Sotto l'Austria nel Friuli/La donna di Osoppo
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LA DONNA DI OSOPPO
1847.
Deus meus, Deus meus, ut quid dereliquisti me? |
San Matt., xxvi.
— Dio lo sa, Maddalena, s’io ti son grata!... Ma non posso più oltre permettere che tu ti levi il pane dalla bocca per darlo a noialtri!
— Oh, non pensare a me, te ne prego! Sta’ certa che il Signore provvederà. —
Con tristezza, ma affettuosamente, due giovani donne si scambiavano queste parole in una stanza a pianterreno nel villaggio di Osoppo. Le lunghe tavole e le panche di legno situate ai due lati della stanza mostravano che quel luogo aveva già servito ad uso di osteria; ma ora non vi si vedevano che le due donne. L’una, la padrona di casa, stava seduta, con la persona abbandonata e la faccia nascosta fra le mani scarne e sbiancate, una faccia languente come un fiore appassito; l’altra era una bella fanciulla vivace, sorridente, dalle guance fresche come pomi, ma solcate da una lagrima. La fanciulla aveva deposto sulla tavola, vicino all’amica, un cestino d’uva e una salvietta piena di farina.
— È l’ultima uva della mia pergola — diss’ella — e la porto a’ tuoi bambini: io non ne ho più bisogno. Esci un momento con me, Rosina mia, e vedrai che non ti dico bugie. —
E presala per il braccio la forzava dolcemente a uscir seco nel cortile. Il sole era vicino al tramonto; un fascio di nubi tenebrose occupava la cima del monte di Pèonis; alcune ondate di nebbia s’alzavano dal Tagliamento, e su, per la brulla schiena della montagna, andavano ad agglomerarsi a quelle nubi entro le quali ogni tanto guizzava un lampo.
— Guarda: — disse la giovinetta — stasera, senza dubbio, farà temporale; io allora non avrò paura dei soldati; uscirò dal villaggio, andrò a Udine, mi metterò a lavorare e non morirò più di fame!
— Oh! Se io non avessi quelle due meschine creature.... — mormorò la povera madre.
— Senti, Rosina, — aggiunse la fanciulla — quando io sarò a Udine cercherò di tuo marito e gli farò sapere la vostra orribile situazione.... Chi sa ch’egli non possa venire a trovarti e a portarti qualche sussidio.... Potrebbe gettarsi più su nelle acque del Tagliamento e arrivare qui a nuoto, come fanno quegli altri arditi della fortezza. —
Ma Rosina scoteva la testa e l’altra non osava continuare, perchè sentiva essa stessa che quella era una vana speranza! E, purtroppo, ella non aveva che lagrime per consolare l’immenso dolore di quella disgraziata che già presentiva tutti gli orrori dell’irreparabile destino! Si abbracciarono piangendo; si divisero mute, senza neanche potersi dire quell’addio, ch’entrambe sentivano sarebbe stato l’ultimo quaggiù sulla terra. Rientrata in casa, la Rosina si rimise a sedere e a ripensare al passato. Due fanciulletti, vispi ed allegri, vennero a scherzare ai suoi piedi ignari della loro sorte. Si arrampicavano sulle sue ginocchia, volevano ogni tanto baciarla, ed ella andava accarezzando or l’uno or l’altro, mentre le sue lagrime cadevano sulle loro candide fronti. Un vento impetuoso s’era intanto sollevato, il tuono si faceva sentire più frequente e più rumoroso, e, ad intervalli la finestrella, che dietro al focolare guardava verso la montagna, appariva illuminata dai lampi. Alcune grosse gocce di pioggia cominciarono a battere sui vetri, e ad un certo punto la porta si spalancò con impeto lasciando entrare come un’ondata della bufera che imperversava di fuori. — Che cattivo tempo! — gridavano i fanciulletti; e la donna corse a chiudere le impòste ed accese un lumicino; poi si mise di nuovo a sedere e pareva ascoltasse con una specie di segreto compiacimento lo scroscio della pioggia che cadeva a torrenti, l’urlo del vento e il brontolìo dei tuoni. Pensava all’amica, e