Teoria fondamentale degli spazii di curvatura costante

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Eugenio Beltrami 1868 Indice:Beltrami - Teoria fondamentale degli spazii di curvatura costante - 1868.pdf geometria matematica Teoria fondamentale degli spazii di curvatura costante Intestazione 10 maggio 2023 100% Da definire


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TEORIA FONDAMENTALE

DEGLI

SPAZII DI CURVATURA COSTANTE


MEMORIA

DEL

Prof. EUGENIO BELTRAMI

a Bologna.

MILANO

TIPOGRAFIA DI ZANETTI FRANCESCO

Via del Senato, N. 26.


1868.

[p. 1 modifica]

In una Memoria inserita nel t. VII della prima serie di questi Annali (Roma 1866) ho cercato le superficie dotate della proprietà di avere le loro linee geodetiche rappresentate da equazioni lineari, ed ho trovato che questa proprietà si verifica per le sole superficie di curvatura costante e per certe variabili speciali che l’analisi del problema ha spontaneamente introdotte.

Nel presente scritto espongo i risultati molto più generali a cui mi ha condotto l’ulteriore evoluzione di quel concetto, coordinato ad alcuni principii tracciati da Riemann nell’insigne suo lavoro postumo: Über die Hypothesen, welche der Geometrie zu Grunde liegen, non ha guari pubblicato dal sig. Dedekind nel XIII volume delle Memorie di Gottinga. Spero che le mie ricerche possano ajutare l’intelligenza di alcune parti di questo profondo lavoro.

Certe locuzioni di cui per amore di brevità faccio uso frequente non parranno, io credo, nè stentate nè oscure a chi guardi più alla sostanza che alla forma. L’attento lettore non avrà da fare alcuno sforzo per intenderle senz’altra spiegazione, restandogli del resto piena facoltà di non attribuir loro che un significato meramente analitico.

L’espressione differenziale

, (1)

dove , , , , , sono variabili legate dall’equazione

,

[p. 2 modifica]mentre ed sono due costanti, può risguardarsi come rappresentante l’elemento lineare, ossia la distanza di due punti infinitamente vicini, in uno spazio di dimensioni, ciascun punto del quale è definito da un sistema di valori delle coordinate , , , . La forma di quell’espressione determina la natura di questo spazio.

Ponendo per brevità

,

le linee geodetiche dello spazio in quistione sono quelle che soddisfanno all’equazione

,

colla condizione . Mercè le solite trasformazioni della variazione dell’integrale, la prima equazione può svilupparsi così:

,

e, stante la relazione che vincola le variazioni , , , , dà luogo alle equazioni seguenti:

, , ,

dove è un fattore da determinare. Ora, moltiplicando queste equazioni ordinatamente per , , e sommando, si ha

,


quindi, con riguardo alla (2), ; epperò

, (3)
, , , (4)

dove , , sono costanti. Queste ultime equazioni, quadrate e sommate, danno

, (5)
[p. 3 modifica]dove

Questo valore di rende identica la (3), della quale è perciò inutile tener conto; mentre le (4), colla eliminazione di e susseguente integrazione, danno

, , .

Dunque le linee geodetiche dello spazio considerato sono rappresentate da equazioni lineari fra le coordinate , , , a simiglianza di ciò che ha luogo nel piano e nello spazio ordinario quando si fa uso di coordinate cartesiane, e nelle superficie di curvatura costante quando si fa uso delle variabili , della citata Memoria. Fra i sistemi di linee geodetiche sono da notarsi specialmente quelli che si ottengono eguagliando tutte le coordinate, tranne una, ad altrettante costanti. Per ogni punto dello spazio passa una geodetica di ciascuno di questi sistemi, cui appartengono gli stessi assi coordinati delle , delle , delle , per ciascuno dei quali le restanti coordinate sono tutte nulle: conviene chiamarii sistemi delle , delle , delle .

Per ottenere la lunghezza dell’arco geodetico compreso fra due punti dati, si osservi che per la (5) si ha

,

donde

,

essendo una costante arbitraria ed la funzione . Indicando con , , i valori delle coordinate al punto , all'origine dell'arco, e con il corrispondente valore della funzione , si ha

, (6)
[p. 4 modifica]e quindi, eliminando ,

,

equazione cui si può dare la forma

. (7)

D’altra parte, avendosi dalle equazioni precedenti

,

le (4) danno

, , ecc.,

ovvero, sostituendo alle costanti , , le , , ,

, , ecc.,

donde, quadrando e sommando,

.


