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Piccolo, nuovo, lucente, conscio quasi della sua eleganza, si rizzava civettuolo sulle sue quattro ruote azzurre filettate di nero; non aveva parafanghi; la cassa, graziosamente arrotondata, poggiava su molle inglesi finissime; le portiere, fregiate da uno stemma, rilucevano come specchi; i cristalli grossi e trasparenti mettevano fede del loro alto prezzo. Era foderato di raso azzurro, terso e fiammeggiante, così abilmente imbottito, così elastico, così accurato in ogni sua parte che pareva una bomboniera, un gingillo, un astuccio di perle.
Sembrava uscito allora allora dalle mani dell’artefice, e quell'artefice era senza dubbio un artista.
Un cavallo nero, ardente e snello, lo trascinava a corsa.
Roberto, immobile, contemplava la beila apparizione, e solo quando fu sul punto di sfuggirgli avvertì in fondo al coupé, nell’angolo a destra, due occhi neri, due stelle su quel raso azzurro.
Dilatò le pupille, tese istintivamente le braccia, rattenne il fiato — sentì diritta al cuore una puntura, la sentì scendergli i lombi e guizzargli al cervello come spira di fuoco — il palpito del cuore, sospeso un istante, schiattò, rimbalzando nelle vene il sangue tumultuoso — volle parlare — volle gridare ferma! poi si sentì venir meno, palpeggiò colla mano il muro e