Sulle frontiere del Far-West/CAPITOLO XVI - Il gran lago salato
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CAPITOLO XVI.
Il galoppo dei quattro cavalli, ripercosso sul terreno battuto del piazzale della miniera, aveva subito traditi gli avventurieri ed indicata agl’Indiani la direzione che avevano presa.
Ciò d’altronde era inevitabile, essendo la foresta lontana tre o quattrocento metri. Soprattutto l’indian-agent non si era fatta nessuna illusione di poter allontanarsi alla chetichella, ben sapendo che acutezza d’udito posseggono i pelli-rosse.
— Bah!... — mormorò, spronando vivamente il suo cavallone, il quale spiccava dei salti giganteschi che i due mustani di Harry e di Giorgio non riuscivano ad imitare. — Li faremo correre nella foresta. —
Gl’Indiani, dopo una brevissima fermata intorno alla tettoia, per ben accertarsi che non vi si fossero nascosti dei visi-pallidi, erano ripartiti con gran furia, urlando ferocemente e sparando all’impazzata attraverso la nebbia che saliva dalla prateria e che accennava a diventare sempre più densa.
I quattro avventurieri, raggiunto il margine della foresta, vi si gettarono dentro, cercando di tenersi in gruppo serrato, per non smarrirsi. Guai se qualcuno fosse rimasto indietro; nessuno dei suoi compagni si sarebbe sentito la voglia di andarlo a cercare!
John, come sempre, guidava la corsa ed il gambusino la chiudeva per tenere raccolti i due mustani, molto più deboli dei cavalloni, come velocità forse, ma non come resistenza, essendo la razza andalusa una delle migliori che esistano.
Cominciavano a spuntare i primi albori, quando i quattro avventurieri, dopo aver attraversate parecchie foreste che si erano succedute le une quasi di seguito alle altre, giunsero sul margine della prateria.
Una fitta nebbia ondeggiava al di sopra delle alte erbe, sbattuta e travolta da un forte vento di tramontana che scendeva dagli alti picchi della sierra Escalada, già rosseggianti sotto i primi raggi del sole.
— Ecco la nostra salvezza, finchè durerà, — disse John. — Cacciamoci in mezzo a questi vapori e vediamo se possiamo far perdere le nostre tracce a quei dannati vermi.
— Che siano ancora i Chayennes? — chiese Harry che gli stava presso, mentre i cavalli sparivano dentro il nebbione e le erbe.
— Io lo sospetto, — rispose l’indian-agent. — Solamente essi sapevano che ci eravamo rifugiati nella miniera.
— Che ci seguano fino al grande Lago?
— Certo, se non riusciremo a perderli per via.
— Quando speri di raggiungere il Lago?
— Questa sera, se gl’Indiani non ci avranno scotennati.
— E ci seguono sempre, John.
— Non sono sordo, camerata, quantunque io sia un po’ vecchio.
— M’inquieta una cosa, John.
— Indovino quello che vuoi dire, — rispose l’indian-agent. — Ah!... Se quei maledetti mustani selvatici non avessero data la caccia ai nostri, noi potremmo far fare dei bei salti ai Chayennes.
— Sei uno stregone, — disse Harry.
— Perchè ho indovinato il tuo pensiero?
— Sì, John.
— Bah!... Galoppano bene, almeno per ora. Speriamo che resistano quanto quelli dei vermi rossi.
Abbiamo già un notevole vantaggio e faremo il possibile per conservarlo.
— Purchè i Chayennes non diano ancora fuoco alla prateria!...
— Sono dietro di noi e dovrebbero fare anche essi i conti colle fiamme, e poi questa nebbia avrà ben inumidita l’erba.
Hop!... Hop!... Forza, camerati!... Ci sono alle calcagna!... —
I quattro cavalli, quantunque avessero avuto poche ore di riposo, galoppavano magnificamente, tuffandosi sempre più nella nebbia ed aprendosi un largo solco fra le altissime erbe della sconfinata pianura.
Anche gl’Indiani però non si tenevano dallo spingere a corsa sfrenata i loro mustani.
Quantunque non potessero scorgere i fuggiaschi, che le masse di vapore proteggevano, dovevano aver scoperto lo squarcio aperto tra le alte erbe, poichè le loro grida giungevano sempre e quasi ad eguale distanza.
Qualche colpo di fucile di quando in quando veniva sparato, con esito sempre negativo; però poteva anche darsi il caso che qualche proiettile giungesse a destinazione.
