Sulle frontiere del Far-West/CAPITOLO XIII - Ore d'angoscia

CAPITOLO XIII - Ore d'angoscia

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CAPITOLO XIII.


Ore d’angoscia.


In riva allo stagno, alla destra degli avventurieri, sorgeva infatti una roccia, non di dimensioni gigantesche, ma sufficientemente larga verso la sua cima per dar asilo ai quattro uomini.

Se la piena continuava, quella roccia doveva essere l’ultima a venire sommersa, quindi i quattro fuggiaschi e la fanciulla indiana potevano avere ancora qualche speranza di salvare la pelle, come aveva già detto John.

Caricatisi dei loro sacchi da viaggio e delle armi, attraversarono quattro o cinque profonde spaccature, in fondo alle quali gorgogliava dell’acqua più nera dell’inchiostro e si misero a scalare frettolosamente la rupe, aiutandosi l’un l’altro, poichè era abbastanza ripida.

Come l’indian-agent aveva supposto, la cima che pareva fosse stata violentemente mozzata dalla scure di qualche titano, toccava quasi la volta della caverna ed era abbastanza larga per contenerli tutt’e cinque, quantunque un po’ a disagio.

— Ecco il nostro campo — disse Harry, il quale non aveva perduto totalmente il suo buonumore. — Che peccato non poter fumare nè accendere un po’ di fuoco per asciugarci!

— Ed arrostire il famoso zampone d’orso che non vedo più pendere dalle spalle di tuo fratello — aggiunse John.

— L’ho lasciato andare durante la traversata del Mar Morto — rispose il giovane scorridore. — Nessuno l’avrebbe mangiato crudo, quindi era inutile conservarlo.

— Avete commesso una grave imprudenza — disse Nuvola Rossa. — Quando la fame tenaglia lo stomaco anche la carne cruda non è da disprezzarsi.

Sapete bene che non abbiamo cenato, nè fatto colazione!

— Non ho avuto finora il tempo di accorgermene; e poi, se credete, potete andar a cercare lo zampone in fondo al Mar Morto.

Non ci saranno qui dei caimani e potreste forse ancora ritrovarlo. —

Il capo dei Corvi fece una smorfia senza aggiungere sillaba e si strinse al fianco Minnehaha, la quale tremava pel freddo e batteva, [p. 128 modifica]di quando in quando, i suoi dentini candidi come quelli d’un giovane cane della prateria.

Intanto il livello delle acque non cessava di alzarsi e con una rapidità inquietante.

Non avendo nessun sfogo, il Mar Morto era costretto ad accogliere nel suo seno tutti gli scoli della miniera, diventati torrentacci in causa dell’uragano che si era scatenato nella prateria.

Da tutte le parti l’acqua precipitava scrosciando; perfino dalle vôlte cadevano dei larghi zampilli, i quali rumoreggiavano stranamente nella caduta.

Le rocce, che circondavano lo stagno, si coprivano a vista d’occhio. La riva che si trovava dinanzi alla galleria della miniera era ormai scomparsa.

Se l’uragano non cessava al più presto, la caverna correva il pericolo di venire interamente sommersa.

I quattro disgraziati e la piccola indiana, stretti gli uni contro gli altri e continuamente bagnati dai goccioloni che filtravano anche sopra di loro, guardavano con terrore l’incessante alzarsi delle acque, domandandosi in cuor loro, angosciosamente, come sarebbe finita quell’avventura.

Morire in faccia al sole, in un combattimento sanguinoso, fra il verde della prateria, fra l’ebbrezza che dà la polvere, è una bella morte; finire sottoterra, fra l’oscurità, fra i detriti del carbone, senza poter lottare, senza nulla poter tentare, non garbava nemmeno alla piccola e battagliera Minnehaha. Per più di un’ora John ed i due scorridori della prateria, di solito così ciarlieri, non scambiarono una parola. Erano tutti troppo assorti nell’osservare le acque ed anche, dobbiamo dirlo, troppo spaventati, per osare di comunicarsi i loro pensieri.

Fu Nuvola Rossa che pel primo ruppe quel lunghissimo silenzio.

