Trattato completo di agricoltura/Volume II/Del Pesco
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del pesco.
§ 907. Il pesco (amigdalus persica, fig. 538), è una delle piante che in Europa dà i migliori frutti, tanto per riguardo al loro volume, quanto per quello del gratissimo odore e sapore. Essa pure è pianta originaria de’ climi caldi dell’Asia e dell’Africa, indigenatasi in Europa per mezzo della semina; e per tal mezzo di propagazione avvenne che moltissime furono e sono le varietà del pesco, le quali però possono ridursi a quattro principali, siccome riproducibili per seme.
1.a Pesco a frutto coperto da peluria, carne o polpa sugosa, spiccaciola, ossia che facilmente abbandona il nocciuolo interno.
2.a Pesco a frutto parimenti coperto da peluria, polpa consistente, duracina, ossia che non si stacca dal nocciuolo.
3.a Pesco a frutto liscio, polpa sugosa, spiccaciola.
4.a Pesco a frutto liscio, polpa consistente, duracina.
Queste varietà hanno infinite sotto varietà, molte delle quali possono riprodursi per seme; e tutte poi ne contano di primaticcie e di tardive.
§ 908. La pianta del pesco vive anche in climi piuttosto freddi, poichè difficilmente il freddo ne fa perire i rami. Ma se la pianta soffre poco, il frutto in tali climi o non matura, o riesce di poco sapore, quand’anche si scelgano le varietà più primaticcie. Cionondimeno i fiori che si mostrano prima delle foglie, quando la temperatura media e appena di +8° circa, vanno frequentissimamente soggetti ad essere intieramente distrutti dalle brine. Anche le forti piogge, o continuate durante la fioritura mandano a male gran parte dei frutti. Il terreno adattato al pesco è il caleare-siliceo-argilloso, piuttosto profondo onde non sia nè troppo secco nè troppo umido. Rinomate in Lombardia sono le pesche di Geradadda, ossia quelle che crescono nei depositi fluviatili dell’Adda, non che quelle dei depositi lacuali di Varese, del Lario e del Verbano.
§ 909. Il pesco si moltiplica per mezzo della semina tanto fatta al posto, quanto in un semenzajo. Per la semina si dovranno scegliere le migliori pesche e le più mature, poichè da queste spesso si ottengono bellissime piante e buon frutto anche senza l’innesto, e se s’innestano se ne hanno di migliori. D’altronde poi, come si è già detto, moltissime varietà si moltiplicano per mezzo della semina e quindi migliori riusciranno se avremo posto in terra i nocciuoli delle più belle pesche delle dette varietà.
Questa semina si può fare tanto in autunno quanto in primavera, ma è sempre meglio seminare nocciuoli o pesche intere appena dopo la loro maturanza, che aspettare che si asciughino o si guastino durante il verno, seminando in primavera. Per formare il semenzajo, preparato il terreno con buon concime e lavorato profondamente, si pianteranno i semi in linee distanti 0m,50 fra loro, e 0m,35 fra nocciuolo e nocciuolo. Le cure successive sono quelle indicate per qualunque altro semenzajo. Nella primavera del secondo anno si tagliano i rami presso terra onde avere un bel germoglio, che poi s’innesta ad occhio dormiente nell’agosto di questo secondo anno, o ad occhio vegetante nella primavera del terzo. Più comunemente si usa l’innesto ad occhio dormiente nell’agosto o nel settembre del secondo anno. Di questi occhi se ne mettono due per ogni germoglio o rametto, all’altezza di 0m,10 da terra, ed alterni ed opposti l’uno all’altro, onde avere una specie di prima biforcazione della pianta, se vuolsi usare per la spalliera, o per conservarne il migliore quando si voglia ridurre ad albero. D’altronde poi qualcuno di questi occhi può perire, e quindi è sempre meglio metterne due. Fatto l’innesto si taglia il germoglio o rametto, 0m,15 al dissopra di esso, onde gli occhi non periscano soffocati dal troppo umore e quindi dalla gomma che vi si formerebbe. Quando poi nel terzo anno dagli occhi innestati siano sorti i germogli lunghi circa 0m,08, si sopprime quel poco di rametto che si è lasciato al dissopra dell’innesto. Nel quarto anno le giovani pianticelle possono essere piantate alla dimora stabile.