Quest’equazione, in virtù delle (6) (7), dà finalmente


(8)

e questa è la formola generale che porge la lunghezza di un arco geodetico in funzione delle coordinate dei suoi termini.

Supposte reali le variabili , , , e le costanti , , il limite dello spazio di dimensioni qui considerato è lo spazio di dimensioni dato dall’equazione

. (9)
[p. 5 modifica]

Dentro questo limite, cioè per

,


il primo spazio è continuo e semplicemente connesso. Dalla (8) risulta poi che i punti appartenenti allo spazio limite sono tutti a distanza infinita.

Due elementi lineari , uscenti da uno stesso punto e producenti rispettivamente le variazioni , , , e , , , sono fra loro ortogonali quando soddisfanno la relazione


. (10)

Consideriamo per esempio lo spazio di dimensioni e supponiamo che da un punto di esso escano due elementi lineari, l’uno esistente nello spazio stesso, l’altro diretto secondo la geodetica del sistema passante per questo punto. In tal caso si ha

, , , , .


epperò la condizione di ortogonalità è soddisfatta: vale a dire che ciascuna geodetica del sistema (o più in generale ) è ortogonale allo spazio (risp. ) nel punto in cui lo incontra. In particolare dunque all’origine delle coordinate le direzioni degli assi sono tutte ortogonali fra loro. Si dimostra con eguale facilità che l’asse , è ortogonale a tutti gli spazii . Le geodetiche condotte da un punto arbitrario dello spazio nei sistemi , , , riescono perpendicolari agli spazii di dimensione , , , analogamente a quel che ha luogo nel piano e nell’ordinario spazio quando si usano coordinate rettangole. Chiamando , , , le porzioni di queste geodetiche comprese fra il punto dato e gli spazii cui sono rispettivamente perpendicolari, si ha

. (11)

Consideriamo il completo sistema delle geodetiche uscenti dal punto determinato (, , ). Esso è rappresentato dal seguente sistema d’equazioni differenziali, l’ultima delle quali è una conseguenza delle prime,

,

[p. 6 modifica]dove si è posto per brevità

.


La condizione (10) fornisce come equazione differenziale dello spazio di dimensioni ortogonale a tutte queste geodetiche la seguente

,


donde integrando

. (12)

Confrontando questa equazione colla (8) si vede che lo spazio definito da essa è anche il luogo dei punti equidistanti dal punto , e chiamando la distanza costante si ha

.

Siccome l’equazione (12), pel modo in cui fu ottenuta, sussiste ancho quando il punto va all’infinito, cioè quando diventa nullo e infinito, così si vede che in questo caso il prodotto converge verso un limite finito, che non può differire da quello del prodotto . Quindi scrivendo invece di e facendo andare all’infinito il punto , mentre rimane costante, si ottiene al limite l’equazione

, (13)

dove

,


e quest’equazione rappresenta un sistema di spazii ad dimensioni, che possono essere definiti come le trajettorie ortogonali di tutte le geodetiche convergenti verso uno stesso punto all’infinito ). Le varie trajettorie sono distinte fra loro dai valori del parametro , che esprime la distanza costante fra una qualunque di esse e la trajettoria determinata . La costante è data quando è dato un punto di quest’ultima trajettoria. [p. 7 modifica]

Ora si dimostrerà che la natura dello spazio fin qui considerato è tale che, limitandone una porzione qualunque e trasportandola in una posizione diversa da quella che prima occupava, si può sempre ottenerne la sovrapposizione con un’altra porzione corrispondente dello stesso spazio. Per concepire come ciò possa accadere si immagini disseminato in quella porzione di spazio un numero di punti, infinitamente vicini tra loro, e riuniti a due a due dagli archetti geodetici che ne misurano le mutue distanze. Ciò posto, la sovrapponibilità della quale si tratta consiste in questo, che in ogni altra parte dello spazio considerato si possono disseminare dei punti, ad esso appartenenti, i quali hanno fra loro le medesime distanze mutue e la medesima disposizione che avevano quelli della porzione immaginata; dimodochè il reticolo formato dalle linee congiungenti i punti contigui di questa può essere completamente identificato col reticolo analogo dell’altra porzione, senza che i legami di essi devano essere in alcun punto rotti o duplicati. Le alterazioni che il primo reticolo deve subire per identificarsi col secondo non possono del resto riescire apparenti che quando si considerano l’uno e l’altro in rapporto ad uno spazio avente più di dimensioni: finchè ciò non accade i due reticoli presentano il carattere dell’eguaglianza per congruenza o per simmetria. Quest’ultima osservazione si collega con un ingegnoso riflesso di Moebius, nel Barycentrische Calcul, p. 184.