— Non vi pare che si cominci a soffocare? ― chiese, dopo aver cercato senza riuscirvi, di empire per bene i suoi larghi polmoni.

— Ma sì, ― disse Harry. ― È già da un po’ che il mio petto funziona male.

Che sia il grisou, John?

— No, — rispose l’indian-agent.

— Ed allora come spieghi la cosa? —

Il gigante esitava a parlare.

— Di’ qualche cosa, camerata, — insistette Harry.

— Guarda la lampada, ― rispose finalmente John. — La sua luce è brillante come prima?

— Comincierebbe a mancare l’olio, forse?

— Ne abbiamo ancora per un paio d’ore e più.

— To’!... — disse in quell’istante Giorgio. ― Si direbbe che anche la lampada respira male come noi.

[p. 131 modifica]— E tu hai detto il vero, — rispose John. — L’aria viene meno a tutti e finirà per mancarci totalmente se le acque continueranno ad alzarsi.

— E la galleria dei serpenti? — chiese Harry.

— Sarà stata sommersa, almeno nella sua parte inferiore.

— Dovremo morire asfissiati?

— Tutto dipende dall’uragano.

— Tentiamo qualche cosa, John.

— Sì, l’impossibile.

— Credi tu che i sonagli si trovino ancora dentro il passaggio?

— L’avranno risalito e non certo abbandonato. Finchè la calma non sarà completamente ristabilita, non torneranno nella prateria; di questo ne sono certo.

— Sarebbe stato assai meglio che fossimo caduti di fronte agli Sioux sui monti del Laramie, col colonnello ed i nostri camerati. —

John si era alzato, allargando le formidabili braccia muscolose.

— Hai sempre paura tu, della morte? Giungerà forse, ma per tua regola non si deve disperare mai.

Ne ho vedute ben altre io, durante i miei quarant’anni, e come vedi sono ancora vivo.

— Ed intanto l’aria comincia a mancare.

— Respira solamente a metà.

— Che uomo straordinario! — esclamò Giorgio. — Chissà che dopo altri vent’anni di corse attraverso la prateria non gli rassomigliamo.

— Già, siete ancora troppo giovani, — osservò l’indian-agent, spalancando la bocca per assorbire maggior ossigeno che gli era possibile. — Ci vuole un po’ di pazienza, diamine!... Dopo tutto non siamo ancora morti.

— Morremo però fra poco, — disse il gambusino, con voce cupa.

— Nessuno ve l’ha ancora assicurato, — rispose John, un po’ acremente.

— Questa fanciulla respira male.

— Se ne vada al diavolo!... Appartiene alla razza che cercava di scotennarci.

— È una ragazza.

— Una vipera forse. —

Nuvola Rossa fece uno sforzo supremo per non tradirsi. Forse, in un altro momento, sarebbe scattato coll’impeto feroce dell’orso grigio.

Si morse le labbra e non pronunciò più nessuna parola.

John teneva gli occhi fissi sulla lampada, per vedere se si abbassava. Ad un tratto un grido gli sfuggì:

— Rivive!...

— Chi? — domandarono ad una voce i due scorridori della prateria.

[p. 132 modifica]— Il lume!...

— E l’acqua?

— Non aumenta più, — aggiunse Nuvola Rossa, il quale si era curvato verso il Mar Morto.

— Ed i tuoni sono cessati, come pure i muggiti dei torrenti, — osservò Giorgio. — Che la fortuna ci assista? —

L’indian-agent si trascinò fino sull’orlo della roccia e si provò ad abbassare la lampada di qualche metro.

— Brucia egualmente, — disse, sussultando. — Vuol dire che l’inondazione è cessata o che si è prodotta qualche frana e che l’aria entra egualmente.

— Non morremo almeno asfissiati, — soggiunse Harry.

— Se non morremo invece annegati, — rispose l’indian-agent. — L’uragano può ricominciare e gettarci qui dentro tanta acqua da tramutare il Mar Morto in una vera tomba.

Intanto contentiamoci di respirare.

— O meglio, di prolungare la nostra agonia, — aggiunse Harry.

John scrollò le spalle ed alzò la lampada, osservando la vôlta.

