Storia della letteratura italiana (De Sanctis 1912)/Nota/I.
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I
Il De Sanctis non concepí il proposito di scrivere la Storia della letteratura italiana prima dell’estate del 1868, quando egli aveva giá oltrepassato i cinquant’anni. Pure, può dirsi che questo libro si fosse andato preparando in lui fin da qualche anno innanzi il 1848, nel tempo che teneva in Napoli corsi di lezioni sugli scrittori italiani, e avvertiva a ogni istante la povertá delle nostre vecchie storie letterarie. Effetto dei giudizi del maestro è certamente l’aspirazione, che esprimeva nel 1847 il suo scolaro Luigi La Vista: «Se potessi insegnare, professare un corso, farei una storia della letteratura italiana. Tiraboschi, Andrés, Sismondi, Ginguené, Corniani, Ugoni, Maffei, Villemain, chiacchiere, chiacchiere, chiacchiere. Una storia della letteratura italiana sarebbe una storia d’Italia. Che studi, che ricerche, che novitá!»1 E giá il De Sanctis stesso, dando fuori, nel 1852, dal carcere di Castel dell’Ovo, il manifesto per la stampa della traduzione, alla quale attendeva, del Manuale di storia generale della poesia del Rosenkranz, e notando che nell’opera tedesca la storia della letteratura italiana non aveva quelle larghe proporzioni che i lettori italiani dovevano desiderare, prometteva di arricchire la sua traduzione di un «lavoro speziale sopra i maggiori poeti italiani»2. Ma l’edizione del libro del Rosenkranz non andò oltre il secondo volume, interrotta, com’ è noto, dalla partenza del De Sanctis per l’esilio.
Durante il quale (1853-1860),cosí a Torino come a Zurigo, egli tenne larghi corsi su Dante, sul Petrarca, sull’Ariosto, su quasi tutti i poeti italiani, ed ebbe anche occasione di comunicare al pubblico qualcosa dei suoi studi sull’argomento negli articoli da rivista, che poi raccolse nei primi Saggi critici; ma, sebbene l’inconsapevole maturazione del disegno continuasse certamente in lui, non si ha notizia alcuna che vagheggiasse, allora, in modo determinato, il pensiero di scrivere un libro organico sulla letteratura italiana. Né mai parve cosí lungi da siffatta impresa come nei primi anni del ritorno in patria, dal i860 al i865, allorché non solo i suoi amici, ma esso medesimo considerava la sua attivitá letteraria come un passato; tanto il sentimento patriottico e politico, fortissimo in lui, lo rinserrava nella sua cerchia, dalla quale gli sembrava che non sarebbe piú venuto fuori. Furono gli amici e gli scolari che, con le loro premure e perfino col sostituire l’opera propria alla sua come di raccoglitori e di editori, lo indussero a lasciar pubblicare, nel i866, lo smilzo volumetto dei primi Saggi critici; la cui prefazione, scritta non dall’autore, ma dal Montefredini, suona quasi come un elogio funebre. «Invitato dall’editore — diceva il Montefredini — ad accompagnarli d’alcuna mia parola or che ne vengono alla luce, non ho potuto farlo senza sconforto, pensando che questo è l’unico e forse l’ultimo frutto d’un ingegno, che altrove avrebbe guidato gli studi ad alta mèta e qui interrompe nel bel meglio la sua carriera. Questi scritti, composti tutti a’ di passati, mi risuonano dolorosamente nell’anima come l’eco di un gran mondo passato»3.
