Capitolo II

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I III
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Capitolo II.

Casi di Trezzo, imperante il Barbarossa. — Cenni sul contado della Bazana.


L’imperatore Federico Barbarossa scese per la seconda volta in Lombardia nel luglio del 1158 accompagnato da Ladislao re di Boemia e da molti duchi, marchesi, conti, baroni, cavallieri, e prelati. Attraversato il Bresciano, presto fu alle rive dell’Adda. Qui trova distrutti i ponti di cui il principale era a Cassano, e vede l’opposta riva del fiume custodita da mille cavallieri milanesi pancerati, oltre una folla di arceri e frombolieri. Federico tuttavia pianta qui la sua tenda. Ad una distanza di mille passi, verso la foce del fiume, pongono i loro alloggiamenti Ladislao re di Boemia, Tebaldo, e Daniele vescovo di Praga. — Mentre l’imperatore si rifocilla, un boemo per nome Odolen, insieme con due compagni cerca un guado per passare, e, non trovandolo, spinge arditamente il suo cavallo nel fiume. Un de’ compagni lo segue; l’altro, avesse un cavallo, o un cuor debole, ritorna alla riva. Intanto i primi due sono in piena balia delle onde, sopra le quali or appajono le persone loro, ora i cavalli; pur finalmente giungono a toccare illesi la sponda destra. All’udire il fatto, il re Ladislao [p. 13 modifica]spiccasi dalla mensa, fa dar ne’ tamburi e prender Tarmi; egli stesso, alla testa di tutta la cavalleria boema, entra nei fiume rapido e profondo, e valorosamente lo varca, perdendo non pochi cavallieri. De’ Tedeschi partecipò a questo passaggio, avvenuta a Cornegliano, il solo duca di Dalmazia. Ladislao precipita subito colla cavalleria sui Milanesi accerchiandoli da ogni lato. Un gran numero cade occiso; altri molti rimangono prigionieri; il clamore dei Boemi vittoriosi si mesce ai gemiti degli sconfitti Italiani. Fugato quindi il resto di essi, i Boemi più trasportati dall’allegrezza per il bel fatto d’armi, che mossi dal pensiero di far preda, appiccano il fuoco a castella e villaggi dovunque possono. Intanto il re di Boemia recasi al ponte dell’imperatore per ristorarlo. Ed egli e l’imperatore vi portano legname, ma il sopragiungere delle tenebre interrompe il lavoro; e il re, appostata una forte guardia contro i Milanesi, passa la notte co’ suoi a cielo scoperto. Spuntò finalmente il di 24 che doveva recargli una vittoria inattesa; perocchè, mentre il matino i Boemi ajutano l’imperatore nella ricostruzione del ponte, giunge la notizia che l’esercito de’ Milanesi, spedito a difendere il passo dell’Adda, è già in marcia contro li imperiali. Datosi di piglio alle armi, una scelta schiera di cavallieri precorre a riconoscere il numero de’ nemici. Abbattutasi questa in un grosso corpo di Milanesi, incontra una vigorosa resistenza; tuttavia l’impeto boemo rimane superiore. Era questa una seconda [p. 14 modifica]divisione di Milanesi postata presso Gorgonzola, dove fu sorpresa e messa in fuga. Alcherio da Vimercate, Arderico Visconti, Robacastello, Monaco de’ Abonis, Tancherio Basabelleta, e altri cospicui milanesi caddero prigionieri; anzi, a detta de’ nostri storici, furono dall’imperatore fatti appendere. I Boemi inseguono il vinto più che loro è possibile; ma pur tra loro molti sono feriti. Oltre un ingente numero di morti, 70 nobili milanesi caddero nelle mani dei vincitori che, giubilando, li traggono al re Ladislao. Questi affida i prigionieri ad una forte guardia imperiale, e con un gran numero de’ suoi lavora al riparo del ponte principale. Compíta l’opera, Federico move pel ponte con un eletto drappello in ajuto del re. Un’altra schiera di Boemi ristora un altro ponte, ma per la gran calca buon tratto di esso rovina, sicchè molti Boemi ed Ungheresi trovano nella rapida corrente la morte. Ma Daniele vescovo di Praga, pronto sempre al servizio del suo principe, sprezzando il pericolo, sale il ponte e, anche su questo, porge ai feriti i conforti della religione. Concorsa però di nuovo sul ponte rinnovato soverchia folla di Boemi, nè potendone alcuno frenar l’impeto, lungo tratto di quello s’infrange per la seconda volta e con un maggior numero di vittime. Io però (così continua il racconto Vincenzo da Praga) non oso affrontare tal pericolo, e più badando a salvarmi che a far l’audace, insieme col seguito de’ miei camerati e coi Pavesi che conducevano il fodro alle truppe dell’imperatore, e [p. 15 modifica]conoscevano le vie ed i ponti, mi reco agli alloggiamenti del duca di Carinzia, che nella parte superiore del fiume erasi impadronito di un luogo forte rimpetto al Castello di Trezzo, e così vi passai la notte come permetteva la circostanza. Il dì successivo poi (25) ch’era la festa di S. Giacomo, coll’accennato séguito, essendo salve tutte le nostre cose, passammo sicuramente il fiume pel ponte dell’imperatore, e così giungemmo alle tende del nostro re e del vescovo, dove apprendemmo essere naufragati molti, e tra questi Mladorca scudiere del nostro vescovo. Dopo questa battaglia seguì anche la presa dei Castello di Trezzo.1. Lasciatovi a guardia buona mano di Teutonici, l’imperatore fe’ erigere tre torri robuste: una delle quali sorgeva ancora a’ nostri giorni e si chiamava la Torre Nera. Egli, passato quindi a Monza, vi radunò a consiglio i signori della Brianza, di Lecco e delle terre vicine, proponendo loro di far causa commune con lui; poi ritornò a Trezzo, dove pose un presidio di [p. 16 modifica]cento militi capitanati da Corrado di Maze, e Rodegerio. Questi commandanti già nell’anno appresso avevano desto il malcontento de’ Milanesi coll’infestarne i possessi situati ne’ contorni dell’Adda saccheggiando, esigendo indebiti tributi, e usando violenze contro li abitatori sino alla pieve di Segrate.