la speranza che quel temporale valesse a proteggerne la fuga, l’aveva per un momento rianimata. Il lumicino non bastava a rischiarare tutta la stanza piuttosto vasta; ma illuminava le teste amorose dei fanciulletti, quella melanconica di lei, e poi dolcemente si perdeva nel buio lasciando bensì apparire abbastanza chiara una delle quattro pareti dove una mano esperta aveva effigiate alcune persone di grandezza naturale. Rappresentava una specie di corteo nuziale, e la sposa rassomigliava perfettamente la bella persona della padrona di casa, la quale, certo, aveva dovuto servire di modello a ehi aveva disegnata quella scena. Forse quell’abbozzo improvvisato sull’affumicata parete era l’opera d’un amico de’ due sposi, felice della loro felicità; forse era stato creato tra l’allegria dei bicchieri da un pittore che aveva voluto consacrare la gioia domestica de’ suoi congiunti di sangue o fratelli di fede. Chi sa quali sogni dorati, quali dolci speranze a loro sorridevano in quel giorno nel fascino e nell’effusione dell’amore! L’avvenire, che essi allora lietamente prevedevano, era intanto sopraggiunto; ma dov’erano adesso le persone ivi effigiate? Dove il pittore? Una sola rimaneva ancora al suo posto, la povera donna, ma come cangiata! Quella nobile testa eretta e così piena di brio giovanile si piegava ora come rosa disfogliata a guardare la terra! Gioia, amore, speranza, tutt’era svanito! Del suo ridente passato non le rimanevano che quelle due povere creaturine, memoria dei suoi giorni più belli, sangue e vita del suo cuore, epilogo d’ogni suo affetto, ma destinate purtroppo a misera sorte! Ella che le amava più delle viscere sue, avrebbe dovuto tra breve vedersele morire d’inedia.... Simili alla pianticella che appassisce in grembo alla terra inaridita, ella le avrebbe tra poco vedute appassire sulle sue ginocchia, senza poter loro porgere una sola stilla di refrigerio....
Così pensando, le prese fra le sue braccia, le strinse al cuore con un impeto di disperato cordoglio, e bagnandole di lagrime le coricò nel letticciuolo vicino al suo, implorando per esse la misericordia di Dio.
Passarono otto giorni. Il cestino d’uva e la farina recatole dall’amica erano già al loro fine. Da quella sera nessuna notizia di lei; ma certo doveva aver passato la linea dei soldati senza pericolo. Oh! s’ella pure avesse potuto fare altrettanto e provvedere un po’ di pane a’ suoi morenti bambini!... La disperazione, la fame, l’amore di madre vinsero la sua naturale timidezza, e s’accinse a tentare anch’essa la fuga. Oramai non v’era altro mezzo. Lì sarebbero morti indubbiamente di fame! Non v’era speranza di soccorso dai meglio provvisti, ché l’istinto della propria conservazione aveva chiuso tutti i cuori. Il pianto prolungato dei fanciulletti, che chiedevano da mangiare, era diventato martirio insopportabile. Risolse quindi di passare oltre le file dei soldati per procurarsi ad ogni costo un tozzo di pane. Coll’ultimo pugno di farina aveva apparecchiato un po’ di cibo ai bambini che si erari messi a mangiare, ma ella piangeva. Il più grandicello se ne accòrse, e, lasciato il cucchiaio, s’arrampicò fra le sue braccia e si mise a baciarla, mentre colla pezzuola che copriva le spalle e il seno di lei, s’ingegnava di asciugarle le lagrime.
— Non hai più fame, Vigino? — chiese la donna colla voce soffocata.
— Si che ho fame! Ma tu piangi....
— Or via, cuor mio, finisci di cenare, e poi andremo a far nanna; ma prima diremo insieme le orazioni.
— Anch’io le orazioni, mamma, anch’io! — balbettò con la bocca piena l’altro piccino.
— Anche tu, sì, stasera, perchè domani io vado fuori e voialtri dovete essere buoni e dormir quieti nel vostro lettino finché non venga a vestirvi la nostra vicina Natalia.
