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XII XIV
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XIII.


Roberto era inconsolabile.

Come Roberto potesse nutrire tanta amicizia per Olimpio, è uno di quei fenomeni che si perdono nelle astrusità della scienza psicologica — Roberto tutto cuore — Roberto tutto sentimento!

Aveva avuto bisogno di Olimpio, Olimpio lo aveva soccorso, ed egli si riteneva obbligato per tutta la vita.

Conosceva, sì, qualcuno dei difetti del suo amico; ma chi non ne ha? Gli rimproverava molte volte, con dolcezza, la sua condotta verso la moglie e Olimpio, vero camaleonte, rispondeva:

— Io? ma io adoro mia moglie. Pur troppo non trovo in lei l’ideale che avevo vagheggiato, la donna delle mie ardenti passioni...

— Ma se è un angelo! [p. 104 modifica]

— Sì, troppo — ed io la venero, mi metterei in ginocchio davanti a lei, piuttosto che darle un dispiacere saprei uccidermi — ma sono uomo, capisci? E se qualche debolezza mi travia, l’anima non vi ha parte. L’anima pura, l’anima fedele resta intemerata per mia moglie; il corpo è un vile astuccio di una fiamma celeste — il corpo è schiavo dei desiderii, l’anima sola è libera nell’amore.

Le dissertazioni sull’anima e sul corpo erano un po’ il debole d’Olimpio, che le raggirava e le contorceva in mille guise come fa il cerettano colla biscia, talchè Roberto finiva col persuadersi che il suo amico aveva sentimenti squisitissimi, offuscati da qualche menda nell’educazione e null’altro.

Consolava poi Giulia. Le ripeteva, convinto, che suo marito l’adorava. Le persone buone credono facilmente alla bontà altrui, e la moglie tradita e l’amico illuso vivevano di questo affetto immaginario che era l’unico loro affetto sulla terra, poichè è d’uopo dire che Roberto, al pari di Giulia, non amava che Olimpio.

Roberto era orfano, povero e disgraziato; si comprenderà di leggieri che gli amici non fioccavano intorno a lui. Cuore d’artista, mente di poeta, egli viveva molto nell’ideale — solo, a tu per tu colle sue fantasticherie, colle sue larve di gloria, col suo sogno di donna — sogno splendido, infinito, che la [p. 105 modifica] gretta realtà non aveva ancora vestito di forme corporee.

Nato al bello, cresciuto fra gli studii dell’arte greca, ingentilito dall’educazione e dai miti sensi, la solita bellezza dozzinale non lo commoveva.

Altra cosa da notarsi.

L’avvenenza nuda ed impassibile, che egli era abituato a contemplare nel suo studio, non poteva bastargli.

A quel cuore abbisognava un cuore.

Roberto lo aveva cercato lungamente con pazienza da geologo o da botanico che fruga un fascio di erbe per trovarvi un seme prezioso — ma egli non aveva trovato nulla.

Puritano e casto, sdegnava cogliere le facili ebbrezze di fuggitivi amori. Martire di un’idea, si ravvolgeva nella sua fierezza, come un eroe antico, ed aspettava.

Inutile dire che questo suo eroismo era perpetuo tema alle canzonature d’Olimpio.

Giulia, invece, lo compativa e lo compiangeva come una buona e tenera sorella.

Il romanzo di tutte queste esistenze procedeva così lento e tranquillo. L’autunno, incoronato di pampini, già si mostrava a tergo del biondo estate — ma che modo di scrivere è cotesto? — diciamo alla spiccia [p. 106 modifica] che si era alla fine d’agosto, lì lì per entrare in settembre.

Giulia affrettava i suoi imballaggi; Olimpio correva dalla città in campagna e dalla campagna in città.

Giulia era un po’ malinconica ed Olimpio preoccupato; si parlavano poco — a dir vero non avevano nulla da comunicarsi — i loro rapporti erano sempre stati piuttosto asciutti; e l’attuale stato di cose non era il più proprio a renderli espansivi.

— Non è venuto jeri Roberto?

— Non è venuto.

— E nemmeno jer l’altro?

— Nemmeno.

— Verrà oggi certamente.

— Speriamo, se ti fa piacere.

I due conjugi speravano e aspettavano.

