Storia di Torino (vol 1)/Libro III/Capo IV

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Capo Quarto


Distruzione di Testona nel 1228. — Eserciti milanesi in Piemonte nel 1230-31. — Moncalieri da loro edificata. — Tommaso i se ne impadronisce. — Sua morte. — Guerra tra Torino, Pinerolo e i loro aderenti da l’una parte, ed il conte di Savoia dall’altra. — Pace del 1235. — Amedeo iv rinunzia al vescovo ed al comune Torino ogni ragione che potesse avere su questa città.


Nei comuni la guerra appena risoluta potea co­minciarsi. Gittavansi i dadi per sapere a qual quar­tiere della città toccasse andar in oste, e il tratto a sorte subito s’allestiva a marciare seguendo il gonfalon del comune. Non così i Baroni, ai quali assai maggior tempo si richiedeva per congregare il loro bando, che dovea raccogliersi dai castelli seminati sui cucuzzoli delle rocche o in riva de’ fiumi, o tra paludi di non facile accesso, e dalle campagne.

Perciò poco potean fidarsi i comuni collegati degli aiuti promessi dal Delfino, i quali già per le condi­zioni delle milizie feudali dovean esser lenti, e per [p. 220 modifica]la lontananza riuscivan lentissimi. E diffatto igno­riamo se un solo soldato del Delfino sia mai com­parso a sostenere in Piemonte la parte guelfa.

Rei frutti portò invece quella lega a Testona. Asti e Chieri, radunato improvvisamente il loro sforzo, le giunsero addosso, e trovatala sprovveduta, e forse ignara d’aver il nimico alle porte, preser la terra, e tutta crudelmente la distrussero, primachè potes­sero i comuni confederati soccorrerla d’aiuto effi­cace. E in quella occasione i Cheriesi trascorsero all’empietà di spogliar la chiesa testonese, sede d’antico capitolo, e di rapirne i sacri vasi. E i mi­seri borghesi scampati all’eccidio della loro patria, furono costretti ad andare errando e mendicando colle loro famiglinole per ben due anni, finché nel 1230 venne Oberto da Ozino coll’esercito de’ Mila­nesi, e dopo aver guastato il territorio d’Asti, ed essersi impadronito di molte terre nel Monferrato e nel Saluzzese, ridonò ai miseri Testonesi un asilo, fabbricando loro in sito di bel riguardo e alla de­stra sponda del Po, presso al ponte dei cavalieri del Tempio, la terra di Moncalieri. Ma poco dopo venuto il general milanese a battaglia con Tommaso conte di Savoia, fu ucciso, chi dice nella mischia e chi dopo; non senza strano esempio di crudeltà, se fosse vera la seconda opinione. L’anno seguente spedirono i Milanesi in Piemonte nuovo esercito e nuovo capitano, Ardighetto Marcellino, il quale [p. 221 modifica]voltosi ai danni del marchese di Monferrato, dopo al­cune prospere fortune, nell’espugnazione di Chivasso, trafitto di saetta morì.

Mancò pure di vita un anno o due dopo Tom­maso conte di Savoia, dopo essersi per forza d’armi insignorito di Moncalieri, ed aver tentato invano l’assedio di Torino.

Lasciò numerosa prole. Primogenito e successore Amedeo iv: Tommaso, secondo di questo nome, che non fu conte di Savoia, ma ebbe dal fratello il 19 d’aprile 1255 in feudo gentile tutto il paese che possedeva da Avigliana in giù, e fu per tal guisa signor del Piemonte, prima di esser conte di Fiandra. Pietro e Filippo, stati ambedue alla loro volta conti di Savoia. Dal primogenito in fuori che fu principe bonario, e non de’ più atti a regger popoli in tempi di tanta difficoltà, gli altri ereditarono tutti, qual più qual meno, Pietro singolarmente, l’alta mente e gli spiriti bellicosi del padre.

Intanto la guerra procedea con successi piuttosto favorevoli ai Torinesi. Stavano per loro il vescovo Ugo Gagnola (succeduto a Jacopo di Carisio) Pinerolo col suo abbate di S.ta Maria, che aveva ripigliato l’an­tica influenza su quel comune; Moncalieri, la quale era dunque tornata in libertà; Piossasco, Barge, Bagnolo ed altre terre del Piemonte; il qual vocabolo prima ristretto a significar il paese compreso tra il Sangone ed il Po, s’era già allargato a tutto il paese al di [p. 222 modifica]qua del Po, e poco per poco s’ampliò tanto da com­prendere adesso tutti gli Stati del re tra P Alpi e il mare, ad esclusione delle riviere marittime. Parteggiavano infine per Torino anche i marchesi di Romagnano. Gli Astigiani o erano tornati all’amicizia dei Torinesi, o teneansi quanto meno in neutralità. Mutazioni frequentissime a quel tempo secondochè si rimutavano gli ufficiali del comune, e prevaleva una parte piuttostochè l’altra; il che, per brighe interne, per ravvicinarsi di un esercito, per la sconfitta di un alleato, pel soperchiar d’una setta in uria città vicina, vedeasi accadere alla giornata.

