Top/Nell'anno XX della Re-So-Eu
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NELL’ANNO XX DELLA RE-SO-EU
Quando, nel quattordicesimo anno della Re-So-Eu- (Repubblica Sociale Europea; 2010 d. C.) i radiotelegrammi, gli eliogrammi e ogni sorta di elettrogrammi annunciarono l’invenzione del dottor Pantìfilo, la meraviglia non fu quale si crederebbe. Da un pezzo si conosceva la «emostatina», con cui quasi istantaneamente si arrestava ogni più violenta e copiosa emorragia; da forse un decennio era in uso la «sutura spontanea», per cui in breve si cicatrizzavano le più profonde ferite, si riconnettevano i nervi, le vene, le arterie, i tessuti; e fin dal secolo ventesimo era stata intravveduta l’efficacia dei raggi «ultra-rossi» a mantenere la vitalità nervea. E che faceva il dottor Pantìfilo?
Mozzava la testa ai conigli o alle cavie; ne impediva con l’«emostatina» l’effusione e la dispersione del sangue; salava di radio, per così dire, le parti recise; operando sempre alla luce ultra-rossa riattacava le teste mercè la «sutura spontanea»; e dopo poche ore le cavie e i conigli decapitati e rincapitati sgambettavano allegri al pari di prima. Il merito della risurrezione era dunque particolarmente dei sali di radio, e, tutt’al più, del modo con il quale il dottor Pantìfilo se ne valeva.
Nè la nuova invenzione poteva ritenersi di qualche utilità pratica. Dopo le stragi che avevano condotta l’Europa evoluta alla fratellanza universale, le ghigliottine «perfezionate e multiple» erano state rinchiuse nei magazzini della gran Repubblica, a Lublino. Non poteva più accadere che teste di innocenti di dentro ai panieri sembrassero accusar d’ingiustizia il fratello boia; e non c’era da sperare che in via privata qualche capo di uomo o di donna fosse tolto dal busto con la precisione netta e meccanica che si richiedeva alle esperienze del dottor Pantìfilo.
Ma ecco che nell’anno XX della Re-So-Eu (Repubblica Sociale Europea) i radiotelegrammi, gli eliogrammi e ogni sorta di elettrogrammi da Lublino (nel centro, o quasi dell’Europa) trasmisero al mondo intero una ben più strepitosa notizia; annunciarono il fatto orrendo per il quale il dottor Pantìfilo doveva esser presto consolato oltre le sue speranze.
Là, a Lublino, capitale della Gran Repubblica, si era scoperta una cospirazione contro il Fraternale Governo; il direttorio, cioè che gl’innumerevoli soviety europei, mediante le dodici confederazioni elettríci, ogni anno componevano coi più insigni rappresentanti del socialismo internazionale.
Sì, da appena vent’anni la Gran Repubblica era stata costituita su l’eguaglianza economica, che da secoli si credeva la base più salda alla umana e civile beatitudine, e già l’ancor recente costituzione pareva difettosa, vessatoria, tirannica, iniqua. A quanti? Eh! se molti erano gli uomini malcontenti, dagli Urali al Tago, dal Capo Nord a Candia, le donne malcontente erano moltissime. Chi l’avrebbe mai detto? Ottenuta la parità agli uomini in ogni esercizio manuale e intellettuale, in ogni materiale e moral benefizio, le donne per ogni dove eran state prese dalla smania di superare gli uomini in tutto; da ogni parte e da un pezzo tendevano a sovvertire l’ordine della società distendendo e annodando le fila di una trama manifesta, e adescavano i maschi in qualunque modo potessero a renderseli partigiani e seguaci.
Il Fraternale Governo, di sua natura fiducioso, benigno, quasi ingenuo, aveva lasciato correre — come al principio del secolo ventesimo, là verso il 1921, i governi della borghesia lasciavan correre il femminismo rivoluzionario — . C’era ben altro da pensare! Ma la trama ebbe termine e potere esecutivo proprio in Lublino; si scoperse, a Lublino, ch’era affidata... — incredibile! orribile! — ai cinque personaggi forse più famosi nella Gran Repubblica: cinque glorie del pensiero e dell’opera, emergenti dalla universale società in modo che il solo soprannome scientifico bastava a distinguerle e celebrarle nel mondo intero: Serenidad, Marjana, Rankness, Uebersinnlich, Prôneur.
