Sulle frontiere del Far-West/CAPITOLO XV - Una corsa sfrenata

CAPITOLO XV - Una corsa sfrenata

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CAPITOLO XV.


Una corsa sfrenata.


I quattro avventurieri e Minnehaha, spinti dalla fame che di momento in momento diventava sempre più acuta, si erano messi quasi a correre lungo quell’eterno cornicione fiancheggiante lo spaventoso cañon che pareva sempre pronto a inghiottirli tutti fra le spumeggianti acque del suo rumoroso torrentaccio.

John, più pratico dei luoghi, guidava il drappello, segnalando, di quando in quando, i passaggi difficili.

Ed infatti di tratto in tratto delle spaccature si presentavano, costringendo i quattro uomini e la giovane indiana a spiccare dei salti, che potevano fare invidia ai montoni di montagna.

Quella corsa pericolosa però non duro molto. Il cornicione ben presto si allargò formando come una successione di piattaforme coperte di nocciuoli selvatici e di piccoli aceri, poi comparvero delle immense distese di salvia e di cactus a bocce, rifugio preferito dei mocasson, serpenti velenosissimi, dalla testa assai schiacciata e molto aggressivi.

La sierra allargava il cañon rapidamente e le terrazze si succedevano con maggior frequenza girando intorno alla miniera sepolta sotto un enorme ammasso di rocce.

Se gli animali mancavano, abbondavano invece i volatili, specialmente galli di monte, pettirossi, uccelli beffatori che si divertono ad imitare il canto degli altri su un tono quasi ironico, grossissimi avvoltoi quasi tutti neri e sempre affamati.

Raggiunta finalmente un’alta piattaforma, gli avventurieri sostarono per assicurarsi, prima di scendere verso la bocca della miniera, se gl’Indiani si erano allontanati o se si aggiravano ancora nei dintorni colla speranza di vederli risalire dal pozzo e scotennarli.

— Pare che si siano stancati di aspettarci, — disse John, dopo d’aver guardato attentamente in tutte le direzioni. — Io non li vedo più.

— Purchè non si siano accampati sotto i boschi, — disse Harry. — Quei vermi sono troppo testardi per rinunciare così facilmente a cinque capigliature.

[p. 150 modifica]— Lo so, camerata, — rispose il gigante. — Eppure non ne vedo alcuno intorno al pozzo della miniera.

— Che siano occupati a dare la caccia ai nostri cavalli? — chiese Giorgio.

— A quest’ora li avranno uccisi o catturati.

— Lo credi, John? E noi come faremo a raggiungere il grande Lago Salato? A piedi no, di certo.

— Convengo che sarebbe una vera pazzia, — rispose il gigante. — Nessuno di noi vi giungerebbe vivo con tutti gl’Indiani che sono in armi e che battono la prateria.

Dovremo procurarcene degli altri ed appunto perciò vi ho raccomandato di conservare i lazos, che in questo momento possono diventare più preziosi dei nostri rifles.

Orsù, scendiamo verso la miniera e andiamo a prendere le sella e le bardature dei cavalli, se le troveremo ancora.

— E cerchiamo di porre qualche cosa sotto i denti, — disse Giorgio. — Io muoio di fame.

Lascia almeno che ci procuriamo dei volatili.

— Ma se gl’Indiani non sono lontani, si allarmeranno, — rispose John.

— Eppure così la non può durare, — disse Harry. — Sono quarantott’ore e forse più che i nostri ventri brontolano e le forze cominciano ad andarsene.

— Dopo tutto avete ragione: fate pure. Se i Chayennes ricompariranno, ci rifugeremo sui più alti picchi della sierra. —

Si erano rimessi in cammino, scendendo abbastanza rapidamente le piattaforme.

I due scorridori ed anche Nuvola Rossa non avevano però tardato ad approfittare del permesso accordato dall’indian-agent, colpendo, con grande maestria, parecchi galli di montagna ed anche alcuni di quei magnifici e squisitissimi volatili chiamati dagli Indiani wakon, ricercatissimi dai buongustai.

Due ore dopo, i quattro avventurieri e la piccola Indiana giungevano sulla spianata dove si trovavano il pozzo e gli antichi depositi di carbone.