— To’!... — esclamò, dopo un breve silenzio. — Nessuna frana è avvenuta sopra le nostre teste.... Da dove viene quest’aria? Che il passaggio cominci a rimanere scoperto?

Se i serpenti non ci saranno più, scapperemo da quella parte, avanti che succeda qui qualche spaventevole disastro.

— Bisognerebbe essere prima ben certi che non ci siano più, — disse Harry.

— Si manda un esploratore.

— Dentro quel budello tappezzato di rettili stillanti veleno!... Brrr!... Chi ci andrà?

— Io, — rispose tranquillamente l’indian-agent.

— E se si trovano ancora là?

— Mi getto di nuovo in acqua e siccome non sono anguille, i sonagli saranno costretti a lasciarmi tranquillo.

— E voi, gambusino, che dovete essere familiarizzato con tutti i serpenti della sierra, non vi sentireste l’animo di risparmiare una tal gita al nostro camerata? — chiese Harry a Nuvola Rossa, il quale fingeva di essere diventato sordo.

— Io non vado che dove so di trovare delle miniere d’oro.... — rispose seccamente l’indiano. — E poi, — aggiunse dopo qualche istante — devo vegliare sulla piccina.

— V’interessa questa ragazza?

— L’amo già come se fosse carne della mia carne.

— Ciò, dopo tutto, non mi stupisce, poichè dovete avere nelle vostre vene una buona dose di sangue indiano, — disse John.

― Io non ho mai contato le gocce che derivano dagli uomini bianchi o rossi e che ho ereditate da mio padre e da mia madre.

[p. 133 modifica]— Vi credo, — soggiunse Harry.

— Basta, camerati, — disse John. — Non sarà colle chiacchiere che noi riacquisteremo la nostra libertà.

Io vado, ma dovrò portare con me la lampada.

— Non abbiamo ormai più paura delle tenebre, — rispose Giorgio.

— Aiutatemi dunque a scendere: la roccia è troppo scabrosa e potrei cadere insieme alla lampada. —

Harry aprì il suo sacco da viaggio e trasse il lazo, una solida fune, piuttosto rigida, che terminava in un anello di ferro.

— Non hai che da attaccarti a questa — disse.

L’indian-agent osservò un’ultima volta la superficie delle acque, prese colla sinistra la lampada, si mise fra i denti il coltellaccio americano e, stringendo colla destra il lazo, si lasciò scivolare dolcemente lungo la parete rocciosa, immergendosi lentamente.

I suoi compagni lo videro prima compiere un semicerchio come se cercasse di orizzontarsi, poi allontanarsi in direzione del passaggio e quindi scomparire insieme alla luce che lo attorniava.

— È già entrato, — disse Harry al fratello. — Ha del fegato quel diavolo d’uomo.

— Purchè non venga assalito da quei maledetti crotali, — rispose Giorgio. — Nessuno lo salverebbe di certo. —

Si erano curvati sulla roccia ed aspettavano ansiosamente di rivedere la luce della lampada. Anche Nuvola Rossa e Minnehaha avevano lasciato il loro posto e manifestavano una certa ansietà.

Ad un tratto, fra i muggiti delle acque, risuonò la voce poderosa del gigante:

— Siamo salvi!... —

Poi un istante dopo la luce della lampada riapparve a cento o centocinquanta metri dalla roccia.

— Se ne sono andati? — gridò Harry.

— Sì, camerata: non ve n’è più uno.

— Hai risalito tutto il passaggio?

— Fino all’orlo dell’abisso.

— È tramontato il sole?

— Io credo anzi che stia per spuntare. Calatevi in acqua e ritirate il lazo che può diventare, più tardi, più prezioso dei nostri rifles. —

Nuvola Rossa si ricaricò sulle spalle Minnehaha, prese il suo sacco e le sue armi e si calò pel primo, aiutandosi colla fune, poi lo seguirono i due scorridori della prateria, i quali non avevano mancato di obbedire a John.

Guidati dalla luce della lampada, la quale sembrava un piccolo faro scintillante in una notte burrascosa, i fuggiaschi non tardarono a raggiungere il tanto sospirato passaggio che avrebbe dovuto ricondurli, più tardi, nella non meno sospirata prateria.

