Storia di Torino (vol 1)/Libro II/Capo III

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Capo Terzo


Suppone, conte di Torino e d’Asti, 878. — Mutazioni del regno Italico dopo la morte di Carlo il Grosso. — Berengario i. — Guido. — Guido e Lamberto. — Rodolfo di Borgogna. — Ugo. — Ugo e Lotario. — Lotario solo. — Berengario ii e Adalberto. — Gli Ot­toni. — Arduino. — Arrigo il Santo.


Dopo la notizia che si ha del conte Ratberto nell’ 827 tacciono le storie torinesi fino all’878. Frattanto il regno d’Italia era passato nell’ 840 a Lotario, quin­dici anni dopo a Carlo il Calvo, e nell’877 a Ludo­vico il Balbo, lutti imperatori, tutti della stirpe di Carlomagno, tutti poco degni di quel gran nome e della corona che portavano. E frattanto le stirpi sa­liche, le quali un secolo innanzi erano state com­pagne a Carlomagno nella conquista, o che poste­riormente aveano ottenuto in Italia onori e ricchezze territoriali, già per lungo incoiato divenute italiane, cominciavano a trattar co’ pontefici, la cui potenza andava di giorno in giorno crescendo, perchè la corona d’Italia si riservasse a principi nazionali.

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Nell’ 871, Carlo il Calvo avendo cacciato dai co­mitati di Spoleto e Camerino Guido e Lamberto, vi prepose Suppone, che, appunto perchè possessore di due comitati, è chiamato talvolta marchese e talvolta duca.

Nell’ 876 tornava Guido nella grazia dell’impera­tore, e ricuperava i due contadi di Spoleto e di Ca­merino, che doveano dodici anni dopo fargli scala alla corona d’Italia ed all’imperio. E Suppone che era uno de’ più valorosi capitani dell’esercito imperiale, ne aveva in compenso i comitati di Torino, d’Asti e d’Albenga. Nè solo per valor militare segnalavasi il conte Suppone, ma per nobiltà di sangue e per grandezza di parentadi. Imperocché egli era stretto parente di Berengario i, marchese del Friuli, che fu poi com­petitore di Guido nel regno d’Italia e nell’imperio, e probabilmente genero d’Unroch, fratello di Beren­gario, e prima di lui marchese del Friuli.

Nell’ 878 papa Giovanni viii tornando di Francia dov’era andato a coronare Ludovico il Balbo, scrisse a Suppone glorioso conte di andargli incontro al Moncenisio, affinchè potessero insiem trattare degli affari che concernevano il pubblico vantaggio. Si sa ancora che Suppone ebbe di nuovo ad occuparsi delle perenni contese che vertivano tra gli uomini d’Oulx ed il monastero della Novalesa, e che non contente al suo giudicio le parti recavano nell’ 880 la controversia alle reali udienze di Pavia. [p. 119 modifica]

Suppone teneva in Asti un visconte chiamato Baterico, che vediamo presiedere in sua vece ad un placito, il primo d’agosto dell’ 880. Era già morto nell’ 881. Lasciò tre figliuoli, chiamati dall’anonimo pa­negirista di Berengario fulmini di guerra; uno di loro succedette probabilmente nel comitato o nei comi­tati posseduti dal padre.

Frattanto l’imperator Carlo il Grosso, succeduto nell’ 879 a Ludovico il Balbo, dopo d’aver segnalato in molti modi la propria ignavia, e mostrato in qual miseria era caduto il sangue di Carlomagno, fu de­posto dall’imperio, e fu eletto in sua vece Arnolfo, duca di Baviera, figliuolo naturale di Carlomanno. Arnolfo si portò umanamente con Carlo il Grosso, poiché a lui ed a Bernardo suo figliuolo illegittimo, lasciò terre e possessioni sufficienti per vivere con grandezza. Poco per altro potè goderne quel prin­cipe che morì nell’ 888. Al cader suo la grande monarchia che col suo scettro di paglia avea voluto reggere, si sciolse. Tutti quelli che aveano qualche lontana congiunzione colla stirpe di Carlomagno vol­lero parte di regno. Fin dall’ 879 dopo la morte di Lu­dovico il Balbo, Bosone duca di Provenza erasi fatto, da un concilio di vescovi, consecrar re, togliendo varie nobili province alla monarchia de’ Franchi. Nell’ 888 pigliò pure nella medesima forma, titolo e co­ rona di re Rodolfo, marchese di Borgogna.

