Capitolo III

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Capitolo III.

Gherardo da Sessa in Trezza. — Passaggio pel borgo di papa Innocenzo IV. — Lotte contro Federico II ed Ezzelino da Romano. — Signoria dei Tormani: conflitti tra i nobili e i plebei.


La malconcia rôcca fa lasciata in abbandono e in breve divenne ricettacolo di malfattori e di pipistrelli. Fu solo nel 1211 che il cardinale Gerardo da Sessa legato della Santa Sede e poi arcivescovo di Milano, scelse il Castello di Trezzo per luogo di sua dimora campestre, facendolo alla meglio restaurare. Colà il 20 d’aprile di quell’anno lo stesso Gerardo scrisse una lettera in cui ordina ai diocesani di non impedire agli Umiliati i loro pubblici parlamenti e le scuole per utilità delle anime1.

Dal cardinale legato la rôcca passò in possesso di vari signori, fra cui vuoisi che fosse un Guazzone di San Gervasio, il quale vi fece costruire di fronte a cotesto villaggio un ponte ad un solo arco per valicare l’Adda.

Allorchè i Milanesi seppero che Federico II [p. 21 modifica]minacciava di rinnovare in Italia i disastri dell’Enobarbo, composti li interni dissidii, giurarono di nuovo i capitoli della lega Lombarda. Le milizie poste a custodia del Castello di Trezzo e una scelta truppa di giovani della Bazana furono fra le prime che nel 1239 investirono con felice successo, segnalandosi più di tutti i Bazaniti, la squadra dei Saraceni aggregata all’esercito imperiale.

Il Pontefice Innocenzo IV di ritorno da Lione, prese la via di Milano, dove, nel 1251, dimorò più di due mesi. Se ne partì circa la metà di settembre; riposò la notte nella canonica di Crescenzago, indi passò a Trezzo dove fu accolto festosamente dagli abitanti; attraversato il Bergamasco, proseguì il suo viaggio alla volta di Brescia.

Suscitatesi in Milano nuove discordie tra i patrizi e i plebei, i primi s’appigliarono all’orribile disegno di chiamare in loro soccorso Ezzelino da Romano, a cui volevano assuggettare anche la metropoli. Unitisi quindi al feroce signore di Padova, con lui passarono l’Adda a Vaprio il 17 di settembre del 1259, movendo difilato a Milano, Ma tornate vane ad Ezzelino le speranze di occuparla per sorpresa e i tentativi d’insignorirsi di Monza, si rivolse contro Trezzo, altro però non ottenendo a sfogo della sua vendetta che di incendiare alcuni casolari vicini al castello. Tuttavia, non sapendo egli risolversi ad abbandonare il Milanese, confidando sempre d’aver nuovi soccorsi dai capitani e valvassori, pose il quartiere a Vimercate, [p. 22 modifica]indi occupò il ponte di Cassano per assicurarsi alla peggio un’opportuna ritirata. Ma in breve tempo comparve l’esercito alleato dei Cremonesi, Ferraresi e Mantovani, condutto dal marchese Uberto Pallavicino e da Buoso da Dovera, i quali dopo un accanito combattimento si impadronirono del ponte. D’altra parte sopraggiunse Martino della Torre coi Milanesi da Monza, chiudendo così ogni via di scampo ai nobili fuorusciti. Allora il tiranno, accortosi d’essere da’ suoi fautori abbandonato, e accerchiato da due eserciti, per aprirsi ad ogni costo un passo, mosse con impeto contro il ponte di Cassano. Già egli aveva costretti li alleati a ritirarsi, quando gli toccò una grave ferita nel piede sinistro; non iscoraggiato per questo, continuava ancora a combattere, finchè, ricevuta una seconda ferita nel capo, cadeva prigioniero. Trasportato dai vincitori a Soncino, ebbesi tutte le cure che l’arte medica sapeva suggerire, ma inasprendosi ognor più le ferite, cessò di vivere l’8 di ottobre.

Intanto i nobili eransi riparati su quel di Bergamo e speranzosi di ritornare in patria, afforzati con soccorsi da quella città, vennero nel 1261 al di qua dell’Adda e saccheggiarono Licurti2. A tale notizia, il podestà di Milano, Guglielmo Pallavicino con la milizia delle porte Orientale, Nuova, [p. 23 modifica]e Ticinese corse alle sponde dell’Adda tra Vaprio e Trezzo. I soldati volevano passar oltre a dare il guasto, ma il podestà inviò alcuni a Bergamo per chiedere soddisfazione della ricevuta ingiuria, lasciando a que’ cittadini due giorni di tempo a risolvere. I Bergamaschi, avvedutisi dell’errore commesso provocando una città così potente, spedirono per la via di Trezzo quaranta ambasciatori al campo milanese per iscusare la loro condutta.

