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Le rovine e il gran veglio - III

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Le rovine e il gran veglio - III
Il corto andare - II Le rovine e il gran veglio - IV
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III.


Avanti. Dante entra, dopo qualche esitazione, dalla porta senza serrame. Non muore alla morte del peccato in genere od originale, se non passando [p. 196 modifica]l’Acheronte. Questo fiume non è il solo dell’inferno. I fiumi sono quattro con esso. Donde nascono? Dice Virgilio:1

               In mezzo mar siede un paese guasto
               . . . . che s’appella Creta,
               sotto il cui rege fu già il mondo casto.

Cioè sotto Saturno, sotto il “caro duce, sotto cui giacque ogni malizia morta„.2 È il sogno pagano dell’Eden cristiano, quest’isola:3

               Quelli ch’anticamente poetaro
               l’età dell’oro e suo stato felice
               forse in Parnaso esto loco sognaro.
               
               Qui fu innocente l’umana radice.

In Creta, gli antichi pagani sognarono che innocente o casto fosse il mondo. E come l’Eden è una divina foresta, e vi è sempre primavera e ogni frutto, così in Creta,

               una montagna v’è, che già fu lieta
               d’acque e di fronde, che si chiamò Ida:
               ora è deserta come cosa vieta.

L’uomo mutò l’Eden nella terra laboriosa e disubbidiente: l’Eden pagano si mutò esso. Come [p. 197 modifica]nell’Eden nacque il genere umano, così l’Ida fu cuna di Giove. Ora

               dentro dal monte sta dritto un gran veglio,
               che tien volte le spalle in ver Damiata,
               e Roma guata sì come suo speglio.

E il veglio è il genere umano stesso, e volge le spalle all’oriente e il viso all’occidente, a Roma; il genere umano incluso nell’idea del sacro Romano impero. E si può notare ch’egli è ben disposto, secondo il corso del cielo,4 che si muove da mane a sera. Ma pure il veglio ha un manco in altro come si vedrà.

               La sua testa è di fin oro formata:
               e puro argento son le braccia e il petto
               poi è di rame infino alla forcata;
               
               da indi in giuso è tutto ferro eletto,

(sono le quattro età del genere umano)

                    salvo che il destro piede

(ossia quello che significa la vita contemplativa o spirituale)

                                             è terra cotta,

(perchè l’autorità spirituale è debole fondamento del governo: questo è il manco)

              e sta in su quel più che in su l’altro eretto

[p. 198 modifica](come non dovrebbe essere e come si adira Marco Lombardo che sia!).

               Ciascuna parte, fuor che l’oro, è rotta
               d’una fessura.

L’oro, no; perchè l’età dell’oro era innocente: non c’è da dubitare.

Ma quando o perchè avvenne allora la fessura? Se passiamo dal sogno alla realtà, dobbiamo sospettare subito che si tratti del peccato di Adamo. “D’una fessura„

                                che lagrime goccia,
               le quali accolte foran quella grotta.

               Lor corso in questa valle si diroccia:
               fanno Acheronte, Stige e Flegetonta;
               poi sen van giù per questa stretta doccia

               in fin là dove più non si dismonta:
               fanno Cocito . . . .

La fessura comincia dove finisce l’innocenza del genere umano. La fessura goccia lagrime; le lagrime formano i fiumi infernali. Passar l’uno, il primo di essi, è morire alla morte del peccato originale. Vediamo gli altri.

Ma, prima di tutto, c’è qualche fondamento, oltre la logica e il buon senso, all’interpretazione per cui la fessura è considerata effetto del peccato originale? E sì che c’è; e tale anzi da fornirci la vera postilla di Dante a quelle parole “gran veglio„. Se Dante avesse chiosato da sè il sacrato poema, qual parola avrebbe annotata qui nel margine? Avrebbe [p. 199 modifica]annotato: “Natura umana„. In vero Beda5 afferma che quattro ferite furono inflitte dal peccato del primo parente a tutta la natura umana: infirmità, ignoranza, malizia e concupiscenza. E S. Tommaso, ragionandone, dice che “mediante la giustizia originale la ragione perfettamente conteneva le inferiori potenze dell’anima... Questa fu sottratta mediante il peccato del primo uomo, e perciò tutte le potenze dell’anima rimangono in certo modo destituite del loro ordine per il quale naturalmente sono ordinate a virtù; e questa destituzione stessa è detta vulneratio naturae„. Or la fessura del gran veglio comincia dove finisce l’oro, cioè lo stato d’innocenza o, diciamo con più classica parola, di giustizia originale. Nel che si deve ricordare che Creta, oltre Saturno, ebbe anche un re così giusto, che Dante, pur trasformandolo in demonio, lo accetta e conserva come giudice dell’inferno. La fessura è molto probabilmente, dunque, codesta vulneratio, e il gran veglio è la natura umana.

