qual tempo si ridusse alla Corte del Re Ferdinando, che su le prime diegli sufficienti rendite Ecclesiastiche, indi principiò a impiegarlo. Del MDLIII fu deputato ad Aly-Bassà, Beglierbego di Buda, e nell’anno medesimo fu creato Vescovo di Cinque-Chiese, e Consigliere Regio; indi spedito Ambasciatore in Turchia, con Francesco Zay. [p. 141 modifica]Di questo suo viaggio egli deve avere scritto un esteso Giornale, di cui non ci rimane altro che un Frammento degnissimo di vedere la luce3. Antonio dovette seguire Solimano, che andò a portar la guerra su le frontiere della Persia; e per cinque anni errò coll’esercito Turchesco di paese in paese. Egli profittò della lunga dimora per unire molte memorie spettanti alla Polizia, all’Arte militare de’ Turchi, e alla Corografia delle contrade soggette alla Porta. Augerio Busbekio, di cui abbiamo un Trattato del Governo Ottomano fra le Repubbliche Elzeviriane, andava, e veniva in questo frattempo da Vienna in Turchia, e finalmente concluse una tregua. Il Veranzio, e lo Zay partirono di là, al dire del Busbekio medesimo, agli ultimi d’agosto del MDLVII. Non finì l’anno, che Antonio fu traslato dal Vescovato di Cinque-Chiese a quello d’Agria; nel seguente trovasi una Lettera di Paolo Manuzio al nostro Vescovo, che n’ebbe anche una dal celebre, e sfortunato Aonio Paleario nel MDLX. Fra le Carte Veranziane, ch’io ò sotto gli occhi, non trovo cosa rimarchevole sino al MDLXVII, nel qual anno andò per la seconda volta Ambasciadore alla Porta, pell’Imperadore Massimiliano II. Il trattato di pace con Selimo II. fu condotto a fine in pochi mesi dallo sperimentato Ministro, e grandissimo vantaggio ne venne a tutta la Cristianità. Di quest’Ambasciata celebra le lodi un Poemetto Elegiaco di Giovanni Seccervizio. Molti libri manoscritti dovette raccogliere nel[p. 142 modifica]le due spedizioni alla Corte Ottomana il dotto Prelato, de’ quali pell’ingiuria de’ tempi non ci restano memorie: ma basta, per far onore al di lui genio la traduzione, ch’egli fece fare degli Annali Turcheschi da lui trovati in Ancira. Questo Codice, che si conserva colle altre di lui carte a Sebenico, è quel medesimo, da cui trasse gran parte della sua Opera il Leunclavio4, e che dai dotti è conosciuto sotto il nome di Codice Veranziano. Resosi gloriosamente alla Corte non tardò ad avere il premio delle sue fatiche; e nel MDLXIX fu creato Arcivescovo di Strigonio, che dopo il Re è la prima figura dell’Ungheria, alla qual dignità si aggiunse nel MDLXXII quella di Vicerè. In quest’anno egli coronò Re d’Ungheria l’Arciduca d’Austria Rodolfo; e trovasi stampata in Venezia dal Rampazetto l’Orazione, ch’ei recitò in quell’occasione a nome degli Stati Ungaresi. Giovanni Seccervizio pubblicò a Vienna un Panegirico in versi Latini intitolato Verantius, al quale trovansi unite varie Poesie pur Latine d’Autori Tedeschi; Giovan Mario Verdizotti, stampò in Venezia un Poemetto, diretto all’Arcivescovo Veranzio sopra la vittoria navale riportata l’anno innanzi dell’armi Venete sopra i Turchi5. Nel principio del MDLXXIII Pietro Illicino gli dedicò un’Opera Teologica. Probabilmente molti altri libri uscirono sotto gli auspizj di lui; il buon Prelato era magnifico Protettore d’ogni sorte di [p. 143 modifica]Letteratura. Ma egli trovavasi di già al fine della laboriosa sua vita. Portatosi a Eperies per attendere alla giudicatura ne’ Comizj del Regno, egli cadde ammalato. Su le prime si lasciò medicare: ma sentitosi aggravare fuor dell’usato allontanò da se i Medici spontaneamente, ed aspettò la morte con Cristiana, e filosofica tranquillità. I Letterati perdettero un generoso Mecenate, i poveri un Padre caritatevole, l’Ungheria, e la Cristianità tutta un consumato Uomo di Stato, il dì quindici di Giugno MDLXXIII, pochi giorni dopo che gli erano state recate Lettere affettuosissime di Papa Gregorio XIII, colle quali gli si annunziava la sua elezione al Cardinalato, procuratagli da un vero merito. Michele Duborozky, recitò l’Orazione funebre al Cadavere, che fu sepolto con onorevolissima Iscrizione nella Chiesa di S. Niccolò di Tirnavia. Di questo illustre Prelato parlarono con elogio, oltre i soprannominati Belio, Leunclavio, Schmittio, Busbekio, Manuzio, Seccervizio, anche il Bonfinio nelle sue Decadi Ungariche, l’Istuamfio di lui continuatore, il Jongelino nel Catalogo de’ Palatini, l’Autore dell’Opera intitolata Castrum Strigoniense aureum, che ne fa amplissimo panegirico in poche parole; e molti altri Scrittori.