Dichiarati i Milanesi ribelli all’impero, perchè si rifiutarono di ricevere il podestà loro assegnato, e volendo essi in qualche modo sfuggire alla disgrazia che li minacciava, si recarono tosto a Trezzo nell’intento non solo di riconquistare quell’importantissima posizione strategica, ma ancora per liberare que’ borghigiani dalle militari vessazioni. Perciò arrivati (13 d’aprile, 1159), circondarono strettamente la fortezza quadrata e tosto si diedero chi a scalar le mura, chi a percuoterla con bolcioni e cogli arieti, e chi a lanciarvi pietre e materie combustibili. Sorpresi ed atterriti gli imperiali da così inaspettato assalto, dopo tre giorni di continuo combattimento dovettero arrendersi. Tutti i militi tedeschi col loro commandante Rodegerio, caduti prigionieri, furono tradutti a Milano. Ma ciò non valse a intimorire Federico, il quale nel 1160 portò la desolazione e lo spavento a Pontirolo, donde, passato a Fara, conquistò anche quel castello. Nel maggio del 1162 i Milanesi dopo varie e disgraziate vicende assediati nella loro città, dovettero arrendersi a discrezione; cosicchè anche il Castello di Trezzo ricadde in potere di Federico il quale vi assegnò il conte Marcoaldo di Wenibac e Ruino, [p. 17 modifica]incaricati di riscuotere i tributi spettanti all’imperatore in tutta la Martesana e nel Bergamasco fino a Rivoltasecca. Tali balzelli e vessazioni continuarono finchè la Lega Lombarda vinse il Barbarossa nella famosa battaglia di Legnano.