Piantando i semi nel posto che deve in seguito occupare la pianta, ci comporteremo come abbiamo detto del noce e mandorlo (§ 885), avvertendo che al posto, e specialmente net campi, meglio è piantare le varietà che possono far senza dell’innesto, avendosi con ciò piante assai più robuste e durevoli, molto più che il pesco soffre assai il trapiantamento. Questa pianta quando si coltiva ad albero viene educata in modo da formarne il tronco, cimando i germogli sulla parte che formerà il tronco, e non già togliendoli affatto, onde non resti troppo debole, e troppo si sovraccarichi di germogli la cima. Arrivata la pianta al terzo anno, si leveranno i ramicelli per 1m,30 d’altezza da terra, e così sarà formato il tronco; in seguito si toglierà anche la cima maestra, perchè non salga troppo alto, a scapito dei ramicelli laterali. In tal modo si ripartirà l’umore nei rami laterali, i quali pure non si lasceranno allungare di troppo, acciò la pianta non si deformi e possa essere guasta dai venti. Generalmente il pesco non facendo tronco e rami principali d’una forza proporzionata al loro allungamento, questi facilmente si spezzerebbero pel peso delle foglie e dei frutti che fossero sulle lontane diramazioni, e la pianta andrebbe presto in deperimento. Inoltre non lasciando scorrere troppo alte le diramazioni, la pianta dura di più e dà maggior quantità di frutti.
Nei giardini il pesco ordinariamente viene educato a spalliera, e siccome è opinione che il taglio sia dannoso a questa pianta, limitandosi di solito il coltivatore ad una mondatura dei rami morti o deperenti, così ho creduto di doverne dare una più dettagliata spiegazione.
Levata la pianticella dal vivajo e piantata, in opportuna fossa ben concimata, a 0m,40 da un muro, se questa pianticella avrà un sol rametto innestato (fig. 239), lo si taglierà in A, appena al dissopra dei due bottoni B e C, essendo questi bottoni destinati a dare le due diramazioni principali dell’albero. Se invece la pianticella avrà due rametti d’innesto (fig. 240), si taglieranno immediatamente al dissopra di B, e così questi unitamente ai bottoni C formeranno due ramificazioni principali per ogni lato. Durante la vegetazione, tanto nell’un caso come nell’altro, si procurerà, coi mezzi già indicati, di mantenere una parità di vigore in queste diramazioni. I germogli dei bottoni B si manterranno con un angolo di 60° a 70°, e quelle dei bottoni C con uno di 40°. I germogli che sorgessero insieme ai principali, si cimeranno e poi si leveranno totalmente. Nella primavera seguente la pianta avrà la forma rappresentata dalla figura 241. Allora si taglieranno in A le diramazioni principali interne a 0m,50 dalla loro base, al dissopra del bottone B posto sul davanti, il quale serve poi a prolungare la diramazione. Le altre due diramazioni poste inferiormente si taglieranno in C, pure al dissopra d’un bottone anteriore, che parimenti serve ad allungarle nel venturo anno. Ho detto di tagliare al dissopra d’un bottone posto sul davanti, perchè il prolungamento in tal modo riesce poco sensibile all’occhio.
Subito dopo questo taglio i rami devono essere fissati in modo simmetrico, e colla stessa inclinazione. Nell’estate si cimeranno o si toglieranno affatto quei germogli che rendessero ineguale la vegetazione, in modo che alla vegnente primavera la pianta avrà la disposizione della figura 242. Le diramazioni interne saranno allungate di un metro, tagliandole in A; i bottoni B prolungheranno le diramazioni, ed i bottoni C serviranno a suddividerle. Queste suddivisioni si faranno sorgere ad ogni metro di distanza, onde inclinate le une sulle altre vi resti uno spazio di 0m,60 circa. Le diramazioni principali inferiori sono tagliate più lunghe, cioè in D. I germogli poi sviluppatisi sulle anzidette diramazioni si troncheranno al posto indicato dalla figura.
Nella consecutiva primavera il pesco offrirà l’aspetto della figura 243. Le diramazioni interne si taglieranno in F, in modo da ottenere un successivo prolungamento ed una seconda suddivisione: la prima suddivisione B è tagliata in H. Le diramazioni inferiori si tagliano in C; ed i germogli D ed E si manteranno col taglio jemale e col taglio verde in egual grado di vigore, avvertendo che questi servono a dar frutto.
