Sotto l'Austria nel Friuli/Agosto 1866
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AGOSTO 1866.
Lettere a Marina.
Alle dieci di mattina, giorno di San Lorenzo e sagra del nostro villaggio, capitarono sui prati di Soleschiano alcune compagnie di zappatori, venute a riempire i fossi, spianare le vie, atterrar piante, perchè il giorno dopo vi si doveva fare la rivista di tutto l’esercito di Cialdini. I nostri contadini, che per paura delle requisizioni austriache non avevano ancora falciato, a tale notizia corsero subito dai parroci a chieder licenza di lavorare anche in giorno festivo per non perdere il fieno, di cui in questo paese c’è tanta penuria. Quella bella prateria in riva al torrente non l’avevo mai veduta tanto popolata come in quel giorno: neanche quando v’è la festa dei Pastori.
Spettacolo magnifico! Da tutti i villaggi circonvicini la gente a torme veniva ad aiutar l’opera con falci, zappe, pale e carri. Ragazze vestite a festa rastrellavano l’erba; soldati che lavoravano cantando le villotte d’ogni parte d’Italia; ufficiali a cavallo che percorrevano lo spazio per ogni verso; generali in carrozza venuti ad ispezionare, e poi turbe di curiosi, tra i quali anch’io ed anche il cappellano. Mi pareva di sognare nel vedere così trasformata quella mia prediletta solitudine, dove mi son volate tante ore col pensiero e coll’affetto rivolto all’Italia. A Udine, il giorno dell’arrivo delle nostre truppe io non ci sono stata; non ho veduto l’ingresso di Cialdini, nè ho goduto delle gioie ineffabili di quella povera città finalmente liberata. Dicono che fra giorni viene il Re.... Le mie private sventure mi hanno talmente avvilita, che io non mi muoverò di qui. Ma se questa magnifica festa nazionale doveva celebrarsi proprio sotto ai miei occhi, avevo stabilito di alzarmi il domani alle quattro, e in compagnia di Spizzi andarmene a sedere sull’erba all’ombra dei pioppi lassù, sul nostro solito poggetto in riva al torrente di dove avrei goduto interamente lo spettacolo.... E dimani non più la rivista, ma la ritirata....
Col cuore ambasciato dai più sinistri presentimenti corro in fondo ai nostri campi sulla via postale. Cavalli, fanti, batterie, salmerie, tutto il quinto corpo d’armata in fretta e in furia abbandonava il nostro povero paese. Pareva una fuga.... Non rimasero che i minatori a far saltare in aria i due ponti che ci dividevano dagli Austriaci. Alle due antimeridiane del dodici udii lo scoppio. Fu uno schianto come se mi avessero strappato il cuore. Udine restava senz’altra difesa che quella rovina....
Poche ore dopo i pontonieri austriaci li rifacevano. In quel giorno stesso furono a Manzano; e il giorno tredici tutti i nostri villaggi erano invasi. La mattina del tredici si seppe dei patti di Cormons. Non ho mai versato lagrime più cocenti! Povero paese mio in balìa di questo orde inferocite! Indarno a calmarci fu sparsa la voce che questa non era che un’occupazione momentanea. Un sinistro presentimento mi dice che il Friuli sarà, se non altro, miseramente squarciato, che la frontiera sarà al Torre, e così io sarò lasciata fuori.... Le lagrime di Garibaldi quando, gli tolsero la sua Nizza, io le piango adesso tutte quante. Addio, speranze della mia povera vita passata!... Marina addio: non posso più scrivere....
Ripiglio per dirti degli orrori di questa occupazione. Qui in casa abbiamo oggi due compagnie di slovacchi. A noi non usarono finora prepotenze, ma a Soleschiano l’agente del conte Brazzà fu minacciato con la rivoltella da un capitano del 91° reggimento Principe Leopoldo di Toscana. Dovettero aprirgli tutte le stanze, tutti gli armadi, affinchè vedesse coi propri occhi che non c’era quello ch’egli pretendeva ci fosse. La giovane sorella e la madre dell’agente sono, per lo spavento provato, più morte che vive.... A Cividale volevano mettere in carcere i deputati; piattonate e insulti poi a iosa! Requisiscono l’impossibile, e nel darci il loro sudicio bono di carta, ci dicono che pagherà l’Italia. A Trivignano i soldati viennesi lordano tutte le stanze come se fossero tante bestie.