In Italia Guido, la cui famiglia possedeva da varie [p. 120 modifica]generazioni i ducati di Spoleto e di Camerino, e che avea in Francia parentadi ed aderenze, erasi prepa­rata da lunga mano la via ad essere, se fosse stato possibile, re dei Franchi e re d’Italia, e ben cono­scendo che dopo Carlomagno la sola Chiesa poteva legittimar agli occhi de’ popoli l’esercizio d’una si­gnoria derivata da occupazione e da conquista, s’era messo in tanta grazia di papa Stefano v, che questi lo chiamava suo figliuol d’adozione.

Intesa pertanto la morte di Carlo il Grosso, Guido non indugiò a recarsi con un esercito in Francia; e frattanto qui in Italia Berengario, duca del Friuli, s’incoronava in Pavia, senza contrasto, re d’Italia; ma non dovea durarla a lungo nel quieto possesso del regno. Guido in Francia non avea potuto fare il menomo progresso, e certificato che i Francesi a tutt’altro pensavano che a farlo re, sollecitò il suo ritorno per veder se almeno gli riuscisse d’afferrar la corona d’Italia. Due battaglie si diedero Guido e Berengario. La prima sul finir di quest’anno mede­simo con dubbio evento, sebbene a Berengario rima­nesse il campo della battaglia. Nella seconda, grande uccisione si fece delle genti di Berengario, che fu volto in fuga, e che dovette d’allora in poi conten­tarsi di Verona e del Friuli, dove a mala pena si difendeva dai quasi continui assalti di Guido, e non potea neanche difendersi senza gli aiuti d’Arnolfo imperatore. [p. 121 modifica]

In tale stato di cose libero rimanendo il campo a Guido, un concilio di vescovi fu convocato a Pavia; il quale considerando che il primo signore fuggendo due volte li avea lasciati come gregge senza pastore, che Guido avea trionfato per virtù divina, com’essi credevano; che l’Italia straziata dai furori della guerra, piena di stragi e di rapine, avea sommo bi­sogno di pace; che Guido avea promesso d’amare e d’esaltar la Chiesa Romana, di rispettar in tutto e per tutto le ragioni della Chiesa, di osservare gli statuti fatti dal concilio, di concedere leggi proprie a tutti gli uomini soggetti al suo governo, di svel­lere affatto ogni rapina, di riformar pace e di cu­ stodirla, perciò di Comune assenso esso concilio elesse Guido in suo signore e re.

Bella e santa è la parte che sostiene in quest’atto d’elezione, e negli statuti che l’accompagnano la Chiesa. Imperocché si mostra mirabilmente sollecita delle classi inferiori della società, vuole che oramai sieno sicuri dalle oppressioni dei polenti; che invece delle giure o fraternità che eran costretti a contrarre fra di loro i plebei, onde poter fino ad un certo segno far argine alla violenza ed all’ingordigia fiscale, fossero da leggi speciali assicurati a ciascuna con­ dizione d’uomini i relativi loro diritti. Ma sospet­tando la Chiesa che le promesse fatte in occasione dell’elezione non fossero poi dal re attenute, riservò ai vescovi il diritto di scomunicare i conti ingiusti [p. 122 modifica]o rapaci, affinché il terrore dell’armi spirituali raffrenasse l’audacia di chi non si poteva in altro modo reprimere; Eccone le parole: « Gli uomini plebei, e tutti in generale i figliuoli della Chiesa, vivano con libertà secondo le loro leggi. La parte pubblica (il fisco) non riscuota da loro oltra la tassa stabilita dalle leggi. Non s’usi violenza od oppressione. Che se ciò accade, il conte del luogo ne faccia fare le­gale ammenda. Se noi facesse, od egli stesso fosse autor del danno, od avesse consentito al medesimo, sia scomunicalo fino alla debita soddisfazione.

« Gli uffiziali di palazzo sieno contenti delle loro provvisioni, e servano al re senza rapine. Quelli che si recano ai placiti (i messi edi vassi regii, i giudici e gli scabini), nulla tolgano nei luoghi in cui pas­sano senza pagarlo, secondo l’antica consuetudine.

