Trattato di archeologia (Gentile)/Arte romana/II/Secondo periodo/Architettura/IV
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IV. I monumenti degli imperatori della «gens Flavia».
1. L’Anfiteatro Flavio o «Colosseo». — La sua struttura. — Il grande monumento dei Flavi è l’anfiteatro che eternò il loro nome. Si dice che Augusto avesse disegnato la costruzione nell’interno della città di un grande edifizio per gli spettacoli dei gladiatori e delle belve, la cui feroce passione cresceva in Roma e in Italia. Anfiteatri già avevano le città italiche e provinciali, o temporanei di legno, o stabili di pietra. Un anfiteatro di legno ruinò a Fidene, imperando Tiberio, e vi furono tra morti e feriti ventimila spettatori. Il pensiero di dare a Roma un grande anfiteatro fu rinnovato, ma non eseguito da Caligola. L’anfiteatro di Statilio Tauro erasi incendiato sotto Nerone. Vespasiano, ritornando al disegno d’Augusto, pose i fondamenti della grande opera a sud-est del Foro romano, nella bassura fra il Celio e l’Esquilino, dov’era un laghetto dei giardini di Nerone. L’opera fu compita da Tito nell’anno 80 d. C.; si disse l’Anfiteatro Flavio; il nome di Colosseo gli venne, pare, verso il secolo VIII, dalla colossale statua di Nerone che vi si trovava vicina.
Capace di ottantasette mila spettatori, constava d’una grande elissi (il cui asse maggiore misura 188 m., il minore 156), racchiudente un’elissi minore che forma l’arena (misurante 76 m. di lunghezza per 46 di larghezza). Lo spazio intermedio fra le due elissi comprendeva le gradinate per gli spettatori. La cinta esterna, alta 48 m., componevasi di tre ordini d’arcate sovrapposte, in numero di ottanta per ciascun ordine; il primo e più basso dei quali era ornato di colonne doriche, il secondo di colonne ioniche, il terzo di corinzie; sopra questo un quarto piano è formato d’un muro con aperture a modo di finestre, divise da pilastri di stile corinzio. Fra le arcate del secondo e del terzo ordine erano collocate statue, come appare da rappresentazioni dell’edifizio sopra monete imperiali di Tito e di Domiziano1. Le arcate del primo ordine, distinte con numeri dal I all’LXXX, davano adito alle scale ed ai corridoi interni.
Il piano generale dell’interno del Colosseo, come d’ogni anfiteatro, consisteva della cavea, luogo per gli spettatori, e dell’arena, luogo dei combattimenti. L’arena, sotto la quale erano androni e camere sotterranee per contenervi le fiere e gli attrezzi (questa parte sotterranea è specialmente evidente nell’anfiteatro di Capua), era recinta intorno dal podium, nel quale erano i posti per la famiglia imperiale, per i magistrati e per le vergini Vestali. Sopra il podio elevavansi tre sezioni di gradinate (moeniana) con scale che, convergendo dalla periferia verso il centro, tagliavano le gradinate a cunei. Le sezioni delle gradinate, o moeniana, erano distinte da larghi pianerottoli (praecinctiones) con muri di cinta (baltei), in cui erano aperte porte o sbocchi (vomitoria), che dagli androni interni mettevano alle gradinate. In alto, sopra l’ultima sezione di gradini (summum moenianum), correva tutto in giro un porticato destinato alle donne della plebe. Sopra il porticato elevavansi le antenne, a cui erano tese le corde per distendere l’immenso velarium, ombreggiante tutta la vastissima cavea. All’esterno nell’ultimo piano del Colosseo, vedonsi ancora le mensole di sostegno delle antenne. Tutta la parte d’edifizio compresa fra la linea obliqua delle gradinate e la verticale del muro esterno di cinta era occupata da scale, corridoi, passaggi per cui gli spettatori, muniti delle tesserae segnanti il posto di ciascuno, accedevano ai vomitoria, e di qui ai loro seggi. Questa è l’ossatura dell’anfiteatro Flavio, a cui l’immaginazione dovrebbe aggiungere la sontuosa decorazione; i muri divisorî dei moeniana, e specialmente quello più degli altri elevato fra il secondo e il terzo moenianum, erano riccamente ornati di preziosi marmi e di scolture; di fregi e di varie sculture erano ornate anche le balaustre dei vomitoria (ved. Atl. cit., tav. XLVI e tav. XLVII).