Delle pelli-rosse non vi erano più tracce. Probabilmente si erano stancati di attendere la ricomparsa degli uomini bianchi ed avevano preferito riprendere le loro sanguinose scorrerie attraverso la prateria.

Nemmeno i cumuli di carbone erano stati rovistati, sicchè le selle e le bardature erano sfuggite alle loro ricerche, con grande soddisfazione degli avventurieri, poichè, pur essendo abilissimi cavalieri, preferivano galoppare alla moda europea e non già all’indiana.

Ritiratisi sotto una tettoia, che le ingiurie del tempo avevano un po’ risparmiata, si accamparono per prepararsi la colazione tanto [p. 151 modifica]sospirata ed anche per riposarsi almeno fino all’indomani, prima di ridiscendere nella prateria in cerca di qualche caballada di mustani selvaggi.

E poi volevano, prima di ogni altra cosa, assicurarsi della direzione presa dalla banda dei Chayennes, per non cadere in qualche agguato abilmente teso.

La giornata trascorse invece tranquillissima e nemmeno nella grande prateria si mostrarono i terribili guerrieri rossi, cosicchè gli avventurieri poterono riposarsi tranquillamente, fare un paio di pasti e consumare una buona parte delle loro provviste di tabacco che avevano lasciato nelle fonde delle selle.

Avevano già fatta la scelta della prima guardia, quando John, che aveva un udito acutissimo che poteva competere con quello di Nuvola Rossa, si alzò improvvisamente, afferrando il rifle.

Harry e Giorgio, sapendo che l’indian-agent non era un uomo da commuoversi tanto facilmente, si erano affrettati ad imitarlo, chiedendogli con una certa apprensione:

— I Chayennes?

— Adagio, camerati, — rispose il gigante, il quale si era spinto verso una delle uscite della tettoia. — Potrei essermi anche ingannato.

— No, — disse il capo dei Corvi, che si era pure messo in ascolto.

— Avete udito anche voi un lontano fragore? — chiese John, un po’ inquieto.

— Si direbbe che dei cavalli galoppino attraverso la foresta confinante colla prateria.

— Allora sono i pelli-rosse, — osservò Harry. — Finchè abbiamo tempo, rifugiamoci sulle montagne.

— Non vuoi più saperne della miniera?

— Oh no, John!...

— E credo che tu abbia ragione. L’abbiamo passata troppo brutta laggiù.

— Tacete, — disse Nuvola Rossa, il quale aveva appoggiato un orecchio al suolo. — Lasciatemi ascoltare. —

L’indian-agent ed i due scorridori della prateria si chetarono, anzi trattennero il fiato.

— Cavalli, — disse finalmente Nuvola Rossa.

— Molti? — chiese John.

— Pare che siano moltissimi, poichè il loro galoppo produce come un rombo che il terreno trasmette distintamente.

— Pesanti? — chiese John.

— No, anzi: si direbbe che quegli animali non portano in sella cavalieri.

— Che sia una caballada di mustani selvaggi che cerca di scendere nella prateria?

— Mi pare anzi che si dirigano verso questa miniera. —

[p. 152 modifica]L’indian-agent ebbe un sussulto e nei suoi occhi brillò un lampo di speranza.

— Che siano i nostri che continuano a ronzare in questi dintorni?

— Devono essere ben più di quattro, — rispose Nuvola Rossa. — Non potrebbero produrre un fragore così intenso, anche se lanciati ventre a terra.

— Non importa!... Ho capito!... — gridò John, raggiante. — Chi vuole cavalli se li prenda, quantunque io preferisca sempre il mio. Presto, i lazos!...

— Che cosa dici, camerata? — chiese Harry.

— Obbedisci e basta. So io di che cosa sì tratta.... Ah!... Le brave bestie!... E sono due giorni che cercano i padroni!... Finchè vivrò, non darò più un solo colpo di sperone.

— I lazos, — disse Nuvola Rossa, il quale forse era il solo che aveva compreso di che cosa si trattava. — Passeranno di qui, ne sono sicuro. —

I quattro avventurieri ed anche la piccola indiana si erano precipitati fuori dalla tettoia.

