Signorine/Le rose di Pasqua Rosa

Le rose di Pasqua Rosa

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LE ROSE DI PASQUAROSA

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La signora Felicetta, tutta pingue, tutta placida, nella sua poltroncina, dentro la sua veste di flanella, con i suoi piedini nelle sue pantofolette, rimase atterrita alle parole della bella dama ed esclamò:

– Ma non lo dica nemmeno per ridere.

– Ma sì, mia buona signora Felicetta, – disse la bella dama, – e poi è una cosa così semplice! Si muove un piccolo cosino, tac! e tutto è finito.

La bella dama che parlava in tal modo, piegò vezzosamente la testa come dicesse: «Facciamo insieme?» [p. 202 modifica]

— Ah, no, – esclamò la signora Felicetta, – perchè dopo si muore.

– Morire? E cosa è morire? Dormire, sognare forse, – e proseguì: – Oppure fare come Saffo, giù da uno scoglio. Oppure come Ofelia. Un gran fiume. Si va, si va per le onde del fiume...

– E sono morti, quel signore e quella signora? – domandò la signora Felicetta.

– Erano due signorine, – disse la dama. – Sì, sono morte, ma ora vivono nella immortalità.

– Preferisco vivere a casa mia – disse la signora Felicetta. – Veda, io quando nei giornali leggo un suicidio, sto poi male per tutto il giorno.

La dama sorrise.

Poi proseguì: – Si potrebbe scegliere un dolce veleno. Si muore dormendo. Ma a me piace assaporare la morte. L’ideale sarebbe, giù da un velivolo.

Allora la signora Felicetta rabbrividì.

La dama che così parlava, era bella, ma di una bellezza così delicata che pareva [p. 203 modifica]friabile; e mentre la signora Felicetta stava coi suoi piedini sul tappeto, la dama faceva oscillare la caviglia di una sottile gambetta, con una sottile scarpetta, e questo movimento produceva un giramento di testa.

La lunga mano di lei reggeva un mazzo di rose, folgoranti rose; cioè non reggeva, ma come se il peso di esse fosse troppo, le tenea capovolte.

Sul tavolinetto era posato un libro ravvolto e legato con un bel nastrino.

– Lei ammetterà, signora Felicetta, – proseguì la dama – che io non posso ricorrere al carbone, come usava una volta.

– Io non so – rispose la signora Felicetta; – io accomodo i calzoni di mio marito.

La dama guardò come erano fatti i calzoni di suo marito.

– I mariti! – disse la dama, e un tremore agitò le pallide labbra. – Il mio pretendeva che io soddisfacessi come un closet alle sue brutalità sensuali, e siccome io mi rifiutai, così lo sorpresi travolto nei [p. 204 modifica]più ignobili amori ancillari. Ed era un gentiluomo!

«Tutta la colpa è di questi qui: cosa ci vuol fare?» parve voler dire la signora Felicetta accennando ai calzoni; ma disse: – Adesso suo marito è morto, e lei perchè parla di morire?

– Perchè è necessario, signora.

– Io non capisco, non capisco – disse la signora Felicetta.

– Lei non capisce?

– No, ma aspetti, signora: un gocciolino di rosolio.

E la signora Felicetta si levò e aprì un armadietto. Aveva bottiglie di rosoli, e vasi di marmellata.

– Un po’ di marmellata di ciliege, signora? quest’anno veramente la marmellata di ciliege non è venuta troppo bene. Provi questa di pesche.

La signora Felicetta oltre all’accomodare i calzoni, faceva le marmellate e i rosoli. [p. 205 modifica]

— Lei non capisce – disse la dama sorbendo lievemente il rosolio – perchè morire? Non ha un’anima lei? non ha sentito lei il bisogno dell’uomo, qualunque esso sia, che ti ricopra col suo immenso tremore, e ti innondi e ti faccia morire?

Felicetta guardò stupefatta la dama; e poi timidamente disse: – Ma non ha lei amato...?

E fece il nome di uno di quei potenti uomini rivoluzionari, che con le loro parole ogni tanto scuotono l’Italia.

– Il miserabile! – disse la dama – Egli mi ha posseduta, egli mi ha goduta! Io credevo con lui di potere operare grandi cose. Stavamo ambedue, con l’aiuto del popolo, per far precipitare questo mondo, quando lui ha riflettuto: «c’è caso che rimanga schiacciato anch’io». E ha dato il contravapore. Vigliacco!

