San Carlo (Pellico)

Silvio Pellico

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Questo testo fa parte della raccolta Poesie inedite (Pellico)


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SAN CARLO.





Bonus pastor animam suam dat
     pro ovibus suis.

(Ioh. 10, v. 11).



Oh! quanto degno è di fiducia un grande
     Di pietà e sacrificii operatore,
     Che fu debol mortale, ed ammirande
     4Forze trovò nel suo sublime amore!
     Fama antica non è che voci espande
     Sovra Carlo, d’Insubria almo Pastore;
     Ei visse quasi ieri, e sue pedate
     8In tutto il suol natìo sono stampate.

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E perocchè de’ secoli non volve
     Oscura nube di sua vita i fatti,
     Dir non possiamo: « Era d’un’altra polve,
     12Era di tempi al dolce errar men atti ».
     Dir non possiam: « Noi tal etade involve,
     Che irresistibilmente al mal siam tratti ».
     Ma ravvisiam come in orrendi tempi
     16Possan pur di virtù fulgere esempi.

Sotto il tempio gigante di Milano
     Un delubro contien la sacra spoglia;
     Colà viene il devoto da lontano,
     20E de’ commessi falli si cordoglia,
     E fede ha ch’ivi niun pregar sia vano,
     E torna speranzoso alla sua soglia;
     E narrato è di cuori, un dì perversi,
     24Che furono per sempre al ciel conversi.

Talora a quel delubro io discendea
     Dubbio su tutto, e quasi su Dio stesso,
     E lung’ora solingo ivi gemea
     28Da sciagurate passïoni ossesso,
     Poi vedea mover giù dalla scalèa
     Il poverel da’ suoi malori oppresso,
     Ch’appo il corpo del Santo s’inchinava,
     32E di lui la bëata alma pregava.

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La fè del poverello io con dolcezza
     Invidïando, era commosso al pianto,
     E vergognava della ria stoltezza
     36Che sovente di senno usurpa il manto;
     E allor tutta splendeami la bellezza
     Del culto ch’elevar può l’uom cotanto;
     E Carlo io pur pregava, e in me largita
     40Tosto sentìa di maggior fede aïta.

Sempre onorai quel forte: ad onoranza
     M’astringon que’ magnanimi mortali,
     Ch’osano concepir l’alta speranza
     44Di sveller d’infra il mondo orrendi mali;
     Ch’osan, non per vendetta od arroganza
     Contro a poter di soverchianti eguali,
     Ma di Dio per amore e delle genti
     48Confonder dell’iniquo i rei contenti.

Di Carlo a’ tempi, vïolenza e orgoglio
     Spesso ne’ sommi e oscenità regnava,
     E de’ vili costumi il turpe loglio
     52Indi più nella plebe pullulava;
     Innocenza per tema e per cordoglio
     Da ogni parte ascondeasi e palpitava,
     E se la raggiungea braccio nefando,
     56Irrugginito era di legge il brando.

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E perchè inetta era la legge ultrice,
     L’uomo spogliato del paterno avere,
     E il padre della vergine infelice
     60Che a lui rapita avea truce potere,
     Fean la propria lor destra esecutrice
     Di cieche stragi e di perfidie nere,
     E in mezzo al sangue gli uomini cresciuti
     64L’ire feroci esser credean virtuti.

E per maggior calamità d’allora
     Premeano Italia immiti ferri estrani,
     Onde tra parte e parte ardean tuttora
     68Più frequenti gli oltraggi e gli odii insani;
     E perchè il volgo stolido peggiora
     Quando vien retto da esecrate mani,
     La podestà straniera incrudelìa
     72Quanto più il volgo oppresso l’abborrìa.

E in sì gravi sciagure, onde cotanta
     L’ignoranza e l’obblio dell’Evangelo,
     Anche la schiera che dovrìa più santa
     76Sfavillar, perchè interprete del Cielo,
     Campioni egregi aveva, sì, ma oh quanta
     Feccia sol mossa a farisaico zelo,
     Inimica di Roma, e sovvertente
     80Co’ rei costumi ipocriti la gente!