— Ci siete tutti? — chiese l’indian-agent.

[p. 134 modifica]— Non manca nessuno, — rispose Giorgio, che era giunto ultimo, avendo dovuto ritirare il lazo.

— Ebbene, io non posso assicurarvi di non incontrare sulla nostra via, andando più innanzi, qualche rettile; quindi state in guardia.

— Piuttosto di tornare nella miniera, darò battaglia a tutti i sonagli del Far-West, — disse Harry. — Ne ho avuto abbastanza del tuo Mar Morto!...

— Allora lasciate in pace i riflesed impugnate piuttosto i bowie-knife. Sono più vantaggiosi nei a corpo a corpo.... — rispose John. — Su, camerati, andiamo a vedere se il sole si decide a spuntare. —

La lampada cominciava a crepitare, segno evidente che ormai l’olio era terminato; perciò i quattro uomini e Minnehaha, temendo di trovarsi all’oscuro da un istante all’altro e col pericolo di mettere i piedi su qualche crotalo senza poterlo scorgere, si slanciarono attraverso il passaggio il quale conservava un’ampiezza sufficiente, quantunque salisse ripidamente e le sue pareti avessero, di tratto in tratto, delle sporgenze considerevoli.

L’indian-agent, pure affrettando il passo, guardava dentro le spaccature che si incrociavano lungo il pendìo in tutte le direzioni, sempre per paura di veder rizzarsi qualche serpente a sonaglio e di dover subire un attacco fulmineo, possedendo quei rettili un’agilità straordinaria, ciò che li rende doppiamente pericolosi. Dopo dieci minuti, e quando già la fiamma non dava più che qualche guizzo luminoso, i fuggiaschi si trovarono improvvisamente all’aperto.

— Fermi!... — gridò John. — Abbiamo un abisso davanti a noi! —

L’alba non era ancora spuntata, però cominciavano a diffondersi pel cielo i primi riflessi dell’aurora, i quali permettevano di discernere i profili, ancora neri, della sierra Escalada.

— Ehi, John, — chiese Harry, il quale si era ben guardato di fare un altro passo innanzi. — Dove siamo noi dunque?

— Su una specie di cornicione che si prolunga verso la nostra destra e che ci permetterà di raggiungere la montagna sovrastante alla miniera.

— Non avremo dunque bisogno di romperci le gambe in fondo all’abisso.

— Niente affatto, quantunque la via che dovremo percorrere non sia una delle più comode, nè delle più sicure.

— Ed i serpenti? — chiese Giorgio. — Dove si saranno rifugiati?

— Stavo appunto cercandoli, — rispose l’indian-agent. — Ah!... I furfanti!... Venivano dall’abisso ed ora stanno ridiscendendo la parete lasciandosi scivolare entro un minuscolo cañon.

Guardateli, camerati!... Se ci davano un assalto, poveri noi! —

I due scorridori della prateria ed anche Nuvola Rossa si curvarono sull’abisso, il quale pareva fosse molto profondo e percorso da qualche grosso torrente a giudicarlo dai muggiti che salivano, e poterono [p. 135 modifica]scorgere, un po’ vagamente, una vera colonna di crotali, la quale si era incanalata in un fianco della parete rocciosa scendente non a picco.

— Ve ne sono delle centinaia là dentro!... — esclamò Harry, facendo un gesto di spavento. — Se avessero invasa la miniera o per lo meno le rive del Mar Morto? Mi sento correre un brivido per le ossa solamente a pensarci...

John, vestiamoci alla svelta ed andiamocene.

— Non arresteranno la marcia finchè non avranno raggiunti i loro covi — rispose l’indian-agent.

— Ti credo volentieri, però preferisco trovarmi al più presto ben lontano... Ah! E i nostri cavalli? Credi tu che gl’Indiani li abbiano catturati?

— Si saprà quando avremo girata la miniera... Può darsi, che essendo quasi subito scoppiato l’uragano, abbiano potuto sfuggire ai lazos di quei vermi.

Dove saranno scappati? Ecco quello che vorrei sapere anch’io.

— Suvvia, vestitevi e seguiamo questo cornicione che lambe l’abisso per parecchie miglia.