Un’altra ora, lunga quanto una giornata pei fuggiaschi, era già trascorsa, quando la nebbia, che fino allora si era mantenuta bassissima, cominciò ad alzarsi ed a disperdersi.
— By-good!... ― bestemmiò John, mordendosi i baffi. — Ancora pochi minuti e gl’Indiani ci scopriranno.
— Come va il tuo cavallo? — chiese Harry.
Pare che abbia un vivissimo desiderio di salvare la capigliatura al suo padrone, ― rispose l’indian-agent.
— Resisterà fino sulle rive del grande Lago Salato?
— Fulmini d’inferno!... Nemmeno quelli dei vermi rossi avranno delle gambe d’acciaio, suppongo. In qualche luogo rallenteranno o si fermeranno.
— Ah!... Ci siamo.
— Che cos’hai?
— Si cominciano a scorgere.
— Molti?
— Niente affatto, — rispose lo scorridore. — Sono appena una ventina.
— Troppi ancora per dare loro battaglia. Se avessero le sole lance o gli archi, la cosa sarebbe ben diversa, ma colle palle non vi è molto da scherzare. —
Si alzò sulle staffe e si volse, lanciando un rapido sguardo fra le ultime ondate di nebbia che la tramontana disperdeva rapidamente.
Un drappello di cavalieri, i quali avevano le teste adorne di piume variopinte ed intorno alla fronte dei cerchi di metallo, probabilmente di puro oro, si avanzava a gran galoppo attraverso l’ampio solco aperto fra le erbe dai cavalli dei fuggiaschi.
Non erano più d’una ventina, però erano tutti formidabilmente armati, possedendo carabine, pistole e coltelli da scotennare e perfino dei tomahawah.
— Sono in pieno assetto di guerra, — borbottò l’indian-agent, aggrottando la fronte. — Come faremo a sbarazzarci da queste mignatte?
— Sono Chayennes, è vero? — chiese Harry.
— Forse non tutti, — rispose John. — Io temo che vi siano fra di loro anche degli altri Indiani.
— Degli Sioux?
— Non te lo saprei dire. Potrebbero essere invece degli Arrapahoes.
Siamo già vicini alla regione percorsa dai guerrieri di Mano Sinistra.
— Bel nome!...
— Che fa diventare neri di spavento i poveri emigranti, invece di farli impallidire.
Si dice che quel terribile brigante del Lago abbia strappato non meno di cinquanta capigliature e che il suo wigwam sia in gran parte intessuto con capelli umani.
— Se lo incontreremo ci guarderemo bene da lui, pur cercando di bucargli la caldaia che gli serve da cranio.
— Taci e sostieni il tuo mustano. Se cade, sei finito.
— Povera bestia!... Comincia a sentire la stanchezza.
— Ed il mio pure.
— Se provassimo a sparare qualche colpo?
— No: serba la polvere per ora, — rispose John.
Poi alzando la voce, gridò:
— Ohè, camerati!... Badate alle palle e seguitemi sempre. Allargate bene le gambe ed allentate le briglie se.... —
Le sue ultime parole furono coperte da una violentissima scarica di fucili.
Gl’Indiani, quantunque fosse rimasti indietro in causa del nebbione che aveva impedito loro di scoprire e seguire subito i fuggiaschi, si provavano a sparare colla speranza di abbattere, se non i cavalieri, sapendosi pessimi tiratori, almeno i cavalli i quali offrivano un bersaglio più facile.
Era però polvere sprecata, correndo più d’un migliaio di metri fra i due drappelli.
— Lasciateli fare!... — gridò John, vedendo che anche Giorgio armava il suo rifle. — Qui si tratta più di gambe che di piombo. —
I due cavalloni ed anche i due mustani, quantunque cominciassero a dare segni evidenti di essere assai stanchi, resistevano ancora tenacemente, anzi ad ogni scarica di carabine allungavano la corsa, e non già perchè si spaventassero, essendo ormai abituati a quelle cacce rumorose.
Non dovevano però durare a lungo, anche perchè costretti ad aprirsi il passaggio attraverso le alte erbe della prateria, le quali opponevano, di tratto in tratto, non poca resistenza. Era vero che l’urto principale lo sosteneva il cavallone di John, il quale col suo larghissimo petto sfondava furiosamente le jucche e soprattutto le dure asfodele, che somigliano all’aloè senza eccettuarne la lunga asta, in capo alla quale portano un bellissimo fiore.