La signora Felicetta guardò, ma non capì questo discorso. – Ma lei – aggiunse timidamente – non era fidanzata con quel poeta...

Infelice! – disse la dama. – Sì, egli [p. 206 modifica]mi amò, egli mi supplicò: «amatemi, e io scriverò cose non mai dette». Infelice! A ventisei anni era esausto. Poi la paura! Un poeta che scrive un poema «Prometeo», e ha paura di sua madre, e mi dice: «mia madre non vuole. Va, per carità, va e cammina!» No, signora Felicetta, l’uomo non sa amare. Oh, quanto è preferibile alla sorte di noi povere donne l’ape regina!

La signora Felicetta sapeva accomodare i calzoni, sapeva fare le confezioni, sapeva fare i rosoli, ma non sapeva quello che fa l’ape regina.

Glielo spiegò la dama.

– L’ape regina – disse – quando ha fatto il suo volo d’amore, ordina alle api operaie di uccidere i maschi. Del resto così fecero le grandi imperatrici, le grandi regine coi loro amanti. Io non posso sopprimere l’uomo. Ebbene mi sopprimo io: un piccolo colpo, tac, così, contro il cuore.

La bella dama così dicendo, levò dalla borsetta a maglie d’oro un piccolo gingillo col manico di madreperla. [p. 207 modifica]

La signora Felicetta fuggì atterrita, e si fermò alla porta. – No, signora, qui. Per carità!

La dama sorrise. – Non tema, signora Felicetta. Non voglio turbare la sua tranquillità. Lei ha sposato l’uomo rude dell’officina, e forse il meglio è ancora così...

– Oh, mio marito non si occupa di queste terribili cose.

– Mi aveva chiesto un libro, e io glielo aveva portato. Un jour viendra! Nient’altro! Ma suo marito non viene? Avevo portato per suo marito il libro....

– Mio marito non legge, mio marito non legge, – balbettò la signora Felicetta.

– E per lei, signora, queste rose avevo portato.

– Le metterò nel vaso.

– No, signora Felicetta, lei non le metterà nel vaso. Lei sfoglierà queste rose ad una ad una nella vasca da bagno, poi la ricolmerà di acqua. Domattina, all’alba, lei si immerge nell’acqua di rosa. Lei sa domattina che giorno è, vero? Domani è Pasqua [p. 208 modifica]rosa, e una leggenda dice che chi la mattina di Pasquarosa fa un bagno nell’acqua di rosa, conserva sempre la freschezza della gioventù.

La dama se ne andò.

La signora Felicetta stentò la notte a prender sonno: Il velivolo, lo scoglio, e quel tac! Il cuore della signora Felicetta che non si sentiva mai, battè tutta la notte. Suo marito lo sentì fare tic-tac, e dovette posare la sua mano sul cuore. Il piccolo coricino battè per un poco anche più forte, ma poi si acquetò, e Felicetta dormì in pace sino al mattino del dì seguente, che era Pasquarosa.

Essendo Pasquarosa, il marito non andò alla fabbrica perchè gli operai festeggiano tutte le feste della chiesa anche se non [p. 209 modifica]vanno più in chiesa. A mezzogiorno, con quella regolarità che è tutta propria della signora Felicetta, la zuppiera fumante di bella minestra entrava in tavola, quando la bella dama improvvisamente apparve.

– Ha messo in bagno le rose, signora Felicetta?

Felicetta non ci pensava più.

– Io, tante! – continuò la dama. – Appena giunta all’albergo, ho sfogliato nella vasca da bagno tante, tante rose... Oh, buongiorno, ingegnere. Conosce lei, ingegnere, la leggenda delle rose di Pasquarosa?

L’ingegnere conosceva molte cose meccaniche, ma non la leggenda delle rose di Pasquarosa. E la bella dama gliela raccontò. – Io ho sfogliato, ieri sera, dicea, tante rose, poi ho colmata la vasca. Stamane alle dieci, nuda, tutta nuda, così, sono entrata nell’acqua che era quasi fredda; ma colma così com’era la vasca, aveva una lieve trasparenza verdastra. Ah delizioso! Perchè, signora Felicetta, non ha fatto così anche lei? [p. 210 modifica]

In verità la signora Felicetta, voleva dire: «E lei perchè non ha fatto tac con quel cosino?»