Se non che, come sovente accade, quando codesti lamenti diventavano piú forti, allora appunto il De Sanctis veniva ricondotto agli studi, per cagioni che possono sembrare «esterne» solo a chi ignori che le ragioni interne prendono volentieri l’aspetto di cagioni esterne e colgono a volo le «occasioni». Nel i865, la sua elezione a socio della reale Accademia di scienze morali e politiche di Napoli indusse il De Sanctis a comporre, quasi per dovere accademico, e a leggere in quell’istituto, una memoria di argomento letterario; e questa fu per l’appunto (vedi combinazione!) una critica a fondo della Storia della letteratura italiana del Cantú, allora pubblicata. Circa quel tempo altresi, i bisogni economici lo spinsero a cercare qualche fonte di guadagno; ed egli, che era stato giá piú volte ministro e aveva grande parte nella vita politica, non seppe trovare altro piú fruttuoso lavoro che la rielaborazione dei suoi vecchi appunti di lezioni: cagione esterna, anche codesta del bisogno economico, che è poi una ragione interna. Sappiamo cosí, da un suo biografo del i865, che egli disegnava di dar fuori cinque volumi, dei quali uno avrebbe contenuto i Saggi critici, un altro il corso sul Petrarca, due i corsi su Dante, e il quinto «una rapida esposizione della letteratura italiana»4.
Dal i866, dopo la raccolta giá menzionata dei Saggi critici, cominciò per lui un periodo fecondo di lavoro letterario, che durò fervidissimo, con piccole interruzioni, per circa un decennio. Nel i868 il De Sanctis attendeva alla ristampa dei Saggi critici con aggiunte, e alla redazione e stampa del Saggio sul Petrarca (editi entrambi i volumi nel i869); e diventava, intanto, collaboratore assiduo della Nuova Antologia. Nello stesso anno i868 si accingeva a comporre l’opera su Dante, che egli diceva quasi pronta e che sarebbe stata divisa in tre volumi, da pubblicarsi un volume all’anno5. Ma quest’opera cedette poi il luogo all’altra (consigliata forse anch’essa apparentemente da cagioni estrinseche, dal maggior lucro che proviene da un libro scolastico, ma effettivamente dalla necessità intrinseca del suo pensiero) di una breve storia della letteratura italiana per le scuole liceali. In una sua lettera del i868, probabilmente dell’estate, all’amico Marciano (benemerito veramente, perché messosi attorno al De Sanctis e agevolategli le trattative con gli editori e le fatiche della stampa, gli spianò la via alla produzione letteraria), è detto: «Ecco ora una notizia che ti piacerá. Ho messo mano ad una Storia della nostra letteratura in un volume solo, ad uso dei licei. Tengo immensi materiali raccolti. E nelle vacanze parlamentari sará bella e fatta»6.
Concluso infatti un accordo con l’editore Antonio Morano di Napoli (che gli avrebbe pagato dugento lire al mese, quante occorrevano ai suoi bisogni, in cambio di quaranta cartelle di manoscritto), il De Sanctis si mise all’opera, sempre con l’intento preconcetto di scrivere un compendio pei licei. E qui cominciò veramente il peso delle «cagioni esterne ossia la lotta tra l'impegno, che egli, seguendo la sua illusione, aveva preso con l'editore, di fare un'opera in un sol volume, e le conseguenti pretese dell'editore, che voleva restringere il volume e il compenso, da una parte; e, dall'altra, la natura del suo ingegno e la logica dell'opera, che lo portavano a un lavoro strettamente scientifico, richiedente lo sviluppo che e proprio d'un libro scientifico. Le sue lettere all'editore, il compianto don Antonio Morano (che voile farmene dono anni addietro, e che io, a mia volta, ho donate alla biblioteca della Società napoletana di storia patria, dopo averne pubblicati alcuni estratti), ci fanno assistere alle varie fasi di questa lotta.