Queste e questi erano i congiurati a far saltare in aria il palazzo del Direttorio e il Direttorio che v’abitava, come nell’età delle bombe anarchiche: Serenidad, l’astronoma nata in Ispagna: l’austera, severa, intemerata donna che quantunque fosse già vecchia proseguiva i suoi portentosi studi su la geografia e l’etnografia planetarie; Marjana, la scienziata fisico-chimica nata in Russia: la forte, giovine viragine che quantunque fosse di tendenze un po’ mistiche compieva stupefacenti e positive esperienze su le monadi e gli elettroni; Uebersinnlich, il filosofo nato in Germania, il quale sebbene fosse un po’ troppo grasso era forse il pensatore che più aveva avvicinato l’Assoluto; Rankness, lo sportsman inglese, il restauratore della bellezza corporea dopo che gli sport pazzeschi dei secoli decimonono e ventesimo avevano deformato il tipo umano; e Prôneur, il francese poeta, per il quale tutto era detto quando si diceva che era Prôneur il poeta.
Ebbene, costoro si eran messo in mente che un ritorno alla monarchia feliciterebbe l’Europa; una monarchia, però, di genere femminile e femminista. E da quei pensatori che erano ragionavano così:
Diceva Serenidad, l’astronoma: — Le colossali, singolari, uniche opere che si osservano in Marte non possono essere effetto che di una volontà, di una sovranità individuale, non collettiva. Un governo di molti non avrebbe avuta la concordia necessaria a ordinarle e a compierle. Ma se l’individuo che in Marte comanda a moltitudini di uomini, fosse un uomo, la civiltà di Marte sarebbe press’a poco quella di su la terra al tempo dei Faraoni. Invece la civiltà in Marte, per consenso di tutti gli astronomi, è più progredita che su la terra; dunque in Marte domina la donna. Facciamo su la terra come in Marte!».
Alla conclusione stessa arrivava per la sua via Marjana, la fisico-chimica, sostenendo che a viver bene l’uomo deve seguire le predisposizioni della Natura o, meglio, dell’Ente soprannaturale alla cui legge la Natura ubbidisce: in natura (è fenomeno accertato da secoli) le monadi prevalgono agli elettroni.
Da che non differiva molto il ragionamento dello sportsman Rankness. Gridava: — L’agilità delle membra, la robustezza dei muscoli, la consistenza della fibra hanno il fine di migliorare l’umana razza; mezzo necessario a tal fine è piacere alle donne. Ma non si fa piacere o servigio ad alcuno senza riconoscerne la superiorità.
E Uebersinnlich, il filosofo: «Da secoli è accertato che la donna nella somma delle energie psichiche supera l’uomo. Finchè la donna rimase inferiore all’uomo nelle energie fisiche e intellettuali, un equilibrio tra i sessi fu possibile; pareggiata la donna all’uomo nella forza e nella cultura della mente, essa è diventata superiore all’uomo nel resto e, per legge di evoluzione e di perfettibilità, la donna ha dunque da predominare.
Quanto al poeta Prôneur, egli cantava la perfezione sociale dell’alveare: una regina; le api operaie; i fuchi riproduttori. Da milioni d’anni — diceva — i fuchi son paghi d’esser fuchi. Oh che virile gioia sarebbe per gli uomini non essere altro che fuchi! Lode ai fuchi! Gloria alle operaie! E viva la regina!
Or il Fraternale Governo non si era perduto a confutar cotesti ragionamenti: ma quando ebbe in mano il tubetto che una donna operaia deponeva nella sala del consiglio e che acceso sarebbe bastato a sconquassar tutta Lublino, quando la donna interrogata rivelò sorridendo, con incoscienza che un tempo sarebbe parsa eroismo, chi le aveva dato il micidiale incarico, esso — il Direttorio — non indugiò a prendere una severa deliberazione, per amore, s’intende, della Gran Repubblica.
La proposta di rinchiudere i rei nella casa di salute psichica, quali delinquenti soliti, non passò; l’attentato alla salute della Gran Repubblica non era da compatire o da compiangere come un qualsiasi assassinio commesso per forza morbosa. Ci voleva un esempio di castigo spaventevole.
E con undici voti su dodici i congiurati furono condannati a morte.
A morte?