Fortunatamente anche i cavalli degl’Indiani non parevano trovarsi in migliori condizioni, poichè quantunque vigorosamente aizzati con grida, con colpi di tallone e con colpi di briglia che scoppiettavano sonoramente, non riuscivano a guadagnare gran che sui fuggiaschi.
Altre due ore trascorsero, con un notevole rallentamento da una parte e dall’altra, fra continui colpi di fucile sparati sempre dagli Indiani, poi il cavallone di John si fermò ad un tratto.
— By-good!... — bestemmiò l’indian-agent, tentando un colpo di sperone.
Il cavallo mandò un lungo nitrito di dolore, s’impennò, poi invece di andare innanzi retrocesse urtando il mustano di Harry in così malo modo da farlo scartare.
— John!... — gridarono i due scorridori della prateria, mentre Nuvola Rossa afferrava Minnehaha e se la poneva dinanzi alla sella, per paura che qualche palla la cogliesse. — Sprona!...
— Non va più innanzi!... — gridò l’indian-agent, con voce atterrita.
— Che cosa c’è dunque? — chiese Harry.
— L’erba è alta dinanzi a me e non posso vedere.
— Un lazo teso?
— Ah, no salterebbe!... Bruciate un po’ di polvere per trattenere per qualche istante quei vermi.
Ohè, gambusino, aiutate i camerati e lasciate che la piccina se la prendano i suoi compatriotti, se vi dà qualche fastidio. —
Balzò di sella e si lasciò cadere fra le erbe che in quel luogo erano fitte assai ed alte quasi cinque piedi, mentre i due scorridori, con un rapido volteggio cambiavano di posto, mettendosi anche essi a sparare.
Abilissimi bersaglieri, come tutti i cacciatori della prateria, in pochi colpi gettarono a terra i primi cinque cavalli della banda indiana, smontando i loro padroni.
Anche il gambusino, per non sollevare dei sospetti, aveva cominciato a bruciare della polvere: chissà però dove andavano a finire i suoi proiettili!
Mentre Harry e Giorgio tenevano risolutamente fermo, costringendo gl’inseguitori a rallentare, l’indian-agent si era spinto innanzi per esplorare il terreno che le erbe nascondevano.
— Le sabbie!... — esclamò. — Saranno mobili o noi potremo passare? Non mi aspettavo una così brutta sorpresa.
By-good!... Ecco che le faccende cominciano ad imbrogliarsi maledettamente!... Eppure bisognerà passare, se vorremo raggiungere il Lago! —
Tornò verso il cavallo e rimontò in arcione, gridando ai suoi compagni, i quali non cessavano di sparare, frenando sempre l’avanzata, ormai non troppo impetuosa, dei Chayennes.
— Lasciate andare e seguitemi. O affogheremo nel fango o vedremo fra poco il Lago.
Chi non ha paura sproni.
— Aspetta un momento, John, — gridò Harry. — Lasciamo respirare un po’ le nostre bestie.
— Ma respireranno anche quelle dei vermi rossi, — rispose l’indian-agent. — No, mio caro, io salto. —
Il cavallone s’inalberò sotto un vigoroso colpo di sperone, poi si gettò risolutamente in quella specie di savana erbosa, facendo schizzare in aria dei larghi sprazzi di fango.
I due mustani ed anche il cavallone di Nuvola Rossa non indugiarono ad imitarlo, sprofondando fino sopra le ginocchia.
— Là, — disse John — ci deve essere qualcuno che ci protegge. Credevo di cadere in mezzo a degli strati di sabbie mobili e di scomparire per sempre.
Forse vi è una costa sotto di noi: speriamo che il cavallo la segua. —
I Chayennes, vedendoli arrabattarsi in mezzo alla fanghiglia, si erano fatti animosamente innanzi, sparando sempre qualche colpo di carabina, ma giunti sul margine della savana si erano arrestati, temendo senza dubbio anche essi di venire assorbiti dalle terribili sabbie mobili insieme alle loro cavalcature.
Furiosi di vedersi sfuggire le prede che si tenevano quasi sicuri di raggiungere e di scotennare, dopo aver invano sprecata dell’altra polvere, scesero dai loro cavalli, e accertatisi che il vento aveva girato ad oriente, ricorsero al vecchio mezzo di dar fuoco alle erbe, quantunque ben poco potessero sperare essendo la savana troppo umida.