Così poi si continua negli altri anni finchè siasi coperto il muro, anche col mezzo di suddivisioni interne alla diramazione principale A.
Generalmente è difficile dare al pesco una forma regolare, specialmente se fu mal diretta fin dapprincipio, poichè appena che il legno abbia tre anni, a stento o quasi mai si riesce ad ottenere germogli da gemme avventizie o latenti. Se poi il legno è ancor più vecchio si può essere quasi certi che non avremo alcun germoglio, quando si fosse obbligato a tagliarne via la parte superiore; è più facile che la pianta metta polloni dal colletto della radice, che sul tronco o sulle diramazioni. Egli è forse che la corteccia viene indurita assai dalla lenta trasudazione gommosa che vi succede quasi anche nelle circostanze normali. Quando la scorza non fosse tanto vecchia, forse si potrebbe promuovere la formazione e l’uscita delle gemme avventizie e latenti per mezzo delle intaccature delle incisioni parziali e delle legature fatte nell'anno antecedente a quello in cui vogliansi accorciare i rami.
Quest’inconveniente, cioè di trovare i peschi quasi sempre con diramazioni lunghissime, fornite soltanto di vegetazione alla loro estremità, e quindi facili a spezzarsi, tiene la causa nel pregiudizio che questa pianta non voglia essere menomamente tagliata, in modo che da alcuni persino la mondatura de’ seccumi si fa col romperne e svellerne le porzioni disseccate. Eppure non si potrà mai rimediare a tale inconveniente se non col taglio giudizioso e singolarmente col taglio verde, il quale non è usato o da ben pochi. Lasciando ogni cosa, i rami succhioni che per avventura si sviluppino alla base delle diramazioni, toglie a quelle il vigore, non fruttificano, deperiscono, e per conseguenza si è obbligati a farne il taglio, guastando sicuramente l’equilibrio della pianta, poichè, come dissi, ben difficilmente al dissotto del taglio si potranno avere nuovi germogli coi quali ristabilire la perduta diramazione. Inoltre, trascurando la cimatura dei rami da frutto, questi nel venturo anno non portano fiori che verso la cima, e quindi si privano di nuova vegetazione verso la base, con che aver frutto fanno vegnente; abbisogna dunque tagliar molto lungo e così lasciar l’albero vuoto e sfornito in basso di rami utili. Vedi il § ove si parla dell’albicocco. Da tutto ciò si vede quanto utile e necessario riesca soprattutto il taglio verde per una pianta che soffre i larghi tagli jemali, e che a gran stento sviluppa germogli al dissolto di essi. Le piante innestate sono più difficili a mandar questi nuovi germogli.
§ 910. Le pesche sono mature quando dal lato dell’ombra od a tramontana mostrano la pelle gialla. In questo momento esse tramandano la loro fragranza od odor particolare. Non se ne faccia mai la prova col tatto, poichè la minima contusione forma una macchia che in breve tempo si estende per la disorganizzazione interna. Quei frutti che sono destinati al commercio devono cogliersi qualche giorno prima della completa maturanza onde siano più resistenti, e quelli che voglionsi consumar subito si coglieranno un sol giorno prima. Il raccolto del pesco deve sempre farsi a mano.
Le pesche non sono suscettibili di conservazione; ciononpertanto nei climi o nelle stagioni favorevoli si possono far essiccare al sole, dividendoli in due, e togliendo loro il nocciuolo; meglio ancora sarà se dapprima si leverà loro la pelle od epidermide.