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Su’ tristi giorni suoi Carlo fremea:
     Data non gli era onnipossente mano,
     E pur argin gagliardo imporre ardea
     84A quel di vizi orribile oceàno.
     Non disperò della sublime idea,
     Il soccorso affidandol sovrumano,
     Vide ch’altri giovar uomo può sempre,
     88Se a virtù somma sè medesmo tempre.

Dio benedisse quell’eroica brama,
     Il suo servo su molti altri estollendo,
     E tal gli diè di giusto Presul fama,
     92E linguaggio amorevole e tremendo,
     Che, mentre de’ perversi ad ogni trama
     Fu visto questi oppor senno stupendo,
     Ad amarlo costretti o a paventarlo,
     96Tutti il messo di Dio scerneano in Carlo.

Chè se rigore e dignitosa vita
     Il Vescovo integerrimo imponeva,
     Ei pria mollezza avea da sè sbandita,
     100E co’ poveri il pan condivideva,
     E l’austera sua mente era addolcita
     Da quel sorriso che gli afflitti eleva;
     Co’ superbi terribile soltanto,
     104D’ogni infelice intenerìalo il pianto.

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Del paterno suo cor fur monumento
     Ospizi per famelici ed infermi,
     E istituti ove sprone ed alimento
     108Dato venìa d’intelligenza a’ germi,
     E il suo forte, moltiplice intervento,
     Ove occorrean contr’ingiustizia schermi,
     E l’impulso ch’ei diede a’ patrii ingegni
     112Verso i nobili fatti e i pensier degni.

Sua immensa carità, suo santo ardire
     Suscitogli appo il trono alti nemici;
     A impudenti rampogne, a spregi, ad ire,
     116Grida si mescolar calunniatrici:
     Nudrir fu detto scellerate mire,
     Tutti i dolenti a sè facendo amici;
     Dei regi udissi schernitor chiamato,
     120Che il lituo avea sopra gli scettri alzato.

Lasciava ei che la collera stridesse,
     E della Chiesa ognor sostenne il dritto:
     Finchè vestigi sulla terra impresse
     124Contro a sè vide mosso empio conflitto;
     Ma se alcun della grazia ai lampi cesse,
     Con gioia obbliò Carlo ogni delitto;
     E spesso tal, che più l’aveva offeso,
     128Alfin d’amor per lui sentiasi acceso.

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Gl’implacati di Carlo abborritori
     Quai tra’ mortali furo? I farisei!
     La più abbietta genìa di traditori!
     132Color che in ogni età sono i più rei!
     Color che della Chiesa ambìan gli onori,
     Poi core e mente ribellaro a lei!
     Que’ sacerdoti che fautor si fanno
     136Di sfrenatezza eretica e d’inganno!

Chi è quell’infelice maledetto
     Che porta in fronte i torvi occhi di Giuda,
     E come Giuda si percuote il petto,
     140Perchè più in rimirarlo altri s’illuda?
     Schiavo sempre viss’ei d’iniquo affetto?
     Di virtù l’alma ebb’egli sempre ignuda?
     O dopo aver d’amor di Dio avvampato,
     144Cadde e non sorse, ed a Satàn s’è dato?

Per quai sequele di misfatti orrende
     Scritte nel libro degli eterni guai,
     Dove cancellatrice più non scende
     148Del sangue di Gesù stilla giammai,
     Un mortifero bronzo oggi egli prende,
     E d’empia gioia brillano i suoi rai?
     A’ rei socii sorride, esce del chiostro,
     152E l’arme sotto il manto asconde il mostro.

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Sì! del truce delitto ei socii avea!
     Ed appunto i supremi del convento!
     Eran tre questi indegni, e li stringea
     156D’infernale amicizia giuramento.
     Lor chiostro che di santi un dì fulgea,
     Fatto avean di turpezze abitamento.
     Ministro e amico loro astuto e forte
     160Era colui che or volge opra di morte.

Uscito appena il perfido omicida,
     Guardansi e impallidiscono i preposti,
     E un di costoro all’assassino grida:
     164« Riedi! il sappiam che intrepido ognor fosti;
     Questo novo cimento or mal t’affida;
     Riedi! sii obbedïente a’ cenni imposti! »
     Ma in covil di superbia e di licenza
     168Vano e risibil nome è obbedïenza.