Le tenebre erano calate già da qualche ora, però una luna magnifica splendeva in cielo, innalzandosi sopra i più alti picchi della sierra.

Ormai tutti udivano distintamente il galoppo furioso di una grossa truppa di cavalli, la quale pareva che si dirigesse precisamente verso la spianata della miniera.

Non sapendo ancora se si trattava di cavalli liberi o montati, malgrado le assicurazioni del gambusino, si erano armati dei rifles, poichè poteva darsi invece che fosse una banda di Chayennes di ritorno da qualche fulminea scorreria.

— Gettatevi dietro i mucchi di carbone!... — gridò l’indian-agent. — A me, Harry!... Tu, Giorgio col gambusino!... —

Il rombo prodotto da un gran numero di animali lanciati a corsa sfrenata, diventava di momento in momento più intenso.

Pareva che una caballada scorrazzasse le boscaglie che si stendevano intorno alla miniera, in preda a qualche improvviso panico.

Eppure non si udiva nessun grido umano, segno evidentissimo che tutti quegli animali non avevano sui loro dorsi dei cavalieri; poichè difficilmente l’indiano, quando è lanciato alla carica, tace il suo grido di guerra, anche se non ha nessun nemico da combattere dinanzi a sè. Solamente quando si trova sul campo di battaglia, all’agguato, non fiata più.

Erano trascorsi quattro o cinque minuti, quando i quattro avventurieri e Minnehaha videro sbucare, a corsa sfrenata, dal bosco che si stendeva dinanzi alla miniera, quattro cavalli, due altissimi, di dimensioni poco comuni, e due più bassi e più magri, colle criniere al vento e le lunghe code in alto, i petti coperti di schiuma.

[p. 153 modifica]Dietro si precipitavano, con vero furore, trenta o quaranta altri destrieri, cogli occhi in fiamme, le labbra contratte, i denti pronti a mordere.

I primi quattro erano i cavalli degli avventurieri; gli altri, dei mustani selvatici, più meno belli, appartenenti quasi tutti alla antica razza andalusa, discendenti, come già abbiamo detto altrove, dai primi cavalli importati dai conquistatori del Messico e da quelli che eran venuti dall’altra parte del continente americano, sbarcati da Fernando de Loto alla foce del Mississipì.

È strano: il cavallo selvaggio odia il cavallo che ha subìta la schiavitù e se lo ritrova libero non manca di assalirlo e di finirlo a morsi.

Guai ai cavalli che fuggono dalle haciende e cercano di riconquistare la libertà!... La prateria ormai non fa più per loro.

Il mustano selvatico lo fiuta, lo indovina, chiama a raccolta i compagni ed allora non è raro assistere, su quelle immense pianure erbose, a delle corse sfrenate che finiscono quasi sempre colla vittoria dei liberi, i quali non tardano a finire il cavallo schiavo a morsi ed a calci.

La caballada che saliva la prateria, forse spaventata dalla scorreria dei Chayennes, doveva aver incontrato i quattro cavalli degli avventurieri e si era messa in caccia.

Da quante ore durava quella corsa sfrenata? Certamente da molte ore, poichè tutti erano coperti di schiuma ed avevano i fianchi che ansavano come mantici.

I quattro avventurieri lasciarono passare i loro animali, i quali avevano qualche vantaggio, quantunque avessero ricevuto più d’un morso nelle parti posteriori, poi lasciarono andare i lazos e fecero una scarica coi rifles, più coll’intenzione di spaventare che di uccidere.

La caballada, udendo quegli spari e vedendo comparire gli uomini dietro gli ammassi di carbone, si fermò di colpo, piegando le zampe fino a toccare col ventre il suolo, poi fece un fulmineo dietro fronte e s’allontano a corsa sfrenata rientrando nella foresta dalla quale era uscita.

I quattro mustani ammaestrati avevano continuato il loro galoppo furioso, dirigendosi verso il pozzo, poichè appunto là avevano lasciati i loro padroni; poi a loro volta si fermarono udendo parecchi fischi ormai a loro noti.

I bravi animali, quantunque affaticati ed eccitati dalla lunga corsa, avevano udito quei richiami.