Mentre poi nel 1163 Enrico di Svevia residente a Monte Ghezone o sia Lodi Nuovo, andava raccogliendo tutti i frutti delle terre milanesi poste in quel contado, il Wenibac, che dimorava a Trezzo, faceva lo stesso fino alla Molgora. La giurisdizione del governatore di Trezzo si estendeva allora sino a questo fiume, senza toccare la Martesana, come il provano le precise parole dello storico Sire Raul: Marquardus de Wenibac, qui Tricium morabatur asque ad Morgoram idem faciebat: comes Gozonus in Seprio et Martesana secundum predvtum modum colligebat. La regione adunque interposta a Trezzo, cioè all’Adda e alla Molgora, non apparteneva alla Martesana dipendente da un diverso governatore2. Ciò prova che oltre quest’ultimo contado ve ne aveva nel Milanese un altro detto della Bazana e di cui gli storici anteriori lasciano incerti i confini. Ma senza dubio era vicino al contado-Martesana con cui fu poi unito. Vero è che non si trova indicata la precisa epoca di tale unione; ma in una pergamena del 1374 del 19 di genajo, serbata nell’archivio del [p. 18 modifica]marchese Giacomo Trivulzio, appajono già i due contadi come dipendenti da un solo vicario. E quindi verisimile che il territorio fra l’Adda e la Molgora fino al Lodigiano, e di cui Trezzo era capo luogo, costituisse appunto il contado della Bazana.

I due contadi concentrati crebbero in processo di tempo fino ad occupare tutto l’agro milanese a mezzogiorno, levante, tramontana, restando alla città i soli corpi santi. Tuttavia Giovanni Galeazzo Visconti signore di Milano, con editto del 12 d’ottobre del 1385, assegnò al governo del podestà di Milano una zona larga più millia verso la capitale, togliendola alla giurisdizione di quei contadi rurali. Dalle unite Martesana e Bazana levò egli le pievi di Bruzzano e di Bollate, una buona parte di quelle di Desio, di Gorgonzola e di Vimercate, la corte di Monza e le pievi di Merate, Segrate, S. Donato, S. Giuliano di Locate, Settala, Rosate e Decimo, poi di Binasco nel governo laico, e di Lachiarella nell’ecclesiastico. Quanto alle pievi che prima erano del contado proprio di Milano e furono poi occupate dalla Martesana e della Bazana, non si può distinguere quelle che appartenevano alla prima o alla seconda; il che vale anche per l’altre aggregate al Seprio ed alla Bulgaria.

La denominazione di contado della Martesana e della Bazana vigeva ancora a’ tempi di Carlo V, ma il nome principale a poco a poco restò solo, per il che, all’epoca in cui scriveva il Giulini, quello di Bazana era quasi ignoto. [p. 19 modifica]

Ritorniamo ai fatti di guerra. Non andò molto che i Milanesi, unitisi alla meglio e raccolti quanti più strumenti bellici poterono, mossero di nuovo contro il nostro forte. Essi costrussero un valido castello di legno ed un ponte sull’Adda, e indi strinsero la rôcca di assedio per più di due mesi, cioè fino al 10 d’agosto del 1167, quando i loro replicati sforzi furono coronati da una completa vittoria. Allora i tedeschi difensori, saputo che Federico cui aveano spedito messi, non poteva soccorerli e che, se persistevano più oltre in una inutile resistenza, sarebbero caduti nelle mani dei Milanesi e passati per le armi, capitolarono a condizione di aver salva la vita. Rumo e li altri officiali furono tradutti a Milano e posti in carcere. Entrati i Milanesi e i Bergamaschi nel castello, lo spogliarono dei vasellami d’oro e d’argento e di tutte le ricchezze che lo stesso Federico aveva colà accumulate colle depredazioni, e poi lo minarono in gran parte, sebbene godesse fama di esser uno dei migliori di Lombardia. Ma più che la perdita del Castello di Trezzo afflisse Federico la notizia dell’alleanza dei Lodigiani coi Milanesi, e il timore di una lega ai suoi danni di tutte le città lombarde.


Note

  1. Vincenzo da Praga, Ottone Morena, il Ragevino e Gottofredo da Viterbo concordano nel porre la spedizione contro il nostro castello dopo la narrata battaglia di Cassano e Gorgonzola; dal che si discostano i soli annali maggiori di Milano, secondo i quali cotal presa sarebbe invece anteriore. Intorno a questi fatti d’arme dell’imperatore giudicammo opportuno attenerci fedelmente al recente lavoro Sulla partecipazione dei Boemi alle lotte dell’Imperatore Federico I in Italia. (Bohmens Antheil an den Kämpfen Kaiser Friedrick I in Italien). Vol. 2, Gottingen, 1865, Munster, 1866, del dottor Fiorenzo Tourtual.) È opera accolta con ispiegato favore dai più accreditati fogli critici della Germania.
  2. Intendasi per altro da Cornate in giù; rilevandosi dal medesimo sire Raul che Cornate era compreso nella Martesana.