« Quelli che dall’estero si recano in questo regno, niuna violenza facciano, nè niuna rapina. Chi li raccetta sia tenuto per loro, salvochè li presenti in giudicio. E se non faranno la debita ammenda dei danni dati, sieno scomunicati. »

Così sotto la protezione sacerdotale si preparavano giorni migliori al popolo, alla plebe minuta, ai mi­ seri abitanti delle campagne stati lungo tempo in balìa del più forte.

Prevalendo pertanto fin dall’ 889 la parte di Guido, che addì 21 di febbraio dell’ 891 ottenne poi da papa Stefano v la corona imperiale, e un anno dopo [p. 123 modifica]associò Lamberto suo figliuolo ancor fanciullo al­l’imperio,1 dobbiam credere che i figliuoli di Suppone, conte di Torino e marchese, i quali aveano combattuto pel re Berengario loro zio, fos­sero privati degli onori che aveano nell’Italia settentrionale.

Berengario stando in continuo pericolo per la soverchiante potenza di Guido, ebbe in mal punto il pensiero di chiamar in Italia lo spurio Arnolfo, re di Germania. Venne Arnolfo nell’ 894, non per Be­rengario ma per sè.

Colle atroci crudeltà usate nella presa di Bergamo atterrì Arnolfo talmente gli animi de’ popoli e dei principi, che quasi tutti corsero a Milano a prestargli obbedienza. Il comitato d’Ivrea era tenuto da Anscario, che si vuol fratello di Guido, chiamato da Liutprando Ansgero. Arnolfo se ne impadroniva verso il principio d’aprile, sebbene fosse la città fornita d’un scelto presidio di Borgognoni, mandatovi da Ro­dolfo, re di Borgogna. Ripassò poscia Arnolfo le Alpi, e tornò alla sua Germania.

Allora ripigliò forza la parte di Guido, e, ben­ché poco dopo questo re mancasse di vita, pure si mantenne assai bene il suo figliuolo e successore Lamberto. Ma nel settembre dell’ 895 tornò Arnolfo in Italia, spogliò Berengario de’ suoi Stati, e diè il Friuli a Gualfredo, Milano ed altri comitati alla si­nistra del Po a Maginfredo. Andò pòscia a Roma, [p. 124 modifica]e impadronitosene di viva forza (poiché difendevala Agintruda, vedova di Guido), si fe’ da papa Formoso coronare imperatore. Ma caduto per la sua brutal ferocia in disprezzo degli Italiani, levandoglisi in­ contro da Ogni parte ribellione e tumulti, avendo i Pavesi riempiuto di cadaveri de’ suoi Tedeschi le cloache della città, tornò a passar per Ivrea, donde fuggì impaurito Anscario, e pel Montegiove si restituì a’ suoi dominii.

Appena il barbaro monarca si fu dilungato, Lam­berto racquistò potenza, ed avuto nelle mani Maginfredo che aveva abbandonato i suoi interessi per se­guitar la fazione d’Arnolfo, gli fe’ tagliare il capo. Fu questo a mio parere un errore; e ad ogni modo lo divenne, poiché commise ad Ugo, figliuol dell’ucciso, i comitati che il padre avea posseduti, fra i quali era probabilmente anche quello di Torino, e gli diè tutta la sua grazia, e se ne fece un confidente compagno. Imperocché trovandosi sul principio d’ottobre dell’ 898 l’imperatore Lamberto con quest’Ugo alla caccia nella foresta di Marengo, luogo tanto illustre nell’odierna storia militare, vi perì di morte violenta, o sia che Ugo l’uccidesse d’un colpo di bastone, o sia che il cavallo impennandosi lo gettasse a terra, come dapprincipio fu voce.

La morte di Lamberto ristorò la fortuna del re Berengario, che fino a quel tempo altro non avea fatto che rimettersi in possesso di Verona e del Friuli. [p. 125 modifica]Corse egli a Pavia, e vi fu senza difficoltà ricono­sciuto per legittimo re ed obbedito. In gennaio dell’ 899 anche nella città d’Asti già s’intitolavano gli atti in nome suo. Nell’anno mede­simo avendo alcuni principi d’Italia, malcontenti di Berengario, chiamato per segreti messaggi ad impa­dronirsi del regno Ludovico, figliuolo di Bosone e re di Provenza, questi calò per provar sua fortuna co’ suoi Provenzali; ma saputo che Berengario gli si faceva incontro con forze molto maggiori, chiedette umilmente la pace, e giurando solennemente di non tornare mai più in Italia, fu lasciato andare.