Vi avverto che chi soffre le vertigini può far ritorno alla miniera.

— Oh, mai!... — protestarono Giorgio ed Harry.

Nuvola Rossa rispose con una delle sue solite alzate di spalle.

Si pulirono alla meglio della polvere di carbone che imbrattava i loro corpi e che il vento pungente che scendeva dalle alte cime della sierra aveva subito disseccata, ed indossarono i loro vestiti, quantunque fossero ancora bagnati.

Prima loro precauzione fu di cambiare le cariche ai rifles, potendo trovarsi, da un momento all’altro, di fronte a qualche animale pericoloso, perchè, specialmente i grossi, preferiscono i luoghi deserti fiancheggiati dai cañones.

Il sole faceva la sua comparsa fra i due più alti picchi della sierra, quando i quattro avventurieri e la piccola indiana si misero in marcia, ansiosi di ridiscendere verso la prateria, spinti da una vaga speranza di riveder galoppare, ancora liberi, i loro cavalli.

Il cornicione che s’appoggiava alla roccia da una parte e che scendeva a picco dall’altra nell’abisso, era così stretto da permettere a malapena il passaggio ad un uomo per volta, ed inoltre, di quando in quando, era interrotto da crepacci abbastanza profondi scavati da furiosi torrenti sboccanti da un gran numero di piccole caverne, asili un giorno d’orsi, di giaguari o di coguari.

Tenendosi sempre bene addossati alla parete ed aiutandosi l’un l’altro, i quattro avventurieri avevano già percorso qualche miglio e stavano girando un acuto sperone che formava un grande angolo, quando John, che precedeva sempre il drappello, si fermò bruscamente, facendo un gesto poco rassicurante.

[p. 136 modifica]— Che cos’hai, camerata? — domandò Harry. — Vuoi spaventarci ad ogni passo che facciamo?

— Non sono un novellino della prateria e nemmeno delle sierre, — rispose con voce grave l’indian-agent.

— Insomma che cos’hai veduto per fermarci proprio qui, dove vi è appena il posto per passare?

— Ho udito.

— Il sibilo d’un altro serpente a sonaglio? — chiese Giorgio.

Invece di rispondere John si volse verso il gambusino, o meglio a Nuvola Rossa, e gli chiese:

— Avete udito, voi che siete pratico dei cañon, delle sierre e delle bestie che li frequentano? —

Nuvola Rossa ascoltava di già.

L’Indiano aveva un orecchio non meno acuto del gigante ed aveva trasalito già un paio di volte.

— Ho udito, — disse finalmente.

— Come un sordo nitrito, è vero?

— Sì.

— Che sia il vecchio old Ephraim?

— Non so che cosa vogliate dire, — rispose Nuvola Rossa. — Per me quel nitrito non può averlo mandato che un grizzly.

— Un orso grigio!... — esclamarono ad una voce Giorgio ed Harry, impallidendo.

— Sì, un orso grigio, — riconfermò l’Indiano. — State in guardia: se ci attacca qui, su questo cornicione, ci getterà tutti nell’abisso.

— Aspettatemi, — disse John.

— Che cosa vuoi fare, camerata? — chiese Harry.

— Assicurarmi se ci siamo ingannati e se la via è sgombra.

— Solo?

— Cercate intanto un rifugio qualsiasi. Abbiamo vedute diverse spaccature che potrebbero condurre in qualche caverna.

Tenete pronti i riflese non temete per me: ho le gambe buone. —

L’indian-agent, nonostante le proteste dei due scorridori della prateria, si avanzò intrepidamente, tenendo un dito sul grilletto della carabina, e girò la punta estrema dello sperone che s’avanzava sopra l’abisso, lasciando appena un piccolo passaggio; ma tosto si fermo colpito da un terrore non facile a descriversi.

Un animale enorme, d’aspetto ferocissimo, s’avanzava, grugnendo e nitrendo, lungo il cornicione che gli avventurieri dovevano percorrere, chiudendo completamente, col suo corpaccio, l’angusto passaggio.

Era un gigantesco grizzly, o meglio un orso grigio, che voleva forse raggiungere il suo covo situato sul margine del profondo cañon.