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228 | libro terzo, capo quarto |
general consiglio del comune, rinunziarono nelle mani d’Uguccione, vescovo di Torino, e di Roberto Vialardi, podestà, ad ogni diritto che potessero avere su Rivoli, e sovra altre cose della chiesa Torinese, e sopra la città di Torino, salvi i patti dell’altra convenzione che abbiam riferita.2
Ed ecco il maggior trionfo della libertà torinese, poiché T antico suo signore ne autenticò colla cession de’ suoi dritti la legittimità; e con prometter aiuto in guerra, senza stipulazione di reciprocità si pose quasi, in condizione dipendente. Il che non dee far maraviglia a chi consideri, esser quello il tempo della maggior potenza de’ comuni, ed essersi veduti principi grandi, costretti a rendersi borghesi, ed a comprar casa nelle terre in cui i loro maggiori aveano signoreggiato. Il che non trovo essere accaduto di niun principe di Savoia. Pochi giorni dopo prometteva Bonifacio, marchese di Monferrato, solennemente di levar la malatolta che aveva imposta dopo il suo ritorno da Romania, di non imporne in tutto il suo Stato per l’avvenire a dannò dei Torinesi, e di non levar sopra di loro nissun pedaggio pe’ cavalli.3