Ma poco durarono a Berengario i prosperi suc­cessi. Nel 900 scesero per la prima volta in Italia i ferocissimi Ungheri e Madjares, che usciti dalle montagne dove nasce l’Ouralsk presso al mar Nero, ab­battendo o ricacciando le genti intermedie, eransi posati nella Pannonia. Berengario incontratili al fiume Brenta, li impaurì per siffatta guisa, che chiedevano in grazia di potersi ritirare alle loro sedi, dando statichi di non più tornare. Ma Berengario ricusò stoltamente tulli i partili, onde gli Ungari, combat­tendo da disperati, fecero dell’esercito cristiano un miserando macello.

Berengario vinto, parve dispregiévole all’animo incostante e leggiero de’ principi italiani, onde se­guendo i consigli d’Alberto, marchese di Toscana, chiamarono in Italia Ludovico, re di Provenza, il [p. 126 modifica]quale, dimentico di sua giurata promessa, venuto negli ultimi mesi del 900, ninna difficoltà incontrò a farsi eleggere re d’Italia a Pavia, e poi nel febbraio del 901 a farsi incoronare imperatore a Roma. Beren­gario avea dovuto fuggir in Baviera, anzi s’era sparsa in queste contrade la voce della sua morte; e nel 902 Ludovico, licenziato il suo esercito, si godeva in pace il regno nella città di Verona, quando improvvisa­mente comparso il re Berengario con una man di guerrieri, fu messo dentro dai cittadini. Ludovico ri­coveratosi in una chiesa, fu preso e condotto innanzi a Berengario, il quale rimproveratolo come spergiuro, lo fe’ abbacinare, e lo rimandò quindi imperatore, ma cieco, al suo regno di Provenza.

Dopo quel fatto, per molti anni niun competitore contrastò più la corona a Berengario, il quale anzi nel 915 ottenne la corona imperiale da papa Gio­vanni, che avea bisogno dell’armi sue contro ai Saracini che infestavano, conculcavano, saccheggiavano l’ ltalia dalle due estreme parti dell’occidente e del meriggio. Ma nel 921 alcuni principi d’Italia, sempre malcontenti d’aver veduto un uguale sollevato a tanta dignità, e facili perciò a prender ombra e dispetto di ogni più lieve contrasto, profersero la corona a Rodolfo ii, re della Borgogna Trasjurana, il quale venuto nell’autunno in Italia, fu coronato in Pavia. Con tanta facilità questa misera corona era offerta, presa, data e ritolta. [p. 127 modifica]

Non cessò Berengario d’aver un gran seguito d’uomini prodi e di fede inconcussa; onde il 29 di luglio del 925 potè con un fiorito esercito scontrarsi col re Borgognone a Firenzuola, e dopo, ostinata battaglia già davano volta i Rodolfini, quando so­praggiunto a rinfrescar la battaglia il conte Bonifazio, cognato di Rodolfo, le cose mutarono aspetto, e Be­rengario fu vinto.

Allora questo principe, che per lo innanzi avea dato prove di grandezza d’animo singolare, s’appigliò al disperato partito di chiamar in sua difesa quegli Ungari stessi che aveano tante volle desolata spie­tatamente l’Italia. Vennero e commisero orrènde stragi, saccheggiarono ed arsero Pavia, ed in mezzo appunto a quel sangue, a quelle fiamme che doveano lacerargli il cuore, l’imperator Berengario fu da’ suoi seguaci medesimi trucidalo. Gli Ungheri, ricchi di bottino, si trasferirono poscia per le Alpi Torinesi in Francia, dove Rodolfo, che là si trovava, li inseguì con gran furia, e molti ne mise a morte.

