Sulle frontiere del Far-West/CAPITOLO XIV - L'assalto dell'orso grigio
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CAPITOLO XIV.
Gli orsi neri, bruni e giallastri, poichè nelle terre gelate dell’America britannica se ne trovano anche di questo colore, godono la fama d’essere un po’ stupidi, ma fanno però una discreta impressione.
Generalmente sono animali pacifici che non disturbati e sopratutto non feriti, se ne vanno per loro conto di selva in selva, cercando bacche ed alveari di api selvatiche, essendo ghiottissimi del miele.
La presenza dell’uomo basta, di solito, a metterli in fuga, quantunque siano dotati di una forza eccezionale e posseggano denti ed unghie formidabili e non manchino, se si offre loro l’occasione, d’un coraggio straordinario.
Come però abbiamo detto, cercano di evitare i combattimenti e preferiscono di russare tre o quattro mesi dell’anno, nascosti dentro una spaccatura o nel cavo d’un albero vecchissimo, senza aprire mai gli occhi.
Il grizzly o, come lo chiamano scherzando i cacciatori di montagna americani, l’old Ephraim, è ben diverso dagli altri ed affronta risolutamente, con una ferocia e con uno slancio inaudito, tanto l’uomo bianco come il rosso, a piedi o a cavallo.
Dobbiamo dire che quest’orso americano, poichè non si trova in nessun altro continente, è il più gigantesco di tutti.
Nelle forme, e anche un po’ nella tinta, somiglia alquanto all’orso bruno europeo, ma e straordinariamente più forte, e la sua lunghezza sorpassa talvolta perfino i due metri e venti centimetri, ed il suo peso la mezza tonnellata, ossia i cinquecento chilogrammi!...
Il suo pelame e un po’ fulvo-oscuro che pende qualche volta al grigiastro, assai lungo, arruffato come quello d’uno di quei giganteschi scimmioni delle isole indo-malesi chiamati miass; la sua fronte è larghissima, gli orecchi e la coda brevi, gli occhi bruno-rossastri, le unghie lunghissime. Misurano spesso perfino dodici ed anche più centimetri, salde, compatte, formidabili, e formano l’orgoglio dei cacciatori indiani i quali amano farne mostra all’estremità dei mocassini.
Vivono, questi terribili plantigradi, per lo più sulle montagne, sulle sierre o dentro i profondi cañon, però non è raro incontrarli perfino in vicinanza delle terre polari dove, cosa strana, si accoppiano con quelli bianchi, formando una razza bastarda che è la giallastra.
Al pari degli altri, d’inverno cadono in un profondo letargo e si rifugiano in qualche crepaccio ed è appunto quando si risvegliano che diventano pericolosissimi.
Spinti dalla fame, dopo d’aver seguito le rive dei fiumi, essendo più abili pescatori che arrampicatori, assalgono con ferocia incredibile uomini ed animali, e guai a chi cade fra le loro zampe, poichè la forza che posseggono è tale da spezzare con una stretta sola le costole più salde, perfino quelle d’un bisonte.
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L’indian-agent, vedendo il terribile animale avanzarsi sul cornicione, così grosso da ostruire il passaggio perfino ad un cane di prateria, si era prontamente ritirato, prima, per sua fortuna, di essere stato scorto.
In un batter d’occhio aveva girato sui talloni e si era slanciato verso i compagni i quali stavano cercando affannosamente un antro aperto nella muraglia rocciosa che fosse così capace da contenerli tutti.
— Eccolo!... — esclamò, con voce rotta.
— Chi? — chiese Giorgio.
— Il grizzly.
— Non ti eri ingannato, dunque? — chiese Harry.
— No: ho udito altre volte il fremito di quelle brutte bestie sulla Sierra Verde ed anche sulla Nevada.
— Grosso? — domandò il gambusino.
— Enorme. —
In quel momento si udì la piccola indiana, la quale già da qualche istante teneva gli occhi fissi su una fenditura della parete rocciosa, gridare:
— Là dentro: vi è posto per tutti!