Antonio fu di bella statura, e ben proporzionato, di carnagione dilicata, d’aperta, e nobile fisonomia; il naso avea lungo, gli occhi azzurri, la bionda barba gli arrivava alla cintola. Nella sua gioventù sembra che sia stato portato agli amori, non potendosi credere affatto finti i molti versi Erotici, ch’egli lasciò mss. Alla bellezza, e dignità della persona egli congiunse in sommo grado la facondia, qualità che come lo rese accetto sin dall’età più fresca ai Sovrani di varie contrade, così dovette renderlo fortunato in Amore. La dolcezza [p. 144 modifica]delle di lui maniere era veramente la mostra esterna d’un animo dolcissimo; s’egli usò di pazienza eroica collo Zio Statileo non lo fece già per accortezza, ma per buon animo. Fa d’uopo, che qualche grave offesa lo abbia staccato dalla Regina Isabella, senza di che egli avrebbe persistito. Crescendo in dignità, e in ricchezze non crebbe in superbia, ma sì bene in magnanimità, e beneficenza; del grand’animo di lui può esser prova il dono fatto spontaneamente all’Imperador Ferdinando di 30m. fiorini d’Ungheria, ch’egli avea spesi per pagare le milizie in tempo che l’Erario era sprovveduto. Quindi, ad onta delle immense rendite, ch’ei possedeva allorchè venne a morire, fu d’uopo vendere gli argenti Vescovili, e gli arredi preziosi per pagare i suoi debiti. Negli affari politici avea grandissima penetrazione; nè per sua opinione si sarebbe mai dichiarata la guerra al Turco, se non da una ben connessa, e potentissima Lega di Principi Cristiani. Quantunque occupatissimo negli affari egli conservò mai sempre una predilezione distinta pelle Lettere, e trovò delle ore per applicarvisi. Restano delle di lui Opere mss.

1. Vita Petri Berislavi.

2. Iter Buda Hadrianopolim.

3. De Situ Moldaviæ & Transalpinæ. Fragmentum.

4. De Rebus Gestis Joannis Regis Hungariæ. Libri duo.

5. De obitu Joannis Regis Hungariæ, Epistolæ ad Joannem Statilium Episcopum Transylvanum datæ, dum idem Statilius in Gallia Oratorem ageret anno 1540.

