Trattato completo di agricoltura/Volume I/Propagazione/4

Propagazione artificiale delle piante

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della propagazione artificiale delle piante.

§ 302. Abbiamo veduto in che consista la propagazione naturale o per semi; ora vi dirò che in agricoltura vi sono dei vegetali che non si possono o che non conviene moltiplicare per [p. 296 modifica]semi. Il seme dà bensì origine alla pianta tipo, ma questa non conserva le varietà create dalla coltura, o trasportate da lontani paesi; la nuova pianta conserva i principali caratteri della pianta madre, ma tende ad uniformarsi alle nuove condizioni di clima o di terreno, se trattasi di pianta non indigena; o tende a ridursi al tipo primitivo della specie se è modificata dall’arte. Il seme per esempio d’una pianta proveniente da un clima più freddo, darà luogo ad una pianta consimile, ma più rigogliosa, con midollo più largo, con legno più poroso, con foglie più larghe, e frutto più grosso, più amilaceo, più dolce e più colorito. All’incontro, se il seme sarà originario di paese più caldo, la pianta riuscirà di una tessitura più compatta, ma sarà meno rigogliosa, avrà le foglie più piccole, ed i frutti più piccoli, meno amilacei, meno dolci e meno coloriti.

Questo noi vediamo accadere tuttodì coi grani de’ cereali che ci vengono da lontane regioni, i quali se dapprincipio ci mostrano caratteri alquanto diversi dei nostrali, dopo pochi anni si modificano in maniera da non esserne più distinti. Lo stesso accade colle piante da frutto, singolarmente se di climi più caldi, quali sono il pesco, il meliaco, la vite, il gelso, ecc., che, se vengono riprodotte per semi, danno origine ad una pianta i cui caratteri principali sono conservati, ma ridotti al tipo selvatico; cioè, la pianta si presenta meno rigogliosa, con foglie più piccole, ed il frutto si mostra più tardi e si fa più piccolo e più aspro, scomparendo così le varietà procurate dalla coltura e dall’innesto. E ciò avviene perchè il seme nel suo germogliare meglio permette all’organizzazione interna della pianta di modellarsi e modificarsi dietro le circostanze atmosferiche e terrestri nelle quali si trova, e dare così al suo primo sviluppo i caratteri speciali voluti da queste influenze.

§ 303. Per impedire queste modificazioni s’immaginò di riprodurre la pianta per mezzo di alcuna delle sue parti che, a differenza del seme, più non potesse subire notevoli cambiamenti di costituzione intima; acciò si scelsero le gemme ed i giovani rami, posti in circostanze tali di mettere radici e rami al pari d’una pianta ottenuta da seme.

Questo modo di propagazione fu detto artificiale perchè in natura non succede, fuorchè per qualche casualità. A tale scopo si usano le gemme, i piantoni o talee, i tuberi, le margotte, le propaggini e l’innesto. [p. 297 modifica]

§ 304. La propagazione per gemme od occhi si fa mettendo nel terreno e nell’opportuna condizione di umidità e di calore, una gemma di un vegetale, la quale dai nodi o dalla tenera corteccia possa fornire facilmente le radici. Generalmente le piante che hanno un legno assai spongoso, facile ad assorbire l’umidità, e che hanno una corteccia piuttosto grossa, liscia e fornita come di molti occhietti o pori, sono quelle che meglio si possono riprodurre per gemme. Dicesi poi praticamente per getto quando la gemma staccata dalla pianta madre sia già alquanto sviluppata. Questa maniera di propagare si usa col pomo di terra, colle canne, colle dalie, coi garofani, geranej, ecc., staccando una cima e riponendola nel terreno mantenuto discretamente umido. Col pomo di terra spesse volte basta staccare un occhio dal tubero e consegnarlo al terreno per avere una nuova pianta.

Vi sono alcune piante legnose, ma di legno poroso, le cui gemme dell’anno antecedente, purchè siano mature si possono in primavera mettere nella terra come si seminasse; acciò si separa il ramo in tante porzioni quante sono le gemme mature (fig. 71), 71. e si adagiano in un solco non profondo più di 0m,01, ricoprendole in seguito colla terra dei bordi, mantenendo umido il terreno. In allora, nei getti (gemme già sviluppate) la prima nutrizione si compie per mezzo delle foglie, le quali assorbono l’umidità dal terreno e prendono qualche cosa anche dall’aria. In questo caso, come nei tuberi e come nel cotiledone dei semi, il pezzo di legno che sta unito alla gemma fornisce il nutrimento finchè siasi sviluppata convenientemente la gemma e le radici. Il gelso, la vite ed il fico possono, quando siano in condizioni favorevoli, essere propagati in tal maniera.