— Sarebbe una grande fortuna, — disse John, slanciandosi innanzi.
— Dentro!... Dentro!... — esclamarono gli altri.
A due metri dal cornicione s’apriva infatti una specie di nicchia contornata da alcuni magri nocciuoli selvatici, che pareva che s’addentrasse nella parete basaltica.
I quattro uomini in un baleno si spinsero lassù, aiutando Minnehaha, e si precipitarono dentro quel rifugio scoperto in così buon punto.
Non si trattava d’una caverna, bensì d’un crepaccio, aperto forse dalle acque, largo appena qualche metro e profondo due o tre.
Vi era però posto sufficiente per contenerli tutt’e cinque ed era già molto.
— Gettiamoci a terra, e se il grizzly passa senza accorgersi della nostra presenza, lasciatelo pure andare, — disse l’indian-agent. — Quelle bestiacce sono così solide da non essere atterrate nemmeno dopo di aver ricevuto sette od otto palle.
— Me lo hanno detto, — soggiunse Harry.
— Silenzio, anzi cercate di trattenere perfino il respiro. —
Spinsero Minnehaha verso il fondo del crepaccio e si stesero fra i massi che ingombravano il suolo, tenendo le canne dei rifles puntate verso l’apertura. Il gigantesco plantigrado si avvicinava, senza però affrettarsi troppo, a quanto pareva, poichè tardava a mostrarsi.
Forse faceva qualche sosta per mangiare delle bacche o delle nocciuole, essendo quegli animali assai ghiotti delle une e delle altre.
Di quando in quando si udivano alcune pietre rotolare nell’abisso. L’orlo del cornicione cedeva sotto l’enorme peso dell’orso o si sgretolava sotto le sue potenti unghie.
Ad un tratto i quattro avventurieri, i quali conservavano una immobilità quasi assoluta, udirono la rantolosa respirazione del colosso.
— Eccolo, — mormorò con un filo di voce l’indian-agent. — Fermi tutti. —
Il grizzly era giunto dinanzi alla nicchia. Si avanzava lentamente, curvandosi di quando in quando verso l’abisso molto probabilmente per vedere se vi erano altre bacche da raccogliere.
Già aveva oltrepassato il crepaccio ed i quattro avventurieri cominciavano a respirare un po’ più liberamente, quando John, che era il più vicino all’ingresso del crepaccio, lo vide fermarsi cinque o sei passi più innanzi e manifestare una improvvisa agitazione.
— Ci ha fiutati, — mormorò. — Dovevo aspettarmelo. Hanno troppo buon naso queste bestie. —
Il grizzly si era messo in ascolto. Le sue orecchie si movevano, come se cercassero di raccogliere dei vaghi rumori fra lo scrosciare delle acque irrompenti in fondo al burrone.
Rimase immobile alcuni istanti, fiutando, di quando in quando, l’aria, poi mandò un urlo selvaggio che rintronò paurosamente entro il cañon e si volse con una mossa fulminea, mentre il suo lungo pelo si arruffava.
— Siamo stati scoperti, — disse sottovoce John ai suoi compagni. — Preparatevi a far fuoco!...
— Torna indietro? — chiese Harry, che gli stava quasi a fianco.
— Verrà a scovarci, non dubitare.
— Che il buon Manitou si prenda la sua lurida anima! — brontolò Nuvola Rossa che si appoggiava contro Minnehaha, rannicchiata in fondo alla nicchia.
Il grizzly si era messo nuovamente in ascolto, fissando i suoi occhi bruno-rossastri, dal lampo vivissimo che tradiva una collera furiosa, pronta a scoppiare come un fulmine, verso il rifugio degli avventurieri.
Ad un tratto mandò un secondo urlo, più spaventoso e più impressionante del primo e si scagliò, con una mossa che non si sarebbe mai sospettata in un animale così grosso, contro la parete, rizzandosi d’un colpo sulle zampe posteriori.
