Sotto l'Austria nel Friuli/La ressurezione di Marco Craglievich

La ressurezione di Marco Craglievich

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A Jalmicco nel 1848 Agosto 1866
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LA RESURREZIONE DI MARCO CRAGLIEVICH.

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— È caduta la spada dal fodero! Ha nitrito il cavallo di Marco! — Il cavallo di Marco Craglievich l’han sentito nitrire sul monte d’Urbina, in Prilipa dalle bianche case, nelle foreste e nelle valli della Serbia, lungo le sponde del nero fiume; l’han sentito a Samodresa, e nella pianura di Cossovo; fin tra le nude rocce della Czernagora l’eco ha ripetuto il suo nitrito.

Marco Craglievich si sveglia. Sul fianco del monte d’Urbina sono ancora due vecchi abeti e in mezzo a loro un pozzo. Essi vincono ancora in altezza la cima del monte, ma i loro rami percossi dal vento e squarciati dal fulmine hanno perduto il color verde. Cupo, solcato dal tempo, si specchia nel fonte l’immane loro tronco. Nell’acqua bruna hanno veduto come un riverbero di luna lucente; ma non era lume di luna lucente: era l’ultima lettera di Marco, caduta nel pozzo dai rami degli abeti a cui l’aveva appesa prima di morire; era il calamaio d’oro ch’egli aveva gettato nel pozzo, che ora torna a risplendere e manda raggi alla superficie dell’acqua. [p. 102 modifica]

Marco Craglievich si sveglia. La terra ha tremato. Dalla bocca del pozzo fin giù nell’acqua profonda si è udito un sordo fragore come di vento sotterraneo che ha rivelato i misteri della fontana, che dalle radici del monte d’Urbina s’è propagato fino a quelle dell’Athos, là dove il fiume sbocca improvviso dal masso, e poi torna a inabissarsi in un’umida argillosa caverna. Il santo abate di Vasa e il suo discepolo Isaia portarono in quelle caverne d’Urbina il cadavere di Marco e lo seppellirono nel mistero, vicino all’acqua bruna. Gli alberi pendenti dall’alto gocciarono per anni ed anni sul capo di lui le loro lagrime. Ora s’alza dalla voragine un gruppo di nubi: vanno esse lentamente volteggiando al di sopra di tutto il paese. Or alte, or basse, ora illuminate dal sole, ora urtate dal vento, cangiano di forma, cangiano di colore. Talvolta si distendono come un ampio velo di nebbia e salgono i greppi della montagna, poi si condensano nella valle e mandano lampi. Tra i lampi si vede il dorso d’un cavallo toppato; si vedono le punte dorate d’un immenso Busdovano. Talvolta sopra di esse giganteggia il capo d’un guerriero, il cui berrettone di zibellino calcato sulla fronte si confonde con le nere sopracciglia; i neri mustacchi gli pendono sul petto. Poi la nube lo cuopre, e n’esce invece la pelliccia di lupo arrovesciata e il pomo della spada damaschina con l’auree nappe pendenti; poi la testa del cavallo toppato sanguigna fino agli orecchi: dall’unghia gli sprizzano vive faville, le narici mandano un’azzurra fiamma. Il freno è un serpe, un serpe lo sprone. Sibilan le serpi, nitrisce il cavallo, e la maestosa visione si allontana. Donne vestite a lutto, madri piangenti, vedove e fanciulle desolate escono dalle loro case per tutto dove quella visione passa, o [p. 103 modifica]guardano, guardano o sentono che è venuto il giorno fatale. Ma dove sono i prodi destinati a liberare la patria? forse accampati sulle rive del nero fiume pronti a varcarlo per la libertà? forse nelle foreste della Serbia a giurare un patto con la stirpe del generoso Milosio? forse inginocchiati intorno alla tomba di Dositeo invocano l’aiuto di Dio, e ricevono dalle mani del serbo patriarca e dei suoi dodici prelati la santa comunione? o ai piedi della Kraina, disposti in ordine di battaglia aspettano il segnale per gettarsi come tanti leoni sulle falangi dei Turchi a rivendicare i loro sacrosanti diritti?

Il nero fiume scorre in silenzio fra le rive abbandonate; nelle foreste della Serbia non si giura nessun patto, solo vi pascono in pace le numerose mandrie; è deserta la tomba di Dositeo, e al passaggio di Marco si commuovono solo le ossa del padre della patria, e dànno un gemito sotto la pietra sepolcrale. Il vento freme fra le nude rocce del Kraina, ma non vi sono nè cavalli nè guerrieri.

— Essi saranno accampati nella pianura di Cossovo! — grida Marco, e irato cavalca alla pianura di Cossovo.

Come stoppie disseccate dal sole e dal tempo, stridono sotto le unghie del cavallo le ossa dei morti per la libertà; le ossa di Lazzaro Conte, dei nove Giugovich e del loro esercito ma in tutta la pianura; Marco non vedo anima viva. Con voce tremenda Marco allora grida ai quattro venti:

— È venuto il giorno della redenzione! Or dove sono i nostri prodi? —

Comparvero allora due negri corvi: uno veniva dal settentrione, l’altro dall’occidente; i rostri avevano insanguinati fino agli occhi, gli artigli fino al [p. 104 modifica]ginocchio. Calàti nella pianura desolata, si posarono entrambi sulle ossa dei morti in faccia a Marco e gracidavano.

