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La fatica maggiore nella revisione del testo è stata spesa nel riscontro di tutti i brani di autori citati dal De Sanctis, dei quali la Storia non indica mai né pagine né edizioni. Per questo lavoro sono stato coadiuvato dall’amico Fausto Nicolini, che se n’è addossato la maggior parte, conducendolo in conformitá del criterio da me adottato giá nella ristampa che feci nel 1907 presso il Morano del Saggio sul Petrarca: cioè di richiamare le edizioni che il De Sanctis ebbe o potè avere tra mano, e di giovarsi soltanto in casi particolari di edizioni posteriori. Onde, per chiarire la cosa con qualche esempio, pei poeti del primo secolo ci siamo valsi, non delle edizioni critiche degú ultimi anni, ma del Manuale del Nannucci e della raccolta del Trucchi; per Dante, dell’edizione Fraticelli; per Dino Compagni, dell’edizione Carbone; e via discorrendo. In genere, il riscontro, per quanto fastidioso, è proceduto senza gravi difficoltá, e le correzioni sono consistite quasi soltanto in parole o forme, che il De Sanctis aveva alterato nel trascriverle o che aveva sostituito, citando a mente, come soleva, i poeti italiani, a lui familiarissimi per lunga e amorosa consuetudine. Ma un grosso intoppo abbiamo trovato nel capitolo sull’Aretino, nel quale quasi tutti i brani riferiti delle lettere e delle opere ascetiche, confrontati con le edizioni dell’Aretino, ci sono apparsi cosi diversi da indurci a rivolgerci per consiglio a uno specialista di cose aretiniane, ad Alessandro Luzio. Il quale, infatti, ci ha subito informato che, giá fin dal 1888, il Fradeletto, pubblicando nell’Ateneo veneto un dramma in versi di Paulo Fambri su Pietro Aretino, notava che il De Sanctis attinse al saggio dello Chasles sull’Aretino, stampato per la prima volta nella Revue des deux mondes del i834 (e ristampato nel volume: Études sur W. Shakespeare, Marie Stuart et l’Arétin, Paris, Amyot, i85i), e che «piú d’una volta, invece di riportare i passi originali dell’Aretino, egli preferí di ritradurli dalla traduzione francese». Indubitabile è il fatto denunciato dal Fradeletto, e da me verificato: cioè che molti dei brani dell’Aretino riferiti dal De Sanctis sono passati attraverso una liberissima (e talvolta arbitraria) traduzione francese, e hanno cangiato periodo e vocabolario; ma la conoscenza, che ho dello scrupolo col quale il De Sanctis soleva lavorare, e della personalitá morale di lui, mi ha fatto tenere impossibile che egli si fosse lasciato andare a una piccola frode letteraria. E, cercando come la cosa potesse essere accaduta, ho messo in sodo che il De Sanctis, nel preparare