Il suo muso apparve a livello della spaccatura ed alitò quasi in faccia a John un buffo tiepido e fetente.
Vedendo la canna del rifle spalancò le mascelle ed i suoi formidabili denti si strinsero intorno al ferro, ma subito una detonazione rimbombo. L’indian-agent aveva fatto fuoco prima che l’arma gli venisse guastata o gli fosse strappata dalle mani.
Il grizzly, con una mascella fracassata e già sanguinante, si era subito lasciato ricadere sul cornicione, sfuggendo a tempo ai tre colpi di carabina sparatigli addosso dai due scorridori della prateria e da Nuvola Rossa.
— Morto? — chiese Harry, il quale per ogni buon fine ricaricava prontamente l’arma.
— Ah!... Bah!... — rispose l’indian-agent. — Ci vuole ben altro per questi giganti!...
Se la palla avesse attraversato il cervello non mi vedresti più qui, ma invece ha deviato forse contro qualche dente, e quel furfante sarà ora più pericoloso di prima.
— Però non si vede più — disse Nuvola Rossa.
— Se volete andare un po’ a vedere se è morto o vivo, signor gambusino, siete padronissimo; — rispose John. — Io, per parte mia, preferisco rimanere qui, perchè mi considero più sicuro.
— Eppure non si sente nulla — disse Giorgio.
— Ma sei sordo tu? —
Un urlo terribile, che per un istante aveva coperto perfino il muggito delle acque scroscianti in fondo al cañon, aveva echeggiato proprio in quel momento.
— Ah!... Diavolo!... — brontolò il giovane scorridore della prateria, ritirandosi dietro il fratello. — Quel bestione mi sembra più vivo di prima.
Che torni all’assalto, John?
— Io credo che non sarà così stupido — rispose l’indian-agent, che pareva di assai cattivo umore. — Ci aspetterà al varco per piombarci addosso con furia irresistibile e rovesciarci nell’abisso.
È quel dannato cañon che mi preoccupa, perchè temo che qualcuno finirà per cadervi dentro.
— Meno male se fosse quella piccola indiana che ci ha dato già più noie che sollievi — disse Giorgio.
Un sordo brontolìo di Nuvola Rossa lo avvertì che la piccina aveva ormai trovato un fido protettore.
— John, — disse Harry — lo vedi?
— No.
— Che sia fuggito?
— Uhm!... Ci aspetterà, per darci battaglia.
— E noi dovremo rimanere qui finchè piacerà a quell’orsaccio? Io ho già le budelle in fondo ai talloni ed il mio stomaco reclama imperiosamente qualche cosa da riempirlo.
— Ed il mio non meno del tuo, — rispose l’indian-agent, colla sua solita voce calma. — Sai che cosa dovresti fare per ora? Stringi la cinghia dei calzoni e lascialo brontolare a suo piacimento.
— Eppure assaggerei così volentieri uno zampone di quell’animalaccio!
— Si dice anzi che quelli di compare old Ephraim siano più saporiti di quelli dei neri e si aggiunge anche, perchè tu sappia in avvenire regolarti, che siano più difficili a conquistarsi. Vuoi provare? Da vero amico, io non ti darei mai un tale consiglio.
— Tu vuoi concludere che noi siamo bloccati.
— O assediati, ciò che fa lo stesso, — rispose John.
— Sicchè dopo il blocco della miniera....
— Viene questo.
— Che sarà però meno pericoloso poichè abbiamo i nostri rifles e le palle mordono bene la carne.
— Lo vedremo.
— Dubiti?
— Odi come urla ancora? Si è fermato a pochi passi da noi, e puoi essere certo che non ci abbandonerà se prima non avrà lasciato nelle nostre mani i suoi zamponi o ci avrà massacrati tutti a colpi d’unghioni, giacchè le sue mascelle non possono ora più funzionare come prima.
— Vuoi spaventarci, John?
— Niente affatto.
— Lascia un po’ vedere. Sono un buon tiratore e se posso fargli saltare il cranio....