— Ci farai dire l’orazione lunga? quella per il ritorno del babbo? — Ella non rispose; ma preso in braccio il piccino, sali le scale piangendo, mentre Vigino attaccato alla sua gonnella le teneva dietro. Quando furono in camera, li fece inginocchiare dinanzi a una Madonna, e recitò alcune preghiere, ch’essi ripetevano balbettando, con le manine giunte e con gli occhi fissi nella santa immagine. Poi li mise a letto; e mentre li vegliava, non finiva mai di baciarli; accarezzava ora l’una ora l’altra di quelle bionde testoline, e ogni volta ch’essi aprivano gli occhi sonnacchiosi a riguardarla, sentiva la coglia di baciarli e ribaciarli ancora, e mormorava loro tutte quelle dolci parole di tenero immenso amore che solo le madri conoscono. Quando li vide addormentati, s’inginocchiò a pie’ del letto, e così pregò con tutto il cuore: — Dormite, angioli miei, dormite tranquilli! Mio Dio, che me li hai dati, mio Dio, che hai santificato l’amore della mia giovinezza coll’animare queste due creature che sono sangue di lui che ho tanto amato, custodiscile, proteggile tu! Io le metto nelle tue sante mani! Non permettere ch’io debba vederle morire di fame! Madonna benedetta, per l’amore di quel Bambino che tenete fra le braccia, abbiate pietà di questi due poverini!... Oh, guardate che soave dormire! Essi non sanno nulla del loro crudele destino. Si sono distesi nel loro lettino tutti contenti come quando la nostra casa era lieta e fornita di tutto il necessario, e si sono abbondonati al sonno sicuri del domani. Domani invece, mio Dio, non ci sarà nemmeno un briciolo di pane, ed essi piangeranno chiedendolo invano. È una cosa orribile! Possibile che la preghiera di una madre che chiede pane per i suoi figli non sia esaudita? Madonna benedetta, che avete tanto sofferto per il Figlio vostro, coprite questi miei bambini innocenti col vostro manto; teneteli sul vostro seno insieme col vostro Bambino finché io torni a salvarli. — Si alzò tutta in lacrime, prese alcuni pomi; li avvolse in un bruno fazzoletto; ma prima di uscire si accostò ancora una volta ai due angioletti dormenti e li benedisse; quindi si allontanò in punta di piedi, lasciando socchiusa la porta.
Era notte alta: nel villaggio un silenzio come di morte; tutte le case buie e le vie deserte. La donna, fatti alcuni passi, si fermò dinanzi ad una casa e battè contro una finestra del pianterreno. Una specie di fioco lamento le rispose. Stette un momento in attesa; ma non udendo più alcun rumore, battè una seconda volta, e: — Natalia! — chiamò — Natalia, affacciatevi. — Allora il lamento si rinnovò più forte e pareva accompagnato da parole d’impazienza. Finalmente le impòste stridettero, e una voce rauca e di tanto in tanto sibilante domandò:
— Chi è?
— Sono io, Natalia.
— Ah, voi, Rosina? Avete dunque risoluto? Volete proprio tentare?
— Ma sì, Natalia; altrimenti mi muoiono di fame!
— E se vi arrestano? Ricordatevi che la Giulia e la comare Teresa le hanno condotte in prigione a Gemona! E v’ingannate, — continuava emettendo la voce a guisa di fischio — v’ingannate se credete ch’io possa nutrirvi le vostre creature. Sono otto giorni che non vedo un briciolo di pane; e quando non ce n’è, non si può dare, capite!
— Mio Dio, Natalia, non vi domando pane. Andate solamente a vederli domani. Io spero di essere tornata a quest’ora.
— E domani — chiese la vecchia — come si vivrà domani?
— Questi pomi basteranno per domani. — E tiratasi un poco indietro, le lanciò dentro la finestra il fazzoletto legato.
Intanto la luna, un po’ sbiadita, si mostrava in cielo di fra le nubi spezzate. Le due donne si salutarono. La povera madre prese la strada, e via in silenzio rasente il muro come un’ombra. L’altra, coi gomiti appoggiati al davanzale della finestra e con la testa fra le mani, stette ancora un pezzo a guardarla, ché il lume della luna in quel momento la rischiarava. E rischiarava pure la faccia macilenta della vecchia, una faccia sbiancata e con gli zigomi rilevati, la quale si disegnava su un rettangolo scuro come su un panno mortuario, e pareva proprio il simbolo della morte come vien figurata sui catafalchi: un cranio e due ossa in croce.