Suppongasi dapprima riferito lo spazio ad un nuovo sistema di assi geodetici delle , , , aventi la stessa origine dei primi ed ortogonali fra loro al pari di questi. Siccome tutte le linee geodetiche sono rappresentate da equazioni lineari, così è chiaro che le sostituzioni per passare dalle variabili alle variabili devono essere lineari: ma è facile convincersi inoltre che la loro forma dev’esser quella denominata ortogonale. Infatti la forma (8) mostra che la distanza dall’origine ad un punto qualunque dipende solamente dalla funzione . Si avrà dunque


,


,

epperò

.

[p. 8 modifica]Questa identità di forma dei due elementi rende manifesto che due reticoli in cui i vertici corrispondenti fossero legati dalle equazioni

, ,

sarebbero perfettamente sovrapponibili. Ora è chiaro che il secondo di questi reticoli non sarebbe altro che il primo girato intorno all’origine insieme coi primitivi assi, fino a che questi prendessero le direzioni dei nuovi. È dunque provato che la sovrapponibilità di cui si parlava ha effettivamente luogo quando lo spostamento si riduce ad una semplice rotazione intorno all’origine. Anzi, siccome si potrebbe porre più generalmente

, ,

con libertà di combinare i segni in modo qualunque, così è chiaro che oltre l’eguaglianza per congruenza vi sono più specie d’eguaglianza per simmetria.

Poichè un cambiamento d’assi, restando fissa l’origine, non muta la forma dell’elemento lineare, resta ora a cercare l’effetto di un cambiamento d’origine. E poichè, preso nello spazio un punto qualunque, si può già supporre diretto verso di esso l’asse delle , così è lecito prendere la nuova origine su questo stesso asse, nel punto . La nuova transformazione da eseguire consiste dunque nel mantenere l’asse delle ed i precedenti sistemi coordinati delle , , , e nel sostituire al sistema delle geodetiche perpendicolari allo spazio quello delle geodetiche perpendicolari allo spazio , fra le quali si trova il primitivo asse delle . Le nuove coordinate si chiameranno , , e si chiamerà una costante avente, rispetto a queste, lo stesso ufficio della costante a rispetto alle . Così si denomineranno , , , le geodetiche analoghe alle , , e si avrà manifestamente, come nella (11),

.


Ciò posto, si osservi che, rimanendo invariati i primitivi sistemi delle , , , si ha dapprima, per essi, e quindi

per . (14)

Quadrando e sommando prima queste cquazioni, poi le loro differenziali, si [p. 9 modifica]hanno le due formole

(15)

dove . In secondo luogo se si considerano, sull’asse delle , le porzioni , intercette fra le due origini e il punto in cui l’asse stesso è intersecato dallo spazio , si ha

, ,

mentre la distanza delle due origini è data da

.

È chiaro dunque che bisogna porre

,

cioè

donde

, . (16)

Queste due formole danno luogo alle relazioni

, , (17)

le quali, combinate opportunamente colla prima delle (15), conducono a queste altre due:

,
,
[p. 10 modifica]donde

.


In virtù di quest’ultima equazione, la seconda delle (15)

,

donde consegue che l’espressione dell’elemento lineare conserva la stessa forma anche mutando l’origine, e quindi, per un ragionamento analogo a quello di pocanzi, che la sovrapponibilità ha luogo in ogni caso, poichè basterebbe ora far uso di una nuova sostituzione ortogonale per rendere i nuovi assi affatto indipendenti dai primi.

Le (14) (15, 1ª) (17) danno

per ,

da cui e dalla (16, 2ª) si conclude che la più generale trasformazione d’assi ha luogo per mezzo di sostituzioni omografiche.

Prescindendo da questa trasformazione delle coordinate , , in altre della stessa specie, vi sono altre trasformazioni che danno all’elemento una forma notabile. Quella che si potrebbe chiamar polare si ottiene ponendo primieramente

, , ,

colla condizione . Di qui si ricava

,

dove , epperò

.

Ma chiamando la distanza geodetica dall’origine, o polo, al punto , si ha

, ,
[p. 11 modifica]dunque
, (18)

forma che giustifica la denominazione di polare, poichè in essa le variabili sono il raggio vettore , e le quantità che definiscono la direzione di questo raggio.