6. Animadversiones in Pauli Jovii Historiam, ad ipsum Jovium.

7. De obsidione, & interceptione Budæ; ad Petrum Petrovvith.

8. Vita F. Georgii Utissenii, quæ penè tota periit.

9. Collectio Antiquorum Epigrammatum. [p. 145 modifica]

10. Multa ad Historiam Hungaricam sui temporis.

11. Otia, seu Carmina.

Michele Veranzio, fratello dell’Arcivescovo, non fece così luminosa figura. Egli si stancò di sopportare lo Statileo, e visse disagiatamente per qualche tempo in Ungheria, poi finalmente tornossene a Sibenico. Egli scrisse con più purgato stile che quello d’Antonio, così in prosa, come in versi. Il Tomco Marnavich cita un’Opera di Michele Veranzio sopra la Storia Ungarica de’ suoi tempi: ma di questa non si trova più che un frammento attinente all’anno MDXXXVI. Non so se di lui v’abbia altra cosa stampata che un’Elegia fra i Versi Latini di Girolamo Arconati. Lasciò mss. alcuni pezzi di Poesia non ineleganti, e un’Orazione ai Transilvani, colla quale vuol persuaderli a mettersi piuttosto sotto la protezione del Turco, che divenir sudditi del Re Ferdinando.

Fausto, e Giovanni, figli di Michele, furono affidati allo Zio Antonio perchè pensasse alla loro educazione. Di Giovanni ci rimangono alcuni Epigrammi da scuola. Egli morì giovinetto in battaglia. Fausto visse lungamente ed avrebbe potuto essere ricco, e felice: ma la sua fervidezza lo fece essere mediocremente provveduto, ed inquieto. Ebbe delle traversie per aver compromesso sconsigliatamente la Corte d’Ungheria con quella di Roma in materia beneficiaria; e quindi morì Vescovo di Canadio, in partibus. Pubblicò in Venezia un Dizionarietto Pentaglotto nel MDXCV, indi un Volume in fol., intitolato Le Macchine, e una brevissima Logichetta, in 24., sotto il nome di Giusto Verace. Per quest’ultimo Opuscolo entrò in relazione con due celeberrimi Uomini, vale a dire con F. Tommaso Campanella, e coll’Arci[p. 146 modifica]vescovo de Dominis. Del primo conservasi fra le Carte Veranziane una Censura autografa della Logichetta medesima; ed una pur ne rimane del de Dominis. Fausto scrisse molto, e fra le altre cose una Storia della Dalmazia, cui volle aver seco in sepoltura. Gli eredi suoi rispettarono questa strana volontà; e chi sa quante preziose carte dell’Arcivescovo Antonio perirono allora deplorabilmente insieme con quelle di Fausto? Questi morì del MDCXVII, e fu sepolto nell’Isola di Parvich6. Il Tomco Marnavizio gli fece l’Orazione funebre, ch’è stampata in Venezia nello stesso anno. Carlo Veranzio nipote di Fausto non lasciò dopo di se Libri stampati, nè Opere inedite: ma fu protettore degli Studiosi, raccoglitore di buoni Libri, ed intelligente d’Antiquaria.

Giovanni Tomco Marnavich, nacque del MDLXXIX, di bassa gente, quantunqu’egli abbia poi voluto nobilitarsi fino al darsi origine Reale, pazzia che gli costò grandissimi dispiaceri. Egli fu educato da’ Gesuiti a Roma, e sino dal MDCIII avea già dato forma a un grosso ms. de Illyrico, Cæsaribusque Illyricis, che si conserva ancora, quantunque sia un pò mutilato. Del MDCXVII trovavasi al servigio del Vescovo Canadiense, pella cui morte pubblicò l’Orazione soprindicata. Frugando nelle Carte Veranziane, costui avrà rubato chi sa quante cose! Così dee far giudicare il plagio della Vita di Pietro Berislavo, ch’egli diè alla luce del MDCXX, non altro aggiungendovi che alcuni periodi per farsi di [p. 147 modifica]lui congiunto, e sopprimendo le poche linee, che scoprivano il vero Biografo Antonio Veranzio. Fra le molte cose pubblicate colle stampe di quest’Uomo è la migliore una Dissertazione Pro sacris Ecclesiarum ornamentis, & donariis, contra eorum detractores; a Roma MDCXXXV in 8°. Egli era allora Vescovo di Bosna. Pochi anni prima, avea dato alla luce un Leggendario di Santi Illirici di stirpe Reale, col titolo Regiæ Sanctitatis Illyricanæ fœcunditas, in 4°. MDCXXX, nel quale fra gli altri Santi annovera Costantino Imperadore, a cui sanno ben tutti quanto male il titolo di Santo convengasi. Gli altri opusculi del Tomco non meritano d’essere riferiti.