Primo di tutti fu il cavallone dell’indian-agent che si fece innanzi caracollando e nitrendo, poi quello di Nuvola Rossa.

I due mustani degli scorridori della prateria, un po’ più selvatici, esitarono un momento, poi anche essi si fecero innanzi dimostrando [p. 154 modifica]il loro piacere con dei piroettamenti bizzarri che fecero schiantare dalle risa Harry e Giorgio.

— Camerati, — disse John, con voce grave, mentre accarezzava il muso del suo magnifico cavallone — questo è un gran segno di buona fortuna.

Ora sono sicuro di poter compiere la missione affidatami dal colonnello e di salvare i suoi fanciulli.

— Anche noi!... — esclamarono Harry e Giorgio.

Nuvola Rossa rimase invece zitto, anzi la sua fronte si era aggrottata ed i suoi occhi si erano fissati, con un po’ d’inquietudine, su Minnehaha; ma la fanciulla era rimasta impassibile.

Nelle sue vene doveva avere ben il sangue di sua madre, la terribile Yalla!

I quattro cavalli furono condotti sotto la tettoia, ben strigliati per togliere loro la schiuma che li copriva e fatti coricare sopra dei fasci di erba fresca e appetitosa, strappata nei dintorni del pozzo della miniera.

— A domani, — disse John. — A voi, gambusino, il primo quarto.

Aprite gli occhi e tendete bene gli orecchi. I Chayennes non sono meno abili degli Sioux e degli Arrapahoes nelle sorprese e potrebbero essersi già accorti della nostra presenza.

— Fidatevi di me e dormite tranquilli, — rispose Nuvola Rossa.

Mentre i tre volontari della frontiera si lasciavano cadere a fianco dei cavalli in attesa del loro turno, l’indiano prese la coperta e la carabina ed andò a sedersi presso il pozzo della miniera.

Minnehaha, che doveva possedere una resistenza incredibile l’aveva seguito, avvolgendosi nel suo mantello ormai ridotto in condizioni deplorevoli e quasi nero come il carbone.

Padre e figlia stettero a lungo senza parlarsi, contemplando o fingendo di contemplare le stelle e la luna che tornava a mostrarsi sulle alte cime dirupate della sierra.

In lontananza le coyotes mandavano le loro strida e nella vicina boscaglia il vento sussurrava dolcemente.

— E così, padre? — chiese ad un tratto la selvaggia indiana, facendo lampeggiare, alla luce dell’astro notturno, i suoi occhi nerissimi. — Continueremo per un bel tratto ancora? E mia madre, che cosa direbbe se lo sapesse?

— Se sapesse che cosa? — chiese Nuvola Rossa, con voce un po’ aspra.

— Che noi ci troviamo insieme a questi maledetti visi-pallidi da quattro giorni, senza aver strappata loro una capigliatura.

— Ah!... Tu vorresti che li avessi già uccisi tutti.

— Forse mia madre l’avrebbe già fatto.

— Uh!... Tua madre!...

— Tu non sei uno Sioux!...

[p. 155 modifica]— Vorresti dire, bambina, che tuo padre, perchè indiano Corvo, non sarebbe un valoroso?

Forse che tua madre ti ha fatto credere che i guerrieri del nord non valgono nemmeno le squaws (donne) degli Sioux? —

Minnehaha era rimasta silenziosa, facendo girare le dita intorno ai bordi frangiati del suo mantello.

— Parla, — disse il Corvo, con voce rauca, piena di minaccia.

— No.... ma.... tu non sei uno Sioux come mia madre e la sua tribù.

— E nemmeno tu sei una Sioux completa, perchè nelle tue vene scorre il sangue anche d’un Corvo, come nelle vene di tuo fratellastro, l’Uccello della Notte, scorreva il sangue d’un uomo bianco.

— Lo so, — rispose freddamente e quasi annoiata la piccola Indiana. ― Non era necessario, padre, che tu me lo ricordassi. —

Nuvola Rossa ebbe un gesto d’ira e le sue mani formidabili afferrarono la canna della carabina e volsero in alto il pesantissimo calcio laminato, in fondo, di ferro, come se volesse uccidere qualcuno.