Ma la pena di morte non era stata abolita dalla Costituzione sociale? Maledetta la logica!; non si poteva violare la Costituzione per punire chi violava la Costituzione!
Fu allora che uno dei membri governativi pensò al trovato più paradossale che mai fosse stato fatto: al trovato del dottor Pantìfilo.
— Bella idea mi viene! — esclamò quel tal membro. — Condanniamo a morte i rei per convincere che la Gran Repubblica non scherza, e zitti e queti facciamoli risorgere per dimostrare, dopo, che nessun governo sarà mai più generoso della Re-So-Eu.
E fu così che il dottor Pantìfilo ebbe finalmente cinque teste umane a sua disposizione. Egli — chiamato d’urgenza — garantì che l’operazione riuscirebbe senza fallo purchè la ghigliottina «perfezionata e multipla» fosse eretta nella piazza della sua clinica, vicino vicino ai laboratori: quivi si appronterebbero cinque gabinetti illuminati a luce ultra-rossa; quivi si trasporterebbero subito subito i cinque corpi decapitati e rinchiusi al momento dell’esecuzione in casse radioattive, e le cinque teste mozzate e rinchiuse al momento dell’esecuzione in altre cinque casse radioattive: poi, presto, si procederebbe agli adattamenti capitali e alla rivivificazione dei corpi.
Benissimo! Tutti frattanto giurarono di mantener il segreto intorno ai propositi governativi; e i radiotelegrammi, gli eliogrammi e ogni sorta di elettrogrammi annunziarono soltanto che i cinque rei riconosciuti ordinatori della cospirazione rivoluzionaria erano da considerarsi come messi fuori della Costituzione.
***
Ma la notizia data in tal forma dispiacque, dagli Urali al Tago, dal Capo Nord a Candia. Che intendeva significare il Direttorio con la frase che «i rei eran da considerarsi come messi fuori della Costituzione»? Fuori a parole o di fatto? Privati dei diritti civili e repubblicani, soltanto? O mandati in case di salute? o piuttosto e meglio in una vecchia carcere, in un antico ergastolo?
Guai ai governi i quali non hanno idee chiare e edificanti!
Se non che i cittadini di Lublino a vedere il giorno dopo, nella piazza della Clinica, la ghigliottina «perfezionata e multipla», compresero come il Fraternale Governo aveva, al contrario, idee molto chiare e molto edificanti, e non dubitarono più per la sorte della Re-So-Eu.
Pochi protestarono che con la pena di morte si violava la costituzione sociale; pochi mormoravano: infamia! I più avevan voglia di veder in azione la ghigliottina «perfezionata e multipla».
E una gran folla si accalcò intorno al patibolo. Nel cielo, sopra, i velivoli volteggiavano adagio adagio per goder con libero respiro lo spettacolo da troppo tempo non dato.
La funzione, del resto, non durò che pochi minuti.
Così: i rei, in fila, ascesero il palco infame e con a lato i cinque incaricati di deporne i corpi tronchi nelle casse radioattive, si disposero ciascuno alla sua lunetta: dinanzi a loro, altri cinque assistenti aspettavano l’attimo per mostrare le teste al popolo, deporle subito nelle altre singole casse e distribuirle nei gabinetti del laboratorio.
Al segno del fratello boia i giustiziandi s’inginocchiarono. Essi gridarono: «Viva la monarchia fem...!».
E, rotta a mezzo nelle cinque bocche l’ultima parola, le esecuzioni furono fatte, cinque in una volta, senza scuotere l’animato, alto silenzio dell’attesa. Impossibile far meglio e più presto! Quel che seguì, s’immagina, poichè tutto procedette secondo le prescrizioni del dottor Pantìfilo.
Tutto?
Quasi tutto.
I rei erano stati disposti sul palco in questo ordine, e in questo ordine prendendoli — da sinistra a destra — i loro corpi tronchi furono distribuiti nei gabinetti della Clinica: l’astronoma, lo sportsman, il poeta, il filosofo, la fisico-chimica.
Invece, per una lieve svista, le teste furono portate ai gabinetti nello stesso identico ordine, ma prendendole da destra a sinistra: la fisico-chimica; il filosofo; il poeta; lo sportsman; l’astronoma.