Della canonica dei preti, anzi, della stanza del cappellano hanno fatto un postribolo. Vengono da paesi infetti dal colera, e già più di uno di essi è morto di questa orribile malattia.
A Udine, dove c’è il Sella, hanno stabilito una quarantena prima di entrare in città, ma qui non abbiamo più governo di sorta. Il budellame e gli altri rimasugli dei bovi uccisi son là che marciscono senza che nessuno pensi a Sotterrarli. Nelle acque dei torrenti si sono scoperti i cadaveri di soldati, morti il giorno venticinque.
Ieri alcuni contadini, andati a falciare un prato, poco lontano dal villaggio, vi trovarono due cadaveri; e nessuno li seppellisce. Qua e là vedi cavalli scuoiati sopra a terra. C’è un puzzo orribile. Indarno la deputazione e i medici dànno ordini! Non c’è chi voglia obbedire. Dio mandi presto il freddo! Ma penso che allora, oltre la tanta penuria, qui nel villaggio non vi saranno neanche più legna da bruciare, ché i soldati hanno ripulito ogni cosa.... Adesso viene la notizia che domani senza il permesso del generale non si potrà passare il cordone. Non c’è dunque tempo nè di copiare questa lettera, nè di scrivertene un’altra. Leggi come puoi e perdona gli spropositi, perchè mando subito a impostarla a Udine. Riverisci per me il professor Conti, ma se gli vuoi dire dei nostri casi e far leggere la presente, correggi ti prego gli errori.
Un bacio ai figli e mille a te.
Caterina. |
⁂
Ho paura, Marina mia, di non poter fare più niente col mio povero ingegno. Troppe disgrazie mi sono cadute addosso!... E lo spavento e l’angoscia di questi giorni mi hanno propriamente annichilita. Non voglio dirti con questo di non voler tentare di riuscire nel lavoro che mi proponi. Anzi, mi metto subito all’opera, non foss’altro, per la cara speranza che mi dài di essere in tua compagnia sulle pagine di quel giornale al quale, se ben ricordi, io desideravo tanto di collaborare. Ma come lusingarmi di riuscire, se da qualche tempo mi trovo in tale stato di debolezza, che non mi lascia nè scrivere nè leggere due righe di seguito? Sono sempre bagnata di sudore. Ti dirò che per scriverti questo principio di lettera, già per tre volte ho dovuto asciugare gli occhiali. Tu mi hai scritto mettendomi dinanzi una bella prospettiva; ma con tutto ciò non v’è gioia nella tua lettera!... Oh! il buon Dio dovrebbe almeno consolarmi col far felici i miei cari.... Anch’io appoggio i gomiti sul davanzale di una finestra, ma ho sotto gli occhi ben altro che la magnifica pineta della tua Viareggio. Vedo invece tre luride compagnie di austriaci, avanzi della strage di Königgrätz, e la mia casa è piena di austriaci... Qui, fuori dell’uscio della mia camera, vi sta un tenente co’ suoi attendenti, e tutti nel loro barbaro linguaggio insultano e bestemmiano questa mia povera patria. Il puzzo intollerabile di quella sudicia soldatesca esala dagli assiti mal connessi, e son già varie notti che, per non poterlo sopportare, dormo con le finestre spalancate ad onta dello stato deplorevole della mia salute. Buon Dio, la pace che ora si sta trattando vorrà dare all’Italia un così malaugurato confine? Verranno dunque a squarciare questo povero Friuli? E io tagliata fuori, e io in balia dell’Austria? e questi poveri contadini esposti al pericolo di diventar ben presto tanti contrabbandieri e di demoralizzarsi come già avvenne sotto il primo Napoleone dei vicini villaggi dell’Illirico? Capisco bene che se la rovina di alcuni paesucoli può valere una parte del Tirolo e il possesso immediato delle fortezze, a noi non tocca lagnarci, e bisogna morire moralmente per l’Italia con lo stesso cuore con cui hanno dato la vita i nostri giovani a Custoza e nelle acque di Lissa.... Ma forse il confine al Torre non è che un patto temporaneo dell’armistizio di Cormons, e noi saremo in breve liberi?.... Oh, se potessi avere tale certezza!... Qui invece si vive nel più tremendo dei dubbi: un giorno si spera, un altro si trepida, e un terzo, spaventati, non abbiamo che lagrime.