b. Storia delle vicende del Colosseo. — Terminato e inaugurato da Tito, dicesi con spettacoli, nei quali si videro 5000 belve feroci, l’Anfiteatro Flavio ebbe nuove cure da Domiziano; di alcuni danni sofferti lo restorò Antonino Pio. Sotto Macrino s’incendiò nella parte superiore, dove nel summum moenianum e nel portico le gradinate erano di legno; per qualche tempo non vi si diedero spettacoli; ne incominciò la restorazione Eliogabalo, la compì Alessandro Severo. L’imperatore Filippo nell’anno 248 vi celebrò le grandi feste del millesimo anniversario natalizio di Roma. Onorio nell’anno 405 proibì gli spettacoli gladiatorî; ma caccie di fiere nel Colosseo si fecero ancora fino ai tempi di Teoderico. Nel Medio Evo il Colosseo servì di fortezza nelle lotte intestine delle fazioni romane. Poi la barbarie e la rapina lo convertirono in una cava di pietra; il palazzo della Cancelleria, i palazzi Farnese e Barberini furono per buona parte costruiti con pietre del Colosseo, tolte dalla demolizione del muro esterno; così quasi due terzi della grande costruzione furono distrutti.
Fra le costruzioni dei Flavî è da ricordare il tempio della Pace, intorno a cui allargavasi il Foro di Vespasiano. Il tempio ornato con opere tolte dalla domus aurea e con ricche spoglie della conquistata Gerusalemme avevasi per uno de’ più sontuosi di Roma.
2. Le terme di Tito. — Poco lungi dal Colosseo, sull’estremo dell’altura dell’Esquilino, furono erette le Terme di Tito. Il bagno aveva una grande importanza nella vita romana, almeno nei tempi ultimi della Repubblica. Per l’importanza che presero i bagni caldi s’ebbero poi le thermae, edificî destinati non solo al bagno, ma a luogo di ritrovo e di piacere, con un carattere affine a quello dei ginnasî e delle palestre greche. Non la sola Roma, ma ogni città d’Italia o delle provincie, ancorchè piccola, ebbe le sue Terme2. Esse componevansi di vasti locali e camere poggianti sopra altre camere sotterranee (suspensurae), dove era la fornace (hypocausis) e tutto quanto risguardava il riscaldamento e la trasmissione delle acque calde e del vapore. Al di sopra distendevansi le sale e le celle da bagno, con variissima destinazione: il caldarium o sala per i bagni d’acqua calda, e il frigidarium per quelli d’acqua fredda; il tepidarium, sala per traspirazione mediante riscaldamento; il laconicum, per una più alta temperatura; l’apoditerium o spogliatoio; il destrictorium e l’unctorium per le frizioni del corpo e le unzioni; a cui poi sono da aggiungere cortili da passeggio, vasche da nuoto, sale da conversazione e ricreazione, biblioteche, gallerie. Tutti questi locali erano ornati d’opere d’arte, e non poche delle belle statue giunte fino a noi si raccolsero fra rovine di terme3. Le prime terme erette in Roma credonsi quelle di Agrippa; a cui prossime sorsero poi quelle di Nerone; e in terzo luogo quelle di Tito, delle quali ancor rimangono dei ruderi, dai quali si riconoscono anche tracce di parte degli edifizî della domus aurea. Le sale di queste terme erano riccamente dipinte, ed ornate di statue di grande valore artistico4.
