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140 EMILIO SALGARI

Vivono, questi terribili plantigradi, per lo più sulle montagne, sulle sierre o dentro i profondi cañon, però non è raro incontrarli perfino in vicinanza delle terre polari dove, cosa strana, si accoppiano con quelli bianchi, formando una razza bastarda che è la giallastra.

Al pari degli altri, d’inverno cadono in un profondo letargo e si rifugiano in qualche crepaccio ed è appunto quando si risvegliano che diventano pericolosissimi.

Spinti dalla fame, dopo d’aver seguito le rive dei fiumi, essendo più abili pescatori che arrampicatori, assalgono con ferocia incredibile uomini ed animali, e guai a chi cade fra le loro zampe, poichè la forza che posseggono è tale da spezzare con una stretta sola le costole più salde, perfino quelle d’un bisonte.

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L’indian-agent, vedendo il terribile animale avanzarsi sul cornicione, così grosso da ostruire il passaggio perfino ad un cane di prateria, si era prontamente ritirato, prima, per sua fortuna, di essere stato scorto.

In un batter d’occhio aveva girato sui talloni e si era slanciato verso i compagni i quali stavano cercando affannosamente un antro aperto nella muraglia rocciosa che fosse così capace da contenerli tutti.

— Eccolo!... — esclamò, con voce rotta.

— Chi? — chiese Giorgio.

— Il grizzly.

— Non ti eri ingannato, dunque? — chiese Harry.

— No: ho udito altre volte il fremito di quelle brutte bestie sulla Sierra Verde ed anche sulla Nevada.

— Grosso? — domandò il gambusino.

— Enorme. —

In quel momento si udì la piccola indiana, la quale già da qualche istante teneva gli occhi fissi su una fenditura della parete rocciosa, gridare:

— Là dentro: vi è posto per tutti!

— Sarebbe una grande fortuna, — disse John, slanciandosi innanzi.

— Dentro!... Dentro!... — esclamarono gli altri.

A due metri dal cornicione s’apriva infatti una specie di nicchia contornata da alcuni magri nocciuoli selvatici, che pareva che s’addentrasse nella parete basaltica.

I quattro uomini in un baleno si spinsero lassù, aiutando Minnehaha, e si precipitarono dentro quel rifugio scoperto in così buon punto.

Non si trattava d’una caverna, bensì d’un crepaccio, aperto forse dalle acque, largo appena qualche metro e profondo due o tre.