Da questa forma si passa facilmente ad un’altra che si potrebbe chiamare stereografica, e che si ottiene ponendo

,


dove e , hanno i significati di pocanzi. Di qui si cava

,


,

e quindi, quadrando e sommando le equazioni che risultano dalla penultima col fare , con riguardo all’ultima ed alla (18),

. (19)

Questa forma è stata indicata senza dimostrazione da Riemann, nella citata Memoria postuma (II, § 4).

Riemann ha indicato un altro sistema di coordinate, dal quale egli trae la misura delle curvature di un dato spazio intorno ad un punto (II, § 2). Queste coordinate sono per certi rispetti analoghe alle ortogonali cartesiane, poichè si ottengono dalle polari col porre

, , , .

Da queste si ha

,

[p. 12 modifica]epperò, quadrando e sommando,

ossia

,

dove il segno comprende tutte le combinazioni binarie degli indici. Si ha pure

,

laonde, sostituendo nella (18), si ottiene finalmente

, (20)

ossia

, (20')

dove , e dove la serie convergente posta fra parentesi procede secondo le potenze crescenti di . Per piccolissimi valori di si può prendere semplicemente

.

Ora considerando un elemento di superficie passante per l’origine, si può fare in modo (con un’opportuna scelta degli assi , ossia ) che esso coincida con quello della superficie , , , alla quale corrisponde, nelle vicinanze dell’origine, l’elemento lineare

;

e poichè l’area del triangolo infinitesimo che ha i vertici nei punti , , , dei quali il secondo è infinitamente vicino all’origine, è , se ne conclude che è eguale al quadruplo del quadrato dell’area del triangolo infinitesimo che ha i vertici nei punti , , il secondo dei quali è [p. 13 modifica]infinitamente vicino all’origine. Se dunque si divide la somma dei termini di 4º ordine nella (20)' per il quadrato dell’area del triangolo infinitesimo anzidetto, si ha il quoziente ; e poichè, secondo la definizione di Riemann, tale quoziente moltiplicato per esprime la misura della curvatura nel senso dell’elemento superficiale anzidetto, si vede che nello spazio qui considerato tale misura è costante ed in ogni direzione intorno a ciascun punto1. Egli è perciò che questo spazio può acconciamente esser chiamato di curvatura costante.

Una quarta transformazione, importantissima, è quella che si ottiene introducendo nuove variabili indipendenti , , e ponendo

, , .

Se ne trae immediatamente

, (21)
[p. 14 modifica]donde si conclude intanto che la formola (1) rappresenta l’elemento lineare di uno spazio di curvatura costante anche quando le variabili , , sono indipendenti fra loro e non punto legate dalla relazione (2), salvo che in questo caso il numero delle dimensioni dello spazio è e non sussiste più la proprietà che le linee geodetiche sono rappresentate da equazioni lineari2. Ma una conseguenza assai notabile che si deduce dalla espressione (21) è che lo spazio ad dimensioni ha la sua curvatura nulla in ogni punto, poichè il suo elemento lineare ha la forma


Ed infatti, se si pon mente alla formola di Riemann (19) si vede subito che l’elemento non può ridursi ad essere la radice quadrata della somma dei quadrati di tanti differenziali esatti quante sono le dimensioni, se non si abbia . Lo spazio è dunque uno di quelli che Riemann denomina piani (II, § 1) e nei quali rientrano il piano e lo spazio ordinario, definiti dalle formole

, .

Ora l’equazione ammette una molto semplice interpretazione, dietro quanto precede. Il punto all’infinito sull’asse delle , ha per coordinate

, ,

e quindi l’equazione (13) diventa per esso


dove . Dunque

,


epperò l’equazione equivale a quest’altra , donde si conclude (poichè è arbitraria la direzione dell’asse delle ) che lo spazio ad dimensioni non è altro che una delle traiettorie ortogonali [p. 15 modifica]di tutte le geodetiche convergenti verso uno stesso punto all’infinito, cioè di un sistema di geodetiche parallele fra loro. Reciprocamente ciascuna di queste trajettorie ortogonali ha in ogni punto la curvatura nulla, epperò due qualunque di esse (appartenenti o meno al medesimo sistema) sono sovrapponibili l’una all’altra in tutti i modi possibili.

Introducendo nella (21) la variabile al posto della si ha l’altra forma equivalente

. (21)'

Si è già veduto che il complesso di equazioni lineari fra le coordinate , , rappresenta una linea geodetica. Vediamo cosa rappresenti, più in generale, il complesso di equazioni lineari.