Alla metá del dicembre i869, il De Sanctis aveva scritto giá tre capitoli del libro e si preparava al quarto : «È un lavoro interamente nuovo — dice in una lettera a un amico, che gli faceva da intermediario presso l’editore, — e a cui ho consacrato piú di sei ore al giorno. Il terzo capitolo, intitolato Lirica di Dante, è un lavoro di cui non c’ è esempio nella critica nostra e straniera». Ma, nonostante questa coscienza che egli mostrava dell’originalitá del lavoro che andava compiendo, persisteva nel credere di aver per le mani «un libro di testo», il quale, «debitamente annunziato, fin dal nuovo anno scolastico sarebbe adottato in una infinitá di scuole»7. Il i4 aprile del i870 era giunto giá al Boccaccio: «Ora sto scrivendo del Boccaccio, e ho dovuto spendere una decina di giorni a consultar libri e a rileggere le sue opere: piú di diciotto volumi»8. L’8 giugno, si era avveduto dell’impossibilitá di contenere la trattazione in un sol volume, pur fermo restando nella credenza che l’opera sua si rivolgesse ai licei: «Con duecento cartelle è finito il secolo decimoquarto, che è la grande base letteraria. Dovrei ora compiere il lavoro in altre centoventi cartelle, secondo il nostro accordo. Se volete, io son pronto a chiudermi in questo spazio, e scriverò il resto a grandi tratti. Ma verrebbe un lavoro sforzato e sproporzionato con la base. Ora che son giunto alla metá e che ho il lavoro tutto ben disegnate avanti, sento che in centoventi cartelle, a far la storia a dovere, posso giungere fino al Tasso. E sarebbe un buon volume pel nuovo anno scolastico. Dal Tasso fino ad oggi, sarebbe un secondo volume». E soggiungeva al fine di persuadere l'editore: Anche a farla in seicentoquaranta cartelle, sarebbe sempre la storia piú breve che si sia scritta finora, e adatta a un corso liceale di due anni»9. Ma l’editore non ne voleva sapere, e il De Sanctis ricorreva ai soliti intermediari, e a uno di essi scriveva: «Se questo non gli piace, mi stringerò a sole ottanta cartelle; di piú finirò in ottobre, riserbandomi la noia di ripigliare il lavoro e fare un compendio veramente utile ai giovani in altra edizione. Se mi verrá biasimo di fare un lavoro imperfetto, ne farò la girata al signor Morano, e deplorerò da quante piccole miserie dipendano i lavori letterari. Credevo che il signor Morano avesse piú confidenza in me, e mi lasciasse fare il lavoro come io intendo vada fatto, perché riesca un compendio utile per le scuole. E guastare il lavoro per poche centinaia di franchi di piú o di meno, è tale miseria, che non mi entra nello spirito»10. Alla fine, l’editore, spinte o sponte, dovette acconciarsi all’ampliamento dell’opera da un volume a due, e nel luglio del i870 il De Sanctis dava compiuto il primo volume, che terminava nella prima edizione col capitolo xi: «Lá è la vera metá della Storia»11. Il volume usci nell’agosto: «Mi si assicura da molti — egli scriveva il 23 di quel mese — che sia uscito il primo volume. È curioso che l’autore sia l’ultimo a saperlo. E come può essere uscito, se non ho corretto le ultime strisce dell’ultimo capitolo? Spero che non abbiate fatto un pasticcio per troppa fretta»12. Ricevuto poi il volume: «noto con dispiacere — scriveva il due settembre — parecchi errori di stampa, specialmente verso la fine, della quale non mi avete mandato le strisce. Per darvi un esempio, ci trovo ‘carcere’ e deve dire ‘cercare’! A Napoli, non s’intende ancora che una bella edizione deve avere per prima qualitá la correzione»13. Egli contava di finire il secondo volume pel dicembre di quell’anno i87014. Ma pel secondo volume ricominciarono i guai. Il 20 settembre del i870, era ancora attorno al capitolo sul Machiavelli, come si vede da un’allusione all’entrata degli italiani in Roma e alla fine del potere temporale15. Nell’aprile del 1871 annunziava all’editore: «Secondo il nostro contratto, rimarrebbero altre quaranta cartelle, ma ce ne saranno molto piú, e gratis, essendo l’eccesso tutto al mio peso... Naturalmente, tutta la letteratura moderna sará tema di un sol capitolo, proponendomi