Jacopo Armolusich, creato di Carlo Veranzio, lasciò molti versi mss. Pubblicò a Padova del MDCXLIII un libretto, Slava xenska sprotivni odgovor Giacova Armolusichia Scibençanina çuitu sestomu. in 4°.

Guarino Tihich, o sia Tranquillo, visse nel principio del XVI secolo, e lasciò delle Poesie Sacre mss.

Pietro Difnico, contemporaneo de’ due primi Veranzj, scrisse alcune Poesie nell’idioma Illirico. Dalla medesima famiglia qualche altro dotto Uomo debb’essere stato prodotto: ma io ne cercai senza frutto le notizie. Di questo Pietro vi parlerò più sotto, e d’un

Giovanni Nardino, che scrisse in versi elegiaci latini delle lodi di Sebenico, soggetto che fu anche trattato da un

Giorgio Sisgoreo, di cui cita l’Opera il Tomco. Ogni diligenza usata per rinvenirla fu vana.

Pietro Macroneo Sebenzano, Canonico di Scardona, quantunque nominato da me dopo tutti gli [p. 148 modifica]altri, visse in più rimoti tempi. Fra i manoscritti posseduti nel MDCXXXIV da Lorenzo Ferenczfi a Vienna varie cose trovavansi del Macroneo che fiorì cencinquant’anni più addietro. Un solo Opuscolo di lui è stampato, stranissimo Opuscolo, che à per titolo Controversia Lyaei atque Tethidis. Vienn. MDCXXXIV. È un pasticcio di passi scritturali parodiati per servire a questa lite, trattata nulla meno che dinanzi al Tribunale di Dio. Forse il Macroneo lo fece con buona fede: ma ne’ tempi nostri corrotti questo accozzamento di sacro, e di profano avrebbe tutta l’apparenza d’una beffa.

Nacque a Sibenico Martino Rota dipintore, e incisore, di cui ci restano parecchie stampe, fra le quali varie Carte Corografiche della Dalmazia, che quantunque poco esatte, sono di qualche uso. Due de’ tre ritratti in rame d’Antonio Veranzio, che si conservano fra molte altre preziose Carte di quel grand’Uomo presso la non mai abbastanza lodata Famiglia de’ Conti Draganich Veranzj, vengono dal bulino di questo Artefice. Fu anche nativo di Sibenico Andrea d’oscura origine conosciuto sotto il nome di Schiavone, valoroso dipintore, le di cui opere in molto pregio sono tenute dagli Amatori, ad onta del disfavorevole giudizio formatone dal Vasari.

  1. Il Belio nell’Hungaria Nova, T. I, e lo Schmitth, negli Archiepiscopi Strigonienses compendio dati, abbozzarono la vita del Veranzio; ma entrambi presero degli sbagli, e trattarono assai digiunamente il loro soggetto. Lo Szentivanio poi credette, ch’egli fosse nato in Transilvania.
  2. Vita Petri Berislavi Vesprim. Ep. Sclav. Dalm. & Croat. Bani, Jo: Tomco Marnavitio Auctore. Ven. ap. Evang. Deuch. 1620, in 8°.
  3. La più interessante parte delle memorie della lunga, e pericolosa spedizione che fu affidata al Gesuita Riceputi, che raccolse pella Dalmazia preziosi documenti col pretesto di farli servire all’intrapresa Opera dell’Illirico Sacro; e subì la sorte di quasi tutte le altre Carte radunate da lui smarrindosi di quà dal mare.
  4. Leunclav. Hist. Turc. Lib. I. p. 31.
    Schmitth. Op. cit. in Ver.
  5. Jo: Verdizotti Oraculum pro magna navali victoria & c. ad Antonium Verantium Strig Archiep. Ven. apud Guerræos 1572.
  6. Oltre alle accennate cose stampate Fausto Veranzio pubblicò a Roma Xivot nikoliko izabraniih diwiicz. 1606. in 8°. e lasciò un Volume ms. Regula Cancellariæ Regni Hungariæ.