Devi sapere che per molto tempo siamo stati all’oscuro di tutto, causa le comunicazioni interrotte. Ogni giorno allora io mi trascinavo in una solitudine romita sulle sponde del torrente e tendevo ansiosa l’orecchio al lontano rumoreggiare del cannone. Lo sentii venire da Custoza; lo sentii venire da Lissa; poi giunse la nuova del passaggio a Borgoforte. Indi non più giornali, non più lettere, ma un silenzio di morte e l’angoscia di un’ansia tremenda. Giorno e notte passavano di continuo i convogli della ferrovia carichi di truppe: vennero i feriti. A Udine perquisizioni, arresti, esilii, minacce. Capitavano le notizie degli orrori di Rovigo; voci di saccheggio e di estorsioni in altre città. Poi le requisizioni di buoi, di vino, di grani. Un giorno furono chiuse le porte di Udine, e dodicimila austriaci minacciarono il saccheggio, se entro sei ore non si dava loro, oltre il mantenimento, non so che ingente somma di denaro. In quel giorno il cappellano Spizzi era andato in città, e non ti so dire l’angustia nell’aspettarlo fino a notte tardissima. Finalmente cominciarono a sloggiare. Molti partirono coi convogli della ferrovia, ma molti si allontanarono a piedi in grosse colonne. Dodicimila si sono accampati di là dal torrente, facendo guasti orribili nella campagna e impossessandosi con la forza delle nostre mandre per un vasto tratto di paese all’intorno. Il mio povero villaggio ben venticinque bovi ha dovuto condurre al campo austriaco, oltre il vino ed altre cose: insomma ci hanno spogliati. Lo scoppio del ponte del Tagliamento, che fecero saltare in aria, ci avvertì che abbandonavano il paese con la paura di essere inseguiti, e si ritiravano a Gorizia con tutti i loro impiegati. Cominciarono allora a venire notizie del corpo d’armata di Cialdini, che si avanzava dalla parte del basso Friuli. Ma pioveva a dirotto, e i torrenti gonfi ci tenevano come imprigionati e all’oscuro di ogni cosa.
Due dei nostri paesani passarono l’acqua presso il Torre, e furono al campo di Gasteons. Non c’era più dubbio: venivano a liberarci!... Udine era imbandierata in un eccesso di gioia.... Col cappellano Spizzi il dì 25 luglio passai anch’io il torrente coi muli, e via per quei villaggi, sperando d’incontrare qualche picchetto di truppe italiane. A Santa Maria, a Santo Stefano, a Percotto vedemmo la bandiera tricolore. Li aspettammo, ma noi non fummo tanto fortunati da poterli salutare. Il giorno dopo un messo da Trivignano venne ad annunziarci che un corpo di lancieri di Vittorio era colà giunto durante la notte, che seguivano i bersaglieri e che tutto il villaggio era già pieno di soldati italiani. Giulia, mio fratello e tutti gli altri della famiglia corsero subito a Trivignano. Io sola in casa mi appostai a una finestra che guardava da quella parte. Non so dirti quel che provassi in quelle sei ore che durò il combattimento! Sentivo le fucilate, vedevo il lampo dei colpi di cannone, vedevo la polvere sollevata in alto dai cavalli. Vedevo ardere il villaggio di Nogaredo e poi il ponte di Romans e poi quello di Versa.... Alle due tornarono a casa i miei spaventati. Durante il pranzo venne un altro messo di Trivignano, a cercare il nostro medico per i feriti. Alcuni furono portati in casa della sorella di mia cognata e in altre case del villaggio.