« Ahimè! questi prorompe, ei non m’ascolta!
     Che faceste, o compagni, a suscitarlo?
     Gagliarda fu l’offerta sua, ma stolta,
     172Di tor dal mondo l’esecrato Carlo.
     Sempre scherniste di dolore avvolta
     La presaga alma mia, ma il vero io parlo:
     Tanto di colpa in colpa osi vi feste,
     176Che omai l’abisso a tutti noi schiudeste ».

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« Codardo! esclama un de’ compagni; pensa
     Che ognor la sorte al nostro messo arrise;
     La sua destrezza in tutte imprese è immensa,
     180E altre volte le man di sangue ha intrise.
     Move or egli ad oprar fra turba densa,
     E fìan le menti da terror conquise,
     Sì che non arduo esser gli dee celarsi,
     184E illeso nelle tenebre ritrarsi ».

Il terzo ostenta egual baldanza, e dice:
     « Purch’egli atterri il Vescovo odïato!
     S’anco andasse scoverto l’infelice,
     188E in ferri tratto, e a morte strascinato,
     Chi potrà dimostrar ch’eccitatrice
     Fosse la nostra voglia all’insensato?
     Al venerevol Carlo inni alzeremo,
     192E il suo uccisor cogli altri imprecheremo ».

Intanto l’omicida affretta il passo,
     E sui preposti a sogghignar si sforza;
     Sembragli il loro cor vigliacco e basso,
     196Quand’è più d’uopo irremovibil forza;
     E dice: « Io ben son certo che a me lasso,
     Se la prospera stella oggi si smorza,
     Intenti solo ad evitar lor danno,
     200Costor l’amistà mia rinnegheranno.

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Spero che gioïrò di mia vittoria,
     Ed eroe da lor labbra udrò chiamarmi!
     Quel Carlo ch’ogni nostra ascosa istoria
     204Investigare osava e minacciarmi,
     Vedrà come del lituo anzi la boria
     Per la salute del mio chiostro io m’armi!
     Ma s’io perir dovessi?. . . . oh allora tutto
     208Meco trarrò l’empio convento in lutto! »

Giunge il ribaldo al vescovil ricinto,
     Ed ascende al tempietto, ove il Pastore,
     Da’ famigliari sacerdoti cinto,
     212La preghiera seral porgea al Signore.
     Ivi d’oranti assai stuolo indistinto
     Pïamente con esso effondea il core:
     Palpita mal suo grado l’omicida,
     216E ancor « Ti penti! » l’angiol suo gli grida.

Ma soffocò tutti i rimorsi, e rise
     Dell’angiol suo e di Dio, come di larve.
     Con ira gli occhi sovra Carlo affise,
     220Ed esecrando zelator gli parve.
     A liberarne il mondo si decise,
     E certo il proprio scampo gli trasparve;
     Allo scoppiar dell’avventata morte
     224Ratto balzar fidava oltre le porte.

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Salmi sciogliendo il Presul benedetto,
     Quel nobil verso di Davìd dicea:
     « Non si turbi, nè tremi ora il mio petto! »
     228Quand’ecco sfolgorar la canna rea.
     Al fero tuono, ognun d’ambascia stretto
     Dal suol sorgendo, « Ov’è il fellon? » chiedea.
     Da tergo il colpo giunto era su Carlo,
     232E, oh prodigio! non valse ad atterrarlo.

« Non si turbi nè tremi ora il cor mio! »
     Con ferma voce ripigliò il Prelato,
     E in ginocchio rimase a lodar Dio,
     236Ed a pregar pel mostro sciagurato.
     S’udì questi ulular: « Preso son io! »
     E il giorno maledire in ch’era nato,
     Ed il padre e la madre, e più il perverso
     240Chiostro, ov’ei s’era in tutti vizi immerso.

Taccia il mio carme le bestemmie atroci
     Del traditore e l’infernal suo riso,
     Quando mirò degli abborriti soci,
     244Appo i supplizi, impallidito il viso;
     E taccia come, anco all’estreme voci,
     Ei sperar ricusò nel Paradiso:
     L’alma sua dal carnefice spiccata,
     248Fu dal re dei demon presa e baciata.