— Si direbbe, — disse, con voce strozzata da una collera furiosa ― che tu rimpiangi di aver avuto per padre un indiano invece d’uno Sioux.

— Se tu non fossi stato un grande guerriero, mia madre non ti avrebbe sposato, ― rispose Minnehaha, con voce un po’ raddolcita.

— Sembra però che tua madre ti abbia insegnato a disprezzare tuo padre perchè non apparteneva alla sua tribù. Perchè allora, fra i tanti Capi che chiedevano la sua mano, ha scelto me, dopo la scomparsa dell’uomo bianco? Ah!... Io credo che quel colonnello l’avesse compresa meglio di tutti.

Yalla è troppo cattiva e troppo vendicativa e Manitou ed il Grande Spirito non vogliano che finisca male!

— Mia madre!...

— Chi è tua madre?

— L’orgoglio degli Sioux. —

Nuvola Rossa alzò le spalle.

— Le squaws rimangono sotto i wigwams a preparare il pasto ai loro uomini, a fare mocassini ed a tessere i loro mantelli col pelo dei montoni di montagna.

Il tomahawah è troppo pesante per le loro mani.

— Per le altre forse, non per quelle di mia madre, — disse Minnehaha. ― Sarebbe capace di affrontare anche te e di scotennarti. —

Nuvola Rossa probabilmente in quel momento vide rosso, poichè afferrò strettamente per la gola Minnehaha e la sollevò come se volesse strozzarla.

— Là vi è il pozzo della miniera che ha servito alla nostra discesa, ― disse con voce sibilante. ― Se ti gettassi là dentro, piccolo [p. 156 modifica]serpente, non risaliresti mai più, e forse nessuno dei tre uomini bianchi chiederebbe notizie tue.

Ringrazia il buon Manitou di essere mia figlia e di essere mezza indiana e mezza Sioux. —

La depose a terra, appoggiò la testa della piccina sulle sue ginocchia e, quasi pentito di quello scatto di furore, le accarezzò i capelli, dicendo:

— Dormi: il quarto non sarà molto lontano. Approfittane, Minnehaha!... —

Poi si rannicchiò su sè stesso, coprendola quasi interamente col proprio corpo, come per ripararla dall’umidità della notte e non parlò più.

Anche Minnehaha pareva che si fosse quasi assopita.

La stagione delle pioggie era cominciata sulle praterie americane e ogni notte pioveva dirottamente; ma l’indiano, ben avvolto nella sua coperta ed abituato ai luoghi umidi ed ai lunghi agguati, non sembrava che se ne preoccupasse gran che.

Pareva che non avesse che due scopi: quello di riparare Minnehaha dalla pioggia e di tendere gli orecchi.

Ad un tratto i suoi sensi acutissimi furono scossi da un rumore lontano che forse sarebbe sfuggito perfino ad uno scorridore della prateria, che non avesse nelle sue vene sangue indiano.

— Vengono — disse a mezza voce. — Certo sono miei fratelli, perchè hanno la pelle rossa come me e come l’hanno i miei compatriotti e quelli di mia moglie!...

Ma dovrò lasciarli avvicinare e scotennare questi uomini bianchi ai quali, dopo tutto, devo qualche riconoscenza per aver salvata, sia pure loro malgrado, mia figlia?

E se fossero dei Chayennes?

Come trovare il tempo, in mezzo ad una carica furiosa, di gridare loro: Anch’io sono un pelle-rossa!... Yalla lo tenterebbe forse, ma Yalla incarna lo Spirito del male. —

Tese nuovamente gli orecchi ed ascoltò a lungo.

— Sì, vengono — disse poi — e devono essere i Chayennes e non gli Sioux.

Salviamo innanzi tutto mia figlia e con lei salviamo pure, per ora, i visi-pallidi.

Si sbarazzò della coperta sotto la quale aveva tenuto fino a quel momento nascosta la batteria della carabina, perchè la pioggia non bagnasse la capsula, e con un braccio alzò Minnehaha.

La piccola indiana, strappata bruscamente dal suo sonno profondo, aprì i suoi occhi nerissimi e sempre sospettosi e li fissò sul padre.

— Il quarto sarebbe già finito? — chiese Minnehaha, con malumore.