Dopo alcuni giorni che Olimpio aveva passati alla sua nuova casa, domandò:

— Roberto non si è visto?

— Punto.

— È singolare; fosse ammalato?

— Ce lo avrebbe fatto sapere.

— Anderò a trovarlo, nullameno.

Andò — non era in casa; ritornò — non era ritornato; lasciò un biglietto — non ebbe risposta.

Oh! oh! l’affare si complica. [p. 107 modifica]

Cos’era mai accaduto?

Olimpio stette ancora molti giorni senza vedere il suo amico, e moltissimi altri senza potergli cavare di bocca la confessione del mistero.

Ora il mistero era questo.

Roberto, attraversando frettoloso le vie e tutto preoccupato de’ suoi affari, che non erano i più allegri del mondo, fu istantaneamente colpito dalla vista di un coupé.

Quanti coupé erano passati davanti agli occhi di Roberto, quante eleganti calèches, quanti aristocratici landeaux! e quante berline, e quante victoria!

Perchè dunque quel coupé lo aveva siffattamente colpito?

Perchè? perchè? — si domandò egli stesso mille volte ripensandovi.

E perchè era spuntato quel giorno fatale? perchè sfolgoreggiava di doppia luce il sole? perchè l’aria era più pura? più azzurro e più trasparente il cielo?

Perchè in quel giorno e in quell’ora egli s’era trovato a percorrere quella via?

Perchè più che ogni altra volta egli sentiva il suo cuore esuberante di passione e l’anima sitibonda di felicità? .

Ah, Roberto, il tuo momento è pur giunto!

Egli guardò quel coupé. [p. 108 modifica]

Piccolo, nuovo, lucente, conscio quasi della sua eleganza, si rizzava civettuolo sulle sue quattro ruote azzurre filettate di nero; non aveva parafanghi; la cassa, graziosamente arrotondata, poggiava su molle inglesi finissime; le portiere, fregiate da uno stemma, rilucevano come specchi; i cristalli grossi e trasparenti mettevano fede del loro alto prezzo. Era foderato di raso azzurro, terso e fiammeggiante, così abilmente imbottito, così elastico, così accurato in ogni sua parte che pareva una bomboniera, un gingillo, un astuccio di perle.

Sembrava uscito allora allora dalle mani dell’artefice, e quell'artefice era senza dubbio un artista.

Un cavallo nero, ardente e snello, lo trascinava a corsa.

Roberto, immobile, contemplava la beila apparizione, e solo quando fu sul punto di sfuggirgli avvertì in fondo al coupé, nell’angolo a destra, due occhi neri, due stelle su quel raso azzurro.

Dilatò le pupille, tese istintivamente le braccia, rattenne il fiato — sentì diritta al cuore una puntura, la sentì scendergli i lombi e guizzargli al cervello come spira di fuoco — il palpito del cuore, sospeso un istante, schiattò, rimbalzando nelle vene il sangue tumultuoso — volle parlare — volle gridare ferma! poi si sentì venir meno, palpeggiò colla mano il muro e [p. 109 modifica] chiuse gli occhi. Fu un istante solo — ma quando li riaperse, il coupé, mollemente ondeggiante, piegava l’angolo della via.

Un gemito, una specie di rantolo uscì dalle labbra di Roberto.

Si guardò attorno, si toccò per accertarsi di essere sveglio — il fulmine guizzando sul suo capo non lo avrebbe atterrito maggiormente, nè maggiormente abbagliato.

Amore, come Giove, veste più spesso sembianze umane; ma quando appare nella sua potente divinità, accieca.

Roberto, ebbro, si pose a correre per inseguire la sua visione sfuggita.

Un vigile, arrestandolo urbanamente per chiedergli il motivo di quella fuga, lo fece ritornare in sè.

Vagabondò forsennato per le vie di Milano cercando quel piccolo coupé azzurro; lo avrebbe riconosciuto in mezzo a cento; egli sentiva un trasporto di artista per quel grazioso coupé così lucido, così nuovo, pieno di civetteria e di baldanza — scrigno di raso e di cristallo che conteneva le due più fulgide gemme ch’egli avesse mai vedute.

Era bella quella donna?

Roberto non lo sapeva, perchè nella penombra azzurra di quel cantuccio aveva intravisto appena appena [p. 110 modifica] il baleno degli occhi — eppure bastò per evocare dalla sua immaginazione il corpo intero d’una Venere spirante voluttà e amore.