Supponendo dedotte da queste equazioni le espressioni di coordinate in funzione delle rimanenti , riesce manifesto che il numero dei parametri indipendenti contenuti in un tal sistema è . Si immagini ora che tutte le coordinate , , vengano espresse linearmente in funzione di variabili , , . Queste espressioni comprendono fra tutte parametri, ma se si assoggettano questi parametri a verificare l’identità


( restando indeterminata), è chiaro che si aggiungono con ciò condizioni, talchè il numero dei parametri indipendenti rimane di . Ora questo numero eccede di il numero ; dunque le relazioni ammesse fra le e le , colla indicata condizione, sono tali da poter sempre tener luogo, senza restrizione alcuna, del dato sistema di equazioni. Ciò posto, da quelle relazioni, ponendo

,


si deduce

,


,


dunque

[p. 16 modifica]colla condizione

.


Conseguentemente il luogo dei punti rappresentati dal complesso delle equazioni lineari fra le coordinate , , è uno spazio ad dimensioni, la cui curvatura è dovunque costante ed eguale a quella dello spazio primitivo.

Così per es. equazioni lineari rappresentano una superficie di curvatura costante , che conviene distinguere col nome di superficie di prim’ordine; rappresentano uno spazio a tre dimensioni di curvatura costante ; есс.

Una linea geodetica reale è individuata senza ambiguità da due punti dello spazio: nelle ipotesi fin qui ammesse non è possibile alcuna eccezione a questa proprietà.

Una superficie di prim’ordine è individuata senza ambiguità da tre punti dello spazio. Essa contiene tutta intera la geodetica che passa per due suoi punti reali, talchè se due superficie reali di prim’ordine hanno due punti reali in comune, hanno del pari in comune tutta la geodetica individuata da questi.

Un triangolo geodetico giace sempre sopra una determinata superficie di prim’ordine, la quale è individuata anche quando il triangolo è infinitesimo. Perciò se si prolungano secondo linee geodetiche tutti gli elementi lineari contenuti in uno stesso elemento di superficie, le linee geodetiche così ottenute hanno tutte un luogo geometrico che è una determinata superficie di prim’ordine.

Quando due superficie di prim’ordine si intersecano lungo una linea, necessariamente geodetica, il loro angolo è dovunque costante; cioè condotti da un punto della loro intersezione due elementi lineari normali ad essa, l’uno nella prima, l’altro nella seconda superficie, la distanza infinitesima dei loro termini è costante, se sono costanti le loro lunghezze. Infatti3 supposto diretto l’asse , secondo la comune sezione delle due superficie, le equazioni di queste possono evidentemente esser messe sotto la forma

,

,

[p. 17 modifica]dove le , sono parametri costanti. Queste due superficie sono intersecate dallo spazio secondo due geodetiche che, per una precedente osservazione, sono ortogonali all’asse . I due punti di coordinate


,

,

giacciono rispettivamente sulla prima e sulla seconda superficie, e precisamente sulle due geodetiche anzidette, e la loro distanza è data (8) dalla formola

,


dove si è posto

, ,

.


Da essa, chiamando , le lunghezze delle due geodetiche comprese fra il punto comune , ed i due punti considerati, si trae

, ,

e quindi

, ,

valori i quali mostrano che

.


Siccome in questa formola non resta più traccia del punto preso sull’asse , così si vede che da qualunque punto di questo asse si conducano nelle due superficie le geodetiche di lunghezza , , la distanza geodetica dei loro estremi è sempre costante. E poichè questa proprietà sussiste per lunghezze , qualunque, necessariamente sussiste per lunghezze infinitesime, donde scaturisce il teorema annunciato.

Ammettendo, come già si è fatto implicitamente nel porre la condizione [p. 18 modifica]di ortogonalità, che i triangoli infinitesimi siano soggetti alle relazioni della ordinaria trigonometria piana, si riconosce immediatamente, rendendo infinitesime le lunghezze , , , che è il coseno dell’angolo fatto dai primi elementi delle due geodetiche , , cioè delle due superficie. D’altra parte è facile vedere che il triangolo ora considerato può essere un triangolo geodetico interamente arbitrario; dunque fra i lati , , e gli angoli opposti , , di un triangolo geodetico esistente nello spazio considerato, sussiste la relazione

