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148 | EMILIO SALGARI |
— Lascia andare!... — gridò ad un tratto John, il quale accorreva colla carabina puntata.
Un ultimo colpo di fuoco echeggiò.
Il grizzly che già si trovava sull’orlo del cornicione, mandò fuori dalla gola gorgogliante di sangue un altro urlo, poi il suo corpaccio, non più sorretto dalle zampe posteriori, si ripiegò e la massa enorme scomparve nell’abisso con un tonfo sordo, andando a stramazzare entro il torrentaccio.
— Che disgrazia!... — esclamò Giorgio, a cui la commozione non aveva ancora tolto l’appetito. — Ecco degli zamponi che se ne vanno e che noi non potremo arrostire con tutta questa fame che ci divora lo stomaco.
Fortunate coyotes che questa sera godranno una cena colossale! —
Anche i suoi compagni sembravano un po’ sconcertati e guardavano con rammarico molto evidente il villoso corpaccio dell’orso, emergente dalle acque del torrente.
— John, — disse Harry, mentre Nuvola Rossa si riprendeva sulle spalle Minnehaha ormai del tutto tranquilla — non perdiamo altro tempo ora che la via è libera.
Cerchiamo di raggiungere la miniera e di ritrovare non solo le nostre selle, ma anche i nostri cavalli.
— Tu dunque speri di rivederli? — chiese l’indian-agent.
— M’ingannerò, eppure io credo di rivederli ancora.
— Uhm!... Forse il mio.
— Ed i nostri?
— Vedremo. Orsù, in cammino subito e cerchiamo sopratutto di procurarci la colazione, poichè anch’io non sono meno affamato di voi.
— E di corsa, — disse Giorgio — se non mi volete veder morire di fame.
Dannato grizzly!... Poteva ben cadere qui, invece di regalare il suo corpaccio alle coyotes. —