§ 305. Dicesi poi per piantone o talea quando la parte di vegetale che si consegna al terreno consiste in un ramo più o meno lungo fornito di gemme. Le piante che in agricoltura più facilmente si propagano in questo modo sono la vite, il pioppo, il salice, il platano; si può anche usare col fico, col gelso e cogli agrumi. Di solito però il nome di piantone (fig. 72 e 73) vien riservato ai rami lunghi più di un metro, e che possono avere da uno sino a quattro anni; e quello di talea (fig. 74 e 75) ai rami più corti e che non abbiano più di un anno. [p. 298 modifica]

Il nome di talea diversifica da quello di piantone, anche perchè s'intende che il nuovo ramo sia staccato dalla pianta madre con una maggiore o minor porzione di quella parte che gli serve di base, formando quasi un tallone (fig. 74). Anche i magliuoli o tagliuoli (fig. 75) sono talee cui sta unita la parte di ramo madre che sta sopra e sotto l’inserzione del ramo nuovo. Si osservi però che nei rami la facoltà di mettere radici diminuisce coll’indurire della scorza, col diminuire del midollo e della porosità del legno; e che, per conseguenza, si dovrà scegliere un ramo tanto più giovane quanto più la pianta, per sua natura, tende a farsi compatta e di corteccia dura.

§ 306. Il miglior momento di far l’impianto è la primavera, ma si può fare anche in altra stagione purchè vi sia tempo di mettere radici prima dell’inverno. Pei piantoni e talee di piante porose, l’epoca migliore è la primavera, più o meno avanzata a seconda che la pianta sia di luogo più o meno caldo: per i piantoni e le talee di piante più compatte e che perdono presto la loro umidità, anche l’autunno. Le gemme devono essere poste a poca profondità nel terreno 0m,05 circa, i getti a 0m,10, ed i piantoni a 0m,20, più o meno secondo che il terreno sià sciolto o compatto; poichè quella porzione [p. 299 modifica]di ramo, che fosse troppo profonda e che non potesse risentire l’influenza dell’aria e del sole, marcirebbe con danno del resto. Le gemme ed i getti si dovranno difendere dai raggi solari, ricoprendoli con paglie, sterpi, foglie secche, o foglie verdi larghe, finchè si riconosca che abbiano messe le radici.

Prima di fare questi impianti, la terra dev’essere smossa e lavorata minutamente, mondata da sassi e dalle erbe cattive, e concimata con letame ben minuto. La gemma, il getto, la talea od il piantone s'introdurranno nel terreno per mezzo del foraterra, o del palo di ferro, a seconda della circostanza, per non guastarne la corteccia, indi vi si farà scorrere all’intorno un poco di terra, comprimendovela leggermente. Se trattasi di gemma o di getto si inaffierà subitamente, ed i piantoni si terranno mondi da quei germogli che riconosciamo inutili alla futura disposizione della pianta.

§ 307. Anche le radici possono servire alla propagazione dei vegetali, come nella cicoria, nella coclearia scorzonera, carota, ecc.; e molte piante si riproducono per tuberi o rigonfiamenti che crescono sulle loro radici, come accade nel pomo di terra, nel topinambour, nella dalia, ecc.

§ 308. La margotta e la propaggine sono rami posti in condizioni tali da poter mettere radici senza essere staccati dalla pianta madre, e si usano colle piante a tessitura alquanto compatta. La margotta si fa coll’interrare un ramo al disopra della superficie del suolo, facendolo passare verticalmente entro un recipiente che contenga della terra mantenuta costantemente umida (fig. 76); si usa coi cedri, col fico e molti fiori. La propaggine invece è un ramo piegato sotto terra, del quale se ne solleva la cima al di fuori. Si usa per la vite, pel gelso, pel castagno, ecc. (fig. 77 e 78).