Che accadde? Pur questo è facile immaginare. E per l’ansietà della faccenda e per la densità della luce rossa, la quale confondeva aspetti e fisionomie, gli assistenti del dottor Pantìfilo s’accorsero dell’equivoco solo quando spensero la luce rossa e accesero le lampade azzurre per immergere gli operati in un sonnellino ristoratore. Spaventati, allora corsero dal maestro, con le mani nei capelli, esclamando:
— Abbiamo scambiate le teste!
Il maestro palpitò, tremò, guardò il corpo che aveva reintegrato lui stesso e sorrise. Si era riserbata per sè la testa più difficile da mettere a posto: quella del poeta, e vide che errore non c’era. Lì per lì non ebbe agio a riflettere che nell’ordine dell’esecuzione il poeta, sia contando da destra sia contando da sinistra, aveva occupato sempre il terzo luogo; per il poeta pareva non essere avvenuto scambio.
Ma il dottor Pantìfilo non sorrise dopo, nello scorgere che davvero al vecchio corpo dell’astronoma Serenidad era toccato la bella testa di Marjana, la fisico-chimica, e che il giovane corpo di Marjana ora aveva in cima la vecchia testa di Serenidad; si mise anche lui le mani nei capelli a riscontrar nella persona dello sportsman Rankness, l’inglese, la testa del tedesco filosofo Uebersinnlich, e viceversa.
***
Eppure i cinque corpi reintegrati in tal modo riposavano così dolcemente! Forse sognavano d’essere a riposar in paradiso, premiati per il loro ideale di monarchia femminile e femminista.
Possibile che la meravigliosa scoperta del dottor Pantìfilo, in conseguenza di una semplice svista degli assistenti, dovesse finire in tal modo, suscitando uno scandalo enorme dagli Urali al Tago, dal Capo Nord a Candia, disonorando l’Europa in America, in Africa, etc.?
No! Bisognava riparare!
E il dottor Pantìfilo (che ingegno!) si mise a sedere, riflettè, si alzò; poi sorrise e disse ai suoi assistenti:
— Io dimostrerò che costoro d’ora innanzi vivranno più contenti di prima!
Infatti egli si era già persuaso che con l’aiuto del caso aveva fatta un’altra, maggiore scoperta; e deliberò di escludere il merito del caso.
Come il Fraternale Governo lo chiamò a render conto dell’errore commesso, egli parlò francamente:
— Fratelli! Ho trovato il mezzo di render davvero felice l’umanità. Avanti la grande rivoluzione, che diede alla società europea l’assetto di cui tutti dovremmo esser lieti, gli uomini parevano soffrire per cause meramente esteriori; stato economico, differenze di classi, ambiente sociale. Tutto ciò fu mutato. Ebbene, voi avete visto, di questi giorni, se la generosa magnanima Re-So-Eu bastò a render pago il genere umano! No. E perchè no? Perchè gli uomini hanno il male, il nemico, non fuori di se ma in sè stessi. Le espressioni che corrono su la bocca di tutti: «bisognerebbe mutar la testa alla gente», «colui, colei non ha la testa a posto», non dimostran forse l’intuizione volgare e secolare di fenomeni morbosi dei quali sino ad ora la psicologia e la patologia non han conosciute le cause?: non accertano che spesso nel corpo umano c’è un disquilibrio organico, una discordia funzionale tra le membra o le viscere e il cervello; un contrasto fra le attività pazienti e riflesse e la facoltà agente e promovente, che è anche l’attività pensante? Sì, fratelli miei! Per ridar il benessere fisico e psichico a chi l’ha perduto, e quindi per ridar la quiete alla società, è proprio necessario sostituir le teste a corpi cui meglio convengano; mettere, cioè, davvero le teste a posto!
L’assemblea governativa approvava. Ciascuno del Direttorio pensava non ai mali della società fraterna ma ai malanni del suo proprio corpo e alla possibilità di rimediarvi così radicalmente.
— Con fortunato tentativo — seguitò il dottore — e con coscienza tranquilla ho colto l’occasione per un nuovo esperimento. L’operazione è riuscita a meraviglia. E considerate che io avevo solo quattro persone da avvicendare! Il poeta ho dovuto lasciarlo tal quale, perchè le storie letterarie attestano che quando la critica vuol correggere i poeti, i poeti fan peggio di prima. Ma io ho resa felice Serenidad, l’astronoma. L’illustre donna, carica di gloria per le sue scoperte, già risentiva i malanni dell’età e perciò, senza aver coscienza di ciò, cospirava. Ora, nel corpo di Marjana, essa raccoglie l’umana perfezione: il senno dell’età matura e l’energia della giovinezza.