Le differenze tra i Torinesi ed il contò di Savoia nasceano da che ed il comune ed il conte aveano ragioni di signoria, e dritti utili sulla terra di Col­legno; confusioni di signoria frequenti ne’ tempi di cui parliamo, ne’ quali vedeasi spesso entro ad uno stesso comune, la giurisdizione civile appartener ad una podestà, all’altro la criminale, ad uno il dazio del mercato, all’altro la dogana, ad un terzo il diritto di far esercito e cavalcata, vale a dire di chiamar i borghesi all’arme nel numero, al tempo e ne’ luoghi determinati. Ma queste cumulate signorie davano facile origine a dissenzioni piuttosto negli accordi sopite che troncate.

Tommaso i, conte di Savoia, aveva in gennaio 1228 ceduti i suoi diritti sopra Collegno a Margarita, nata d’Amedeo iv suo figliuolo, e sposa di Bonifacio [p. 223 modifica]marchese di Monferrato, giuntevi le ragioni che avea su Pianezza, e sulla valle chiamata allora di Mati, poi di Lanzo.

Contendeva poi il principe di Savoia col vescovo, rispetto ai castelli d’Avigliana, di Rivoli, di Lanzo, al castello di Montebreono, ed a quello inferiore di Cavorre. Avigliana signoreggiava la bocca di Val di Susa, e la strada che, rasentando le radici dell’Alpi, porta a Pinerolo; Rivoli era come una sentinella avanzata sull’ultima scarpa dell’Alpi, e col castello di Lanzo dominava quella porzione del Canavese che stendesi appiè del Monbasso, e fronteggiava vantag­giosamente gli Stati del marchese di Monferrato. Erano queste potenti cagioni per Savoia di bramarne il do­minio. Se con ragione in quanto ad Avigliana non so; per Rivoli e Lanzo parmi con poca o niuna, fuor quella che la morale non accetta, ma che in politica spesso prevale, della grandissima convenienza.

Con Pinerolo le differenze si aggiravano sulla mag­giore o minor podestà che v’avesse il conte, e così svila maggiore o minor libertà che rimanesse al co­mune. E, come al fin d’ogni guerra, ciascuna parte proponeva danni da ristorare, prigioni da proscio­gliere, servi e censuarii fuggitivi, fatti per odio ed emulazione borghesi, banditi raccettati. I comuni poi lagnavansi particolarmente delle for­tezze che il conte di Savoia andava edificando, o in territorio non suo, o sì presso ai confini, che quella [p. 224 modifica]novità riusciva incomoda, avea l’aria d’una minaccia, e d’una sfida. Non negava, è vero, Pinerolo d’esser tenuta all’omaggio ed alla fedeltà verso Savoia; ma ciò importava riverenza piucchè obbedienza. Non macchinare contra la vita e l’onor del sovrano, consentirgli qualche parte di proventi, questo sì. Ma del rimanente volevano esser padroni di reggersi da sè, di chiamare qual podestà amasser meglio, di far leggi, impor tasse, far guerra, pace e lega, e dilatar, se potessero, il dominio a loro talento. La pace fu conchiusa in Torino una domenica 18 novembre del 1235. Per essa si statuì:

1° Reciproca remissione delle offese.

2° Il conte, in nome proprio e della marchesa di Monferrato sua figlia, rinunziava al comune ogni sua ragione su Collegno; riconosceva che i Torinesi vi poteano far esercito e cavalcata, riscuotere la taglia ossia fodro, e vi possedean le fossa, e il dritto che solean avervi i Calcagni di Torino per causa della gastaldia. Ma di tutte queste ragioni il comune, avuti dal conte cinquecento marchi d’argento, faceva a lui accomandigia ed omaggio, ricevendone investitura in persona di Roberto de’ Vialardi suo podestà, come di feudo movente dalla contea di Savoia. In caso di guerra per altro, il solo conte ed i suoi poteano essere raccettati in quel castello. Il vescovo abban­ donò ogni ragione che potesse avere su Avigliana. Promise d’investire il conte in feudo nobile dei [p. 225 modifica]castelli di Cavorre e di Lanzo, e de’ dritti che potesse avere in Montebreono.

I Piossaschi ed altri castellani del Piemonte fareb­bero omaggio e fedeltà ad Amedeo iv, e n’avrebbero investitura de’ loro feudi colle solite franchezze, ri­manendo per tutte le altre possessioni uomini dei comuni di Torino e di Pinerolo. Se il conte non osservasse! patti, e, richiesto, non facesse l’ammenda fra due mesi, i castellani potrebbero de’ loro feudi servire i detti comuni finché seguisse l’ammenda.

Rispetto alle differenze con Pinerolo si convenne che il conte eleggesse dodici borghesi ed il comune altri dodici, i quali definissero quali fossero le ragioni del conte: ove questi non s’accordassero, od una delle parti non s’acquetasse al loro arbitramento, il signor Grattapaglia ed il. signor Guido di Piossasco avessero balia di pronunziare, con questa condizione per altro, che niuno potesse dire, aver il conte diritto di carcerare gli uomini di Pinerolo, o quel vergognoso privilegio sulle spose novelle, chiamato scozzonaria, o le successioni intestate quando rimangono eredi legittimi, nè il fodro o la regalia quando non con­ stasse che ne avea cessione dall’imperatore.