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Benchè mirasse nel suo clero istesso
     Carlo intelletti perfidi cotanto,
     Lo sperante suo cor non fu depresso,
     252Ma allor anzi doppiò di zelo santo;
     Non ebber più nel santüario accesso
     Tai che d’avi o d’ingegno avean sol vanto;
     Purificata ei la lombarda Chiesa
     256Volle ed ottenne, ad alti esempli intesa.

Mentre corregger egli e sublimare
     I suoi tempi ed i posteri anelava,
     E in peste orrenda visto fu esemplare
     260Di pietà fra la turba afflitta e ignava,
     E in nessuna miseria il casolare
     Del poverello ei mai non obblïava,
     Pur non tacea di basse alme lo sdegno,
     264Ed era ei spesso ai vilipendii segno.

La luce de’ suoi fatti alle sincere
     Menti dimostra qual mortale ei fosse;
     E quando ascese alle superne sfere,
     268Confusa alfin calunnia ammutolosse.
     Della Chiesa ogni santo condottiere
     Sovra l’orme di Carlo indirizzosse,
     Ed oggi ancor sulle lombarde rive
     272Delle virtù del Grande il frutto vive.

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Io nulla son, ma ad onorarti appresi,
     E so che sei possente appo il Signore,
     E con fè al tuo sepolcro mi prostesi,
     276Ed il pensare a te m’innalza il core:
     Odimi, Carlo, e i miei sospiri accesi
     T’abbian per me ne’ cieli intercessore!
     Delle giust’opre caldo amor chiegg’io,
     280Chieggio vederti un giorno in seno a Dio!

Tra gl’Itali non v’ha petto gentile,
     Cui söave non sia la rimembranza
     Di pastor sì benefico all’ovile,
     284D’uom ch’agli altari diè tanta onoranza.
     Chi, solcando il Verban con petto umìle,
     Non mirò intenerito in lontananza
     L’antica Arona, ove le limpid’acque
     288Lietamente dir sembrano: « Ei qui nacque! »

In anni oggi remoti e sempre cari,
     Quell’amabil pur fei pellegrinaggio.
     Gli ultim’astri fulgean tremoli e rari,
     292Perocch’era una prima alba di maggio,
     E sui monti segnava oggetti vari
     Impallidito della luna il raggio,
     Finchè cedendo a luce più gioconda,
     296Più languidetta in cielo era e nell’onda.

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Ed allor sulle cime orïentali
     Rosseggiavan leggère nugolette,
     E spuntavan del sole i dolci strali,
     300Qua e là indorando le contrarie vette;
     Ed i fiotti del lago or dianzi eguali
     S’increspavano al tocco delle aurette,
     E nel lor fasto signorile e vago
     304L’isole risplendeano in mezzo al lago.

E le spiagge lunghissime e distanti,
     E le molli e le ripide pendici
     Mostravan con moltiplici sembianti
     308I lor tugurii poveri e felici,
     E i campanili de’ tempietti santi,
     Ove già del mattino ai sacri uffici
     Del vigil bronzo l’eccheggianti note
     312Chiamavan le rideste alme devote.

Oh quali eran miei palpiti veggendo
     Arona, verso cui più concitati
     Dal desiderio andavano battendo
     316I remi de’ nocchieri affaticati!
     Colà s’innalza, e sta benedicendo
     Colossale un’effigie i lidi amati:
     L’effigie del Pastor, per cui d’Arona
     320Benedetto nel mondo il nome suona.

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Su quell’alto colosso eran mie ciglia
     Lungamente fissate da lontano,
     E quella fè che a tutto il cor s’appiglia
     324Da me espelleva ogni pensier profano.
     Parea al mio spirto pien di maraviglia,
     Che il Santo stesso, alzando ivi la mano,
     Accennasse di Dio le creature
     328Benedir tutte, e benedir me pure!

Come allora, oggi esclamo con affetto:
     Proteggi, o Carlo, la Lombarda terra,
     Ed ogn’Itala sponda, ed ogni petto,
     332Ovunque ei sia, che preci a te disserra!
     Se germe è in noi di ben, rendil perfetto,
     All’opre vili insegnaci a far guerra,
     Veglia su noi qual padre, ed i tuoi figli
     336Sprona e guida a vittoria infra i perigli!