E Marjana è pur essa felice. Quante volte i giovanili femminili disturbi la distrassero da’ suoi studi profondi e dalle scoperte intravvedute! Quante volte ella maledisse le basse tentazioni che le scemavano la gloria! Ora non più: ora essa, in una gioia di liberazione, affretterà le prove del suo sublime ingegno, contenta di compensare con la fama immortale gli anni di meno che nel corpo senile dell’amica avrà da vivere.
Anche Marjana non cospirerà mai più!: statene certi!
E a Rankness, lo sportsman irrequieto, esuberante di forze, malcontento perchè gli pareva di non trovar idoneo sfogo alle energie nervose e muscolari, ho dato la moderazione d’un corpo ligio a una mente ordinata, pacata e lucida; ho data la quiete individuale, famigliare e sociale nella persona del filosofo.
E Uebersinnlich, il filosofo? Oh dite dite!: chi meglio di lui, irrobustito nelle membra dello sportsman, potrà vantare le delizie della mens sana in corpore sano?
A questo punto l’assemblea del Fiaternale Governo scattò: applausi, abbracci, baci. Il dottor Pantìfilo fu proclamato lo scienziato più grande della Re-So-Eu.
***
Ah povero dottor Pantìfilo! Che errore! che disastro!
Appena usciti, perfettamente in gambe, dalla clinica, coloro che avrebbero dovuto ringraziarlo tanto, imprecarono contro di lui.
Primo e più forte protestava il poeta Prôneur. Il quale diceva che s’era visto aprir dinanzi agli occhi le porte del Paradiso ma che gliele avevano subito rinchiuse in faccia. «Appena vidi il sol che ne fui privo!». Diceva che la gioia di sentirsi dividere con un colpo netto — tàffete! — e con un fulgore di luce divina la sede della poesia dal corpo bruto e vile è tal gioia che nessuna altra morte può darla uguale, e andava attorno agitando una scure e pregando gli amici di rinnovargli quel servizio. Fu necessario rinchiuderlo in una «casa di malati psichici», cioè in un manicomio. Ma trattandosi d’un poeta geniale, non c’era da farsene caso. Il guaio fu che lo sportsman, l’inglese, con folli tentativi di suicidio revolverava i passanti perchè il braccio armato sbagliava il bersaglio. Il disgraziato, capeggiando le membra del filosofo, a ogni momento stupiva d’essere così pigro e lasso. — What is that?, «Che cosa è questa?» — , gridava fuori di sè. Sopratutto l’eccitava la idrofobia delle membra disubbidienti ogni volta che gli veniva il pensiero di far un bagno. E peggio, se possibile, si sentiva il filosofo tedesco. Egli — e a lui pareva cosa nuova in lui — asseriva che adesso ragionava coi piedi, con le gambe, con le braccia, con tutto, fuor che con la testa, e correva e saltava di qua e di là senza riposo. — Was ist das? — Sfido! Aveva le gambe, le braccia e il resto del più famoso sportsman della Re-So-Eu! Bisognò mandarli tutti e due a tener compagnia al poeta.
Quanto alle due donne, oh che miseria! oh che umiliazione, che abiezione del femminismo!
A considerarsi sotto al capo, così diverse da quel che erano una volta, le infelici s’abbandonarono, loro così celebri pensatrici, all’atavica vanità del sesso, della fragilità di Eva.
Imbellettata e ritinta l’astronoma Serenidad andava in giro invocando: — Amore! amore! volontad! — , e chiamava i passanti susurrando: — Vedeste come sono bella! e piangeva disperata perchè a guardarla in faccia le rispondevano: — Va via, brutta vecchia!
E tutta infronzolita e in guardinfante, per nascondere le deformità del corpo, Marjana ora malediceva le monadi; urlava: — Abbasso gli elettroni! —; e ammoniva alla voluttà ideale, senza combinazioni chimiche. Ma in segreto piangeva, minacciava d’impiccarsi. Si sentiva così vecchia; vecchia così presto! Povera donna!
Povere donne! le mandarono in manicomio anche loro.
E là imprecarono più dei maschi colleghi a quella che era stata la generosità o la vendetta della Re-So-Eu (Repubblica - Sociale - Europea).