Tanto nella margotta quanto nella propaggine, per facilitare la sortita delle radici, si usa fare una legatura al ramo, [p. 300 modifica]tra la porzione aderente alla pianta madre e la porzione circondata dalla terra. Questa legatura si fa sotto un nodo, con filo o con 77. 78.scorza di gelso, e serve a trattenere il succhio discendente, e ad arrestarlo ove voglionsi ottenere le radici. Talora invece della legatura si fa al ramo interrato, una spaccatura fino al midollo, la quale si tiene aperta con un pezzetto di legno (fig. 77); oppure gli si leva un piccolo anello di corteccia (fig. 78). Dapprincipio la margotta e la propaggine vivono a spese della pianta madre, finchè, cominciando a mettere le radici nella porzione circondata dalla terra, si procacciano anche da sè stesse il nutrimento. Riconosciuto poi che il ramo abbia fatte bastanti radici, lo si stacca dalla pianta madre con un taglio fatto in vicinanza della terra, al disotto delle radici. Questa operazione di margottare o propaginare si può fare in qualunque stagione, purchè il ramo abbia tempo a mettere radici prima dell’inverno; ma il momento più opportuno è la primavera.

§ 309. Havvi poi il così detto vivajo perpetuo o chinese, perchè usato in China specialmente per aver dei gelsi novelli (fig. 79). Per istabilire questo vivajo si dispongono tante [p. 301 modifica]pianticelle robuste ad una distanza non minore di 1m,50 fra di loro; e dopo un anno o due, secondo il loro vigore, si tagliano al piede, 79.perchè formino come un ceppo, dal quale sorgano varie cacciate. Nell’anno seguente poi, intorno a ciascun di questi ceppi, si fa una leggier fossa circolare larga 1m,20 e profonda 0m,10; nella quale alla primavera si adagiano orizzontalmente in giro le migliori cacciate del ceppo, e si mantengono presso terra col mezzo di uncinetti di legno fissi nel suolo. In seguito, ogni gemma o bottone dà luogo ad un getto o ramicello che s’innalza verticalmente, ed allora si ricoprono con alcuni centimetri di terra i rami così disposti, avendo cura d’irrigare o di adacquare spesso; aggiungendo terra fino a ricolmare la fossa mano mano che s’innalza la nuova cacciata. In tal modo per la fine della state, ogni gemma che sviluppò un ramo verticale, avrà messe sufficienti radici da potersi, nell’autunno o nella primavera seguente, ottenere e levare tante pianticelle quante furono le gemme che in tal maniera si svilupparono.

Nei tempo che dalle cacciate disposte orizzontalmente sul terreno si ottengono nuove pianticelle, la ceppata madre manderà altri rami che potranno essere abbassati subito dopo aver levate le prime pianticelle. E perciò dicesi vivajo perpetuo.

§ 310. Un’altra maniera di propagare alcune varietà, che scomparirebbero se si volessero ottenere da semi, è l’innesto, ossia l’inserzione d’un rametto vivo e fornito di gemme di una data pianta, su di un altra pure in condizione tale che possa vegetare. Perchè ciò succeda abbisogna che le parti più importanti alla nutrizione, tanto della parte che s’inserisce, quanto del soggetto o pianta inserita, siano a mutuo contatto e che possibilmente alcune cellule che costituiscono [p. 302 modifica]i condotti per cui ascende e discende la linfa, possano incontrarsi in modo da agire come se appartenessero ad una sola pianta. E dunque la parte interna della corteccia, cioè il libro e l’alburno delle due piante che deve esser posto a contatto (§ 8). Epperò questa combinazione od omogeneità di tessuti avviene meglio nelle piante della stessa specie, nelle quali cioè il sugo, il frutto, il legno, il modo di fiorire, la disposizione delle foglie, il complesso insomma della vegetazione sia press’a poco identico, come succede appunto nelle piante della stessa specie. Si citano bensì degli innesti fra specie assai diverse, ma sono rarissimi e di un risultato tanto più dubbioso quanto più le due specie differiscono fra di loro pel modo e per l’epoca di vegetazione.