Erano molti giorni che la fame macerava e struggeva la vecchia Natalia, ridotta ormai ad uno scheletro vivente; ora la fragranza dei pomi l’aveva come rianimata. Appena udito il tonfo della loro caduta sul pavimento, le sue mani scarne subito li aveva afferrati e istintivamente se li era avvicinati alle labbra mentre mormorava:
— Uno, due, tre, quattro pomi! Ella ha ancora dei pomi pe’ suoi bambini! Chi può averglieli dati? Eh, mio Dio! quando siamo giovani si trova compassione; ma io potrei picchiare a tutte le porte del villaggio, che nessuno mi darebbe una manciata di farina. Direbbero che ho vissuto abbastanza.... Sono già tanti giorni che nessuno mi dà niente.... Oh la fame! la fame!... È un cane che addenta lo stomaco. —
Così dicendo, accostò alle frutta le labbra inaridito, e ne gustava il profumo in una specie di estasi. Ma tutto ad un tratto fu presa come da furore famelico, e divorò i pomi uno dopo l’altro.
La povera madre aveva intanto passato le case del villaggio; udiva il passo monotono delle scolte austriache, e guardinga s’inoltrava lentamente studiando il passo, trattenendo il respiro, mentre pregava coll’anima. Alla minima buffata di vento che agitasse le fronde, si gettava per terra con un brivido di spavento e tremando perfino dei battiti del proprio cuore; quindi riprendeva il difficile cammino strisciando e spesso andando carpon carponi. Aveva appena oltrepassato il primo scaglione, quando s’accòrse d’essere scoperta: si dette tosto alla fuga, ma l’allarme dato dalla sentinella, lo strepito dell’arma che questa aveva abbassata, e la certezza di cadere nelle mani dell’altra sentinella di contro, che anch’essa era uscita per inseguirla, la fecero fermare. Vedendosi perduta, la misera s’inginocchiò, e guardando spaventata la canna del fucile puntata verso di lei, protese le mani, gridando desolata: — Un po’ di pane per i miei poveri figliuoli! Io non dimando che pane!2
— Pane? Kruca! — ripetè il croato. — E mostrandole un pezzo di pane da munizione, la invitava con selvaggio sorriso a venirlo a prendere dalle sue mani.
Si alzò la credula donna, ma non aveva fatto due passi, che una palla fischiando la colpì in fronte.
⁂
Il giorno dopo due povere creature, cacciate dal lungo digiuno, piangevano per la strada di Osoppo. In camicia, cogli occhi infossati, coi capelli arruffati, sparuti e color di cenere, quei bambini andavano in cerca della mamma, e la loro voce sempre più languida ed infiochita era un gemito che passava l’anima. Guidati da una specie d’istinto, arrivarono là dove ancor giaceva il cadavere della povera donna. Nella loro ingenuità credettero che ella dormisse, e: — Su, mamma! — le gridavano — su, svegliati! Andiamo a casa, mamma! La Natalia non è venuta a vestirci: nessuno è stato da noi.... Nessuno ci ha dato niente! Mamma, su via, muoviti una volta!
Oh, se a quella scena straziante fosse stato presente il padre loro!... Forse tornerà un giorno, dopo chi sa quante sventure, a rivedere i suoi monti nativi, a rivedere questa povera terra tradita. Egli tornerà!... o dinanzi al villaggio desolato dalle fiamme e dalla rapina, dinanzi alla smantellata fortezza3, sulla pianura che dicono Campo, una piccola croce di legno gli additerà il luogo dove giace la martire, la santa creatura, che era la gioia più cara della sua vita.
- ↑ Il villaggio di Osoppo è situato sulla riva sinistra del Tagliamento, a piedi della fortezza dello stesso nome costruita dalla famiglia Savorgnan sulla vetta di quel monte scosceso e isolato che si alza fino a quasi cento metri e alla quale si accede per una sola strada ben custodita. Osoppo contava nell’anno 1847 oltre 2000 abitanti, che i Tedeschi, per ottenere la resa della fortezza, affamarono vietando loro l’uscita.
- ↑ Qui la narrazione s’attiene alla più scrupolosa verità in ogni minuto particolare.
- ↑ La fortezza, opera di un semplice privato, era tale, che meritò di esser tenuta in pregio da Napoleone. Da uno dei discendenti Savorgnan era stata donata alla Repubblica Veneta, perchè diventasse baluardo italiano contro le irruzioni del Nord. Il donatore benemerito fu sepolto nel giardino in vetta al colle fortificato.