, (22)

insieme colle sue analoghe, la quale non differisce dalla formola fondamentale della trigonometria sferica che per il cambiamento di in ( raggio della sfera), rimanendo invariati i lati e gli angoli. Ciò concorda pienamente con un fatto già avvertito dal Minding (nel t. XX del Giornale di Crelle) e dimostrato dal Codazzi (negli Annali di Tortolini, 1857), se si rammenta che il triangolo geodetico qui considerato giace intieramente sopra una superficie di prim’ordine, cioè di curvatura costante negativa, rispetto alla quale esso è pure geodetico nel senso ordinario. Se si suppone retto l’angolo , le due formole che si deducono dalla (22) colla permutazione degli elementi danno, opportunamente combinate,

. (23)

Se ora si imagina che il vertice dell’angolo vada indefinitamente allontanandosi sul cateto , mentre il lato rimane invariato di posizione e di grandezza, l’ipotenusa c crescerà fino all’infinito, ed a questo limite le equazioni (22) (23) daranno

, .

La prima formola insegna che , cioè che i due lati , si accostano assintoticamente, quando il vertice dell’angolo è all’infinito; la seconda che il limite dell’angolo non è l’angolo retto, come nel piano, ma un angolo minore di 90°, la cui grandezza dipende dalla distanza , mediante la formola

(24)
[p. 19 modifica](equivalente alla superiore). Se si chiamano parallele due geodetiche convergenti verso un medesimo punto all’infinito, come già si è fatto, si vede dunque che da un punto si possono condurre due distinte geodetiche parallele ad una geodetica data, che queste due parallele sono egualmente inclinate da una parte e dall’altra della geodetica condotta dallo stesso punto normalmente alla data, e che la loro inclinazione sulla normale è legata alla lunghezza di questa stessa normale mediante la relazione (24). Questo risultato s’accorda pienamente con quello che forma la base fondamentale della geometria non-euclidea, i cui principii, già famigliari a Gauss, sono stati compendiati maestrevolmente da Lobatschewsky nella Théorie des parallèles (trad. Hoüel), sotto una veste sintetica. La possibilità della sua costruzione col mezzo dell’ordinaria sintesi (limitatamente allo spazio di tre dimensioni) dipende in primo luogo da ciò che, come si è dimostrato, negli spazii di curvatura costante (positiva o negativa) ogni figura può essere mutata arbitrariamente di posizione senza subire alcuna alterazione nella grandezza e nella disposizione mutua dei suoi elementi contigui, possibilità da cui dipende l’esistenza delle figure eguali e quindi la validità del principio di sovrapposizione. In secondo luogo negli spazii di curvatura costante negativa le geodetiche sono caratterizzate, come la retta euclidea, dalla proprietà di essere individuate senza ambiguità da due soli dei loro punti, talchè vige per esse l’assioma della retta. E del pari le superficie di prim’ordine sono caratterizzate, come il piano euclideo, dalla proprietà di essere individuate senza ambiguità da tre soli dei loro punti, talchè vige per esse l’assioma del piano. Inoltre le relazioni delle linee geodetiche colle superficie di prim’ordine e di queste fra loro, sono le stesse di quelle delle rette coi piani e dei piani fra loro, poichè una di quelle superficie contiene tutta una geodetica tosto che ne contiene due punti, e due di quelle superficie si segano secondo una geodetica (e sotto un angolo costante) se s’incontrano in un solo punto. Da questa corrispondenza consegue che se si ammettono gli assiomi fondamentali della geometria ordinaria, escludendo il postulato delle parallele, i teoremi che si ottengono sono eguali a quelli della geometria dello spazio di curvatura costante negativa, poichè questa seconda geometria ha le stesse basi di quella, tranne il postulato anzidetto. I teoremi di essa sussistono per ogni valore della curvatura, che è il parametro della geometria non-euclidea (la quale io propongo di denominare pseudosferica), e le sole misure prese nello spazio obbiettivo possono far riconoscere che il valore speciale [p. 20 modifica]della sua curvatura è zero, cioè che per esso; nello stesso modo che per sole misure si può assegnare la curvatura di una sfera data, che è il parametro della geometria sferica.

Effettivamente si può verificare che la teoria di Lobatschewsky coincide, salvo nei nomi, colla geometria dello spazio a tre dimensioni di curvatura costante negativa. Chi ami vedere sviluppata questa corrispondenza ne potrà trovare altrove una più minuta esposizione4. Qui, per non fare una troppo lunga digressione, mi limiterò ad alcuni cenni sommarii.