§ 911. Il pesco va soggetto a moltissime malattie, singolarmente nei climi temperati, i quali abbiano primavere a temperatura incostante, o brevi estati ed autunni freddi ed acquosi. La principale fra queste è la gomma, comune a tutte le piante con frutto a nocciuolo, ma che nel pesco si mostra più spesso, o quasi sempre, con danno grandissimo della pianta. Infatti, appena che nella primavera, o sul finire dell’estate o nell’autunno avvenga una forte pioggia con forte abbassamento di temperatura immediatamente trasudamenti gommosi lungo tutta la pianta, e specialmente sui rami di uno, due e tre anni; quasi ogni ferita per piccola che sia, i pori della corteccia, ed il posto delle gemme trasudano un umor denso gelatinoso che in seguito si indurisce col sole, rivestendo i rami e circondando le gemme ed i germogli che in breve tempo periscono. Questa malattia, come già si disse parlando del mandorlo, dipende da un soverchio assorbimento d’umore per parte delle radici, in un momento che la vegetazione è ancor lenta od interrotta dalla bassa temperatura, le foglie esistenti non traspirano come dovrebbero: e l’umore aumenta sotto la corteccia, si addensa, e finalmente si fa strada all’esterno.
Un’altra malattia che si mostra in primavera è l’accartocciamento delle foglie (fig. 244); questa si manifesta dapprincipio col dare alle foglie una tinta giallastra, indi queste s’ingrossano, si accartocciano, si gonfiano, prendono un color giallo rossastro e finalmente cadono. Quando tutte le foglie d’un germoglio sono distrutte, anche il germoglio si gonfia e finisce col disseccarsi. Questa malattia trova pure la sua causa nei repentini abbassamenti di temperatura che arrestano ad un tratto la vegetazione nel momento ch’essa è nel massimo vigore. L’unico rimedio a tale malattia è il togliere subito le parti affette, siano foglie o siano anche intieri germogli, poichè in questo momento può aversene facilmente dei nuovi più in basso sui rami dell’anno antecedente. Quando poi la malattia si è manifestata, gran parte del guasto è fatto dalle formiche che vanno a succhiare il trasudamento dolciastro delle foglie o dei teneri germogli.
Il rosso è una malattia propria del pesco. Le piante colte da questo malore mostrano ad un tratto i rami colorati d’un rosso intenso. Manifestatosi questo indizio la vegetazione si ferma subitamente, e le piante muojono quasi all’istante, tanto più se sono colte dal male quando siano cariche di frutti. Talvolta languiscono per un anno o due, facendo frutti piccoli, assolutamente non mangiabili. La causa di questa malattia non è conosciuta, e perciò ignoti ne sono pure i rimedi.
La lebbra, detta anche farinella, è una malattia pure propria del pesco. Si presenta sulle foglie e sui germogli come l’oidio, ricoprendo le parti infette come di una polvere biancastra. Questa polvere non è altro che un trasudamento anormale delle parti verdi, e pare che sia dovuto alla mancanza del necessario solvente acquoso nella linfa discendente, poichè succede ordinariamente nei mesi più caldi ed asciutti. Le parti verdi affette da questa malattia cessano le loro funzioni e così la vegetazione divien languida o si arresta del tutto. Il rimedio non è ben conosciuto, per quanto talvolta si vegga che coll’irrigazione, coll'inaffiamento, o colle piogge la pianta riprende vigore e continua ad allungare i germogli. — La natura di questa efflorescenza fu molto contestata, chi la crede un fungo al pari dell’oidio, chi invece un deposito salino alla superficie delle foglie; io sono di quest’ultima opinione, la quale trova una spiegazione nell’accennata mancanza di fluidità negli umori, e perchè l’umidità naturale od artificiale frequentemente vi rimedia, osservandosi che le piogge sembra che detergano le foglie dalla polvere biancastra. Questa malattia poi non subisce assolutamente le fasi che subirebbe una sostanza che fosse costituita da un ammasso di piccoli funghi.
Fra gli insetti che portan guasto al pesco vi è la Tigre della quale vi parlerò trattando dei peri e dei pomi; la caruga comune (fig. 245), che ne divora le foglie e la di cui larva vivendo sotterra, ne rode le tenere radici. Per dar la caccia alle larve della caruga si può seminare la lattuca nel giardino presso le piante che voglionsi liberare; le larve avidissime delle radici della lattuca vi si attaccano subito, il che si riconosce dall’appassire che ne farà la parte erbaeea; in allora si scava il terreno a quel posto, e si troveranno sicuramente le larve presso le radici.