Ora la vulneratio si esplica in quattro ferite; e le potenze dell’anima cui queste vulnerano, sono la ragione (intelletto), la volontà, l’irascibile, il concupiscibile. Capovolgiamo; ed ecco si trova con l’inferno Dantesco una perfetta corrispondenza, in quanto in esso, cominciando dal secondo cerchio, è punita l’incontinenza, prima di concupiscibile e poi d’irascibile; quindi l’inordinatio nella sola volontà, all’ultimo quella ancor dell’intelletto. Ebbene i fiumi infernali che sgorgano dalla fessura del gran veglio, [p. 200 modifica]come dalla vulneratio scende il disordine nelle potenze dell’anima, sono quattro, come quadruplice è quel disordine: e dove si trovano? Cocito è dove “più non si dismonta„, il che è detto in senso proprio e in senso morale; dove non si può andar più giù e dove non si può far di peggio. Invero questo fiume, ghiacciato dal ventilar delle ali del primo superbo, serra in sè i peccatori di malizia con frode in chi si fida, ossia di tradimento. È in fondo in fondo all’inferno, e in fondo all’ultimo cerchietto della frode. Ora in principio del primo cerchietto della frode (secondo della malizia), ossia nella bolgia di Caifas, è la rovina. Della frode, insomma, la rovina è a capo, il fiume in fine. E la frode è un peccato che ha in più del peccato che lo precede, il disordine nell’intelletto. Flegetonte si trova nell’unico cerchietto della malizia con forza. E naturalmente è a basso, e a basso scende nel piano inclinato del cerchietto, fin che nel cerchio ottavo (secondo cerchietto della malizia) cade con grande rimbombo.6 La malizia con forza è senza intelletto, e in ciò è più leggiera colpa che la frode che segue; ma ha un fine ed è quindi con volontà, e in ciò è più grave dell’incontinenza che lo precede. Questo cerchietto ha una rovina a capo e un fiume in fondo, come può essere in un piano inclinato sì, ma unico. Stige scende visibilmente dal quarto cerchio nel quinto, dove impaluda. Il quarto cerchio punisce una specie d’incontinenza di concupiscibile, l’avarizia; e il quinto l’incontinenza d’irascibile. Una rovina è capo di tutti i cerchi dell’incontinenza, cioè in quello della [p. 201 modifica]lussuria; e un fiume paludoso in fondo. Dunque, riassumendo, tra una rovina ed un fiume si trova punita nell’inferno, prima la incontinenza di concupiscibile e d’irascibile, poi il disordine nella volontà, poi il disordine anche nell’intelletto. Le tre rovine dunque, come i tre fiumi a cui elle corrispondono sono in relazione indubitabile con la vulneratio di Beda. Il peccato originale indebolì queste quattro potenze dell’anima, sì da agevolare quelle quattro specie di peccati.

Quattro? Ma sono tre. Sì, tre disposizioni: incontinenza, malizia con forza e malizia con frode. Ma l’incontinenza è duplice, di concupiscibile e d’irascibile. E così sono quattro. Ma allora perchè Dante non ha coi quattro fiumi limitato al basso queste quattro forme di peccato; e invece ne ha lasciato fuori uno, l’Acheronte, e due forme ha ridotte a una?

Vediamo. S. Tommaso dichiara che la vulneratio ha destituite quattro potenze, che abbiamo vedute, del loro ordine a quattro virtù. Quali sono queste? Le quattro virtù cardinali: prudenza, giustizia, fortezza, temperanza. Capovolgendo come prima, vediamo che le quattro forme di reità, corrispondenti alle tre rovine e a tre fiumi, sarebbero opposte a queste quattro virtù, a questo modo: temperanza e fortezza alla incontinenza di concupiscibile e d’irascibile, giustizia all’inordinatio della volontà, prudenza all’inordinatio dell’intelletto. Torna? Dunque i traditori e i fraudolenti avrebbero peccato contro la prudenza? i violenti, solo questi, contro la giustizia?

Non torna, pare.

Eppure sì; torna appuntino. I fiumi dell’inferno hanno una sola e unica fonte: la fessura del gran [p. 202 modifica]veglio. È un fiume solo, che cambia nome e aspetto e natura. Prescindendo per ora dall’Acheronte, Stige si mostra nel cerchio degli avari,7 come

                      una fonte che bolle e riversa
               per un fossato che da lei deriva.