La planimetria non-euclidea non è altro che la geometria delle superficie di curvatura costante negativa. Le circonferenze di quella corrispondono alle linee che tagliano ortogonalmente tutti i raggi geodetici uscenti da uno stesso punto della superficie, ossia alle circonferenze geodetiche. Il perimetro ne è dato in funzione del raggio geodetico dalla formola

,


come aveva già enunciato Gauss. Per tre punti della superficie non si può sempre far passare una circonferenza geodetica avente il centro in un punto reale. Gli oricicli o curve-limiti di Lobatschewsky non sono altro che le circonferenze geodetiche il cui centro è all’infinito, cioè i cui raggi formano un sistema di geodetiche parallele. Facendo nella (21)' si ha

,


espressione dell’elemento lineare della superficie di curvatura costante negativa riferita ad un sistema di oricicli concentrici ed ai loro raggi. La forma di quest’espressione insegna che gli oricicli possono diventare, mercè una flessione opportuna della superficie, i paralleli della superficie di rotazione il cui meridiano è la curva delle tangenti di lunghezza costante .

La stereometria non-euclidea non è altro che la geometria degli spazii a tre dimensioni di curvatura costante negativa. Si è già detto a che corrispondano, in questa geometria, le rette ed i piani. Alle superficie sferiche corrispondono le superficie che tagliano ortogonalmente tutti i raggi geodetici uscenti da uno stesso punto, cioè le sfere geodetiche. Anche qui può [p. 21 modifica]darsi che per tre punti, e molto più per quattro, non si possa far passare una sfera geodetica col centro in un punto reale. Le orisfere o superficie-limiti di Lobatschewsky 5 non sono altro che le sfere geodetiche il cui centro è all’infinito, cioè i cui raggi formano un sistema di geodetiche parallele dello spazio di curvatura costante negativa. Facendo nella (21) si ha

, (25)

dove

,,,


e reciprocamente

, ,


.


La formola (25) rappresenta l’elemento lineare dello spazio non-euclideo riferito ad un sistema di orisfere concentriche ed a quello dei loro raggi. La forma di questo elemento insegna che ogni orisfera, essendo rappresentata da , è una superficie di curvatura nulla, poichè il suo elemento lineare ha la forma

;


e che le variabili , sono le coordinate rettangole dei suoi punti. Una superficie di prim’ordine

è rappresentata in coordinate dall’equazione

,

epperò taglia l’orisfera (per la quale ) secondo un cerchio. Questo si riduce ad una retta solamente quando , cioè quando l’equazione [p. 22 modifica]della superficie di prim’ordine ha la forma

,

il che accade quand’essa è una superficie diametrale dell’orisfera, ossia passa pel centro (all’infinito) di questa. In questo caso la linea d’intersezione è evidentemente un oriciclo di questa superficie diametrale, mentre rispetto all’orisfera è tale che si converte in una retta quando questa venga distesa secondo un piano. Di qui emerge che il triangolo tracciato sopra un’orisfera da tre superficie diametrali è in sostanza un triangolo geodetico esistente in una superficie di curvatura nulla, il quale perciò soddisfa a tutte le relazioni dell’ordinaria trigonometria piana, poichè è esattamente applicabile sopra un triangolo rettilineo.

Così tutti i concetti della geometria non-euclidea trovano un perfetto riscontro nella geometria dello spazio di curvatura costante negativa. Solamente fa d’uopo osservare che mentre quelli relativi alla semplice planimetria ricevono in tal modo un’interpretazione vera e propria, poichè diventano costruibili sopra una superficie reale, quelli all’incontro che abbracciano tre dimensioni non sono suscettibili che di una rappresentazione analitica, poichè lo spazio in cui tale rappresentazione verrebbe a concretarsi è diverso da quello cui generalmente diamo tal nome. Per lo meno l’esperienza non sembra poter essere messa d’accordo coi risultati di questa geometria più generale, se non si suppone infinitamente grande la costante , cioè nulla la curvatura dello spazio; il che per altro potrebbe non essere dovuto che alla piccolezza dei triangoli che noi possiamo misurare, ossia alla piccola estensione dello spazio a cui le nostre osservazioni si estendono, non altrimenti da ciò che accade per le misure prese sopra una piccola parte di superficie terrestre, la precisione delle quali non è sufficiente a mettere in evidenza la sfericità del globo.

Fin qui non si è parlato che di spazii ad dimensioni la cui curvatura è costante, ma negativa; del che è causa l’aversi avuto principalmente in vista il ravvicinamento dei concetti ad essi relativi con quelli della geometria non-euclidea, rispetto alla quale l’ipotesi opposta ha minore interesse. Nondimeno se ne diranno qui alcune poche cose.