L’innesto aumenta il volume dei frutti e ne accelera la maturanza, perchè con questa operazione si produce sempre un disordine nel tessuto cellulare dell’alburno e della scorza in modo che tanto la linfa ascendente quanto la discendente dovendo attraversare più lentamente questa porzione di tronco, viene ad essere maggiormente posta a profitto ed elaborata. Per lo stesso motivo una pianta da seme, che non darebbe frutto se non dopo molt’anni, quando se ne inserisca un ramoscello su d’un’altra, potrà fruttificare dopo tre anni al più tardi. Finalmente una pianta da frutto che venga innestata con un suo proprio rametto, fruttificherà più presto e darà frutti più grossi di quelli che avrebbe portati non innestata; come pure se la parte innestata avrà molte gemme fiorali avremo abbondanza di frutti; se invece s’innesteranno gemme da rami (§ 12) si avrà una maggior vegetazione ma scarsezza di frutto. Così, spesso si ringiovanisce una vecchia pianta innestandovi le punte dei ramicelli di un’altra assai vegeta; o se ne arresta la lussureggiante vegetazione innestandovi ramicelli laterali e muniti di gemme fiorali.

Coll’innesto si ha pure il vantaggio di poter far vegetare una pianta che naturalmente languirebbe piantata in un dato terreno, e ciò si ottiene coll’innestarla su gualche altra di specie non molto diversa e che vi alligni facilmente.

Ma se l’innesto è vantaggioso per propagare e migliorare alcune specie e varietà di piante e di frutti, influisce però diminuendo la durata e la robustezza della pianta, siccome arreca un disordine più o men grande nella circolazione del succhio.

§ 311. Le maniere d’innesto sono moltissime e tutte [p. 303 modifica]conosciute sin da tempi antichi. Io per maggior chiarezza e brevità le ridurrò a tre principali cioè innesto per approssimazione, innesto a marza, innesto ad occhio.

L’innesto per approssimazione consiste nell’avvicinare tra loro due rami di due diverse piante, levando una porzione di corteccia a ciascheduno, in modo che tra loro vengano più che si può a contatto coll’alburno e coi lembi della corteccia. (fig. 80). 80 Queste due ferite si mantengono in posizione mediante apposita legatura, lasciando che ciascun ramo continui ad alimentarsi per mezzo della pianta madre. In certi casi basta che il ramo da conservarsi, al di sotto della ferita, peschi in un recipiente d’acqua perchè si mantenga vivo per un certo spazio di tempo. Visto che le ferite combaciantisi si siano tra loro consolidate e riunite, si taglia il ramo che si vuol conservare al disotto del punto d’approssimazione, tagliando invece al disopra quello che si vuol levare. Questa sorta d’innesto è più usata nel giardinaggio che in agricoltura, e si fa in primavera colle piante di legno duro, quando cominciano ad entrare in succhio, essendo che queste difficilmente manderebbero radici ridotte a piantone, talea o margotta. Nelle piante la cui corteccia cresce rapidamente, è inutile persino inciderla o graffiarla, bastando la semplice legatura.

L’innesto a marza è il più usitato in agricoltura. Non può essere eseguito che in primavera, e consiste nel recidere per traverso, ad una data altezza, il tronco della pianta su cui si vuol praticare l’innesto, applicando sulla parte recisa uno o più ramicelli muniti di gemme, che si dicono marze.

Dicesi poi più specialmente a becco di fluta o di clarinetto, quando tanto la marza quanto il ramo da innestarsi si taglino obbliquamente come a becco, in senso contrario l’una all’altro, in modo da offrire due lunghe ferite, che ravvicinate si corrispondano perfettamente in lunghezza ed in larghezza. Queste due superficie poi si mantengono a contatto con una fasciatura, finchè sia avvenuta l’adesione.

Più generalmente si usa lo spacco, cioè si recide [p. 304 modifica]orrizzontalmente, con una sega, il soggetto da innestarsi, in luogo dove la corteccia sia liscia, uniforme, e senza nodi. Il taglio in seguito si ripulisce con un ferro bene affilato, e quattro dita al disotto, con un vimine, si pratica una legatura; indi applicato il tagliente d’un ferro sul piano orizzontale della recisione, in direzione del maggior diametro, col mezzo di un martelletto lo si approfonda, rimanendo così fatta una spaccatura verticale che non potrà scendere molto in basso per l’ostacolo della legatura. Levato il ferro, la spaccatura si terrà aperta con un piccolo cuneo di legno, meno largo della ferita, in guisa da lasciare ai lati due spazi liberi di circa mezzo dito, nei quali s’introducono le marze. Queste marze (fig. 81), non devono essere lunghe più di 0m,15 provviste almeno di due o tre occhi senza foglie, perchè colla loro traspirazione leverebbero troppo umore; inferiormente si taglino dalle due parti senza toccare il midollo, per modo che da una parte rimanga un poco di corteccia e dall’altra i tagli s’incontrino a guisa del tagliente d’un coltello. Così disposte le marze s’introducono nelle fenditure ai lati del cuneo di legno, procurando che la loro corteccia combaci esattamente colla corteccia del ramo spaccato. Ciò fatto si toglie il cuneo, e la fenditura nel ristringersi rinserra fra i lembi le marze (fig. 82): il tutto poi si ricopre con muschio e terra argillosa, mantenuta in posto con opportuna fasciatura. Quando le marze cominciano a germogliare, bisogna fissare dei [p. 305 modifica]rami all’ingiro del tronco, i quali servano di sostegno alle giovani cacciate, impedendone lo schiantamento, tanto per effetto del vento quanto per effetto del peso delle foglie.