poi farne a mie spese un volume speciale»16. L’illusione è ormai dissipata: il De Sanctis sa di dovere strozzare la sua Storia per ragioni editoriali, non osando chiedere all’editore di ampliare ancora i due volumi a tre. Ed è dissipata anche l’illusione di avere scritto un libro pei licei: «Il compendio che tu volevi — soggiunge nella stessa lettera (dove l’intenzione consolatoria è accentuata dal passaggio dal «voi» dignitoso al «tu» familiare) — verrá dopo»; e, come se la promessa non bastasse, la puntellava con un aforisma: «Si può fare il compendio, quando ci è l’opera»17. Il lavoro per compiere il secondo volume durò ancora fino all’ottobre o novembre. Nell’estate 1871 scriveva: «Per finire il mio lavoro mi bisognano per lo meno altre ottanta cartelle, e sono oltre il conteggiato, né io pretendo da voi nulla. Però, dovendo vivere, e costretto a fare altri lavori per supplire ai vostri duecento franchi che mi verrebbero a mancare, ho bisogno di piú tempo per ultimare il lavoro. Spero compiere tutto per settembre. Ho giá scritto altre venti cartelle: me ne restano sessanta. Per finirlo, mi contento di rimanere a Firenze sino a settembre, trovando in questa biblioteca tutte le comoditá per scrivere»18. E nel settembre, finalmente: «Sono giunto nel mio lavoro fino a Carlo Gozzi: spero di terminarlo per ottobre. Non posso lavorarci mai un mese intero, perché una parte debbo destinarla a qualche altro lavoro, che mi dia i duecento franchi di cui ho bisogno. Quest’altro lavoro non è che un lavoro speciale su qualche scrittore moderno, che poi abbrevio per la Storia. Cosí il mese scorso ho scritto per l’Antologia il Metastasio, e questo mese scriverò il Parini: è un materiale di cui mi servo per la Storia»19.
Questa cronaca, che ho tessuta su documenti, della composizione del libro, spiega non soltanto perché nell’opera del De Sanctis siano dedicate pochissime pagine, affatto sommarie, alla letteratura italiana del secolo decimonono, che in realtá rimase esclusa dalla trattazione; ma anche perché in essa la materia scorra come un torrente contenuto da argini troppo stretti, e che spumeggia al livello degli argini e quasi li soverchia. Gli «immensi materiali», che l’autore diceva di possedere, erano veramente immensi, raccolti in un ventennio di meditazioni e di lezioni sulla letteratura italiana, e in parte messi in iscritto sotto forma di appunti e di stesure per lezioni, o anche di riassunti fatti da scolari. Il disegno di scrivere un compendio pei licei operò fin da principio sul suo animo da norma costrittiva (l’intenzione del libro scolastico ha lasciato traccia nelle noterelle lessicali, apposte nel primo capitolo ai brani del «contrasto» di Ciullo), e altresí da pungolo, quasi egli avesse sempre alcuno alle calcagne; e gl’impedí insomma di spaziare largamente e a suo bell’agio, come l’argomento avrebbe richiesto, e la lunga preparazione, che si era venuto procurando, avrebbe permesso all’autore: ma forse, per un altro verso, favorí l’andamento serrato e drammatico del suo racconto.
Del terzo volume, del quale gli era rimasto il desiderio nel conchiudere in fretta o interrompere l’opera sua, il De Sanctis non ismise per piú anni il pensiero; e contributi a esso erano giá gli ampi saggi sul Foscolo e sul Parini, che pubblicava nella Nuova Antologia del 1871, e, preparazione ancora piú diretta, il corso di lezioni che cominciò nel 1871-2 nell’universitá di Napoli su Alessandro Manzoni (in parte elaborato in articoli per la Nuova Antologia), proseguito nel 1872-3 con l’altro sulla Scuola liberale o manzoniana, e nel 1873-4, col terzo sulla Scuola democratica, e nel 1875-6 col quarto, rimasto interrotto, su Giacomo Leopardi. Egli stesso diceva, nella prefazione allo studio sul Leopardi, che da quel «materiale un po’ improvvisato» di lezioni intendeva «cavare il terzo volume della Storia della letteratura»20. Ma il disegno non fu mai tradotto in atto; e, quando poi il De Sanctis si accinse a condurre a fine per lo meno lo studio sul Leopardi, la morte gli troncò a mezzo il lavoro.