Il Tornano allora intimò che dovessero congedare tutti i Milanesi proscritti, e indennizzare li abitanti di Aicurzio. A questi patti fu stabilita la pace. I Milanesi esuli in numero di circa novecento, espulsi anche da Bergamo, ripararono al Monte di Brianza, e si chiusero nel forte castello di Tabiago, dove pure assediati dovettero infine arrendersi per difetto di viveri. La fortezza fu tosto ruinata3 e i prigionieri tradutti su carri a Monza, indi a Milano. A Martino della Torre ed ai maggiorenti è dovuto se alcuni cambiarono il patibolo coll’esiglio. Degli altri che furono incarcerati, quale fu posto nel castello di Stezzano, quale in quello di Trezzo, chi nel campanile di Vimercate, e chi finalmente in Milano nella torre della porta di Sant’Ambrogio e in quella di Porta Nuova. È da quest’epoca in poi che il forte di Trezzo accolse quasi di continuo illustri prigionieri di Stato. Quei [p. 24 modifica]nobili che andarono salvi dalla sventura toccata a loro fratelli, cercarono un rifugio nel castello di Brivio; dove, sebbene stretti da un vigoroso assedio, resistettero a lungo col coraggio della disperazione; finalmente, caduti in potere dei vincitori, grazie ancora alla mitezza d’animo di Martino Torriano, alcuni sostennero solo l’esiglio, ed altri la prigionia nel Castello di Trezzo.

Ma per la morte di Martino, seguita nel 1263, la sorte di quelli infelici peggiorò. Il 4 di febrajo del 1266 furono levati dal Castello di Trezzo ventotto prigionieri e condutti a Milano, dove, per commando di Napo della Torre, venivano decapitati sulla piazza di S. Dionigi. Tanto sangue di nobili versato destò l’orrore e l’indignazione persino fra gli stessi Guelfi. Li esuli disgraziati proseguivano anche nel 1275 i loro maggiori sforzi per rientrare in patria, riacquistare i beni confiscati e prendersi la rivincita sul loro nemico. Soccorsi da quelle milizie provenzali ch’erano venute nel Milanese per ordine del re Carlo d’Angiò, minacciarono anche il passo di Trezzo, ma trovarono il ponte e il castello difesi da buon numero di militi.

Mentre nel luglio del 1278 duecento fra Milanesi e Martesani stavano costruendo un ponte sull’Adda, sorpresi da una banda di popolani, furono fatti prigionieri. Cassone Torriano capo degli assalitori li fe’ slegare; e, postone uno fra ogni due de’ suoi soldati, li costrinse così a battersi contro i Visconti. [p. 25 modifica]Un tale stratagemma, che accrebbe le sue forze, gli giovò non poco per impadronirsi in breve dei castelli di Cassano, di Vaprio e di Trezzo non solo, ma anche dell’alta Brianza e del Piano d’Erba. De’ varii prigioni fatti in quella pugna sanguinosa e tradutti nella rôcca di Trezzo, Cassone rimandò liberi i Milanesi, e rinchiuse nella Torre Nera di Barbarossa i Comaschi, mettendoli poi crudelmente a morte per vendicare l’ignominioso fine di Napo Torriano nella torre di Baradello.

In tale frangente l’arcivescovo Ottone Visconti non ebbe altro scampo che di ricorrere al marchese di Monferrato, il quale sul principio del 1279 con l’esercito de’ Milanesi si trasferì a Trezzo e poi a Vaprio, dove trovò il nemico preparato a resistergli vivamente. Poco dopo, il marchese, avvertito da una falsa spia che Vaprio era quasi sguernito di truppe, corse ad assalirlo; ma accortosi, dopo gravi perdite di uomini, d’essere stato ingannato, ritornò a Trezzo. Qui coi nuovi soccorsi sopragiuntigli potè impadronirsi del castello ed occuparsi a ristorare il ponte.

In allora Beltramo Greco e Alberto d’Imola, ambasciatori di Bergamo, venuti a Trezzo, proposero al marchese di stabilire coi Torriani una tregua, la quale ebbe luogo il 24 di genajo. Bello era il vedere allora gran numero di Milanesi visitare i Torriani, pei quali nutrivano una forte simpatia. Ma ciò non piaceva al detto marchese che alla fine con una mazza percoteva qua e colà i Torriani, loro [p. 26 modifica]ingiungendo che si allontanassero dal borgo di Trezzo4. Questi infatti passarono l’Adda, recandosi a Treviglio, a Casirate e ad altre terre circostanti.


Note

  1. Il Sormani, nella sua Storia degli Umiliati, ne riferisce la data: Actum in Castello Tritii, jurisdictionis Mediolanensis, Lombardie Provincie, anno Dominice incarnationis MCCXI, XII ante Kal. madii, indict. XIV.
  2. Cioè a dire: Terra dei Curti, ed è il villaggio oggidì chiamato Aicurzio. Vedi Dozio, Notizie di Vimercate e sua pieve, pag. 60.
  3. Oggidì rimangono solo li avanzi di una gran torre quadrata che serve ad uso di magazino. Sull’esterno di una parete vedonsi sculpite le parole del Corio relative al fatto.
  4. Il Corio dice invece, male apponendosi, di Brivio.