Questa foggia d’innesto è la più usitata per le piante da frutto, peri, pomi, pruno, ciliegio e vite.

Alcune volte le marze si possono applicare al tronco reciso come sopra, senza bisogno di fenderlo, facendo soltanto alcune incisioni nella corteccia dall’alto in basso, della lunghezza di 0m,05. I lembi di queste incisioni 83si staccano dal legno; ed allora, tagliate le marze come a penna da scrivere, lasciando loro la corteccia da un lato, s’introducono nel vuoto lasciato dal surriferito distacco, mantenendovele aderenti con apposita fasciatura. Tale innesto dicesi a corona (fig. 83); si pratica in primavera piuttosto avanzata, quando la pianta sia già molto in succhio, e si usa specialmente pel gelso.

L’innesto a trapano era molto usato dagli antichi per la vite, e si faceva forando il tronco con una trivella, ed introducendo la marza nel foro.

L’innesto ad occhio si fa a scudetto ed a cannello od anello, e consiste nel trasportare da una pianta un occhio od una gemma, sopra il legno di un’altra pianta, dove siasi dapprima staccata un’eguale porzione di corteccia.

L’innesto a scudetto si fa in primavera ad occhio vegetante, o sul declinare 84.dell’estate ad occhio dormiente. Nella scorza liscia del ramo che si vuol innestare si fa un taglio a foggia di T (fig. 84), distaccandone diligentemente i lembi superiori senza intaccare il legno sottoposto; in questa ferita poi s’insinua l’occhio staccato di recente da un altro ramo, con un poco di scorza, in figura di V, spingendone con delicatezza in basso la punta, in modo che riempia la ferita; e combaci sul legno denudato, col quale si mantiene aderente per mezzo di una legatura non troppo stretta. Assicurato l’innesto, il ramo può essere troncato [p. 306 modifica]due o tre nodi al disopra, onde meglio si rassodi l’adesione e l’umore non scorra troppo in alto, levando anche quei germogli che togliessero la forza all’occhio inserito. In questo innesto importa che non entri l’acqua. Lo si usa singolarmente pel pesco, pel mandorlo e per gli agrumi.

L’innesto ad anello, detto anche a zuffolo o cannello, si fa in primavera, quando la pianta sia ben entrata in succhio. Si prende un ramo che sia d’egual grossezza a quello che si vuol innestare, e se ne distacca un occhio, facendo due incisioni circolari sopra e sotto di esso; poi delicatamente si torce la corteccia, affinchè si stacchi dal legno tutt’all’ingiro, e se ne possa levare un anello munito di un occhio o due. Poscia si recide trasversalmente il ramo da innestarsi in luogo d’egual grossezza, staccandone dall’alto in basso la corteccia in tre o quattro lembi per la lunghezza di 0m,04, i quali lascino a nudo una corrispondente porzione di legno sulla quale s’introduce l’anello munito dell’occhio, spingendolo in basso sinchè giunga a contatto della base dei lembi, ove la corteccia è intatta, avvertendo che circondi esattamente il legno denudato (fig. 85). Poscia si levano quelle gemme che scemerebbero 85.il vigore all’occhio dell’anello introdotto. Devesi inoltre avere il riguardo di rivolgere l’occhio dell’anello da quella parte dalla quale noi vogliamo i nuovi rami. L’innesto ad anello è il più comune per il gelso, pel castagno e talvolta anche pel fico.