Ha l’acqua buia, l’onde bige, ed è tristo ruscello e si fa palude nel cerchio seguente. È il fiume della tristizia, che dalla concupiscenza scende mollemente (Dante e Virgilio vanno in sua compagnia) all’incontinenza d’irascibile. Flegetonte si vede subito nel primo girone del cerchio settimo8; si riconosce però solo nel terzo girone di esso;9 con che si ammonisce il lettore che i peccatori così disparati del cerchietto hanno qualche cosa in comune. È di sangue che bolle. Cade poi con risonante cascata, nel cerchietto seguente; e si rivede, sotto il nome di Cocito, in fondo all’inferno, come una ghiaccia sotterranea.10 È un fiume solo, dunque, prima tristo e fangoso, poi sanguigno e bollente, quindi ghiacciato e duro. Ora il fiume tristo tiene in sè, come appiccicati, i peccatori di tristizia; almeno questi; e il fiume di sangue fervente bolle in sè i peccatori che diedero di piglio nel sangue; e il fiume di ghiaccio serra in sè i peccatori, diciamo così per ora, freddi a ogni amore. Sono dunque, questi fiumi, pena a peccati che in qualche guisa ad essi assomigliano, o a cui essi fiumi si fanno simili, diventando brago, sangue e fuoco, gelo. Or bene, poichè sono un fiume solo, significano che via via ne’ peccati, di cui sono [p. 203 modifica]pena, è la reità ancora di quelli di cui pena sono stati. Quindi nella violenza è l’incontinenza, nella frode è la violenza. Cioè, nella violenza è un disordine nel concupiscibile e irascibile, più un altro nella volontà; nella frode, oltre quello e questo, un terzo disordine, nell’intelletto. E così mentre l’incontinenza fa contro le virtù di temperanza e di fortezza; la violenza fa contro queste due, più contro la giustizia; e la frode fa contro la temperanza, la fortezza, la giustizia e la prudenza. E mettendo i vizi opposti a tali virtù, come sono in Beda e come Tommaso li dichiara, mettendo le quattro vulnera, abbiamo che nell’incontinenza è concupiscenza, “in quanto questa è destituita del suo ordine al dilettevole moderato dalla ragione„; è infirmitas, “in quanto l’irascibile è destituito del suo ordine all’arduo„; e nella violenza è, oltre la concupiscenza e l’infirmitas, la malizia “in quanto la volontà è destituita del suo ordine al bene„; e nella frode, oltre la concupiscenza e l’infirmitas e la malizia, è l’ignoranza “in quanto l’intelletto (ratio) è destituito del suo ordine al vero„. Non è così anche nelle tre fiere? La lonza è la concupiscenza; ma contro lei vale il rimedio che vale contro la tristitia dei fitti nel fango; dunque è anche ciò “per cui l’irascibile è destituito del suo ordine all’arduo„, e che Beda chiama infirmitas e Dante accidia. Il leone si sostituisce alla lonza, perchè ha in sè quello che l’altra; più, vuol fare ingiuria. La lupa si sostituisce al leone, e resta sola; sicchè ha quello che il leone e la lonza. E contro essa avrà solo forza il veltro, che ciberà “sapienza, amore e virtute„. Il che mostra che la lupa ha ignoranza invece di sapienza, malizia invece di amore (l’amore [p. 204 modifica]si liqua in volontà del male), concupiscenza e perciò infirmitas invece di virtù. La qual ultima cosa Dante dichiara col fare che la lupa si ammogli a molti animali e col mutarla in fuia o meretrice; questo per la concupiscenza; e, per l’infirmitas, col farla fuggire avanti il veltro.

Note

  1. Inf. XIV 94. Per questo capitolo devo molto al mio carissimo Cosimo Bertacchi e al suo eloquente opuscolo «Il gran veglio del monte Ida, Torino, 1877». Da questo acutissimo geografo, di sopra e sotto terra, gli studi danteschi hanno molto avuto e più aspettano.
  2. Par. XXI 25 seg.
  3. Purg. XXVIII 139 segg.
  4. Par. VI 2.
  5. Summa 1a 2ae 85, 3. Donde sia tratto il luogo di Beda, non occurrit.
  6. Inf. XVI 92 segg.
  7. Inf. VII 101 segg.
  8. Inf. XII 46 segg.
  9. Inf. XIV 130 segg.
  10. Inf. XVI 92.