— Sarai bravo, — rispose l’indian-agent, alzandosi e facendogli posto.
Harry, il quale era sicurissimo dei suoi colpi non meno del gigante, si avanzò, strisciando verso l’uscita della nicchia, ed osò sporgere la testa; ma non riuscì a scorgere il terribile animale il quale, dopo aver ricevuto quel colpo di fucile, si era affrettato a ritirarsi dietro un altro sprone del cañon, per aspettare, a colpo sicuro, i suoi feritori e farli a brani.
— Old Ephraim sta medicandosi fuori di portata delle nostre carabine, — disse. — Deve essere di pessimo umore poichè l’odo brontolare come una caldaia a vapore.
— Non deve essere certamente contento, — rispose l’indian-agent.
— E dovremo attendere la sua guarigione a ventre vuoto?
— Sarebbe troppo lunga, — disse Giorgio. — Che quell’animalaccio voglia aspettare la notte colla speranza di sorprenderci addormentati? Io non sarei capace di resistere altre dodici ore senza empire un po’ il mio stomaco.
— Volete che proviamo? — chiese ad un tratto John, il quale da qualche momento osservava attentamente l’uscita della nicchia.
— A fare che cosa? — domandarono i due scorridori della prateria.
— Ad affrontarlo. Siamo in quattro e penso che l’assedio potrebbe prolungarsi un po’ troppo e che abbiamo già perduto parecchio tempo.
— Se vuoi, noi siamo pronti, — rispose Harry.
— Anche voi, gambusino? — chiese John.
— Un buon rifle l’ho anch’io e sono un ottimo tiratore, — rispose Nuvola Rossa.
— Andiamo, camerati. —
John si sporse fuori dall’apertura e prima di lasciarsi scivolare giù dalla parete si mise in ascolto.
Il grizzly non doveva essere lontano, poichè i suoi brontolii giungevano distintamente agli orecchi del gigante.
Benchè gravemente ferito, sapeva di possedere ancora tanto vigore da impegnare la lotta coi suoi avversari, ed aspettava che si mostrassero per piombare loro addosso.
— Non fate rumore nel lasciarvi cadere, — disse John, volgendosi verso i compagni. — Se alla prima scarica non cade, rifugiatevi nuovamente qui.
Siete pronti?
— Anzi impazienti di rivedere l’amico peloso, — rispose Harry per tutti.
Il gigante si aggrappò ai rami dei nocciuoli selvatici e si lasciò scivolare fino sul cornicione.
I suoi compagni, l’uno dopo l’altro, furono lesti a seguirlo, puntando subito i rifles.
L’orso s’accorse certamente subito della vicinanza dei suoi avversari poichè mando un altro urlo rauco.
— In guardia!... — disse John. — Viene!... —
Un’ombra si proietto verso la parete, un’ombra gigantesca, poi il grizzly comparve, ritto sulle zampe posteriori, ciò che lo faceva parere una volta e mezzo più alto.
Il mostro perdeva sangue in abbondanza dalla mascella fracassata ed anche il lungo pelame del petto ne era tutto lordo.
I quattro avventurieri, per quanto risoluti a sostenere il terribile assalto di quel colosso, che doveva pesare quasi mezza tonnellata, ebbero un momento di esitazione e furono lì lì per volgere le spalle e darsi a fuga precipitosa.
Il timore di venire raggiunti e scaraventati tutti insieme in fondo al cañon, ciò che sarebbe stato facile ad un animale dotato di una forza così prodigiosa, li decise ad impegnare la lotta.
John fu il primo anche questa volta a far fuoco, e colpì il mostro all’altezza delle spalle, facendogli zampillare subito il sangue; poi fecero fuoco gli altri tre mirando al petto, in direzione del cuore.
Il grizzly, ricevendo quella scarica tiratagli quasi a bruciapelo, si arrestò di colpo allargando le sue zampe anteriori armate di formidabili unghioni, poi si piegò su sè stesso urlando spaventosamente e facendo oscillare la sua mascella fracassata in un modo orribile.