— O corvi, fratelli in Dio! — disse allora Marco. — Venite voi dal settentrione? venite dall’occidente? vedeste i nostri armati? vedeste i figli della nostra terra? sanno essi che il giorno è venuto? saranno essi qui in breve per la battaglia della libertà? —

E i due vecchi corvi rispondono:

— O Marco, figlio di Vucàssino e di santa Gevrosina, o Marco, gloria ed onore di Slavia, noi vorremmo darti buona novella, ma non possiamo darti se non quella che è. — E l’uno dei corvi gracchia, e l’altro dice:

— Vengo dall’Italia. Freme l’Italia e non vuol più servire a Cesare; Cesare manda a domarla i figli del tuo paese. Centomila varcano i monti, centomila traversano il mare. Lì fui, e vidi: saccheggiarono, distrussero, incendiarono. Hanno cavato gli occhi alle immagini dei santi, hanno insozzato gli altari, hanno insultato le donne, hanno ucciso i fanciulli, hanno bevuto del loro sangue. Lì fui e vidi quando si cozzarono le schiere: degli Italiani pochi sono rimasti; pochi anche dei tuoi e i più feriti; ma i tuoi hanno vinto. Hanno vinto, ma l’Italia non può rassegnarsi. —

Quando Marco sente ciò, grida con tutta la sua voce: — Ahi! mala novella è cotesta, o corvi! Non contro l’Italia dovevano essi pugnare! Che importa a noi dell’Italia? Forse che le sue catene compensano il nostro sangue? Ci giova l’aver lasciato in Italia le nostre ossa, or che è venuto il giorno della redenzione? Chi dunque combatterà ora per noi? — [p. 105 modifica]

E l’altro corvo risponde:

— Restavano ancora al Bano mille e mille prodi, pronti a pugnare per i loro diritti. Aveva il Bano occhi di falco, cuor di poeta; ma gli hanno chiusi gli occhi con una benda d’oro, coll’oro gli hanno avvelenato il cuore. Passarono la Sava, dall’acqua impetuosa e fredda. Credevano di pugnare per la libertà, e non erano che martello in mano all’oppressore. Lì fui e vidi quando i due eserciti si affrontarono. Quindicimila cadaveri hanno coperta la terra. Ho mangiato della loro carne, ho bevuto del loro sangue! Quindicimila son morti, ma non per la patria; son morti per una causa ingiusta ed è maledetto il loro nome! Il Bano ha varcato allora il nero fiume e minacciato la bianca città dell’Imperatore. Lì fui, e vidi: combatterono e vinsero. Saccheggiarono, distrussero, bruciarono. Ma Vienna rassegnarsi non può. —

Quando Marco intese ciò, il suo viso si rigò di lagrime, e tra le lagrime imprecò crucciato:

— Che il sangue dei traditi ricada sul capo dei traditori! O Bano che potevi far libera e grande questa terra, e invece l’hai macchiata d’eterna infamia, possa la fredda Sava ingoiarti insieme coi nostri nemici! Molte madri hai trafitte, e molte mogli alle loro famiglie rimandate vedove, e amorose sorelle fatte vestire a lutto. Oh, quanto sangue versato e versato indarno! Era venuto il giorno della redenzione, e voi vi siete ricordati del mio male e non del mio bene! Vi siete ricordati del padre Vucàssino e non della santa mia madre Gevrosina. Io combattevo per il giusto e per l’oppresso. Contro Vucàssino, padre e re, io aggiudicava l’impero al giovinetto Urosio, e voi avete pugnato contro la giustizia! Dalla mano del Turco io rivendicavo la spada [p. 106 modifica]damaschina su cui erano incise le tre lettere cristiane; e voi avete data la vostra agli oppressori. Io liberavo dal carcere i fratelli, dalla schiavitù le fanciulle, percorrevo la terra soccorrendo gl’infelici, e spezzando ogni sorta di catene, perciò un giorno in questa pianura stessa di Cossovo e grandi e piccoli gridavano: — Viva Marco, che la terra dal malanno francò, che sterminò della terra il tiranno! — E voi invece siete corsi nelle file del tiranno a ribadire le catene delle nazioni sorelle! Voi vi siete ricordati della maledizione di mio padre e non del motivo che me la fece sfidare! Vi siete ricordati di quando io raccoglievo l’oro nella tenda dei vinti, della mano tagliata a Roscanda, dei suoi occhi cavati, avvolti nella sua pezzola e a lei buttati in seno; del vino che io bevevo in Istambul; del peccato ch’io confessavo a mia madre, e per espiare il quale tanti edificai monumenti. Vi siete ricordati della mia lunga servitù nelle case del Turco, ed ecco che avete tradita la patria e rinunziato al giorno della sua redenzione! — E cadde dal cavallo, nè più si sveglierà finché non sia pentita la terra di Serbia.