3. L’Arco di Tito. — Dei monumenti onorari dei Flavî è ancora sussistente e degno di ammirazione l’Arco di Tito, presso l’elevazione del Velia, al principiare della Via Sacra. Eretto dal popolo e dal Senato in memoria della presa di Gerusalemme, fu compito e dedicato dopo la morte dell’imperatore, come apare dall’iscrizione in cui l’imperatore ha il titolo di divus, e dalla rappresentazione dell’apoteosi che fa parte dei bassi rilievi del monumento. L’arco ha un solo passaggio; i lati hanno quattro finte colonne, che sono uno dei più antichi ed anche dei più begli esempi d’ordine composito; sormonta a queste una trabeazione con fregio, sopra cui viene poi l’alto attico. Il disegno è semplice, ma assai elegante, e così per l’architettura come per la decorazione plastica è uno dei più bei monumenti dell’arte romana (ved. Atl. cit., tav. LXVII e LXVIII; cfr. la mia Epigrafia latina, tav. XXVIII5).
4. Opere dell’imperatore Domiziano. I «Fora» minori. — Sotto Domiziano fu restorato il tempio di Giove Capitolino ed ampliato il palazzo imperiale sul Palatino; fu inoltre restorato il Foro, dove fu posta una colossale statua equestre rappresentante l’imperatore. Una sontuosa villa imperiale fu eretta a piedi del Monte Albano. Fu incominciato da Domiziano e condotto a compimento da Nerva il tempio di Minerva posto fra quello di Marte Ultore di Augusto e il tempio della Pace di Vespasiano.
Intorno al tempio di Minerva stendevasi un’area recinta da ricco colonnato, che costituì un nuovo Foro, detto di Nerva, e che, servendo di passaggio o di congiunzione fra il Foro di Vespasiano e quello d’Augusto, è indicato spesso anche col nome di Forum transitorium o Forum pervium. Era chiuso all’intorno da un gran muro di travertino, dal quale aggettavano colonne corinzie sorreggenti una magnifica trabeazione formante cornice tutto all’ingiro; al di sopra di questa alzavasi un attico. Di questo bellissimo recinto rimangono ancora poche ma assai belle vestigia, in due grandi colonne corinzie, per metà affondate nel terreno, dette le Colonnacce, con una parte d’architrave riccamente ornato di bassi rilievi figuranti donne che attendono a domestici lavori, sotto la protezione di Minerva operatrice (come l’ateniese Ergane), la cui imagine vedesi in un alto rilievo dell’attico (ved. tav. 62). Il tempio della Dea è ancora in buona parte conservato su disegni del secolo XV; ma fu distrutto ai tempi di Paolo V (1605-1621), per usare del materiale in altre costruzioni.
Tavole
La casa dei “Vettii„ a Pompei. Il cortile.
Tavola 57.
Ved. Arte italiana decorativa e industriale, diretta da Camillo Boito, anno IX (1900), n. 3, tav. 14, 1.
La Casa dei “Vettii„ a Pompei.
Il fregio degli amorini orafi.
Tavola 58.
Da una riproduzione cromolitografata posseduta dalla Società numismatica italiana in Milano. (Cfr. Arte decorativa industriale diretta da Camillo Boito, anno IX (1900) n. 3, pag. 23, fig. 44.
La casa dei “Vettii„ a Pompei. Parete dipinta nel piccolo “oecus.„
Tavola 59.
Ved. Arte italiana decorativa e industriale, diretta da Camillo Boito, anno IX (1900) n. 3, tav. 13.
Vasi di metallo per diversi usi.
Ritrovati a Pompei e ad Ercolano ora nel Museo Nazionale di Napoli.
Tavola 60.
Ved. Arte italiana decorativa e industriale, diretta da Camillo Boito, Anno IX (1900) tav. XVIII.
Vasi in metallo ritrovati a Pompei e ad Ercolano.
Tavola 61.
Ved. Arte decorativa e industriale, diretta da Camillo Boito, anno IX (1900) n. 3, tav. 18.
Il Foro di Nerva a Roma.
Il Portico di Minerva, detto “Le Colonnaccie„.
Tavola 62.
Ved. Strack, Baudenkmäler des alten Rom, tav. 29.