Ma, oltre la mancanza del terzo volume, nella Storia della letteratura italiana del De Sanctis si notano altre minori sproporzioni, che sono spiegate anch’esse da ragioni contingenti; essendo chiaro, p. e., che il capitolo sul Petrarca, sommario e alquanto scarno, è cosí, perché l’autore aveva l’anno prima pubblicato sul Petrarca uno speciale volume; e che poche pagine sono date al Guicciardini, perché giá prima, nell’ottobre del 1869, dell’ideale guicciardiniano aveva trattato in un saggio dell’Antologia; e che sulle grandi figure dantesche si passa con pochi cenni, perché intorno a esse, nella stessa Antologia, aveva inserito i celebri tre saggi. E via discorrendo. Cosicché la Storia della letteratura italiana deve considerarsi come da integrare con le altre opere dell’autore, i Saggi e Nuovi saggi critici, il Saggio sul Petrarca, lo Studio sul Leopardi, e i corsi di lezioni, raccolti dal Torraca e da me pubblicati, sul Manzoni e sulla Scuola liberale e democratica.
Comunque, essa rimane sempre l’opera capitale e fondamentale del De Sanctis, e quella dalla quale conviene prendere le mosse per una edizione delle sue opere. L’autore, tornando col pensiero agli anni in cui la compose, dal 1869 al 1871, diceva, con un moto di orgoglio e d’ ingenuitá insieme, in un suo discorso politico del 1880: «Io mi sono trovato spesso al potere senza saperlo e senza volerlo; e mi ricordo che, quando in Firenze scrivevo la mia Storia della letteratura, mi fu due volte offerto il potere: la prima volta dal Lanza, la seconda dal Rattazzi; ed io dissi: — No, ho una missione da compiere: mi è piú caro rimanere in questi studi. — E credo che ne sia uscito qualche cosa di piú interessante che tutti i ministeri!»21.
- ↑ Scritti, ed. Villari, pp. 182-3.
- ↑ Si vedano le Pagine sparse del De Sanctis, edite da me nella rivista La critica, x (1912), 146-7.
- ↑ Saggi critici di Francesco de Sanctis, Napoli, Stabilimento dei classici italiani, i866. La prefazione ha la data del febbraio. Nell’esemplare che io posseggo di questa, edizione, ormai rarissima, è la seguente postilla manoscritta: «De Sanctis uno dei tanti eletti ingegni, che furono uccisi dalla politica», ecc.
- ↑ N. Gaetani Tamburini, in De Sanctis, Scritti vari, ed. Croce, n, 286.
- ↑ Brano di lettera edito da me, Scritti vari cit., ii, 304.
- ↑ Scritti vari cit., ii, 24i.
- ↑ Op. cit., ii, 24i. La lettera, che ha solo la data del i4, senza mese e anno, fu da me creduta dei primi del i870; ma dev’essere invece del i4 dicembre i869, per l’allusione che vi si legge alla nomina del Correnti a ministro di pubblica istruzione, nomina che fu appunto del 14 dicembre di quell’anno.
- ↑ Op. cit., ii, 242.
- ↑ Op. cit., ii, 243.
- ↑ Op. cit., ii, 245.
- ↑ Op. cit., ii, 245-6.
- ↑ Op. cit., ii, 246-7.
- ↑ Op. cit., ii, 247.
- ↑ Op. cit., ii, 246.
- ↑ In questa edizione, ii, 102.
- ↑ Op. cit., ii, 248.
- ↑ Op. cit., ii, 248.
- ↑ Op. cit., ii, 248.
- ↑ Op. cit., ii, 249-50.
- ↑ Studio su Giacomo Leopardi, opera postuma, Napoli, 1885, p. 1.
- ↑ Scritti politici, ed. Ferrarelli, p. 259. Cfr. Scritti vari, ed. cit., ii, 242.