— È il momento di riprendere la corsa — rispose Nuvola Rossa.

[p. 157 modifica]— Perchè?

— I Chayennes stanno per giungere.

— Non sono forse gli Sioux?

— Tua madre sarà ancora lontana, — rispose seccamente il Corvo.

— Va’ dunque incontro a loro e fatti riconoscere.

— Con questa oscurità? Ah! Tu sei pazza, Minnehaha.

— E vorresti salvare gli uomini bianchi?

— Certo.

— Perchè? — chiese la piccola selvaggia, coi denti stretti.

— Perchè saranno quelli che ci guideranno dove noi troveremo i figli del colonnello, che noi non sappiamo precisamente dove abitino.

— Sul grande Lago Salato, ha detto mia madre.

— Sì, va’ a cercare in qual luogo, — rispose Nuvola Rossa.

— E se....

— Taci, pel Grande Spirito!... Basta!... Sono tuo padre!... Indiano o Sioux non importa, e potrei ucciderti senza renderne conto a nessuno, m’intendi, Minnehaha?... Tua madre non è qui; e poi, — aggiunse Nuvola Rossa, con un sogghigno sardonico — si troverebbe dinanzi ad un grande guerriero dei Corvi!...

— Se io le narrassi ciò.... —

Nuvola Rossa le volse le spalle senza nemmeno aspettare che terminasse la frase e si diresse sollecitamente verso la tettoia.

John, Harry e Giorgio russavano beatamente accanto ai cavalli, tenendo una mano sulle loro carabine ed un braccio infilato nelle briglie.

Non sospettavano certo il pericolo che li minacciava, credendo ormai che i Chayennes fossero ridiscesi nella prateria per compiere la loro congiunzione cogli Sioux e gli Arrapahoes.

Nuvola Rossa li contemplò per qualche istante con un brutto sguardo, accarezzando la lama del suo machete.

Quelle tre capigliature lo tentavano di certo. Il sangue indiano si ridestava in quel momento più prepotente che mai; tuttavia il coltello non uscì dalla sua guaina.

E poi non era cosa facile sbarazzarsi di quei tre uomini in un momento.

— Le occasioni non mancheranno più tardi, — mormorò. — Mi sono troppo necessarî in questo momento per avere nelle mie mani i figli del colonnello. —

Si curvò su John e lo scosse vigorosamente, dicendogli:

— Vengono: in piedi! —

L’indian-agent che se anche russava aveva il sonno leggiero, in un baleno fu in piedi col rifle già armato.

— I Chayennes? — chiese, mentre Harry e Giorgio, svegliati da quel sussurrìo, si alzavano.

[p. 158 modifica]— Non so se siano Chayennes, Sioux o Arrapahoes, essendo la notte troppo oscura, ma certamente non devono essere dei visi-pallidi.

— Li avete veduti?

— Uditi solamente.

— Harry, Giorgio, fate alzare i cavalli e preparateli, e noi, gambusino, andiamo a vedere.

— Non mi sono ingannato.

— Non ne dubito. —

Uscirono rapidamente, urtando contro Minnehaha che in quel momento stava entrando sotto la tettoia, borbottando.

La notte era assai oscura e larghe gocce cadevano rumoreggiando stranamente sulle fronde e sugli ammassi di carbone.

— Da quale parte? — chiese John.

— Laggiù.... guardate.... non vedete qualche ombra agitarsi nell’oscurità?

— Qualche esploratore?

— Può essere. —

L’indian-agent si gettò a terra ed accostò un orecchio al suolo ascoltando attentamente per parecchi secondi.

— Vengono e devono essere moltissimi, — disse poi, alzandosi. — Presto, a cavallo, e scendiamo verso la prateria giacchè essi salgono la sierra. —

I due avventurieri tornarono precipitosamente verso la capanna, dove già i cavalli si trovavano pronti a balzarono in sella.

Minnehaha era già in arcione del secondo cavallone.

— Via!... — comandò John.

Nel medesimo istante si udirono echeggiare, fra la nebbia, ]e stridule note dell’ikkischota, il fischietto di guerra degl’Indiani, poi rimbombarono alcuni colpi di fucile.

La caccia ricominciava.