Ma l’anno seguente l’Italia sfuggì di mano anche a Rodolfo. L’arcivescovo di Milano, ed altri grandi del regno per le mene massimamente d’Ermengarda, sorella d’Ugo, duca di Provenza, e moglie d’Adalberto marchese d’Ivrea, cominciarono a trattare di dar la corona ad Ugo; Rodolfo mandò suo suocero Burcardo, duca dell’Alemagna, uomo dispotico e feroce, per tener in freno gli Italiani, e costrur, bisognando, [p. 128 modifica]fortezze che ne attutasser l’orgoglio. Ma saputo il fine della sua venuta, e conosciute le sue intenzioni, gli Italiani gli tesero un agguato nella città di No­vara, e quivi l’uccisero. E però Rodolfo atterrito de­pose affatto il pensiero di tornar in Italia. Ugo invece sbarcato a Pisa, passò a Pavia, dove fu eletto re, e quindi a Milano ove fu incoronato, il che dovette accader nell’estate; poiché nel marzo dell’anno me­desimo segnavansi ancora nella città d’Asti gli anni del re Rodolfo.

Ugo fu principe astuto e reo, che lutti seppe i ribaldi accorgimenti e le coperte vie per arricchire e dominare; in esso la cupidigia era uguale alla lussuria; e questa era gigante. Di cotali stranieri andava in traccia l’Italia per ungerli e coronarli. Ugo dunque per meglio assicurarsi nella propria famiglia l’eredità dell’italico regno, fece nel 931 dichiaraisuo collega il proprio figliuolo Lotiario. Il che dovette accadere nel mese d’aprile, poiché in marzo del 933 si contava ancora il secondo anno del regno di Lot­ tano, laddove nel maggio dell’anno medesimo già si noverava il terzo.2 Durò Ugo nel regno fino al 946, nel qual anno, sopraffatto da Berengario ii, marchese di Ivrea, abbandonò l’Italia e riparò in Provenza coi suoi tesori, lasciando fra noi Loiario, suo figliuolo, col solo titolo di re, poiché in realtà chi reggea la somma delle cose era Berengario. Mancò poi di vita il 22 novembre del 950, non senza sospetto di [p. 129 modifica]veleno, l’infelice giovane re Lotario, e non molti giorni dopo Berengario e il suo figliuolo Adalberto erano coronati in Pavia re d’Italia. Poiché in questo tempestoso regno italico, nel quale per la malvagità dei tempi e de’ principi tutto era labile e fugace, si vo­leva in certo modo anticipare sulla successione, e pigliarsi un’arra, ahi quanto fallace, di durazione, sacrando due generazioni ad un tempo, che poi quasi foglia portata dal vento ad un primo sdegno di fortuna si dileguavano.

Infatti, un anno dopo veniva in Italia Ottone i, re di Germania, ed era coronato; e sebbene nel 952 Berengario ottenesse a forza di preghiere l’italico regno, l’ebbe solo a titolo di beneficio, e riconoscendo la superiorità del re germanico.

Dopo quell’oltraggio fatto all’indipendenza d’Italia, Berengario non prosperò. Tutti gli animi si andarono da lui alienando, tanto più ch’ei non seppe il modo di rendersi benevolo il clero. Sceso nel 961 a’ suoi danni il re Ottone, egli avrebbe forse potuto con vantaggio contendere se dismetteva, come ne era istantemente richiesto dai conti, ogni cura del regno ad Adalberto, sul quale si riposavano le comuni spe­ranze. Ed egli fatto l’avrebbe, ma Villa, sua moglie, gonfia di donnesca ambizione, lo dissuase. E però abbandonato da tutti, perdette e regno, e libertà, e morì quattr’anni dopo a Bamberga.

Qui ripiglia la serie dei re stranieri interrotta nel [p. 130 modifica]1002 dall’elezione d’Arduino marchese d’Ivrea, che dovette però ceder ben presto il campo ad Arrigo di Baviera, detto il Santo, che cominciò nuovo ca­talogo di re stranieri. Dopo d’aver accennate rapidamente le mutazioni del troppo bello italico regno, ripigliamo le notizie de’ principi che governarono, ai tempi di cui par­lammo, la contea torinese.


Note

  1. [p. 139 modifica]In carta d’Asti notavasi in gennaio del 992 l’anno primo di Lamberto re. In carta di luglio 996, relativa alla badia di Bobbio, e data a Vercelli, si novera l’anno v di Lamberto imperatore. Forse nell’atto medesimo, in cui il padre ebbe la corona imperiale, il figlio fu dichiarato re dei Romani; e qualche tempo dopo, ma prima del marzo 992, associato all’impero. V. Mon. hist. patriæ, Chartar., tom. i, col. 78, e Murat., Ant. Ital., dissert. xxix.
  2. [p. 139 modifica]Monum. hist. patriæ, Chartar. i, 136.