Avesse del rimanente il comune di Pinerolo piena facoltà di ricevere nuovi borghesi (essendo il dritto d’associazione fondamento del comune e base della sua vitalità), eccettuandone gli uomini d’Avigliana e gli altri fedeli del conte da Avigliana in giù. Ma [p. 226 modifica]quando i borghesi di nuovo accettati fossero con giusto titolo richiamati e sequestrati dai loro antichi signori, non avesse il comune autorità d’intromettersi. Censuarii e servi fuggiaschi, che fatti borghesi di qualche comune, rideansi de’ loro antichi signori, erano causa di perenni discordie tra’ comuni e i feudi. Perciò spesso si dichiarava in quale spazio di tempo era concesso ai padroni di ripigliarli. Ed era per solito d’un anno e’un dì. Qui non vi fu limite altro che del giusto titolo.

Similmente il conte non ricevesse nella sua terra d’Avigliana, e da Avigliana in giù, gli uomini dell’ab­bate e del comune di Pinerolo, nè de’ castellani che aveano seguitalo le parti de’ Torinesi, cioè di Scalenghe, di Villafranca ed altri.

Perchè poi nella guerra i Torinesi aveano assai maltrattato i signori di Cavorre, parleggianti pel conte di Savoia, si stabilì che il conte, cagione, e il comune di Torino autor del danno, ne facessero ammenda, col patto alquanto singolare che il danaro necessario si pigliasse sul clero della diocesi; ed ove non se ne ricogliesse a sufficienza, il vescovo, il cónte ed il co­mune supplissero ciascuno per un terzo.

Ancora si accordò, il conte non potesse far castella e Case forti, se non alla distanza che sarebbe deter­minata da arbitri.

Il conte ristorasse secondo l’arbitramento del mar­chese di Saluzzo, Guido di Piossasco e i suoi consorti [p. 227 modifica]e Ubertino di Cavorre, de’ dritti che avevano sul ca­ stello superiore di Cavorre.

Per ammenda dei danni dati ai Piossaschi pagasse loro dugento cinquanta lire di Genova; ed essi non fossero astretti a fedeltà, finché ottenessero il paga­mento.

I Torinesi non dessero ricetto ai banditi, per ma­leficio grave, dal conte di Savoia: cioè per omicidio, tradimento, ferita di spada, incendio e furto, ma in termine di quindici dì dopo la richiesta dovesser cacciarli. È altrettanto facesse il conte pe’ banditi del comune.

Il podestà e gli uomini di Pinerolo, e tutti quelli che erano dalla parte de’ Torinesi o che entrerebbero in quella pace fino al Natale allora prossimo fosser tenuti d’aiutar il conte d’esercito e cavalcata al di qua dall’Alpi contra tutti, eccettuati i Milanesi, Vercellesi, Astigiani ed Alessandrini, e similmente il conte fosse tenuto a difenderli contra tutti, salvo contra gli Astigiani, il marchese di Saluszo e Jacopo del Carretto. Finalmente il conte prometteva di dare ai Torinesi aiuto due volte all’anno, e per un mese di sessanta buoni uomini d’arme; e di fare ad ogni loro richiesta esercito e cavalcala di tutte le genti che avessero al di qua dai monti.1

Nel medesimo giorno con un trattato particolare Amedeo iv, e Tommaso suo fratello, in presenza del [p. 228 modifica]general consiglio del comune, rinunziarono nelle mani d’Uguccione, vescovo di Torino, e di Roberto Vialardi, podestà, ad ogni diritto che potessero avere su Rivoli, e sovra altre cose della chiesa Torinese, e sopra la città di Torino, salvi i patti dell’altra con­venzione che abbiam riferita.2

Ed ecco il maggior trionfo della libertà torinese, poiché T antico suo signore ne autenticò colla cession de’ suoi dritti la legittimità; e con prometter aiuto in guerra, senza stipulazione di reciprocità si pose quasi, in condizione dipendente. Il che non dee far maraviglia a chi consideri, esser quello il tempo della maggior potenza de’ comuni, ed essersi veduti prin­cipi grandi, costretti a rendersi borghesi, ed a com­prar casa nelle terre in cui i loro maggiori aveano signoreggiato. Il che non trovo essere accaduto di niun principe di Savoia. Pochi giorni dopo prometteva Bonifacio, marchese di Monferrato, solennemente di levar la malatolta che aveva imposta dopo il suo ritorno da Romania, di non imporne in tutto il suo Stato per l’avvenire a dannò dei Torinesi, e di non levar sopra di loro nissun pedaggio pe’ cavalli.3


Note

  1. [p. 237 modifica]V. il documento in fine del volume.
  2. [p. 237 modifica]Monum. hist. patriae, Chartar. i, 1329.
  3. [p. 237 modifica]Chartar. tom. i, 1330.