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capo terzo | 121 |
In tale stato di cose libero rimanendo il campo a Guido, un concilio di vescovi fu convocato a Pavia; il quale considerando che il primo signore fuggendo due volte li avea lasciati come gregge senza pastore, che Guido avea trionfato per virtù divina, com’essi credevano; che l’Italia straziata dai furori della guerra, piena di stragi e di rapine, avea sommo bisogno di pace; che Guido avea promesso d’amare e d’esaltar la Chiesa Romana, di rispettar in tutto e per tutto le ragioni della Chiesa, di osservare gli statuti fatti dal concilio, di concedere leggi proprie a tutti gli uomini soggetti al suo governo, di svellere affatto ogni rapina, di riformar pace e di cu stodirla, perciò di Comune assenso esso concilio elesse Guido in suo signore e re.
Bella e santa è la parte che sostiene in quest’atto d’elezione, e negli statuti che l’accompagnano la Chiesa. Imperocché si mostra mirabilmente sollecita delle classi inferiori della società, vuole che oramai sieno sicuri dalle oppressioni dei polenti; che invece delle giure o fraternità che eran costretti a contrarre fra di loro i plebei, onde poter fino ad un certo segno far argine alla violenza ed all’ingordigia fiscale, fossero da leggi speciali assicurati a ciascuna con dizione d’uomini i relativi loro diritti. Ma sospettando la Chiesa che le promesse fatte in occasione dell’elezione non fossero poi dal re attenute, riservò ai vescovi il diritto di scomunicare i conti ingiusti