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cilia e n’era entusiasta. Io gli perdonavo tutti i suoi spropositi in grazia del suo cuore d’italiano disposto ad ogni sorta di sacrifizj per la patria.

Povero Rossi, con quanto affetto discorreva con me della sua bambina che ha nome Bronzetti-Milazzo-Garibaldi, e che a quattro anni già tira di pistola! Anche altri ufficiali venivano a sciorinarmi certe dottrine balzane, entrate loro in capo a cagione dei preti che laggiù, in quel di Napoli, parteggiano per i briganti; ma io li facevo ridere maravigliandomi di trovar tanti missionari nell’esercito di Vittorio, sicché lasciavano da parte il disputar di religione e si concludeva con una stretta di mano, a cui spesso, benché prete, partecipava anche lo Spizzi.

E con lo Spizzi ogni mattina io facevo la mia solita passeggiata sui prati di Soleschiano in riva al torrente dov’erano gli avamposti, e ci trattenevamo ore ed ore a discorrere coi soldati ivi accampati. Che vuoi ch’io ti dica? Noi gente di campagna, avvezzi più che altro a trattare col povero popolo, ci trovavamo con essi più a nostro agio.

Ci pareva di passare in rassegna le diverse stirpi della Penisola, le quali, lì riunite nell’esercito, ci davano un’idea dell’Italia futura. E la lingua? Guai a me se il senatore Lambruschini sapesse che io osavo trovar bello quel gergo militare inventato nell’esercito per la necessità d’intendersi, e che mi pareva di vedere in esso quasi un’embrione di quella nuova lingua fusa, che sarà per l’Italia avvenire la sola moneta corrente!

Caterina.