In questa sorta d’innesto bisogna che le marze d’onde si toglie l’anello siano levate dalle piante qualche tempo prima, perchè importa ch’esse siano meno in succhio della pianta sulla quale devono essere inserite. Se voglionsi alberi rigogliosi, si prenderanno di preferenza gemme da foglie; se invece voglionsi tener bassi e che siano abbondanti di frutto, si prenderanno gemme fiorali. In generale poi le fasciature o legature dovranno essere levate subito che l’innesto abbia germogliato sufficientemente, onde non impediscano l’afflusso degli umori e si dovranno assicurare le giovani cacciate dell’innesto onde non vengano rotte dal vento. [p. 307 modifica]

Qualunque innesto poi deve farsi in giornata tranquilla, serena, senza vento, e prima di mezzo giorno, con istrumenti netti e ben taglienti.

§ 312. Il noce, la rovere, ed alcune altre specie difficilmente si possono riprodurre per innesto, e le piante resinose poco si prestano a quest’operazione. Ora però si è pensato di mettere a contatto non già le porzioni legnose delle due piante, ma bensì le loro porzioni erbacee; e per tal modo riuscì possibile e facile non solo l’innesto del noce, della rovere, ecc., ma eziandio quello delle piante resinose.

L’operazione varia poi alquanto secondo che trattasi di piante resinose o no. Nelle piante resinose, quando la gemma terminale del soggetto è giunta a due terzi della sua lunghezza presumibile, si taglia orizzontalmente verso quel punto dove comincia a prendere una consistenza erbacea. In seguito gli si levano le foglie per 0m,6 a 0m,7 di lunghezza lasciandone soltanto una striscia circolare larga 0m,2 o 0,m3, verso la sommità, perchè serva ad attirare gli umori verso quella parte. Poi si fende nel mezzo la cacciata terminale; e così troncata per una lunghezza di 0m,5 circa, vi s’introduce immediatamente la parte da innestarsi, previamente tagliata a forma di cono, spingendola nella fessura in modo che l’estremità tronca del soggetto sopravvanzi di circa 0m,25 i lembi del taglio cuneiforme dell’innesto (fig. 86).

L’innesto deve prendersi da una delle estremità dei rami laterali della pianta che si vuol propagare, onde non guastarne la cima; dev’essere della stessa grossezza del ramo cui deve innestarsi, e come quello, ancora erbaceo, tagliandolo via ove comincia a prendere la consistenza legnosa. La parte inferiore, si priva nelle foglie per 0m,35 circa di lunghezza, e si taglia a cono, come si disse.

Introdotto l’innesto, si lega con filo di lana o con corteccia fresca filamentosa, cominciando dall’alto, sotto la striscia circolare di foglie che dissi di lasciare al soggetto, e senza comunicare all’assieme un movimento di torsione. Ciò fatto si [p. 308 modifica]rompono a 0m,015 circa dalla loro inserzione le gemme della corona inferiore all’innesto.

Spesso giova circondare l’innesto d’un pezzo di carta per difenderlo dall’azione disseccante del sole e dell’aria.

Dopo cinque o sei settimane la cicatrizzazione deve essere compita, e si toglie la fasciatura, che in seguito produrrebbe degli stringimenti; togliendo anche le porzioni esuberanti del soggetto, ossia le due sommità della parte spaccata, cui si era lasciata la striscia di foglie.

Pel noce, rovere ed altre specie a foglie decidue, nelle quali difficilmente riescono gli altri innesti, si opera verso la fine di maggio, tagliando il nuovo getto a 0m,03, sopra la terza o quarta foglia partendo dalla cima; poi si fa una fenditura lunga 0m,04 circa, sotto l’ascella della prima foglia, in modo che passi tra la gemma centrale e l’una delle laterali. In questa fenditura si applica l’innesto, che consiste in una gemma aderente ad un poco di legno dello stesso diametro del soggetto, e nello stesso stato di vegetazione; deve essere lungo quanto la fenditura, ed in basso tagliato obbliquamente perchè s’adatti alla forma della fenditura. La gemma sarà munita della propria foglia, come pure si lascerà la foglia anche dove si praticò la fenditura. Introdotto l’innesto si lega con lana. Il quinto giorno dopo l’operazione si sopprime l’occhio centrale del soggetto, più tardi gli si tolgono le foglie e gli occhi che le accompagnano, e tutto ciò allo scopo di dirigere il succhio ad alimentare l’innesto.