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226 | libro terzo |
quando i borghesi di nuovo accettati fossero con giusto titolo richiamati e sequestrati dai loro antichi signori, non avesse il comune autorità d’intromettersi. Censuarii e servi fuggiaschi, che fatti borghesi di qualche comune, rideansi de’ loro antichi signori, erano causa di perenni discordie tra’ comuni e i feudi. Perciò spesso si dichiarava in quale spazio di tempo era concesso ai padroni di ripigliarli. Ed era per solito d’un anno e’un dì. Qui non vi fu limite altro che del giusto titolo.
Similmente il conte non ricevesse nella sua terra d’Avigliana, e da Avigliana in giù, gli uomini dell’abbate e del comune di Pinerolo, nè de’ castellani che aveano seguitalo le parti de’ Torinesi, cioè di Scalenghe, di Villafranca ed altri.
Perchè poi nella guerra i Torinesi aveano assai maltrattato i signori di Cavorre, parleggianti pel conte di Savoia, si stabilì che il conte, cagione, e il comune di Torino autor del danno, ne facessero ammenda, col patto alquanto singolare che il danaro necessario si pigliasse sul clero della diocesi; ed ove non se ne ricogliesse a sufficienza, il vescovo, il cónte ed il comune supplissero ciascuno per un terzo.
Ancora si accordò, il conte non potesse far castella e Case forti, se non alla distanza che sarebbe determinata da arbitri.
Il conte ristorasse secondo l’arbitramento del marchese di Saluzzo, Guido di Piossasco e i suoi consorti