Note
- ↑ Ved. le monete con l’Anfiteatro Flavio in Cohen, Médailles impériales, vol. I2, n. 399. È riprodotto anche su un conio del Padovanino; Cfr. C. Fontana, L’Anfiteatro Flavio, 1725: Haag. 1776; C. Wagner, De Flavii Anphithéatro, Marburg, 1829-31; cfr. anche A. Pompei, Studî intorno all’anfiteatro di Verona, Verona, 1877, che contiene ottime osservazioni per lo studio generale degli anfiteatri. Altri particolari sul Colosseo aggiunge il Borsari, op. cit, pag. 132, 134.
- ↑ Intorno alle terme romane in generale ved., oltre il lavoro di Baccio sulle terme libr. VII. Venezia. 1588: Andrea Palladio, Les thermes des Romains, ediz. di Londra 1732. Vicenza. 1785; Ch. Cameron, The baths of the Romains. Londra, 1772; Mirri, Le antiche camere delle terme di Tito, Roma, 1776; id., Descriptions des bains de Titus, Paris, 1786; Ant. de Romanis, Le antiche camere Esquiline dette Terme di Tito, Roma, 1822. Delle Terme di Tito e adiacenze si tratta anche in S. Ricci, La Ξυστική Σύνοδος e la “Curia athletarum„ presso S.Pietro in Vincoli, Roma, 1891, (Bullettino della Commissione Comunale di Roma: Lanciani, ibidem, 1891-1892).
- ↑ P. es., il celebre gruppo del Laocoonte, ora nel Vaticano, fu rinvenuto nell’anno 1566 in una nicchia di queste stesse terme di Tito; il così detto Toro Farnese, cioè il celebre gruppo di Zetos ed Anfione, Dirce ed Antiope, che ora si ammira nel Museo nazionale di Napoli, fu rinvenuto nell’anno 1546 nelle terme di Caracalla: ved. Gentile, Storia dell’arte greca; op. cit., pag. 171, 176; cfr. A. Häckermann, Die Laocoonsgruppe, Greifswald, 1856; Collignon, Histoire de la sculpture grecque, Parigi, Didot, II, 533.
- ↑ Si osservi qui per incidenza quanti utili cimelî per la conoscenza dell’arte e della vita si traggano dai monumenti dissepolti. Intorno alla vita dei Romani, specialmente privata, per es., basti rammentare quanti documenti autentici siansi tratti appunto dalle rovine di Ercolano e di Pompei, e quanto ancora si tragga intorno alla condizione della ricca civiltà romana del I secolo dell’Impero. Ved. per queste città e per gli scavi relativi: Overbeck-Mau, Pompei, citato nell’Indice bibliogr.
Di somma importanza per la storia della decorazione pittorica sono i ritrovamenti della Domus Vettiorum a Pompei, dei quali si occuparono, si può dire, tutte le Riviste d’archeologia e d’arte italiane e straniere. Cfr. A. Sogliano, La casa dei Vettii nei Monumenti antichi per cura della R. Accademia dei Lincei, VIII, 1898; Pasquale d’Amelio, Nuovi scavi di Pompei — Casa dei Vettii. Non meno importanti per gli affreschi e per l’uso di case alte più piani sono i ritrovamenti recentissimi di Boscoreale e di Ercolano (ved. tav. 57=61). Cfr. Mittheil. d. k. d. arch. Inst. Röm. Abth., 1894, p. 349 e segg.; 1896, pag 131-140, tav. III; A. Mau, Pompei in Leben u. Kunst, Lipsia, 1900. - ↑ Intorno all’Arco di Tito ved. S. Reinach, L’arc de Titus et les dépouilles du temple de Jerusalem, Parigi, 1890. Sugli archi trionfali, oltre le opere capitali del Bellorius e del De Rubeis, si studî quella già citata di L. Rossini, Gli archi di trionfo degli antichi Romani, Roma, 1836, e in particolare il lavoro del Mancini sull’arco d’Augusto a Fano. Pesaro, 1826; del Petersen sull’arco di Trajano a Benevento, Röm. Mittheil, VII, pag. 239 e segg.; del Massazza e del Ponsera sull’arco antico di Susa, Torino, 1750, 1841.