Il rinchite o punteruolo (fig. 246), è quel piccolo coleoptero di color azzurro lucente, la di cui femmina, nel marzo e nel principio d’aprile attaccandosi alla base dei teneri germogli, specialmente del pero e della vite, e rosicchiandone per più che metà della grossezza, li fa rovesciare ed appassire; quindi piega ed accartoccia le foglie di questa parte, formandone come un cilindro allungato, e vi depone le uova fra gli strati. Da queste uova nascono altrettante piccole larve, le quali si nutrono delle foglie della pianta sulla quale si trovano. La caccia all’insetto perfetto, ed il togliere gli accartocciamenti appena formati sono gli unici mezzi per diminuire il danno di questo insetto. Il rinchite si attacca eziandio ai germogli del pesco e ne guasta la disposizione.
Altre larve d’insetti delle specie delle tentredini si nutrono delle foglie del pesco, o ne accartocciano la sommità dei germogli, nuocendo alla libera vegetazione; a queste non si rimedia che colla caccia e col levar via le parti che loro servono di nido.
Anche le forsecchie rodono i teneri germogli ed anche i frutti, soprattutto in quelle piante che abbiano foglie arricciate ove nascondersi. Per prendere le forsecchie giova disporre presso le piante dei fascetti di rami muniti di foglie, o gli steli vuoti delle dalie, delle canne. Questo insetto vi si nasconde la notte, ed al mattino, scuotendo i rami o gli steli entro un recipiente, con facilità si prendono e se ne libera la pianta.
Le vespe ed i calabroni danneggiano i frutti che sono presso la maturanza, punzecchiandoli e mangiandone la polpa dolciastra: si prendono collocando presso le piante delle ampolle da medicina a metà riempite d’acqua melata. In pochi giorni le si trovano ripiene di vespe e calabroni attirati dalla dolcezza del miele.
Ma l’insetto che maggior danno arreca al pesco è l’afide o gorgoglione, detto volgarmente pidocchio (fig. 247). Ve ne sono di neri e di verdi. I gorgoglioni si attaccano alla pagina inferiore delle foglie ed anche alla parte più tenera dei germogli e ne succhiano l’umore; le foglie si arricciano (fig. 248), cessano di funzionare, ed i germogli non si allungano più oltre. Le formiche poi avidissime del sugo dolce estratto da questi insetti, salgono sul pesco, e succhiano esse pure le goccioline tramandate dalle ferite della parte verde, oppure, solleticando l’addome dei gorgoglioni li forzano ad abbandonar loro l'umore da esse assorbito. In tal modo, per effetto d’ambedue questi insetti, la pianta deperisce. Generalmente i gorgoglioni compajono in seguito ai rapidi abbassamenti di temperatura, i quali come già notammo, inducono un trasudamento del soverchio umore assorbito per le parti verdi più tenere. Questi afidi si distruggono coll’inaffiare la pianta con soluzioni narcotiche, amare, o leggermente acidule o caustiche, ed anche colle fumigazioni di tabacco. Per eseguire le fumicazioni, si inaffia dapprima la pianta colla pompa a mano (fig. 231), poi la si ricopre meglio che si può con una tela bagnata, onde trattenere il fumo. Sotto la tela s’introduce il soffietto fumigatorio (fig. 249), il quale è composto: 1.° d’un fornello A a doppio fondo; il superiore B è forato da varj pertugi, e contiene carbone acceso; la parte inferiore, riceve nel punto C la punta d’un soffietto. 2.° D’una specie di cammino D, pure a doppio fondo; cioè coll’inferiore E forato, e che serve a trattenere al dissopra il tabacco che risente il calore per mezzo dei fori; nella parte superiore vi s’introduce una canna alquanto lunga, alla di cui estremità havvi come un pomo inaffatojo, destinato ad emettere il fumo.
L’apparecchio si dispone col carbone acceso e col tabacco umido; col soffietto si spinge il fumo per la canna F al dissotto dello spazio ricoperto della tela bagnata, e si continua finchè ve ne sia raccolto in buona quantità. La tela vi si lascia un giorno intiero. Il fumo e le gocciole acri e narcotiche che si condensano sulla pianta uccidono i gorgoglioni. In seguito s’inaffia nuovamente la pianta con acqua pura, usando la pompa a mano, allo scopo di staccare gli insetti. Quando, come ordinariamente avviene, non basti una sola operazione, la si ripete dopo due o tre giorni.
Le formiche si prendono come abbiamo indicato farsi colle vespe e coi calabroni.