Giulia, le sue sorelle, le sue nepoti ad assisterli. Fiera gioventù volata alla battaglia come ad un festino da ogni regione d’Italia: tutti ansiosi di battersi, tutti prodighi della loro vita! A mezzanotte un sergente, che era stato fatto prigioniero, comparve sul cavallo di un ussero che aveva ucciso nel farsi largo tra le file dei nemici. Aveva due grandi ferite alla spalla, profonde fino all’osso; aveva trapassata una coscia da una palla e un’altra ferita attraverso la faccia; e mentre il nostro dottore lo medicava, egli narrava i particolari di quel fatto d’armi, e com’era riuscito a farsi strada attraverso gli austriaci e mettersi in salvo. I nostri vincevano ad onta del ponte distrutto, e avevano già in parte guadato il torrente; gli Austriaci invece erano in piena fuga fino a Gorizia; ma l’armistizio presentato dal nemico sul campo, li fece loro malgrado retrocedere. Oh, se tu avessi veduto come piangevano di rabbia!...
Il domani, 27 luglio, la divisione Mezzacapo e Pallavicini coi bersaglieri vennero ad accamparsi a Manzano. A Trivignano, Cadorna, Ricotti ed altri. A Predemano, Cialdini; a San Lorenzo e Soleschiano gli avamposti. Sono stati dieci giorni con noi. Erano i fratelli venuti a liberare i fratelli. Accarezzavano i bambini, erano buoni, alacri, disciplinati; cercavano di darci il meno disturbo possibile. Si capisce che tutta quella milizia non poteva viver d’aria; ma ti assicuro che non ci hanno recato il minimo danno. Pagavano a contanti fino l’acqua che bevevano, e per noi non c’era che il dolore d’essere poveri e già spogliati di tutto dall’Austriaco. Sicché i loro bei marenghi non li potevano spendere. Qui, in casa, è stato due giorni malato un capitano. Ci si bisticciava un po’ perchè si dichiarava ateo, ma era il miglior galantuomo della terra. A me perdonava le mie credenze religiose, in grazia del ritratto di Garibaldi appeso alla parete, ché sotto Garibaldi egli aveva combattuto in Sicilia e n’era entusiasta. Io gli perdonavo tutti i suoi spropositi in grazia del suo cuore d’italiano disposto ad ogni sorta di sacrifizj per la patria.
Povero Rossi, con quanto affetto discorreva con me della sua bambina che ha nome Bronzetti-Milazzo-Garibaldi, e che a quattro anni già tira di pistola! Anche altri ufficiali venivano a sciorinarmi certe dottrine balzane, entrate loro in capo a cagione dei preti che laggiù, in quel di Napoli, parteggiano per i briganti; ma io li facevo ridere maravigliandomi di trovar tanti missionari nell’esercito di Vittorio, sicché lasciavano da parte il disputar di religione e si concludeva con una stretta di mano, a cui spesso, benché prete, partecipava anche lo Spizzi.
E con lo Spizzi ogni mattina io facevo la mia solita passeggiata sui prati di Soleschiano in riva al torrente dov’erano gli avamposti, e ci trattenevamo ore ed ore a discorrere coi soldati ivi accampati. Che vuoi ch’io ti dica? Noi gente di campagna, avvezzi più che altro a trattare col povero popolo, ci trovavamo con essi più a nostro agio.
Ci pareva di passare in rassegna le diverse stirpi della Penisola, le quali, lì riunite nell’esercito, ci davano un’idea dell’Italia futura. E la lingua? Guai a me se il senatore Lambruschini sapesse che io osavo trovar bello quel gergo militare inventato nell’esercito per la necessità d’intendersi, e che mi pareva di vedere in esso quasi un’embrione di quella nuova lingua fusa, che sarà per l’Italia avvenire la sola moneta corrente!
Caterina. |