L’elemento lineare

, (26)
[p. 23 modifica]dove

,

appartiene ad uno spazio di dimensioni la cui curvatura è dovunque costante ed . Esso si ottiene da (1) mutando , ed in , , , e tutte le proprietà e le equazioni fondate sopra mere trasformazioni analitiche dell’elemento (1) valgono evidentemente, coi cambiamenti indicati, anche per quest’altro. Per es. la (8) si muta nella seguente

, (27)

formola che dà per un valore reale, qualunque siano i valori reali di , , ; , , . È chiaro che per questi spazii sussiste integralmente il teorema della sovrapponibilità di due loro porzioni qualunque.

Se nella (26) si suppongono reali le variabili , , e le costanti , , i valori ammissibili per le coordinate , , , non hanno limite alcuno, e possono variare fra e . Per tutti i valori reali di queste coordinate lo spazio è continuo e semplicemente connesso, ma non infinito (Riemann, III, § 2), perchè se si fa nella (27)

, ,


dove , si ha per


,


formola che dà per un valore finito e determinato. Le linee geodetiche continuano ad essere rappresentate da equazioni lineari, ma, stante l’ammissibilità dei valori infiniti per le coordinate, il principio che due punti individuano senza ambiguità una geodetica cessa d’esser vero senza restrizione. Infatti siano

, ecc.

le equazioni d’una geodetica. Finchè uno almeno dei punti pei quali essa deve passare ha le sue coordinate finite, i coefficienti possono esser tutti determinati senza ambiguità. Ma se ambedue i punti hanno coordinate infi[p. 24 modifica]nite bisogna mettere le equazioni sotto la forma

, ecc.

e sostituire ai primi membri i valori limiti a cui convergono nei due punti. Se questi limiti sono eguali in entrambi, i valori dei secondi coefficienti restano indeterminati e la linea geodetica non è più unica ed individuata. Se poi i limiti sono diversi le coordinate della linea geodetica sono infinite in ogni punto.

Le considerazioni che hanno condotto all’equazione (13) non sono applicabili agli spazii di curvatura costante positiva, poichè non esistono, per questi, punti all’infinito. Quindi gli enti rappresentati da quella equazione non hanno riscontro in questi nuovi spazii, come non lo hanno le geodetiche reciprocamente parallele.

Si vede che la geometria degli spazii di curvatura costante positiva (che può acconciamente esser chiamata geometria sferica in senso largo, stantechè, come insegna l’equazione (22), i triangoli geodetici vi soggiacciono alle leggi della trigonometria sferica), differisce molto notabilmente dalla pseudosferica, sebbene abbia con questa in comune l’esistenza delle figure eguali. Del resto la geometria pseudosferica conduce spontaneamente a considerare gli spazii di curvatura costante positiva. Infatti ponendo nella (26)

, ,

si trova

colla condizione

,


risultato il quale, posto a riscontro colla equazione (18) in cui siasi fatto insegna che le sfere geodetiche di raggio nello spazio ad dimensioni di curvatura costante negativa sono spazii ad dimensioni di curvatura costante positiva · Quindi la geometria sferica può risguardarsi come contenuta nella pseudosferica.

Bologna, agosto 1868.


Note

  1. Per vedere la coincidenza della definizione di Riemann con quella di Gauss, si rammenti che, secondo GAUSS, la misura della curvatura della superficie definita dall’elemento

    è espressa da , essendo funzione in generale di e di . Se la variabile è la lunghezza di un arco geodetico uscente da un punto della superficie nel quale questa abbia una curvatura ordinaria, la funzione è della forma dove è una funzione che per non è nè nulla nė infinita (veggansi p. es. questi Annali, p. 358 del tomo prec.) e quindi la misura della curvatura nel punto è . Ciò posto, le coordinate di Riemann

    ,

    danno all’elemento testè considerato la forma

    ,


    epperò la misura della curvatura nel punto è, secondo Riemann, . Ora (per ); dunque le due espressioni coincidono.

    È chiaro che cioè dev’essere una quantità indipendente da .
  2. La forma (21) è stata indicata, per il caso di due sole dimensioni, dal sig. Liouville, nelle sue note all’opera di Monge, p. 600.
  3. La seguente dimostrazione, che poteva a rigore essere omessa, si è inserita in grazia delle formole a cui conduce.
  4. Si vegga il Giornale Matematico di Napoli, settembre-ottobre 1868, dove le particolarità svolte per il caso di due dimensioni si possono agevolmente ripetere per quello di tre, massime se si tien conto dei risultati del presente scritto e se si ricorre ad una sfera ausiliare.
  5. Ossia le superficie di J. Bolyai.