Quegli occhi, per essere così vivi, dovevano illuminare un giovane volto e il volto illuminato da quegli occhi doveva necessariamente esser bello.

Lo sguardo rapido e saettante gli aveva rivelato in una sola delle sue scintille passione, intelligenza, spirito, eleganza, grazia, superiorità — e una leggera tinta di fierezza che cresceva intensità e splendore alla pupilla.

Non so chi disse: mascherate una persona ch’io abbia veduta una sol volta, ma lasciatemi scoperto l’occhio, e la riconoscerò immancabilmente.

L’occhio è il faro del pensiero.

Roberto s’innamorò dell’occhio nero che aveva visto scintillare in fondo al coupé. La sua anima poetica si esaltava in quel misterioso incontro, l’incertezza non gli dispiaceva, e cullato da fantastiche visioni non temette di abbandonarvisi in una fidente ebbrezza.

I giorni che seguirono furono corse all’impazzata, stazioni di ore ed ore nei punti più frequentati della città, informazioni, stratagemmi, tutto per rivedere il piccolo coupé o per averne notizia.

Si rimproverò di non aver guardato la livrea, di non aver posto mente allo stemma, e se la corona che lo [p. 111 modifica] sormontava fosse di conte, di marchese, di barone oppure di duca.

Quel coupé divenne il suo incubo.

Lo sognava rilucente corrergli davanti colla rapidità della folgore e travolgerlo sotto le ruote. Una notte — una sola — sognò di trovarsi adagiato sui cuscini di raso azzurro — con quegli occhi che lo guardavano! — e si alzò barcollando come côlto da vertigine.

Non lavorava più; non parlava più con nessuno; sempre solo, vagante, immerso nella sua visione.

Il settembre passò a questo modo.

Olimpio lo incontrò una mattina che passeggiava a capo basso sotto gli alberi sfrondati dei vecchi Giardini Pubblici; colla canna disegnava linee ignote sull’arena, e non si diede neanche per inteso del saluto fattogli.

Olimpio allora gli battè sulla spalla dicendo:

— Sapevo che voi altri pittori siete tutti un po’ balzani, ma un’altra volta avvisami quando ti coglie la recrudescenza.

Roberto si gettò nelle braccia del suo amico.

Olimpio, sorpreso di tanta tenerezza, lo guardò diffidente, e:

— Dove diavolo sei stato in tutto questo tempo?

Roberto balbettò, si confuse, divenne rosso e finì col raccontare ogni cosa. [p. 112 modifica]

— Ma sei dunque innamorato come un asino? — e di un coupé? Affemia che l’avventura è bizzarra. Bizzarra! bizzarra! — continuò Olimpio scuotendo il capo con aria beffarda.

— Ridi dell’avventura, ma ti giuro che l’amore è serio.

— Doppio motivo per ridere, allora. Cosa ti salta in mente?

— Di che?

— Di innamorarti, perdio! Ciò non ha senso comune.

— Sei bene innamorato tu! esclamò Roberto.

— Io? fece Olimpio sbarrando gli occhi.

— O lo fosti.

— Sapresti dirmi di qual donna?

Roberto avrebbe potuto nominarne più d’una, ma volendo un paragone serio, poichè il suo amore era serio, soggiunse:

— Di tua moglie.

— Ah, mia moglie... questo poi sì! Vero; io sono innamoratissimo di mia moglie; ma è un altro pajo di maniche; ho giurato, capisci? Non si scherza — ho l’obbligo di adorare mia moglie; tutto il mondo lo sa. Quando tu avrai sposato il tuo coupé, ovverossia gli occhi che hai visto dentro, allora...

Olimpio parlava con quell’accento calmo, sicuro, con [p. 113 modifica] quell’aria di convinzione, con quella faccia grave e compunta che assumeva ogniqualvolta i suoi discorsi erano bugiardi — quasi sempre.

Roberto protestò che non poteva vivere senza quella donna.

Olimpio aperse una lunga parentesi per dimostrargli che tutte le donne sono eguali — ma appunto perchè è lunga la sopprimo — d’altronde Roberto non mutò opinione, al contrario, si mostrò più che mai infervorato nello scoprire le traccie del misterioso coupé.