I quattro avventurieri si erano affrettati a battere in ritirata verso la nicchia dove era Minnehaha, che stava aggrappata ai rami per non perdere nulla di quella lotta straordinaria.
Avevano appena ricaricati i rifles, quando l’orso, con uno sforzo supremo si rialzò, e rimessosi sulle zampe posteriori, tornò a scagliarsi innanzi facendo rintronare il cañon di urla spaventose.
— Indietro!... — gridò John. — Non vi lasciate prendere!... —
Sparò una terza fucilata, poi volse le spalle facendo quattro o cinque salti indietro, ma non già coll’intenzione di abbandonare il campo della lotta poichè aveva impugnato subito il bowie-knife, un’arma tremenda, specialmente se maneggiata da un uomo dotato di una forza poco comune.
Harry e Giorgio fecero fuoco producendo all’orso nuove ferite, poi se la diedero essi pure a gambe levate, senza occuparsi della piccola indiana la quale, paralizzata dal terrore, non aveva nemmeno pensato a rifugiarsi in fondo alla nicchia.
Nuvola Rossa però era rimasto sul posto, pronto a farsi sbranare pur di difendere la figlia.
Vedendo il grizzly precipitarsi in direzione del rifugio ed allungare le zampe verso Minnehaha, lo affrontò con un coraggio disperato, urlando:
— Lascia andare!... —
Alzò il rifle e lo scaricò sul muso del bestione, fracassandogli la mascella superiore, poi gettata via l’arma ormai diventata inutile, quantunque fosse ben pesante avendo il calcio laminato d’acciaio, estrasse il machete, il coltellaccio spadiforme messicano che rassomiglia alla navaja spagnuola, e gli si gettò furiosamente fra le zampe anteriori, vibrando colpi all’impazzata.
Il bestione, già tutto grondante di sangue, col muso spaventosamente mutilato, ne aveva abbastanza, tanto più che i suoi occhi non gli servivano più.
Aveva girato due volte su sè stesso, avvicinandosi, senza saperlo, al cañon che gli stava dietro, pronto ad inghiottirlo.
Nuvola Rossa lo incalzava sempre, accoltellandolo ferocemente ed assordandolo con urla selvagge.
— Lascia andare!... — gridò ad un tratto John, il quale accorreva colla carabina puntata.
Un ultimo colpo di fuoco echeggiò.
Il grizzly che già si trovava sull’orlo del cornicione, mandò fuori dalla gola gorgogliante di sangue un altro urlo, poi il suo corpaccio, non più sorretto dalle zampe posteriori, si ripiegò e la massa enorme scomparve nell’abisso con un tonfo sordo, andando a stramazzare entro il torrentaccio.
— Che disgrazia!... — esclamò Giorgio, a cui la commozione non aveva ancora tolto l’appetito. — Ecco degli zamponi che se ne vanno e che noi non potremo arrostire con tutta questa fame che ci divora lo stomaco.
Fortunate coyotes che questa sera godranno una cena colossale! —
Anche i suoi compagni sembravano un po’ sconcertati e guardavano con rammarico molto evidente il villoso corpaccio dell’orso, emergente dalle acque del torrente.
— John, — disse Harry, mentre Nuvola Rossa si riprendeva sulle spalle Minnehaha ormai del tutto tranquilla — non perdiamo altro tempo ora che la via è libera.
Cerchiamo di raggiungere la miniera e di ritrovare non solo le nostre selle, ma anche i nostri cavalli.
— Tu dunque speri di rivederli? — chiese l’indian-agent.
— M’ingannerò, eppure io credo di rivederli ancora.
— Uhm!... Forse il mio.
— Ed i nostri?
— Vedremo. Orsù, in cammino subito e cerchiamo sopratutto di procurarci la colazione, poichè anch’io non sono meno affamato di voi.
— E di corsa, — disse Giorgio — se non mi volete veder morire di fame.
Dannato grizzly!... Poteva ben cadere qui, invece di regalare il suo corpaccio alle coyotes. —