Colonne di fumo non tardarono ad alzarsi lungo i margini della fanghiglia, poi le fiamme cominciarono a crepitare, formando delle vaste cortine le quali però non accennavano affatto ad avanzare, quantunque il vento, abbastanza forte, tentasse spingerle in direzione del gran Lago Salato.
I quattro fuggiaschi, per nulla preoccupati di quell’incendio che avvampava alle loro spalle, continuavano la loro marcia attraverso la savana, reggendo i cavalli meglio che potevano.
Di quando in quando la costa, formata da qualche buon strato di tufo o d’altro calcareo, veniva meno, ed i poveri animali affondavano pesantemente fino al ventre, rimanendo per qualche po’ immobili.
Erano quelli momenti terribili che facevano sudare freddo perfino l’indian-agent, poichè le sabbie mobili potevano trovarsi nascoste lì sotto quel velo d’acqua fangosa ed inghiottirli.
A furia di urla e di colpi di sperone, gli avventurieri riuscivano però a ricondurre i loro mustani sulla costa ed a farli nuovamente avanzare.
Intanto l’incendio si estendeva lungo i margini della savana, coprendo il cielo di fumo e di scintille, arrestandosi però sempre dinanzi al velo d’acqua.
In quanto agl’Indiani, dopo essersi affumicati per bene, erano scomparsi.
Per quattro ore gli avventurieri non cessarono di dibattersi in mezzo alla fanghiglia, poi la costa cominciò ad allargarsi, le piante perdettero il loro colore giallastro ritornando d’una splendida tinta smeraldina, quindi il suolo si rassodò quasi improvvisamente, coprendosi di immense distese di salvie e di erba menta.
Dinanzi agli avventurieri si stendeva la rolling-prairie, ossia la prateria ondulata, dove non potevano più correre alcun pericolo d’incontrare delle savane.
— Camerati!... — gridò John, con voce allegra. — Il Lago sta di fronte a noi!...
— Lo vedi? — avevano chiesto ad una voce Harry e Giorgio, i quali erano subito balzati a terra per non sfinire completamente i loro mustani.
— Sì, lo vedo già delinearsi fra quelle due collinette che si aprono dinanzi a me.
Se non incontriamo ora le orde degli Arrapahoes, noi potremo raggiungere l’hacienda e compiere la missione affidataci da quel disgraziato colonnello.
— Se giungeremo in tempo, — disse Harry.
— Io ho molta speranza.
— Credi che non sia stata ancora assalita?
— Se gli Arrapahoes non hanno ancora ricevuto nessun messo da parte di Yalla, non si saranno spostati tanto verso il sud per dar fuoco ad una fattoria.
In tale modo ritarderebbero la loro congiunzione coi Chayennes e cogli Sioux, e non credo che Mano Sinistra sia così sciocco da perdere tanto tempo mentre la guerra deve infuriare al nord.
— Conoscete questo guerriero? — chiese Nuvola Rossa che, come al solito, ascoltava senza prendere mai parte alle conversazioni.
— Io non l’ho mai veduto: e voi?
— Sono stato suo ospite un giorno, ma allora l’ascia di guerra non era stata dissotterrata e visi-pallidi e visi-rossi vivevano, almeno apparentemente, in pace.
— Avete fumato con lui il calumet? (la pipa della pace), — chiese Harry.
— Sì, — rispose il capo dei Corvi.
— Allora voi potreste, all’occorrenza, renderci qualche prezioso servizio in caso di pericolo, — disse l’indian-agent.
— Può darsi.
— Riparleremo più tardi di questo, se certe circostanze s’imporranno. Per ora cerchiamo di raggiungere le rive del Lago.
Là ci troveremo più al sicuro. —
Guardò il sole il quale stava per tramontare fra una nuvola intensamente rossa, che il vento di levante gonfiava a vista d’occhio, spingendola in direzione del Lago, poi disse:
— Orsù, un ultimo sforzo: poi i cavalli si riposeranno. —
Saltarono a terra tutti e si avanzarono verso ponente, salendo e discendendo i dolci avvallamenti della rolling-prairie, cosparsi d’immensi cespi di rose selvatiche, di tappeti di festuca e di sacarte che rassomigliano alle euforbie.
Due ore dopo, completamente sfiniti e, quello che era peggio, affamati come lupi, giungevano finalmente sulle rive del grande Lago Salato.